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Autore: Lady_Crow    08/12/2021    1 recensioni
Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Ma di cosa sono fatti i sogni? Cosa significa: “Vissero per sempre felici e contenti”?
 Isabeau e Navarre sono finalmente insieme, ma i loro guai non sono finiti. Marquet, il Capitano della Guardia al servizio del Vescovo, è ormai stato sconfitto; tuttavia, a Roma, suo fratello Leroy preme perché gli vengano assegnati degli uomini, in modo da poter riconquistare Aguillon e vendicarsi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Etienne Navarre, Imperius, Nuovo personaggio, Philippe Gaston
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevano già battuto due delle strade che portavano ad Aguillon per una ragionevole distanza senza alcun risultato. Erano in spedizione da quattro giorni e ancora non avevano scoperto alcunché. Pur consumando le provviste con parsimonia, ne avevano già utilizzate la metà. Il ladro e il soldato, oltre alla missione, condividevano il timore di deludere Navarre, il primo per senso d’amicizia, il secondo perché temeva di rimanere a fare da sentinella sulle mura del castello fino alla fine dei propri giorni.

Quando si muovevano in esplorazione, Gérard sembrava avere la naturale tendenza a cercare di stare in testa; nonostante di norma avesse un carattere tutt’altro che dominante, ben più orientato verso la sopravvivenza che verso il controllo e il potere, la cosa infastidiva Philippe in un modo che persino lui faticava a spiegarsi. La primavera era alle porte, i profumi del bosco e il clima finalmente più mite lo facevano sentire coccolato, eppure non riusciva a evitare di sentirsi a disagio.
“Perché?” si domandò, mentre in un angolo della mente si rendeva conto del fatto che essere sovrappensiero lo rendesse ancora più incline a seguire Gérard, sentendosi di riflesso ancor più indispettito.

A stento sentiva la brezza accarezzargli il viso e smuovere le foglie mentre, scuro in volto, passava in rassegna tutte le volte in cui, nella vita, si era ritrovato a dover seguire gli ordini di qualcuno, o perlomeno tutte quelle che riusciva a ricordare. Si era sentito schiacciato, schiavizzato, aveva provato senso d’ingiustizia, voglia di scappare, talvolta anche del desiderio di rivalsa, ma questa volta c’era qualcosa di diverso.

Forse essendo stato al servizio di Navarre adesso non sopportava il fatto di ricevere ordini da qualcuno di rango inferiore al suo? O magari avendo aiutato lui e Isabeau a spezzare la maledizione si era montato la testa?
“Povero Philippe” pensò fra sé e sé con un filo d’amarezza “ti eri forse illuso di essere diventato qualcuno? Un topo, in fin dei conti, rimane un topo…”.

Si concentrò a questo punto sulla camminata del suo compagno di viaggio. Sì, decisamente gli ricordava un gatto: fiero ma silenzioso, senza forzature, chiaramente rilassato, eppure – ci avrebbe scommesso – pronto allo scatto; il proprio essere silenzioso invece – ne era consapevole – era frutto del suo farsi piccolo, sperando che il mondo non si accorgesse di lui. Forse si era tanto immedesimato nel ruolo del topo da non riuscire ad evitare di sentirsi a disagio accanto a qualcuno che avesse un qualcosa di felino.
No, non aveva senso.
Involontariamente sbuffò. Gérard si voltò a guardarlo con aria interrogativa, vagamente divertita, forse percependo il suo stato d’animo.

“Che c’è?” chiese alzando un sopracciglio; la sua voce era vagamente nasale.

“Niente” si affrettò a rispondere Philippe, abbassando lo sguardo.

“Sicuro?” insisté il soldato.

Il ladro inspirò profondamente: “Certo!” esclamò cercando di suonare ben più sicuro di quanto non fosse, poi però non riuscì ad evitare di cominciare a farfugliare. “È solo che non capisco” finì per ammettere.

Gérard annuì con un cenno del capo mentre sorrideva soddisfatto: “Allora esiste!” disse fermandosi.

Philippe si fermò a sua volta: “Cosa?”.

Questa volta fu il soldato a inspirare profondamente: “Il richiamo del sangue”.

Philippe si accigliò: “Che intendi dire?”.

Gérard lasciò cadere il cappuccio, e mai come in quel preciso momento Philippe vide la similitudine fra loro due.
“Quando hai scelto proprio me fra tutti gli uomini a disposizione, ho quasi sperato che in qualche modo lo sapessi già, o che lo avessi capito…” strinse le labbra esitando, rivelando che forse – a dispetto delle apparenze – tutto sommato condivideva parte della timidezza del suo interlocutore “Poi, rendendomi conto che probabilmente così non era, ho sperato che capitasse una grande occasione, un momento speciale per dirtelo, ma adesso mi rendo conto che forse torneremo da Navarre senza alcuna informazione utile, che non ci saranno momenti degni della vita di un avventuriero a seguito di cui svelarti il grande segreto, dunque forse è meglio che lo faccia adesso”.
Gli occhi di Philippe si erano fatti grandi e attenti come quelli di una civetta.

“Philippe, io avevo sei anni e tu ancora non ne avevi tre quando nostra madre ti lasciò alle porte del monastero di Aguillon” riuscì infine ad ammettere Gérard.
Il ladro era perfettamente immobile, forse neppure respirava.

“Ti prego, per l’amor del cielo, dimmi qualcosa!” cercò infine di scuoterlo il soldato.

“Sei sicuro di quanto dici?” domandò allora Philippe con un filo di voce, mentre i suoi occhi – a dispetto della volontà di contenersi – diventavano lucidi.

“Quanti Philippe il Topo conosci?” chiese a sua volta Gérard trattenendo a stento una risata “E come altro spieghi questo?” concluse indicando con un gesto della mano prima il proprio volto e poi quello dell’interlocutore.

Il ladro inspirò e aprì la bocca come se stesse per dire qualcosa, ma poi parve cambiare idea: “Ho bisogno di sedermi” si limitò a mormorare mentre deviava dal sentiero su cui si trovavano per appoggiare la schiena contro un albero e poi lasciarsi cadere.

Il fratello dapprima fu incerto sul da farsi, ma poi decise di andare a sedersi accanto a lui; si mosse con cautela e si appoggiò ad un altro tronco, per lasciargli un po’ di spazio, di cui probabilmente aveva un gran bisogno. Guardandolo tremare mentre lottava per darsi un contegno, Gérard si domandò se non avesse peccato d’egoismo e commesso un errore: il loro compito richiedeva lucidità, e adesso invece, per quanto in senso probabilmente positivo, Philippe era sconvolto.

“Mi dispiace se…”
Philippe lo interruppe: “Dispiace? E di cosa?” chiese mentre ormai non riusciva più a trattenere le lacrime.
Certo, ora aveva senso: il fastidio che provava era rivalità, in questo preciso istante sepolta dalla gioia e dallo stupore.

Gérard a questo punto osò avvicinarci e gli mise una mano sulla spalla: “Ti spiegherò tutto” promise mentre anche lui si commuoveva.

Philippe rise nervosamente. Solo a questo punto riuscì a tornare a vedere e sentire davvero l’ambiente intorno a sé. La schiena, che aveva strisciato contro il tronco, gli doleva leggermente; sotto le mani sentiva la terra; finalmente riusciva di nuovo a respirare a pieni polmoni e il cielo terso sopra di loro pareva sorridere. Soprattutto sì, il volto del ragazzo che stava danti a lui era davvero simile al suo.

La gioia durò però appena un attimo, perché in un baleno – senza capire esattamente da dove fossero arrivati – si ritrovarono davanti due uomini vestiti di bianco, armati di balestre puntate alle loro teste.

   
 
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