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Autore: crazyfred    07/12/2021    0 recensioni
[FRANCESCO & EMMA] Non è proprio una storia continua ma una raccolta di one shot, dove alcuni capitoli potrebbero essere raccordati, altri meno, che raccontano la vita della nostra banda di matti andando avanti e indietro nel tempo, gironzolando attorno agli eventi della fanfiction "Noi Casomai". Una raccolta di piccoli quadri di vita più che di eventi in sé.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ritorno a casa

(parte 1)
 




Era una bellissima giornata di sole, o forse il sole Emma e Francesco quella mattina lo avevano dentro di loro e tutto intorno diventava bellissimo ai loro occhi, positivo, luminoso.
Era il giorno in cui Emma, finalmente, dopo 15 interminabili giorni, sarebbe tornata a San Candido, a casa. Aveva resistito tutto quel tempo in una camera d’ospedale da dove vedeva solo edifici, edifici e ancora altri edifici, solo perché sapeva che 2 volte al giorno Francesco sarebbe andato a farle visita. Pur nata e cresciuta in città, non era più abituata all’idea di affacciarsi alla finestra e vedere che il massimo della natura era un’aiuola su un marciapiede e qualche albero risparmiato all’asfalto e al cemento. Aveva bisogno di aria pulita e cieli tersi, ne aveva abbastanza della nebbia della pianura. E così aveva stretto i denti: dopo la terapia intensiva, dalla quale credeva non sarebbe mai uscita, i dottori avevano parlato di ripresa in tempi record, qualche infermiera vecchio stampo aveva sussurrato, di nascosto dai professoroni, la parola miracolo, ma nessuno di loro conosceva la forza di volontà che Emma sapeva tirare fuori quando voleva una cosa; Francesco, invece, la conosceva bene. E così il bollettino medico aveva iniziato a migliorare, diventando evidente agli occhi di tutti: dal letto era passata alla poltrona, dalla poltrona si era fatta trovare in piedi a tutti i costi e poi, piano piano, aveva iniziato a muovere dei primi passi scoordinati, via via sempre più sicuri e decisi. I due, in questo percorso, continuavano a scambiarsi sguardi silenziosi ma orgogliosi: ce l’avevano fatta, la promessa era stata mantenuta: avevano vinto loro.
In auto, la radio accesa tenuta come un leggero sottofondo, il paesaggio cambiava lentamente mentre sfrecciavano lungo l’autostrada. La pianura e i colli poco alla volta lasciavano spazio alle montagne, ma non erano ancora le loro: per quelle ci sarebbe voluto un po’ di tempo. Francesco guidava tranquillo e prudente. Qualcuno, a San Candido, avrebbe protestato che lo stesso riguardo Francesco non lo aveva per lui quando erano in macchina insieme. Un sorrisetto scappò al forestale tra sé e sé: Vincenzo non poteva pretendere di essere sullo stesso piano di Emma. “Perché ridi?” domandò Emma. “Niente … sono solo felice” “Anche io. Non vedo l’ora di rivedere tutti” “Non oggi però. Il viaggio è lungo e devi riposare. Ho detto agli altri di lasciarti qualche giorno in pace” “Mhmm va bene … forse hai ragione. Però Leo lo andiamo a trovare” “A quello non so dirti di no”
In effetti aveva ragione da vendere. 3 ore e mezza di viaggio erano ancora tante per lei. Si era data tanto da fare per tornare ad essere autonoma, ma a fine giornata era ancora molto debole e l’equilibrio precario. Francesco la vegliava in silenzio, man mano che salivano di quota dopo aver lasciato l’autostrada, buttando di tanto in tanto un occhio su di lei che guardava il paesaggio scorrere fuori dall’auto e stringendole la mano: temeva che tutti quei tornanti potessero stordirla e provocarle nausea, ma era tranquilla, rapita dalle prime case in legno con il tetto spiovente, dal verde dei prati misto all’oro dei larici che poco alla volta si preparavano ad accogliere il freddo dell’inverno. Ma forse quel controllo serviva più a lui che a lei, per sincerarsi che stesse succedendo davvero, che avevano davvero superato anche quell’ostacolo.
“Emma … amore?!” “Mh?” “Siamo al Passo di Monte Croce” Al confine tra Veneto e Alto Adige, il passo a 1600 metri era la porta di ingresso alla Val Pusteria. Dietro le poche costruzioni, un hotel, un bar e qualche malga e rifugio sparsa tra i prati e i boschi, le Dolomiti di Sesto si stagliavano imponenti e improvvise, quasi a darle il bentornata. In realtà era anche per un altro motivo che Francesco le aveva segnalato dove si trovavano: oltre un breve sentiero si apriva una piccola radura. Lì, di fronte alle loro amate montagne, era incastonato il posto dove si erano ritrovati, poco meno di un mese prima, là dove avevano fatto cadere ogni muro: ogni incomprensione non poteva valere quanto l’amore che provavano. E lì, un giorno, nella chiesetta troppo piccola anche per i loro pochissimi amici, avrebbero detto sì. Il paesaggio, man mano che scendevano verso San Candido, diventava sempre più familiare. Quaranta minuti più o meno e sarebbero stati a casa.
Arrivati a destinazione, Emma fu paradossalmente grata che il suo stato di salute, ancora non al 100%, non le consentisse di camminare più velocemente, perché così poteva riassorbire in ogni fibra la bellezza incontaminata del lago, i suoi profumi, i suoi colori. Era come essere alla presenza dell’eterno, per una volta a portata di mano. I suoi occhi non sapevano dove posarsi prima: le acque color smeraldo con il sole che si riflette luccicante, il verde ancora brillante delle conifere, l’argento delle cime rocciose ancora sgombre di neve, il rosso acceso delle bacche tra gli arbusti. Si teneva forte allo steccato che contornava il sentiero attorno al lago, passo dopo passo, avvicinandosi alla palafitta: il cuore le batteva all’impazzata nonostante si sentisse pervasa da un senso profondo di pace e totale beatitudine. Mentre Francesco toglieva il lucchetto alla porta di ingresso lei si fermò sul pontile a bearsi di quel sole, alto e caldo quasi non fosse fine settembre: forse era una mera suggestione, ma le sembrava che anche solo quel piccolo gesto bastasse per farla sentire meglio già meglio. “Amore?!” sentì Francesco chiamarla “Che hai? Non ti senti bene … dimmi la verità”
Emma se ne stava appoggiata ad una colonnina degli ormeggi, vicino alle scale per scendere in acqua. La vedeva pallidissima, gli occhi chiusi e le guance rigate dalle lacrime. Immediatamente Francesco si sentì in colpa: non avrebbe dovuto darle retta e, anziché fermarsi solo brevemente per andare in bagno a metà percorso, avrebbero dovuto fare molte più soste e ben più a lungo. L’aveva affaticata troppo ed era stato avventato a credere che tutto fosse tornato come prima: il peggio era passato, certo, ma il cammino verso la normalità era ancora lungo. “Sono stanca ma sto bene, davvero!” tentò Emma di rassicurarlo, asciugando le lacrime; nemmeno si era accorta, lì per lì, di star piangendo. “Sono solo felice di essere a casa” ammise candidamente “per un attimo ho avuto paura di non riuscire a rivedere tutto questo … e poi pensavo a quanto siamo fortunati a chiamare questo posto casa. Chi sta meglio di noi?” Francesco sorrise, abbracciandola in vita e poggiandole un lungo bacio sulla tempia. Emma si abbandonò totalmente a quell’abbraccio, quasi lasciando andare il suo peso contro di lui che, alle sue spalle, la sorreggeva. Nessuno stava meglio di loro, pensò Francesco, ma il luogo c’entrava fino ad un certo punto … erano insieme, questa era la cosa più importante. Lui aveva deciso: se non fosse tornata da quel viaggio, avrebbe chiuso la porta con le catene e se ne sarebbe andato, perché avrebbe smesso di essere casa, sarebbe diventato solo l’ennesimo luogo doloroso ed inospitale. “Entriamo” le sussurrò, scacciando quel brutto pensiero “forse è meglio se ti stendi un po’”
Era assurdo, ma per Emma era come mettere piede su quelle assi di legno per la prima volta: forse era lei a sentirsi diversa, ora che sapeva di avere tanto tempo extra a sua disposizione. Sul terrazzo non era cambiato nulla, forse c’era un po’ più di ordine e qualche attrezzo in meno, e conoscendo Francesco di sicuro c’era di mezzo la sua determinazione a farla stare in un posto il più ospitale e confortevole possibile. Già si immaginava gli uomini della caserma e i loro amici a sistemare casa per il suo ritorno sotto il comando del comandante Neri. Avrebbe voluto assistere alla scena e sperava che ci fosse qualche video clandestino, magari di Valeria o Isabella - se le conosceva un po’ di sicuro non avrebbero perso l’occasione per documentare tutto. Quando entrò all’interno, invece, quella sensazione di novità era diventata certezza. “Ma cosa hai fatto?” gli domandò, sedendosi sul letto al centro della stanza e guardandosi attorno, stupita: le gambe, per l’emozione, non le reggevano “È cambiato tutto qui!” “Nah … ho solo fatto ordine e aggiunto qualche mobile. Hai bisogno di una casa, non di un tugurio”
Ai due lati del letto c’erano due comodini veri, e non più una sedia e un masso – anche se avere una roccia in casa l’aveva sempre fatta sorridere ed era così da Francesco. Ai piedi del letto una cassapanca, non molto grande ma sufficiente per tenere in ordine. Sulla parete di fronte al letto la stufa a legna la faceva da padrone. Emma notò dei bagliori rossastri: qualcuno era andato ad accenderla prima del loro arrivo ed era rimasta solo la brace incandescente, sufficiente a donare alla casa un piacevole tepore. Alla destra della stufa il banco che Francesco ricopriva di mappe e altre scartoffie del lavoro, era finalmente diventato un piccolo ma funzionale tavolo da pranzo; di fronte, la poltrona in pelle e un tavolino da lettura si sposavano bene con gli scaffali finalmente liberi dal cibo in scatola e dagli attrezzi di falegnameria. Vicino alla porta d’ingresso aveva persino trovato spazio un mobiletto appendiabiti in legno, con tanto di specchio e scarpiera.
Anche se restava uno stanzone, non più grande di un monolocale, ora era molto più accogliente della tana scomoda e sciatta che era stata fino a quel momento. Ma Emma non incolpava nessuno: era tanto caotica quanto ingarbugliate erano state le loro vite fino a quel momento.
“Dove sono tutte le tue cose?” gli domandò lei, incredula. “Ho tenuto e messo in ordine lo stretto necessario … il resto l’ho dato via” ammise, candidamente. Non era un accumulatore, ma essere da soli fa perdere la misura delle cose. “Adesso puoi sbizzarrirti a riempire questa libreria” continuò “finalmente non devi andare a prendere i libri in prestito in biblioteca o accontentarti degli ebook che ti fanno venire il mal di testa” “E per la dispensa?” “Non hai visto il pezzo forte …” disse, spalancando il braccio verso il piccolo corridoio laterale. Emma si alzò, lentamente, ricordando le raccomandazioni del neurologo e sbirciando là dove il compagno le aveva indicato. Anche lì dove prima c’era un semplice piano di legno e una misera cucina da campeggio, Francesco aveva sistemato un paio di mobili e delle mensole. “Qui ci devo ancora lavorare un po’, ma quando sarà finita sarà un gioiellino” promise. “Non che non apprezzi lo sforzo, anzi. Ma anche agghindata così, rimane sempre una cucina da campeggio” Più che un’aria rustica sembravano mobili che non si utilizzavano da una vita, presi da una vecchia casa abbandonata. “Amore abitiamo su una palafitta su un lago, anche volendo miracoli non ne posso fare” “Così però non imparerò mai a cucinare come si deve” Emma questo lo sapeva bene; e poi lui si era dato da fare, il tutto mentre si preoccupava per lei chiusa in un ospedale, e questo contava tantissimo. “Sono di poche pretese, lo sai. L’importante è che non mi avveleni” In altre circostanze avrebbe ribattuto a quella battuta, magari gli avrebbe persino tirato un buffettone o una gomitata, ma non quel giorno: era sopraffatta dagli eventi e dalle forti emozioni.
Emma prese il volto di Francesco tra le mani, accarezzandolo leggermente. “Hai fatto tutto questo per me …” “L’ho fatto perché è arrivato il momento di tenere fede alla promessa che mi hai fatto … anzi che ci siamo fatti … prima di andare in ospedale” “Quale delle tante?” “Di prenderci quel futuro che ci spetta … e prendercelo con tutti gli arretrati e gli interessi” “Molto volentieri” sospirò Emma, felice. Fisicamente si sentiva ancora molto debole, ma dentro scalpitava: non vedeva l’ora di poter vivere quella vita che con la guarigione le si prospettava. “Allora iniziamo subito. Ho qualcosa di tuo che devo ancora restituirti” le disse, ma lei aggrottò le sopracciglia, confusa. Francesco allora sbottonò il colletto della polo per tirare fuori la catenina che aveva al collo. Presa da tutto quello che era successo, Emma aveva completamente dimenticato l’anello che lui le aveva regalato e che gli aveva affidato. “Con tutta la riabilitazione e i continui spostamenti in ospedale non volevo rischiare che lo perdessi” “Hai fatto bene”
Francesco tolse la finissima vera in oro giallo dalla catenina, di fianco alla medaglietta in ricordo di Marco. “Nn nn” scosse la testa e ritrasse la mano quando Emma gli presentò il suo palmo per prendere l’anello e metterlo da sola “non così. Siediti!” con un cenno del capo le indicò il letto. Emma, perplessa, andò a sedere e ben presto Francesco le si inginocchiò davanti. “Cosa stai facendo? Ancora? Francesco me l’hai già chiesto due volte …” “Non c’è due senza tre” le rispose, sornione, facendole l’occhiolino. La prese per mano, portando l’anello sulla punta dell’anulare. Per la prima volta entrambi si accorsero di quanto il ricovero avesse cambiato Emma fisicamente: le mani, lunghe e affusolate, erano diventate quasi scheletriche e l’anello avrebbe avuto bisogno di essere portato a stringere dal gioielliere. Quello che però più fece gelare il sangue di Francesco, pur dissimulando con tutte le sue forze, era il loro colore: normalmente di un bianco porcellana, nobile e prezioso, ora erano diafane, e i continui prelievi e le cannule infilate sul dorso della mano avevano lasciato un souvenir bluastro. In ospedale, con i cerotti e le maniche del pigiama strategicamente posizionate, nessuno dei due ci aveva fatto caso o forse c’era tanto altro a cui pensare.
“Emma Giorgi …” “Ti voglio sposare?! Sì lo voglio, te l’ho già detto …” scherzò lei. “Fammi finire …” “Scusa” si zittì, spiacente ma anche un po’ divertita. “Una volta qualcuno mi ha detto…vivi la vita, smettila di pensare a tutte le cose che vorresti fare ma falle…” Era stata proprio lei a dirglielo, un giorno, seduti a guardare le montagne da quello che poi sarebbe diventato il loro posto speciale. “E io pensavo che ci volesse del coraggio a vivere sapendo di avere le ore contate. E quanto coraggio hai avuto amore mio” Lui, così imbrigliato nelle sue paure, si faceva sopraffare dai suoi fantasmi; lei, a dispetto della sua diagnosi, riusciva a trovare tutte le mattine una ragione per alzarsi e dar valore ad ogni singolo giorno, col sorriso. “Tu mi hai insegnato a lottare” proseguì Francesco “a sorridere nonostante tutto perché è possibile trovare del bello in tutte le cose” Emma annuì, arricciando le labbra, commossa. Era un bel giorno non voleva piangere. “Anche nei giorni più bui” commentò. “Sì, anche in quelli” concordò l’uomo “ma io non ci credevo davvero e scoprirlo mi ha lasciato senza fiato” Per incredibile che fosse, c’erano momenti, in cui riusciva ad andare avanti anche in quei giorni in cui lei era riversa, esanime, su un letto d’ospedale. Poteva essere la chioma di Leo appisolato sulla sua gamba in sala d’attesa, o la risata di Mela dall’altro capo del telefono quando aggiornava gli amici, o il colore di un fiore nella vetrina del fioraio di fianco all’ospedale. Piccoli lampi di luce e colore in un mondo che era diventato, da un momento all’altro, buio e in bianco e nero. “Vedi?” continuò “Ogni singolo giorno riesci a stupirmi, dandomi qualcosa di nuovo da imparare. Ed è per questo che io voglio farlo Emma!” “Cosa?” “Voglio vivere la mia vita e voglio viverla con te, sin da ora. Perché non voglio smettere più di stupirmi, voglio continuare a rimanere senza fiato” Lo avrebbe fatto prima, quando il loro futuro era incerto e a maggior ragione lo avrebbe fatto in quel momento, quando la nebbia che contornava il futuro di Emma si era ormai diradata.
“E meno male che dici sempre di non essere bravo con le parole” mormorò Emma, asciugandosi la guancia da una lacrima che era scesa senza che neanche se ne accorgesse. Francesco fece scorrere la fedina nel dito e veramente le andava larga, ma non importava a nessuno dei due in quel momento. Emma chiuse il pugno sulla mano del compagno, stringendola più forte che poteva, pur non staccando mai gli occhi dai suoi. “Sposiamoci” “Certo che lo faremo, ti ho detto di sì già … tre volte ormai” “No … cioè … volevo dire…sposiamoci subito!” “Come subito?” “Prima che arrivi l’inverno. Avevamo una data … le partecipazioni erano pronte, siamo ancora in tempo …” “Ma è poco più di mese da oggi?! … tu sei completamente pazzo …” “Sì … di te. Non so tu, ma io non ho bisogno di una cerimonia grande. Tu, io, i testimoni e il prete” “E Leonardo” “Sì, anche Leonardo. In jeans e felpa e una birra per brindare.” “Ma perché? Io non vado più da nessuna parte. Ora più che mai abbiamo tutto il tempo del mondo” “Perché tutto il tempo del mondo voglio passarlo con mia moglie …”
Non sapeva spiegarlo meglio, ma era importante. Forse era una solo una formalità, ma quel sì lo voglio detto davanti alle persone più importanti nelle loro vite era per Francesco il segno tangibile che ce l’avevano fatta, che il loro amore aveva vinto su tutto.
“Va bene” decretò Emma, sorridendo “facciamolo” “Davvero?” domandò Francesco, leggermente incredulo che avesse accettato. “Sì” Emma stava ridendo, di gusto, come non le vedeva fare da giorni. La fatica le lasciava spesso solo la forza per esili sorrisi, che si imponeva di fare per tranquillizzare il suo compagno che tutto procedeva per il verso giusto. “Del resto” aggiunse “quando mai io e te facciamo una cosa normale?! Però una cosa me la devi concedere … che ti vesti elegante, con tanto di cravatta” “Nooooo Emmaaaa”
La giovane si sporse verso di lui, che era ancora in ginocchio davanti a lei, ancorandosi alle sue spalle. La sua fronte sulla tempia dell’uomo, gli posò un bacio sulla guancia, giocosa. “Mi è mancato tutto questo … la nostra bolla” Lui e lei, insieme, le piccole cose, anche i bisticci innocenti, erano la cosa che più la facevano sentire viva e felice di esserlo, la cosa a cui, più di tutte, si era aggrappata per poter tenere fede alla promessa fatta a Francesco di tornare da lui.
   
 
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