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Autore: crazyfred    14/12/2021    0 recensioni
[FRANCESCO & EMMA] Non è proprio una storia continua ma una raccolta di one shot, dove alcuni capitoli potrebbero essere raccordati, altri meno, che raccontano la vita della nostra banda di matti andando avanti e indietro nel tempo, gironzolando attorno agli eventi della fanfiction "Noi Casomai". Una raccolta di piccoli quadri di vita più che di eventi in sé.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ritorno a casa
(parte 2)


 
 
“Buongiorno!” Aprendo gli occhi lentamente, Emma trovò il viso di Francesco di fronte al suo. Nella penombra della stanza, dopo 14 giorni d’ospedale aveva impiegato qualche secondo a ricollegare dove fosse e cosa stesse facendo. Ma quando le sue sinapsi si decisero a partire, una gioia al limite dell’inspiegabile la travolse. Era a casa, era con Francesco, finalmente libera da quel macigno che era stata la sua malattia. Quasi non le sembrava vero, eppure quei giorni d’inferno che aveva superato erano una prova più che tangibile che era tutto vero.
“Ti prego non dirmi che hai passato la notte in bianco a guardarmi dormire” disse Emma, la voce ancora un po’ impastata, stiracchiandosi: purtroppo sapeva che ne era totalmente capace. Ed di essere così prevedibile, a Francesco, in quel momento, non faceva né caldo, né freddo…era la prima notte che passavano insieme a casa dopo il ricovero: fosse stato per lui non se ne sarebbe perso un secondo. Non solo per l’unicità dell’evento, ma anche perché voleva essere sicuro che fosse tutto apposto. Emma stava bene, ogni giorno stava meglio, ma c’era ancora una spia nel suo cervello che lampeggiava: da rossa ormai era diventata gialla, ma perché potesse passare al verde e smettere di lampeggiare ci voleva ancora un po’. Ci voleva qualche giorno insieme, da soli. “In realtà” ammise “ho chiuso gli occhi intorno alle 3 e mi sono svegliato alle 6…mi sto rammollendo” “Ti preferisco rammollito e riposato sinceramente” scherzò lei, tirandolo a sé per la maglietta e dargli un bacio. Nei giorni del ricovero Francesco non le aveva mai fatto mancare i suoi baci o piccoli gesti d’affetto, ma non sentire sotto il naso quell’odore di medicinali e non essere imbrigliati in fili e tubi, o sentire lo sguardo del personale del reparto o degli altri pazienti addosso era un piacevole sollievo. C’erano solo loro ed era una sensazione meravigliosa.
 
Se c’era una cosa di cui Emma era profondamente convinta, era che la sua malattia le avesse insegnato a non dare mai niente per scontato. Ed invece, tornata a casa, si era resa conto che in realtà c’erano ancora tante cose, le più piccole e banali, per le quali non era mai stata abbastanza grata. Sapeva di essere una privilegiata, non tutti potevano dire di avere una casa fronte lago, ma raramente in passato avrebbe apprezzato più di tanto un plaid caldo sulle gambe o una tazza di tisana bollente. In quel momento, anche quelle le sembravano un piccolo miracolo.
“L’aria è frizzantina, sei sicura di non voler rientrare?” “Ho tutto quello che mi serve per stare al caldo, sono rimasta chiusa per troppo tempo” mentre parlava, dalla sua bocca usciva la classica nuvoletta di fumo dei giorni più freddi. Era così surreale che stesse succedendo quando non era ancora finito il mese di settembre, ma a quell’altitudine non doveva stupire e, anzi, doveva farci l’abitudine: presto sarebbe arrivata anche la neve, lo sentiva nell’aria.
Francesco, anche se un po’ controvoglia, l’aveva lasciata fare, capendo benissimo cosa si prova a stare per troppo tempo lontani da quei posti; soprattutto, era fermamente convinto che l’aria incontaminata delle loro montagne fosse, per uno spirito indebolito, la medicina migliore per ritemprarlo. Così, con la scusa di alcuni lavoretti di manutenzione nel suo angolino bricolage sul terrazzo, le aveva fatto compagnia quasi tutto il pomeriggio. Emma apprezzava che le stesse affianco così, discretamente: le restituiva la dimensione di una quotidianità ritrovata, anche se non era proprio come prima o come sarebbe stato da lì a qualche mese, come sperava. Però erano insieme, all’aria aperta, senza l’odore di disinfettanti e medicinali, senza l’orribile cucina ospedaliera, senza le luci fredde delle corsie. E di questo era sicuramente ben più che riconoscente.
“Cosa vuoi per cena?” le domandò Francesco, mentre con uno straccio toglieva il grasso dalle mani. Da quando era tornata a casa, Emma non aveva praticamente mosso un dito; era a malapena riuscita a sistemare il letto quella mattina, approfittando che il compagno fosse sotto la doccia. Neanche a dirlo, la cucina era quindi off limits. Non che le dispiacesse essere coccolata per qualche giorno, ma conosceva troppo bene Francesco per non sapere che era necessario imporgli dei limiti o sarebbe arrivato a scarrozzarla in giro sulle sue spalle se avesse dato troppo spago alle sue attenzioni. “Quello che vuoi … tutto è meglio della cucina dell’ospedale, anche gli avanzi di ieri” Per il ritorno dall’ospedale, Huber aveva riempito il frigo e le mensole di che sfamare un reggimento per un mese. In caldo sulla stufa aveva lasciato persino l’arrosto con le patate, ma loro erano in due e nella casseruola ce n’era abbastanza da essere troppo anche per la numerosa famiglia del poliziotto. “A proposito di avanzi…e se facessi il gröstl?” “Però ci metti anche le uova …” “Ovviamente, sennò che rosticciata è?!” gongolò soddisfatto Francesco, posandole un leggero bacio sulle labbra prima di rientrare in casa per lavare le mani e mettersi ai fornelli. Emma aveva inevitabilmente perso peso in ospedale e, nei limiti della dieta imposta dai medici per tenere a bada tutti i valori, Francesco si era messo in testa di farla tornare in forma a modo suo, prenderla per la gola. E cosa c’era di meglio di una padella che sfrigola sul fuoco e da cui salgono profumi autentici e genuini di un rifugio alpino, che deve fare di necessità virtù e recuperare quanto più possibile?!
 
“Se il medico sapesse quello che sto mangiando in questo momento farebbe partire un ricovero forzato all’istante” esclamò Emma, addentando una grossa forchettata di carne. “E noi non glielo facciamo sapere … occhio non vede, cuore non duole. E poi non lo sai che le diete si cominciano sempre di lunedì?! E oggi è sabato …” ironizzò Francesco, sornione, facendo l’occhiolino. Emma contraccambiò il sorrisetto furbo, complice. Due settimane di brodini insipidi erano state sufficienti e si meritava qualche giorno di tregua.
“Ascolta … stamattina ero ancora un po’ sottotono, ma adesso mi sento già meglio. Domani andiamo a trovare Leo?” “Emma non devi affaticarti, il medico è stato tassativo!” “Povero piccolo, sa che sono tornata, non voglio dargli l’impressione che mi sono dimenticata di lui. E poi capirai che fatica … ci sediamo su una panchina e stiamo in giardino con lui! Mi dispiace solo che ci resterà male quando saprà che non possiamo andare insieme a vedere i lupi come gli avevamo promesso” Purtroppo gli educatori e gli assistenti sociali erano stati chiari: il bambino non poteva allontanarsi dalla casa famiglia per più di un paio di ore ogni settimana e loro non erano nessuno per ottenere deroghe. Prima o poi, speravano, avrebbero potuto fare di più, riuscire a strappare un pomeriggio intero, o anche qualcosa di più, ma era ancora presto. “Stai tranquilla, a quell’età si fa presto a trovare un diversivo” cercò di rincuorarla. “Cosa hai in mente?” “A Dobbiaco c’è una specie di piccolo zoo. Non ci saranno i lupi, ma cervi e stambecchi non sono animali che si vedono tutti i giorni, no?” “No, infatti” “E poi ci possiamo andare insieme tra un paio di settimane, anche se dovesse nevicare” Quella era, in definitiva, la principale preoccupazione di Francesco: indipendentemente da ogni motivazione, quella che più importava per l’uomo era non lasciare indietro Emma; a lei forse non importava doverlo lasciare andare per mezza giornata, ma a lui sì. Si era ripromesso che non l’avrebbe lasciata più da sola quando aveva bisogno di lui ed era determinato a mantenere la promessa.
Emma lasciò le posate nel piatto per intrecciare la sua mano con quella dell’uomo, seduto di fronte a lei. D’improvviso, mentre gli sorrideva, non staccando lo sguardo da quello del suo uomo, i suoi si fecero lucidi. “Che succede? Perché piangi amore?” “Niente … è solo il calore della stufa, mi irrita gli occhi” provò a sdrammatizzare la giovane, stropicciando gli occhi, ma tutti e due sapevano che non era quello il motivo. “Grazie” sussurrò. “Di cosa?” “Di essere come sei …” “Come? Un idiota che stava per perderti per sempre?” Ad entrambi scappò allora un leggero sorriso, ma Emma scosse la testa “l’uomo meraviglioso che sei … che quando in ballo c’è qualcosa o qualcuno a cui tiene davvero non si arrende finché non è finita. E forse neanche allora …” Sì, quel pensiero forse le era venuto in mente per una stupidaggine, per una gita ad uno zoo in cui voleva includerla, ma quando vedi la morte in faccia niente è più lo stesso e tornare a vivere come fanno tutti, con superficialità, per Emma avrebbe richiesto un po’ di tempo. Sperava sinceramente che Francesco, a quei suoi discorsi malinconici, non scappasse a gambe levate. “Ma quello lo devo solo a te” ribatté il forestale “mi hai conosciuto nel momento più buio della mia vita, lo sai fin troppo bene com’ero. Quando sei arrivata tu ho avuto di nuovo qualcosa per cui valesse la pena di lottare: tu” Non era stato facile venire fuori da quelle sabbie mobili in cui aveva imbrigliato la sua vita, volontariamente, perché, diceva, se lo meritava dopo quanto successo a suo figlio. E anche se a volte quella vocina interiore tornava a sussurragli che la colpa era sua, anche per la più piccola cosa, ora gli bastava incrociare lo sguardo di Emma, prenderla per mano e lasciarsi guidare: non sarebbe più sprofondato. Per quel motivo, quando lei non poteva, aveva combattuto per tutti e due e avrebbe continuato a farlo.
 
Quella sera, dopo cena, Emma chiese a Francesco di poter fare una doccia. Anche se ne sentiva bisogno da quando era tornata a casa, aveva rimandato il più possibile.  In ospedale aveva sopperito con salviette e shampoo secco laddove, passata l’emergenza, si sentiva di essere un peso anche per gli infermieri. Le dicevano di non farsi problemi, ma lei era fatta così. Era fatta così che, in quella situazione, si sentiva d’impiccio persino con Francesco, che l’aveva vista in condizioni ben peggiori; doveva mettersi a nudo di fronte a lui, mostrargli i segni che l’intervento aveva lasciato su di lei. Così aveva tirato avanti il più possibile, raccogliendo i capelli in una crocchia e lavandosi da sola come poteva; ma il giorno dopo, avrebbe rivisto Leonardo e poi gli amici e l’ultima cosa che voleva è che vedessero la cicatrice dietro la testa poco più in altro della nuca. Non se ne vergognava, anzi: era come una medaglia appuntata da portare con orgoglio, perché ce l’aveva fatta e ce la stava facendo ogni giorno di più. Ma non voleva essere compatita, non voleva sguardi di pietà da nessuno: poverina, chissà cosa ha fatto … così giovane, erano le parole che immaginava ronzare nella testa di chiunque incrociasse anche per pochi istanti. Ma lei non era una poverina, lei aveva vinto una battaglia che per tanto tempo aveva considerato impossibile.
“Certo che puoi…perché me lo chiedi?” “No … è che … da sola non mi sento sicura”
Francesco si sentì stupido per averle fatto quella domanda. Era chiaro che non era molto stabile e probabilmente temeva di scivolare in doccia. In più, anche se riusciva a nasconderlo bene, aveva qualche piccolo problema di forza e di coordinazione: il neurologo aveva detto che era transitorio, che dipendeva dall’ematoma causato dall’emorragia e pian piano sarebbe scomparso, ma alcune cose banali come asciugare i capelli o allacciare bottoni e lacci erano ancora piccole imprese quotidiane.
“Scusa” sussurrò “non … non avevo capito. Penso a tutto io, dimmi cosa serve”
Emma lo guardò preparare tutto il necessario come un maestro guarda un alunno durante un esame, con tenerezza e simpatia nel vederlo impacciato nonostante fosse la cosa più basilare del mondo. Lentamente, si avviò nel piccolo bagno, dove anche in due si stava stretti e bastava far uscire per poco l’acqua calda che il legno delle pareti faceva il resto per rendere l’ambiente gradevole.
Proprio quando si era ormai liberata della biancheria intima, Francesco entrò nello stanzino con l’accappatoio e gli asciugamani puliti. I loro sguardi si incrociarono ed Emma dovette resistere all’istinto di coprirsi di fronte a lui, il suo uomo. Le ultime notti in palafitta, prima di partire, erano state le più lunghe e le più belle della sua vita, si erano trovati e scoperti in un modo nuovo, più libero e più vero, forse anche per il terrore che fossero le ultime notti insieme, per sempre. Ma ora era tutto da rifare da capo: addosso portava i segni di quei giorni in cui lei era inerte sul letto della terapia intensiva e lui, impotente, non poteva far altro che stare lì a guardare, pregando e sperando che cambiasse qualcosa.
“Cosa devo fare?” le domandò, quasi sottovoce, goffo ed insicuro. “Faccio da sola” gli disse, prendendolo per mano per scavalcare il piccolo gradino del piatto doccia “però rimani qui”
Il picchiettio gentile dell’acqua sul suo corpo la estraniò poco alla volta da quella situazione, il calore del vapore che saliva tutt’attorno a lei la avvolse facendola sentire al sicuro, calmandole il cuore che poco prima aveva iniziato a correre, confuso e agitato da quella strana situazione. È Francesco, va tutto bene, pensava tra sé e sé. Ma non andava bene per niente, perché lui avrebbe dovuto vederla nuda in un momento di passione, sarebbe stato giusto e normale, come giusto e normale sarebbe stato essere nudi insieme dentro quella doccia, ridendo come due cretini perché era troppo piccola e stretta per tutti e due. Ed invece lui stava lì fuori ad aspettarla, a controllare che non mettesse un piede in fallo o peggio, debole com’era, che il calore della doccia non le provocasse uno svenimento.
Però quella doccia lei poteva ancora farla, e poteva raccontare quella situazione surreale. Era stata a tanto dal non tornare più a casa, doveva essere grata alla medicina e alla sua buona stella.
Terminata la doccia Francesco aprì la tendina. Emma, di spalle, stava strizzando da un lato, con le mani, i capelli lunghi, lasciando scoperta la porzione della testa che era stata rasata per l’intervento. Era la prima volta che la vedeva: all’inizio coperta dalle bende, Emma aveva sempre avuto cura di coprirla con il resto della chioma. Sotto i capelli che avevano iniziato a ricrescere, molto lentamente, c’era un cordoncino rossiccio, con tanti puntini ai lati sulla lunghezza del taglio quanti erano stati i punti di sutura. Prima di poggiarle l’accappatoio sulle spalle si avvicinò con cautela e le poggiò un bacio sulla spalla e, poco per volta, risalì lungo il collo fino ad arrivare alla testa, nel punto che era stato la loro croce ma anche, per fortuna la loro delizia.
Un brivido corse lungo la schiena della giovane, che non si aspettava un moto del genere da parte dell’uomo e dovette sorreggersi per un attimo alla parete, sorpresa. Istintivamente, inarcò leggermente il collo all’indietro e con il braccio lui la sorresse stringendola in vita. Le curve generose che amava di lei sembravano sparite. Era ancora bellissima, di una bellezza che non sfiorisce perché viene da dentro, ma tutta la dolcezza dei suoi tratti aveva lasciato il posto a leve lunghe ed esili ed un viso tutto spigoli. “Ti stai bagnando tutto” mormorò Emma, la voce bassa e strozzata, abbandonandosi ad una lieve smorfia compiaciuta. “Chissà perché finisce sempre che mi bagno con te … fin dal primo giorno” aggiunse, se il riferimento al loro primo incontro non fosse abbastanza chiaro. Ma per Emma era chiarissimo. Si voltò, mentre Francesco l’aiutava a coprirsi, stringendole con cura il bavero dell’accappatoio attorno al collo, le mani di lui che si muovevano più sicure e senza più soggezione.
“Se vuoi per i capelli posso chiamare Valeria” le disse. “Perché? Non sai tenere in mano un phon?” “Ma lei è una donna, di sicuro ci sa fare più di me” “Non ho bisogno di un’acconciatura all’ultimo grido, basta che li pettini bene … mi fido di te”
I due si sorrisero: in qualche modo, anche quei piccoli gesti li stavano aiutando a riprendere confidenza l’uno con l’altro, ritrovando l’intimità perduta.
 
Il weekend, per i gusti di Francesco, era passato troppo in fretta. Non era uno che amava starsene in casa a non fare nulla, e viveva per il suo lavoro – in realtà gli piaceva di più ficcare il naso nelle indagini della polizia – ma con il ritorno di Emma a casa non c’era altro posto dove volesse essere se non con lei, in palafitta. Ma finito il ricovero, anche lui doveva tornare alla vita di tutti i giorni e ai turni in caserma. Per non disturbare Emma che dormiva, si era sistemato sulla terrazza a fare colazione, ma uno schiocco rapido sulla guancia lo colse di sorpresa, mentre era sovrappensiero.
“Buongiorno!” esclamò Emma, andando a sedere sulla panca al suo fianco. “Buongiorno!”
Nonostante il colorito della sua carnagione ancora così innaturalmente pallido, nonostante l’aspetto emaciato, era ancora bellissima, da rimanere senza fiato; tutta la sua bellezza, Francesco lo sapeva bene, veniva dai suoi occhi: l’equilibrio interiore, la pace con sé stessa e con gli altri e la meraviglia che provava di fronte anche alle più piccole cose emanavano una luce e un calore in grado di riscaldare anche i cuori di ghiaccio come il suo. “Ci si può abituare ad una vista così?” chiese, con lo sguardo rapito dal lago. Non era una giornata bellissima, il cielo era grigio e solo un po’ di vento avrebbe risparmiato loro la pioggia, ma il contrasto tra la nuda roccia grigia e gli alberi che cambiavano colore poco alla volta riusciva comunque ad attirare l’attenzione. “Difficilmente” decretò Francesco. “Bene” commentò Emma, soddisfatta. La giovane si versò del succo di mela nel bicchiere e iniziò a spalmare la marmellata su una fetta di pane tostato. Una cosa era certa: l’aria di montagna le aveva messo appetito. Francesco pensava a come era solo un paio di settimane prima e la guardava estasiato. “La smetti di guardarmi come se avessi avuto una visione?!” “Ma tu sei una visione!!!” Emma gli tirò una pacca leggera sul braccio, sorridendo timidamente, imbarazzata. Se non altro, quel complimento le aveva provocato un leggero rossore sulle guance, che la rendevano una quasi bambola di porcellana. Francesco la strinse in vita, delicatamente, attirandola a sé per darle un bacio. Le sue labbra, pur screpolate, avevano per fortuna ancora lo stesso sapore e Francesco vi si staccò malvolentieri. “Stanotte ho dormito come un ghiro … e non ho visto neanche che ore sono” dichiarò Emma, soddisfatta. Non era ancora al top, ma sentiva addosso tutta la differenza e l’energia che essere a casa le aveva dato. “Le nove” “Le nove? Ma oggi non devi tornare a lavoro?” domandò, sconvolta, mentre strappava il primo boccone di pane e marmellata. “Sì ma tranquilla, ho il turno di pomeriggio. Hai il fisioterapista questa mattina” “Ah già … la mia testa lavora ancora un po’ a rilento” “Non ti preoccupare amore, una cosa per volta … anzi … per quella cosa che ti ho detto l’altro giorno, se non te la senti …” “Cosa? Il matrimonio?” Francesco annuì: la foga del momento lo aveva portato a chiederle di sposarlo subito, ma forse era stata una mossa avventata.
“Cosa c’è … già hai cambiato idea? Non se ne parla Neri, non lanci il sasso per poi nascondere la mano. Lo voglio e lo faremo …” “Molto bene Giorgi. Allora inizia pensare ad un testimone per te perché dobbiamo anche andare in comune e dal prete” Quello era un dettaglio che Emma non aveva considerato. Non era esperta di matrimoni, era stata solo damigella di sua zia quando era bambina, ma immaginava che in questi casi si scelga qualcuno di importante per sé e per la propria storia d’amore. E, purtroppo, a lei veniva in mente solo Vincenzo, ma era sicura che Francesco lo avrebbe scelto e non lo avrebbe privato del suo migliore amico. L’altro papabile, invece, era a settemila chilometri di distanza, e non gli avrebbe mai chiesto di tornare in Italia dal Nepal per partecipare al matrimonio di una persona a cui aveva fatto da guida per caso durante un viaggio con un’altra che nemmeno conosceva. Suo fratello, invece, neanche a parlarne, era ancora una ferita aperta.
“Ah dimenticavo…” disse Francesco, distogliendola dai suoi pensieri “mi ha mandato un messaggio Vincenzo, Valeria deve accompagnare Isabella a Brunico oggi pomeriggio e lui rimane a lavoro fino a tardi. Ti va di occuparti di Mela?” “In foresteria?!” “Sì, certo” “Proprio oggi pomeriggio che tu sei di turno …” indagò Emma, diffidente. Non aveva moltissima confidenza con Valeria, ci aveva avuto a che fare quando era venuta a mancare Adriana, qualche volta quando era andata a trovare Francesco in caserma e naturalmente quando era stata ospite della foresteria, allo scoppio del caso Moser; sapeva bene però che per la piccola Mela si era sempre fatta in quattro e lei e sua nipote non la lasciavano mai con nessun’altro che non fosse il padre. A loro modo, senza legami di parentela, quei quattro erano a loro modo una famiglia a tutti gli effetti. Ergo: c’era lo zampino di Francesco. “Eh …” “Vabbeh … comunque certo che mi va. Molto volentieri” Non avrebbe mai detto no alla sua strampalata compagnia che, poco alla volta, si stava trasformando in una vera e propria famiglia
   
 
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