Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: IroccoPerSempre    09/12/2021    0 recensioni
L'evoluzione di Rocco (e Irene) prima della nascita di Diego
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PERO NADIE ME LLAME COBARDE SIN SABER HASTA DONDE LA QUIERO 

 

Può andare in cassa con questo, grazie” disse Irene porgendo una maglia di kashmir rossa a una delle clienti più affezionate del Paradiso. “E torni presto a trovarci!” aggiunse con un sorriso affettato che persino la Moreau avrebbe giudicato esagerato se l’avesse osservata in quel momento. Come se fosse facile farsene venire uno più sincero nelle primissime ore di una fredda giornata lavorativa. 

Che voglia ha la gente di fare compere a quest’ora, non avessi niente da fare io di prima mattina, altro che compere, fu il commento che le uscì di getto tra sé e sé, e ringraziò Dio che non le fosse scappato ad alta voce.  

Espirò rumorosamente poggiando entrambi i palmi delle mani sul bancone della sua postazione e ciondolando la testa per un momento.  

Ma cosa le diceva la testa: ADORAVA fare compere e un’uscita con le amiche per quel proposito era forse una delle pochissime cose per cui avrebbe volentieri interrotto il suo sonno mattutino non avendo l’incombenza del lavoro. Si innervosì ulteriormente realizzando che era proprio la sua agitazione quella che toglieva il sapore alle cose che le piacevano e… le rendeva ancora meno sopportabili quelle che non le piacevano. 

E questo cosa accidenti significa? - sbuffò interrogandosi, ancora una volta, grazie a Dio, in silenzio. 

Inconsciamente provò a spiegarselo pensando ai caloriferi.  

Ai caloriferi? Sì, ai caloriferi. 

Ecco, nonostante stessero funzionando a pieno regime, non erano affatto sufficienti a riscaldare tutto l’ambiente della galleria e molto meno lei, che già poco sopportava quella stagione, attraverso la stoffa sottile della divisa. 

Un brivido le percorse la schiena e tremò. Chiuse gli occhi per un attimo… 

 

 

A Rocco non sfuggì quel tremore incontrollato e sorrise teneramente. “Chiattidda, c’hai i brividi? 

Irene non rispose niente, fece solo una smorfia, ma le sue labbra già si inarcavano in un sorriso mentre lui si avvicinava per circondarla da dietro.  

Mmmmh” mormorò “Lo sai che odio l’inverno” e si beava di come la teneva stretta. 

Shhh” Rocco le sussurrò nell’orecchio. Innocentemente, di sicuro. Ma in quel modo che suscitava in lei sempre pensieri poco compatibili con il luogo di lavoro. Premette delicatamente i propri palmi contro il dorso delle mani di Rocco. Era il suo modo per dirgli che avrebbe continuato a lamentarsi a oltranza perché la somministrazione di quelle ‘cure’ non finisse mai. 

Dai che adesso arriva la neve”. Bacino sulla guancia. “… e poi il Natale”. Altro bacino. “… e le luci”. 

Irene scostò la testa per guardarlo in volto. 

Ma io. Sento. Freddo.” scandì, ora con un sorriso più divertito. 

Seh seh” disse lui con aria di sfida “dopo lo vedi, quando ti tiro le palle di neve e le devi schivare, se senti ancora freddo”. E le stampò un bacio più lungo che la fece sbilanciare e ridere di gusto. 

Poi le strizzò il fianco con i polpastrelli in segno di sprone e la esortò “Forza, al lavoro”.  

 

… un attimo che fu sufficiente a farla sognare.  

Ecco che significa, ammise riluttante: che senza Rocco non riusciva ad apprezzare le cose che pure le piacevano e tollerava ancora meno quelle che già non le piacevano. 

Spalancò gli occhi, terrorizzata dalla vergogna preventiva che qualcuno potesse averla sorpresa in quel momento di ‘rapimento’. 

Era sicura che le sue compagne avrebbero riso a crepapelle perché, se i ruoli fossero stati invertiti, sarebbe stata la pena a cui avrebbe bonariamente condannato loro, tacciandole di romanticone. 

Constatando che fortunatamente il mondo non girava intorno a lei, tornò a occuparsi della vergogna che invece sentiva nei confronti di sé stessa, dinanzi all’amara conclusione che si era ridotta a fare questi pensieri da rammollita, mentre piuttosto avrebbe dovuto concentrarsi sul fatto che era arrabbiatissima con Rocco. 

Sbatté le palpebre e si mise nervosamente a ripiegare i capi che stava visionando la cliente appena andata via. 

Ci aveva provato ad essere paziente, ripetendosi che Rocco doveva “capire delle cose”, così come aveva riferito a Stefania; voleva capire che avesse bisogno di tempo per metabolizzare, ma erano passati la bellezza di quattro giorni e la natura impaziente di Irene stava tornando a farsi strada suggerendole che lui non sentisse il bisogno di capire proprio un bel niente.  

Ti preoccupi per quattro giorni? Devi ringraziare il cielo se gli bastano quattro mesi, le ricordò la parte più obiettiva di sé.  

Alzò lo sguardò e lo vide entrare in galleria. Stesso pugno nello stomaco che la colpiva puntualmente alla vista di lui. 

Perché è così bello quando sorride…? - pensò prima che potesse impedire a sé stessa di far prevalere l’istinto.  

Scoppiò mentalmente quella bolla di venalità in cui era avviluppata nel momento stesso in cui realizzò che quel sorriso non era per lei. 

Quanta drammaticità, le disse la sua coscienza, non starà mica sorridendo perché deve andare a sposarsi, è sicuramente un sorriso di circostanza rivolto a … chi 

Da quell’angolazione non riusciva a scorgere chi delle ragazze si trovasse in quel momento dietro la colonna. 

Né gli interessava. Le bastava sapere che il primo sorriso che vedeva sul viso di Rocco da giorni non fosse per lei.  

Più capricciosa e viziata di una bambina che pretende di pranzare con la cioccolata, la criticò la sua coscienza senza misericordia. 

Ma la parte più pessimista di sé proseguì imperterrita.  

Vederlo con un volto anche impercettibilmente disteso le esaltava ancor più il contrasto con il suo stato d’animo divorato dai tormenti e la portava a dedurre facilmente che Rocco stava bene così, che non solo non aveva capito di doverle delle scuse – quello era chiedere la luna apparentemente – ma non aveva nemmeno la banale ‘curiosità’, se non altro, di capirci di più grazie a una conversazione con lei. 

Certo, perché tu in questi quattro giorni hai cercato una conversazione almeno un’infinità di volte, vero? – la rimproverò quella voce. 

Touché. Si morse il labbro, colpevole. 

Be’, meglio che io non l’abbia fatto. Almeno ora ho capito che è sereno anche senza di me. 

Le si fermò l’aria in gola per la frustrazione e si voltò bruscamente, dirigendosi verso Dora in cassa con una scusa qualunque. 

 

+++++ 

 

Nonostante la notte quasi totalmente insonne per l’agitazione, l’ottimismo di Rocco quella mattina faceva invidia a un corridore che sta per spararsi una tappa da quasi duecento chilometri. Non che fosse certo che Irene lo avrebbe accolto a braccia aperte. Anzi, a giudicare da come sapeva che (non) l’avrebbe accolto, dovette concludere che la sua era più che altro incoscienza. Gli rivennero in mente in un baleno le ultime parole di Armando prima di congedarsi la sera prima. 

‘Se vai da Irene a quest’ora, ti tira una ciabatta’. 

Rocco non aveva specificato ad Armando che quella frase era imprecisa. 

La più breve ‘Se vai da Irene, ti tira una ciabatta’ era invece quella corretta. 

Posò frettolosamente sul bancone del magazzino giacca e chiavi, mentre nel frattempo escogitava la strategia più giusta per avvicinarla.  

‘Avvicinarla’? Matri mia, mancu fussi nu scimmiuni (‘mamma mia, neanche fosse un gorilla’, n.d.a.) 

Rise apertamente fra sé – meno male che era ancora solo in magazzino – per tutte quelle considerazioni sulla propria fidanzata, che si spingevano fino al punto di assimilarla a un gorilla arrabbiato da dover trattare con docilità.  

E poi rise di sé stesso. Rise di quanto tutto questo NON lo dissuadesse affatto. 

Anzi. Assurdamente non vedeva l’ora che arrivasse quel momento.  

Era però banale dire che la sua era semplice nostalgia, al pari di quella di un adolescente alla prima cotta che dice: ‘se necessario mi sorbisco anche la noia delle sue rimostranze pur di rivederla’. 

No.  

Stava realizzando che, dopo quei giorni di nebbia fitta, la conversazione con Armando era stata provvidenziale a tal punto da restituirgli l’apertura necessaria per incuriosirsi e cercare di decifrare il diverso che era in lei.  

Era come se gli avessero staccato dalle caviglie la prima grossa pietra che lo teneva ancorato a terra. Parlare con lei, pur litigandoci, avrebbe solo potuto alleggerirlo ulteriormente.  

Un atteggiamento spigoloso di Irene non avrebbe quindi mai potuto scacciarlo. Il contrario.  

Poi, facile… innanzitutto stavolta se lo era meritato davvero; non solo, gli avrebbe anche ricordato quello che amava di lei:  

ovvero che non fosse ovvia o prevedibile, di quanto fosse capace di dargli una prospettiva diversa sulle cose, la quale, combinata con la sua, chiudeva il cerchio e formava una prospettiva completa. 

Che Amare con la A maiuscola non significasse proprio questo?  

‘Superare l’esame’ di cui parlava Armando tempo addietro e ripartire più uniti di prima? 

Sì, però basta pensare mo’, hai pensato pure troppo, si disse, ancora col sorriso sulle labbra, e, mentre si avviava a passo fermo verso la galleria, si abbandonò a quell’unica tentazione di ragazzo in preda agli ormoni in cui di solito non si riconosceva. 

Trepidare per quegli occhi verdi.  

Che, per la precisione, non incrociava da quella famosa sera sulla soglia di casa. 

Ecco, vederli inviperiti non gli dispiaceva affatto; anzi, a nessuno avrebbe potuto negare che la trovava bellissima anche da arrabbiata. 

 

*** 

Entrò in galleria trafelato (o uscì sulla galleria? Non capiva mai qual era il dentro e qual era il fuori) in cerca di… Stefania. 

E LA vide. 

Irene. Vide Irene. 

Proprio in quell’istante si stava voltando per andare in cassa. 

Rocco si riprese da quella prima sconfitta della giornata in una frazione di secondo, per di più con fare impertinente. 

Guarda caso, chiatti’, pensò Rocco ridacchiando tra sé e sé, perfettamente consapevole del fatto che quella di Irene era una precisa intenzione di non incontrare il suo guardo, più che una vera coincidenza. 

Ma tu pensi che questo mi scoraggi a me? - pensò d’istinto, ‘sfidando’ Irene come se fosse davvero la sua interlocutrice. 

Ecco, ho pensato pure al congiuntivo giusto; sennò va a finire che la fanno scappare prima i miei errori che il resto. 

Indubbiamente continuava ad affrontare il tutto con buonumore.  

Durante queste riflessioni si trovava già nella postazione di Stefania, proprio dietro la colonna, eppure non la vedeva.  

Al suo posto c’era solo l’appendiabiti, particolarmente zeppo di capi quel giorno. 

Poi lo aggirò ed eccola che era lì. 

Stefa’!” esclamò Rocco. 

Rocco, buongiorno” esclamò lei in risposta, con lo stesso tono allarmato. 

Eh, buongiorno pure a te, ma uno che ti cerca che deve fare, la caccia al tesoro?” chiese Rocco allegro. 

Rocco, Rocco, Rocco, per favore” implorò in una litania, alzando una mano in segno di pietà, come se quel giorno le desse fastidio pura la voce delle persone, “sei troppo allegro stamattina per i miei gusti, guardati intorno” indicando la folla di clienti che popolava il Paradiso già così presto “ne vedi motivo? 

Sì! Perché stasera mi mandi Irene in magazzino con una scusa”, disse Rocco deciso, “grazie mille” aggiunse, per compensare senza successo quel fare pretenzioso. 

Difatti Stefania se lo guardò di traverso lo stesso. Praticamente se l’era cantata e se l’era suonata tutta lui. 

Ma non dovevi capire delle cose tu?” chiese sospettosa. 

Per quello ci voglio parlare, perché sennò? Perché le ho capite!” rispose Rocco con ovvietà. 

Ecco. Secondo me no invece, perché tra le tante cose che avresti dovuto capire, c’è anche quella di dover prendere le cose di petto” lo rimproverò Stefania. 

Nchesenz?” chiese Rocco corrugando la fronte. 

Stefania lo guardò di sottecchi senza rispondere. Non se la beveva proprio che Rocco non sapeva a cosa si riferisse, piuttosto faceva il finto tonto, ne era sicura. 

Non fanno così tutti gli uomini quando non gli conviene rispondere? pensò, con una sfiducia nel genere maschile sempre più avvicinabile a quella della sua coinquilina. 

Poi Rocco riprese, così dandole ragione. “Ma infatti io ‘di petto’” disse ripetendo quelle parole e dandosi un colpetto sul petto “ti sto chiedendo se puoi fare qualcosa per mandarla in magazzino” poi si mise a mani giunte e cercò di addolcirla con un sorriso, “per favore… 

Ma non puoi, che ne so,” fece gesticolando “invitarla a cena fuori come le persone normali? Anzi no, come i veri uomini???” si corresse suscitando in Rocco un’espressione a dir poco seria. 

Stefa’, mo’ non te ne uscire co’ste allusioni alla galanteria – e si fece i complimenti da solo che gli fosse venuto in mente quel parolone – per prima cosa, al ristorante cci si va quando si va d’amore e d’accordo, non quando ci si deve urlare in faccia, seconda cosa,” e si servì delle dita per elencare “fuori per strada fa freddo, se non te ne sei accorta, a casa locu (‘lì’, n.d.a.) possono ascoltare e non mi va, e figurati se va a Irene. Quindi, che alternative cc’ho?! 

Accidentihai pensato proprio a tutto” disse Stefania a braccia conserte, senza inflessioni, non volendo dargli la soddisfazione di ammettere che forse poi tutti i torti non ce li aveva. 

Certu” annuì Rocco orgoglioso. 

Stefania fece per ammorbidirsi ma poi ci ripensò, perché lei era così ogni tanto, si fissava sul ‘principio’, “E va bene, scegli tu il posto per litigare, ma comunque devi chiederglielo tu”. 

Ti pare facile. Non mi guarda nemmeno più in faccia disse Rocco cedendo lievemente allo sconforto. 

Mmmmmhhhh” cantilenò Stefania spazientita “mi avete stancata tutti e due con questi atteggiamenti infantili. Quella risponde male ogni sera da quando non sta con te e io devo stare attenta a schivare i suoi morsi…”  

Al ché, Rocco alzò lo sguardo illuminandosi in volto. “Tu ‘la guardo ma non mi guarda’” disse scimmiottandolo “che neanche all’asilo parlano così. Siete patetici e mi avete stufata”. 

Ma Rocco non aveva colto praticamente nulla di quell’ultima parte.  

Ah sì?!” chiese lui con un sorriso da parte a parte, che però la ragazza non poteva vedere, tanto era affaccendata con quell’appendiabiti. 

Sì, sì” assentì vigorosamente con la testa “mi avete stancata”. 

Noooo, non hai capito, volevo dire, davvero è nervosa da quando non sta con me?” chiese Rocco con occhi speranzosi. 

Non sapeva neanche lui perché avesse percepito quella come una vera e propria rivelazione; era ormai lontano da quei dubbi atavici risalenti a un’epoca in cui non riusciva a convincersi che Irene ci tenesse davvero a lui; se lo spiegò pensando che forse, in quella particolare circostanza in cui il loro rapporto era stato messo a dura prova, non era più sicuro di niente. 

Stefania, dal canto suo, roteò gli occhi davanti a tanta melassa. E davvero non capiva perché il fatto che una ragazza che si trasforma in una iena per semplice nostalgia del suo fidanzato fosse percepito come qualcosa di anche solo vagamente romantico. 

O forse lo capiva ma faticava ad ammetterlo, dato che, come aveva confessato a Irene in altre parole, pensava di essere ormai destinata a finire i suoi giorni come una vecchia zitella appassita.  

Eccone un altro” commentò sconsolata scuotendo la testa. 

Rocco, col cuore in gola e con il cervello che gli andava come i cricetini su una ruota, tagliò corto per congedarsi.  

Sicuramente Stefania non aveva tutti i torti, era LUI a doversene occupare direttamente, senza contare che senz’altro anche Irene l’avrebbe apprezzato di più. 

Vabbene, ho capito Stefa’, non fa niente, me la vedo io” le disse, con quel sorriso che non si smuoveva di un centimetro, “e tu nt’aggita’ così tanto. Più pane e zucchero la mattina, cia’!” e le diede un colpetto sulla spalla a mo’ di saluto, con una faccia insolente che Stefania fulminò con gli occhi. 

Dillo alla tua fidanzata che deve essere più dolce, non a me che sono un barattolo di miele!” gli gridò mentre lui si stava già allontanando. 

E Rocco si girò di nuovo verso di lei camminando a ritroso per risponderle a tono: “Glielo direi pure, ma tu non mi aiuti” scherzò, ma in realtà lo disse solo per irritarla ulteriormente, come un fratello maggiore quando fa dispetto alla sua sorellina. 

Con la testa era ormai lontano anni luce da quella richiesta d’aiuto a Stefania perché, essenzialmente, sapeva di non averne più bisogno. Non riusciva a togliersi dalla testa che Irene fosse nervosa e tesa quanto lui e questo, paradossalmente, lo placava.  

E così sgattaiolò in magazzino, canticchiando prima della giornata di lavoro che lo aspettava, come se invece lo attendessero tonnellate di cibo al pranzo di una cerimonia. 

Stefania, però, non poteva ‘vedere’ o rendersi conto di tutti questi moti interiori di Rocco ed era quindi ancora convinta di avergli spietatamente negato un favore.  

Si girò inconsciamente verso la porta del magazzino, mentre la sua coscienza la punzecchiava per spingerla ad aiutare quel ‘fratello adottivo’. 
Sbuffò.  

Perché voleva bene a quei due come a una famiglia? Perché? 

Stefania Cupido, altro che Colombo, mi dovevo chiamare io, ruminò dentro di sé. 

Uffaaaaa” le uscì ad alta voce prima che avesse la prontezza di frenarsi. 

Signorina Colombo!” la richiamò da dietro una voce inconfondibile che la fece sobbalzare.  

Aveva un tono fermo, ma allo stesso tempo anche dolce e materno.  

Ecco, un po’ troppo materno; e questa cosa la metteva spesso in difficoltà con le altre, alle quali, quando dicevano che era la ‘sua cocca’, era costretta a malincuore a dar ragione. 

Oh, signorina Moreau, mi perdoni!” sussurrò Stefania abbassando lo sguardo, mortificatissima. 

Qualcosa non va con il signor Amato?” chiese la capocommessa inclinando la testa con un sorriso, come soleva fare. 

Stefania era tentata di dare una risposta inequivocabile semplicemente rettificando la domanda, ‘c’è qualcosa che non va NEL Signor Amato’, ma ovviamente si trattenne. 

Poi, si mise a riflettere sul fatto che una qualsiasi altra capocommessa al posto suo l’avrebbe strigliata per aver strepitato come una pazza in un contesto così inopportuno, altro che chiederle cosa c’era che non andasse.  

Niente” sorrise Stefania in modo deferente “questioni di cuore” rimase sul vago con la prima cosa che le veniva in mente. 

Ah! Lui e la Cipriani…” disse la Moreau lasciando la frase in sospeso. 

Seh!” rispose la ragazza cercando uno sguardo d’intesa con la sua capocommessa, ma non aggiunse altro per evitare di condividere particolari privati. 

Be’, sono sicura che qualsiasi cosa li affligga la risolveranno, quei due ragazzi sono molto uniti” si affrettò la Moreau a concludere, non per disinteresse, bensì per discrezione, e si accinse a voltarsi educatamente “ora però torniamo al lav…” ma Stefania non le fece terminare la frase. 

A proposito di quei due, signorina Moreau,” chiese la ragazza intrecciando le mani timidamente “potrei chiederLe un favore? 

 

 

*** 

 

Aja!” gridò Irene fra i denti inciampando contro la base dell’appendiabiti che era in magazzino.  

Ma io vorrei capire chi l’ha messo qui, così a ridosso dello spigolo!  

Si piegò per massaggiarsi a fondo il dorso del piede che aveva urtato, ma pensò subito a raddrizzarsi per verificare quello che più le interessava in quel momento. 

Poggiò tentativamente il piede per terra. Le faceva male, sì, ma non da non poter camminare.  

Bene… perché tanto in ogni caso sarebbe uscita di lì anche strisciando.  

Si affrettò a trovare un posticino dove appendere quell’abito fallato (tutti gli abiti fallati venivano temporaneamente messi da parte e venivano poi distribuiti ai meno abbienti in giornate specifiche) proprio per dileguarsi, mentre si interrogava sul perché la Moreau avesse mandato lì proprio lei. Erano in chiusura ed era prassi riordinare la galleria prima di chiudere i battenti, ma quell’abito era di una cliente di Dora, l’incombenza avrebbe dovuto essere sua. Invece, la capocommessa l’aveva sfilato dalle mani dell’amica e l’aveva appioppato proprio a lei, con tanto di risolino malizioso sul volto. 

Ecco qual è la conseguenza di mostrarsi troppo servizievolila gente poi se ne approfitt… 

Ire’…” una voce inconfondibile dietro di sé interruppe quel filo di pensieri. Era un misto tra il titubante e il tenero. 

In un lampo a Irene sembrò di rivivere il giorno in cui si era dichiarata a lui; era finita in magazzino contro la sua volontà e anche in quell’occasione qualcuno l’aveva sorpresa da dietro. Una microscopica parte di sé si abbandonò alle preoccupazioni di una tredicenne: come andrà a finire stavolta? 

Si voltò lentamente verso di lui. Schiuse le labbra ma non disse niente.  

Era la prima volta che incontrava di nuovo i suoi occhi.  

Ciao…” proseguì Rocco nello stesso tono di prima, mentre avanzava verso di lei come se si stesse materializzando dagli scaffali al di là del bancone. 

Il ‘ciao’ di lei fu quasi scostante, invece.  

Tipico. Il suo cuore gridava una cosa e le sue labbra dicevano un’altra.  

Rocco fece attenzione a non tradire un sorriso. Intendeva proprio questo quando si soffermava a pensare a questo spessore dell’aria. Non l’aveva mai confessato a nessuno, nemmeno a lei, ma era diverso quando c’era Irene in una stanza. Almeno per lui, lo era. 

E tu che ci fai qui?” chiese lei, non sapendo che dire. 

Ci lavoro qui, sai com’è…” rispose Rocco a tono, quasi ridendo ora. 

Stava solo aspettando che Irene capitolasse, ma nel frattempo si godeva lo spettacolo, quella strana elettricità che emanava quando era alterata. Irene abbassò lo sguardo per l’umiliazione di aver fatto una domanda così stupida, ma cercò di riprendersi. “Be’, io sono venuta qui perché mi ci ha mandata la Moreau” informazione non richiesta e, perciò, ennesima sciocchezza da dire. Irene si infiammò ulteriormente per la vergogna.  

Quello che non sapeva lei era quanto fosse invece importante quell’informazione per Rocco. Il ragazzo fece una rapidissima associazione e capì che doveva esserci stato, per forza di cose, lo zampino di Stefania. Gli si riempì il cuore di gratitudine. 

… ma stavo andando via…” lo ridestò Irene. 

Istintivamente Rocco alzò una mano per tentare di fermarla. “Aspetta, ho capito delle cose, ho parlato con il Signor Armando…”.  

Si maledisse immediatamente. Non suonava proprio benissimo detta così.  

Iniziare col dire altro, magari?  

Troppo tardi. 

E infatti la reazione di Irene non si fece attendere. Si mise a braccia conserte: “Mmmh, ‘hai parlato con il signor Armando e hai capito delle cose’” ripeté scetticamente quelle parole, più a sé stessa che a lui, “mi chiedo cosa succederebbe se non ci fosse il signor Armando, che non sia il caso di iniziare una relazione direttamente con lui?”. 

Sei odiosa! – le disse quella vocina dentro di sé – A che serve una frase del genere adesso? È inutile e fine a sé stessa. Ascoltalo almeno! 

Rocco serrò la mascella. Ora era ingiusta, pensò. “Perché tu mi vuoi dire che non hai raccontato tutto a Stefania?” chiese retoricamente. 

Irene non seppe che rispondere. Doveva dargli ragione. Anche lei si era sfogata con Stefania ed era obiettivamente inumano pretendere che non ci si ‘servisse’ dell’amicizia quando c’era un problema, ma Irene faticava ancora ad assimilarlo. Inoltre, sapeva per certo che Rocco, soprattutto in questo caso, non poteva farcela da solo altrimenti. 

Poi riprese: “Be’, comunque, non ho visto tutto questo interesse nel cercare una conversazione…” perché in ogni caso aveva deciso che Rocco non doveva averla vinta così facilmente. 

Rocco storse la bocca, facendo uno sforzo dei suoi per non perdere le staffe. “Ero venuto a togliermi il camice e a prendere la giacca” disse mostrandogliela col braccio “per venire da te in spogliatoio, anche se forse non mi credi”. 
Irene si strinse impercettibilmente nelle spalle senza dire niente. 

Ci sediamo e parliamo per favore?” intonò lui con il suo inconfondibile accento. 

Irene valutò la proposta per un attimo e infine disse: “Devo andare a prendere le mie cose in spogliatoio prima” ma come fece per voltarsi le si ripresentò il dolore al piede ed emise un lieve grido soffocato. 

Che hai fatto?!” chiese lui allarmato e accorse subito verso di lei, ma lei si ritrasse inaspettatamente.  

Per Rocco fu come una pugnalata.  

Solo in quel momento gli fu pienamente evidente quanto l’avesse combinata grossa, al punto tale che Irene non voleva nemmeno farsi toccare. 

Il ragazzo inspirò e invocò tutta la forza che aveva in corpo per ricomporsi. 

Ho sbattuto il piede all’appendiabiti; la prossima volta mettilo proprio in mezzo alla strada a bloccare il passaggio, mi raccomando!” rispose lei sarcasticamente. 

Ah, voleva stuzzicare? Benissimo, lui sarebbe stato al gioco. 

Ti vengo a dire come devi mettere le maglie in galleria io a te?” chiese Rocco con uno sguardo furbo. 

Ma guarda che insolente, pensò Irene. Ora le si era avvicinato tanto che le mancò il respiro. Si guardarono negli occhi, prima che lui le porgesse bizzarramente il palmo della mano. 

Dammi le chiavi dell’armadietto, ci vado io a prendere la tua roba”. 

Ah già, la mia roba in spogliatoio, ricordò Irene, distratta dalla vicinanza di Rocco. Strinse la mascella per la rabbia di sentirsi così debole di fronte a lui, ma alla fine dovette cedere. Si sfilò le chiavi dalla tasca della divisa e le fece cadere sul palmo aperto di Rocco, facendo attenzione a non sfiorarlo. 

C’era una parte di lei che voleva che quel chiarimento fosse già finito. Perché non era nemmeno iniziato e lei era già esausta. Quel tumulto di sensazioni la sfibrava; non ci era abituata e non voleva abituarcisi. 

Eppure, era lì, e doveva andare fino in fondo, e non aveva senso farlo con un atteggiamento indisponente. 

Rocco la riscosse da quei pensieri indicandole la cassa che si trovava proprio a fianco all’appendiabiti. “Vedi perché l’ho dovuto spostare?” dandole una spiegazione taciuta poco prima “Ci ho messo la nostra cassa, così ci sediamo lì. Ce la fai a camminare?” chiese Rocco esitante, testando le reazioni di lei. Irene era ancora scettica ma il suo volto era lievemente più disteso. Ed era vero; udire ‘la nostra cassa’ così, dal nulla, aveva incrinato la corazza che indossava, tanto quanto avere la conferma che Rocco non mentiva quando aveva lasciato intendere di essersi preparato per quell’incontro. 

Irene annuì e poi aggiunse un ‘grazie’ senza inflessioni della voce. 

E lui avrebbe voluto spingersi fino a proporle di usare anche le ‘loro candele’ ma non sapeva se stesse correndo troppo; le candele significavano anche altr… 

Le candele le tenete sempre nello stesso posto? Le possiamo accendere… sempre che il signor Armando sia già andato via” chiese Irene leggendogli nel pensiero. L’espressione di stupore mista a gioia negli occhi di Rocco fu subito evidente e lui cercò di celarla goffamente con un colpo di tosse.  

Sì sì,” rispose balbettando “sempre nello stesso cassetto della scrivania.” E, prima di sparire dietro l’angolo, ci tenne a precisare “Armando è andato via prima, per lasciarci un po’ soli”.  

E Irene, dinanzi a quei piccoli gesti impacciati, che sapeva essere per Rocco delle conquiste indicibili, iniziava pericolosamente a cedere. 

 

++++ 

 

Per essersi attardato solo un paio di minuti, Rocco doveva aver praticamente volato, ma soprattutto – Irene sospettava – doveva aver ignorato parecchie domande indiscrete delle ragazze al vederlo bussare la porta dello spogliatoio. 

Quando rientrò la trovò già seduta. Pensò che fosse ancora più bella alla luce delle candele, come quelle sere di tanto tempo prima in cui non osava dirlo ad alta voce, per paura che gli arrivasse uno schiaffo alla promessa di amicizia infranta. La situazione adesso non era poi così diversa; il contesto, cioè, non gli permetteva di abbandonarsi a farle degli apprezzamenti. Così, al vederla con un accenno di sorriso in volto e più rilassata rispetto a pochi minuti prima, lo colse una stretta al cuore, perché non poteva far nulla per evitare a entrambi quella tortura. 

Quella di chiarirsi, di esporsi al rischio che quel sorriso in volto le si spegnesse di nuovo. 

Non potevano semplicemente dimenticare tutto, abbracciarsi, baciarsi e tornare a casa mano nella mano?  

E certo, vastasu (sciagurato, n.d.a.)! Perché stavolta sei tu che devi chiederle scusa! -  lo derise la sua coscienza. 

Sfilò la giacca di Irene dal resto del suo cambio e la portò alla sua attenzione. 

Fece un altro tentativo; voleva provare a vedere se si sarebbe ritratta di nuovo. 

Posso?” le chiese, offrendosi di mettergliela addosso personalmente. 

Va bene...” mormorò Irene dopo un attimo di esitazione.  

Meglio. 

Le circondò la schiena con il cappotto e i loro volti si scoprirono vicinissimi, ma Irene non osò alzare lo sguardo stavolta.  

Peccato che la sfera visiva non fosse l’unica a giocare un ruolo importante.  

Per entrambi si fermò il tempo per una frazione di secondo, quella in cui sentirono il profumo l’una dell’altro, e per entrambi fu faticoso ignorarlo. 

Rocco si mise a sedere di fianco a lei, mantenendo comunque una certa distanza di ‘cautela’, e, specularmente ai gesti di avvicinamento di lui, Irene decise di prendere parola.  

Allora... che ci facciamo qui, Rocco?” la frase poteva suonare provocatoria e saccente, ma lo sguardo di Irene diceva tutt’altro. Si stava sforzando di andargli incontro a modo suo. 

Rocco inspirò e provò a guardarla il più a lungo possibile, senza distogliere lo sguardo, poi si sfregò le mani come faceva ogni volta che era teso: “Ci facciamo che…” deglutì “io ti volevo chiedere scusa per quello che ti ho detto Ire’” fece una pausa, come per raccogliere le idee. Era evidente che dovesse approfondire il concetto però, quindi Irene non intervenne. Si chiese semplicemente che sguardo avesse: era intimidatorio? Allarmato? Non sapeva dirlo, ma si stava sforzando di fare la propria parte cercando di essere il più paziente possibile, in altre parole, di essere il meno possibile… Irene.  

Rocco riprese: “So che ti dà fastidio che ho parlato di cose nostre, intime,” specificò, rosso in volto, al signor Armando, però davvero lui mi ha fatto capire tante cose…” e, prima che lei potesse arrabbiarsi per quanto fosse sceso nei particolari con il suo confidente, precisò: “e poi, stai tranquilla perché ha difeso sempre e solo te” cercando di farla ridere.  

Sortì l’effetto desiderato; Irene abbassò lo sguardo e sorrise. Poi scosse la testa e, dopo averci riflettuto un po’ su, confessò: “Non me l’aspettavo”. 

Che ti difendeva?” chiese Rocco.  

Irene annuì “Be’, sì… so che sono cambiate tante cose dalla questione dei vestiti, però non mi aspettavo comunque che in questa cosa mi difendesse… un uomo” sottolineò, come se solo in quel momento si fosse ricordata del perché erano lì. 

Rocco abbassò lo sguardo, conscio di essersi ampiamente meritato quella diffidenza nel genere maschile. “No, anzi, ha detto che sei stata coraggiosa” sorrise quasi amaramente, per non essere stato lui il primo a rendersene conto, “a dirmi… delle cose che nessuna ragazza mi avrebbe detto”.  

Tutto bellissimo, ma a Irene interessava altro. “E tu? Che ne pensi tu?” chiese lei, quasi timorosa. 

Rocco esitò “Eh io non lo so, Ire’” poi mise le mani avanti, consapevole di quanto suonasse ambigua quella frase “Cioè, non mi fraintendere, io lo so che sei tanto coraggiosa, ma non so se mi hai detto quelle cose per coraggio o perché non ti basta più quello che abbiamo e quindi vuoi che ci lasciamo se questa cosa tra di noi non succede… disse tutto d’un fiato, con evidenti segni di agitazione. 

Rocco, frena frena frena…” lo bloccò Irene. “Tu pensi che io te l’abbia detto perché mi sono stancata della nostra relazione… Così poco mi conosci?!” chiese incredula e anche visibilmente offesa. 

No, Ire’, non la mettere su questo piano, allora pure io devo dire la stessa cosa? si schernì lui Che tu non mi conosci perché sai come sono, eppure questa cosa me l’hai detta lo stesso?”. 

Be’” chiese Irene alterata “lo pensi davvero?” intenzionata ad andare fino in fondo alla questione. 

Non lo so… no… non lo so” farfugliò Rocco, poi le chiese, confuso “dimmelo tu, mi volevi far cambiare idea?”   

Irene inspirò, contando fino a dieci, anzi fino a 100, se possibile, per evitare di reagire come una pazza. 

Rocco…” si portò i polpastrelli al naso per organizzare le idee “che significa ‘cercare di far cambiare idea a qualcuno’, secondo te? 

Anzi, no…” rettificò subito “che significa ‘NON cercare di far cambiare idea a qualcuno’?”  

Rocco corrugò la fronte, non capendo dove voleva andare a parare. 

Forse significa non dire mai nulla che possa turbare o sconvolgere l’altro? Forse significa non dire mai nulla che sia contrario al modo di pensare dell’altro?” chiese Irene retoricamente. “Perché se significa questo, Rocco, mi dispiace dirtelo, ma io e te non dovremmo stare proprio assieme”. 

Rocco rimase interdetto. Effettivamente il discorso non faceva una piega, ma... 

Sì, ho capito quello che vuoi dire tu... però, Ire’, questo è diverso, questa…” fece lui gesticolando, alla ricerca delle parole giuste “opinione è diversa dalle altre; se tu vuoi una cosa e io c’ho altri principi su questo, come facciamo, proprio materialmente, ad andare avanti?” chiese lui sconsolato, desiderando con tutto sé stesso di sbagliarsi. 

No, Rocco, questa cosa non è diversa proprio per niente, perché lo sai anche tu che quella che stai usando è una scusa bella e buona” gli insinuò Irene. 

Come ‘una scusa’? In che senso?” fece lui irritato. Come poteva pensare che lui cercasse addirittura una scusa per litigare? Aveva odiato ogni minuto di quei giorni! 

Nel senso che se fossi stato davvero interessato a quello che penso e a quello che potrebbe significare per noi, perlomeno ti saresti preso la briga di ascoltarmi. E invece no! Sai cosa hai fatto? Mi hai giudicata e basta” Rocco inspirò più volte per prendere parola ma Irene era un fiume in piena “mi hai fatta sentire come tutte quelle persone che mi fissavano sprezzanti mentre ero in gonna corta davanti al Paradiso, compresi mio padre, tuo zio, tua zia e tutti quelli da cui proprio TU” fece lei puntandogli il dito contro “mi hai difesa!”. 

Anzi peggio, perché degli altri non mi importa” aggiunse, ferita. 

Eccolo il motivo per cui odiava sé stesso; come aveva potuto guardare quel viso - che in tutti quei mesi, o per meglio dire anni ormai, l’aveva convinto di quanto lei ci tenesse a lui - e giudicarla come se non la conoscesse per quello che era, come se la sua Ire’ gli avesse mai fatto sospettare che un desiderio del genere potesse essere per lei un ‘capriccio del momento’? 

Sulla base di cosa poi? Di insegnamenti relegati in un cantuccio della sua mente in un passato ormai lontano e mai spolverati? 

Apparentemente sì, la sua stupidità era arrivata fino a quel punto. 

In ogni caso, per quanto fosse stato stupido e per quanto avrebbe voluto schiaffeggiarsi in quel momento, doveva comunque ammetterglielo, doveva comunque partire dalla verità. 

Scusa Ire’, scusami” mormorò, scuotendo la testa, “da dove vengo io, le donne non parlano così e... mi hai preso in contropiede” allargò le braccia, innervosendosi, perché sapeva per certo che quelle parole lo ‘incriminavano’, se possibile, ancora di più, “lo so che non ti basta come spiegazione, ma è l’unica che ho... 

Irene sogghignò, con l’amaro in bocca, “A te basterebbe? A te basta mai quando qualcuno si giustifica dicendoti ‘dalle nostre parti si usa così’? Cocciuto come sei?”. 

Quelle ultime parole gli provocarono un tremito inspiegabile di felicità, come ogni volta che Irene gli confermava tacitamente di conoscerlo così bene. 

Ma cercò di non deconcentrarsi. 

Lo so, Ire’” specificò “lo so che non è una giustificazione... ti stavo solo spiegando come è successo...” e lasciò quella frase in sospeso, in attesa che lei gli facesse la misericordia di pazientare ancora dinanzi a quel flusso sconnesso di pensieri.  

La verità è che anche quando... siamo più vicini, diciamo così, non mi sono mai fermato a pensare a quello che potrebbe venire... dopo” proseguì, arrossendo, nel tipico linguaggio in codice, condito di timidezza e trasparenza, che usava quando era imbarazzato e dinanzi al quale le labbra di Irene si inarcavano puntualmente in un sorriso, “perché so che per la Chiesa è peccato fare queste cose prima del matrimonio e... e io, Ire’, alla Chiesa ci credo...” balbettò, quasi come se si stesse scusando per le proprie idee. 

Irene si allertò all’istante; aveva sentito abbastanza.  

L’ultima cosa che voleva era che credesse di doversi sentire in colpa per il suo modo di pensare... in altre parole, che si sentisse come purtroppo lui aveva fatto sentire lei. 

Lo vedi che era così facile...?” intervenne, allora, con delicatezza, spiattellandogli ironicamente l’evidenza dei fatti. 

Cosa?” chiese Rocco, sorpreso da quella reazione. 

Questo” rispose Irene indicando un punto qualsiasi davanti a sé “reagire così... Poteva andare così quattro giorni fa e non ci saremmo mai separati.” sorrise davanti a uno sguardo palesemente confuso di lui. Poi proseguì: “Rocco, io non mi aspettavo niente di diverso da questo. Ero certa che mi avresti fatto l’elenco di tuuuutti i principi ecclesiastici” roteò gli occhi scherzosamente facendolo sorridere “per cui è sbagliato non rimanere illibati prima del matrimonio”. 

Veramente?” sussurrò lui, ancora timoroso. 

, Rocco, SÌ. Veramente!” insistette lei, sempre più offesa da tutta quella diffidenza. “Non saresti tu se avessi risposto in maniera...” sbuffò, perché non le veniva un termine migliore “licenziosa. Io avevo solo bisogno di dirti quello che sento IO, sapere che posso avere la libertà di parlare, come sempre, perché io e te abbiamo SEMPRE parlato di tutto” gli disse cercando insistentemente il suo sguardo. 

Rocco rimase inebetito, visibilmente sul punto di picchiarsi, ancora una volta, per aver dubitato di lei, per essersi lasciato ingannare dai propri fantasmi e così averla aggredita senza capire che lei desiderava essere semplicemente ascoltata. 

Possibile che tu ancora non capisca che ADORO quando arrossisci, che adoro essere IO quella che ti fa arrossire...?” continuò lei con la guance rosee per la foga, anche lei sul punto di cedere, perché non era avvezza a concedere dichiarazioni d’amore.   

E anche se quella era la più bizzarra mai pronunciata sulla terra, per lei era comunque una dichiarazione in piena regola, e lo sforzo che le costava ne era la conferma. 

Se lei poi non era abituata a farle, figuriamoci Rocco a riceverle, men che meno in un frangente in cui sapeva per certo di non essersene meritata una neanche per sbaglio. Perciò, all’udire quelle parole, gli scese una lacrima che si asciugò prontamente con il polsino della giacca.  

... siamo ‘noi’, è quello il bello di me e te, non credi?” proseguì lei accennando a un sorriso, infliggendo un altro colpo di grazia a lui... ma anche a sé stessa. 

Rocco sorrise con gli occhi lucidi e annuì con fermezza perché era l’unica cosa che riusciva a fare. Era sicuro che, se avesse aperto bocca, non sarebbe riuscito a formulare una frase intera per il groppone che aveva in gola.  

Quello che accompagnava queste rare confessioni di Irene era sempre un peculiare senso di catarsi, che tuttavia lasciava sfortunatamente spazio anche al suo caratteristico disfattismo. 

Così, analogamente alle paure di Rocco di poco prima, Irene proseguì il discorso, che assunse ora note più pessimiste “purtroppo però la differenza tra arrossire e la tua reazione di quattro giorni fa è enorme; quindi, a questo punto, io non sono più sicura di potermi sentire libera con te... questa è la verità” concluse dolorosamente, deglutendo per evitare di piangere. 

La reazione viscerale di Rocco non tardò ad arrivare. Si protese verso di lei con slancio ma si contenne in tempo, consapevole di non potersi prendere, ora meno che mai, la libertà di toccarla: “NO, Ire’, no! Per favore, ti ho chiesto scusa, non voglio... Non voglio che smetti di parlare con me, di dirmi quello che pensi... ti prometto che tutto questo non succederà più... ti prego, perdonami!”. 

A Irene si strinse il cuore al vederlo così agitato, con la fronte quasi madida di sudore nonostante il freddo in magazzino. 

Aveva palesemente paura di perderla e Dio solo sapeva quanto ne avesse anche lei di perderlo a sua volta; tuttavia, aveva più paura di rimanere nell’eterno dubbio di proseguire quella relazione sentendo di doversi inibire ogni volta che apriva bocca. 

Rocco, non è questione di perdono, davvero. Quando mi hai chiesto di sederci a parlare ti avevo già perdonato...”.  

Le costava caro dirlo ad alta voce, perché sapeva per certo che quelle parole suonavano come un ultimatum per entrambi, ma nemmeno riusciva a far qualcosa per impedire che lo sembrassero. “... il punto è che non so più se posso fidarmi... Non so nemmeno se sei tornato sui tuoi passi soltanto perché ti ho detto che sono ancora vergine... e a questo punto non lo saprò mai” disse con un fil di voce. 

Quindi, a che serviva proseguire quella conversazione se sapeva già di non avere strumenti per potersi convincere del tutto? 

No...” si oppose Rocco ma non riuscì ad andare oltre vedendo Irene, mesta, in procinto di alzarsi. 

Niente le faceva più male di quel peso atroce nel petto, che le muoveva a piacimento i piedi in direzione contraria rispetto a quella doveva voleva essere, ovvero tra le sue braccia.  

Rocco, mosso dalla disperazione, le prese il braccio per fermarla, alzandosi a sua volta. L’aveva toccata, finalmente, ma la beffa delle circostanze in cui l’aveva fatto gli impediva di provare ogni possibile forma di gioia o anche semplice sollievo; albergava in lui solo il terrore che potesse essere l’ultima volta. 

Erano a due centimetri di distanza. “Ire’, per favore, rimani” la implorò. 

Mi dispiace Rocco...” si oppose lei con voce rotta, mentre i suoi occhi, ormai rigati di lacrime, penetravano in quelli di lui “quasi sicuramente rimarrò sola a vita, ma io davvero non ce la faccio a stare con un uomo che crede che una donna non più vergine in qualche modo sia meno degna di rispetto, si meriti il titolo di ‘donnetta’ fece lei con una smorfia, come se quelle parole avessero un ‘sapore’ e quel sapore fosse disgustoso, “e che, peggio, debba essere esclusa dalla possibilità di farsi una famiglia. Neanche avesse fatto del male a qualcuno!  

Ribadisco, SONO vergine, ma che sarebbe successo se non lo fossi stata?! Non oso immaginare come mi avresti guardata allora. Non è giusto per me e non è giusto per R...” si fermò in tempo prima di pronunciare il nome di Roberta.  

Pensare di avere al proprio fianco un uomo che potesse esprimere, o anche solo avere, la benché minima opinione negativa su una donna che aveva deciso di concedersi alla persona di cui era innamorata era un affronto non solo per chi, in questo caso, considerava come una sorella, ma per tutto “... il genere femminile” e furono quelle le parole che infine proferì per Rocco. 

Irene rimase con il fiato in gola, in procinto di proseguire la sua arringa, ma fu distratta dalla mano di Rocco che mollava la sua presa. 

Lo udì sprofondare nel suo sgabello, a testa bassa, sconfitto, mentre davanti a sé vedeva tutte le speranze di quella mattina sfumare come polvere nel vento. 

Che sciocco che era stato a pensare di potersela cavare con delle scuse.  

A Irene interessava il concetto di fondo. Com’era giusto che fosse. Armando aveva scavato più di quanto avrebbe fatto qualunque altra parte non coinvolta nel problema; cosa gli aveva fatto pensare che Irene non sarebbe andata oltre? Per un attimo credette di sentire nitidamente la risata impietosa della sua coscienza, che lo derideva per aver conservato quell’ingenuo ottimismo fino alla fine.  

Certo, perché sapeva sarebbe stato difficile... non impossibile.  

Ora invece si ritrovava gli occhi di Irene puntati addosso – nemmeno inquisitori, bensì spenti, il ché era mille volte peggio – e quelle ultime parole di lei, rimaste sospese nell’aria e taglienti come un vento gelido, contro cui lui... nulla poteva. 

Come poteva infatti smentirla? Lui rientrava esattamente in quella categoria di uomini orribili che Irene aveva appena descritto. E poco importava che la sua idea di donna fosse ampiamente cambiata da quell’episodio che preferiva dimenticare... 

Non aveva comunque gli strumenti per convincere Irene.  

Quindi, dato il sentore fortissimo di non poterla riconquistare, decise d’istinto di raccontarglielo per davvero quell’episodio.  

 

Ma era matto? A che pro raccontarle una cosa che, se possibile, lo metteva in una luce ancora peggiore? Forse perché, sapendo di averla persa, sentiva di doverle quantomeno la verità? Non seppe rispondersi. 

Hai ragione” mormorò lui, ormai incapace persino di pronunciare il suo nome. “Hai ragione a non voler più stare con me”. 

Irene rimase interdetta, tra tutte le possibili reazioni, quella era proprio l’ultima che si aspettava.  

E, prima che potesse abbandonarsi ad analizzare il significato recondito dell’arrendevolezza di Rocco, questi proseguì. 

Tu lo sai già che se due anni fa ho iniziato a ‘frequentare’ Maria” disse, senza attendere che gli venisse un termine più adeguato, dato che quella con Maria non l’aveva mai considerata una vera e propria frequentazione con sfumature sentimentali, “è stato per mia zia Agnese che era d’accordo con...” e alzò il mento distrattamente come a voler indicare qualcuno “sua zia, per farci sposare non dico a tavolino, ma quasi”. 

A quella menzione, scambiò un brevissimo sguardo di intesa con Irene, che in prima persona l’aveva messo in guardia sul fatto che la sua famiglia volesse controllarlo. Irene ricordò, senza nostalgia, la ramanzina fattagli in galleria; con addosso il livore di una gelosia che significava... anche altro, certo, ma che in primis era sincera preoccupazione per il fatto che quel suo ‘caro amico’, così intelligente e pieno di potenziale, rischiasse di finire in una vita che non aveva scelto per sé stesso. 

Sempre senza guardarla negli occhi, Rocco continuò: “Quello che però non sai è che prima che Maria venisse a cena da noi, ho fatto della domande su di lei, perché, sì, è vero che ci conoscevamo da picciriddi in paese, ma non sapevo niente di lei alla fine, il perché non si era ancora sposata, eccetera. E mia zia mi ha raccontato la sua storia con quel farabutto che...” agitò la mano in aria come volendo sorvolare su particolari superflui “insomma, conosci pure tu”. Deglutì, sempre più in difficoltà “Dicevo... quello che non sai è che, per accettare di frequentarla, ci chiesi a mia zia se... se... insomma, se Maria aveva scoperto delle cattive intenzioni di quel farabutto... ‘IN TEMPO’” concluse Rocco.  

Quindi alzò finalmente lo sguardo per incontrare quello di Irene; era quello di un condannato dinanzi al suo boia. 

In quel lungo momento di silenzio che seguì, l’eco di quel racconto rimbombava tanto da appesantire l’aria in maniera insopportabile.  

Il ragazzo si morse il labbro inferiore fino a farsi male, come a voler inconsciamente ricacciare indietro, senza successo, le parole che firmavano la sua condanna. 

Irene lo fissò per un attimo senza reagire e lui riprese la parola per suscitare una reazione in lei. Se c’era una pena capitale, e c’era, ne era sicuro, allora che arrivasse il più presto possibile, perché quei secondi interminabili erano uno strazio. 

Lo capisci adesso? Di questo sono stato capace io!” disse ormai piangendo apertamente mentre con una mano si massaggiava il sopracciglio “Che colpa ne aveva Maria per esempio, ah, se era stata ingannata?” chiedeva a Irene, ma in realtà stava abbaiando al sé stesso di due anni prima, cercando di sgonfiare la spocchia dell’ottusità che lo caratterizzava, così come avevano fatto allora tutti coloro, Irene compresa, che l’avevano aiutato a diventare un uomo pensante.  

Poi abbassò lo sguardo, smarrito. 

Irene, dal canto suo, era a dir poco spaesata. Si guardò attorno d’istinto per un attimo, quasi a voler riprendere percezione dell’ambiente circostante, tanto era disorientata da quella svolta di eventi inattesa. Non aveva ancora calcolato l’impatto di quella confessione su di lei - non sentiva di connettere molto in realtà - sapeva soltanto che Rocco non aveva alcuna necessità di ‘incriminarsi’ ulteriormente raccontando i dettagli di un momento non di grande orgoglio della propria vita. Avrebbe potuto tenere quel particolare tranquillamente per sé. Se invece vi stava dando libero sfogo, era perché era pronto a fronteggiare i propri demoni e, cosa più importante, voleva farlo insieme a lei.  

Fu allora che tornò a sedersi di fianco a lui. Ma Rocco se ne accorse solo quando sentì una mano attorno al mento che cercava di attirare la sua attenzione.  

E, anche se non poteva aspettarsi che fosse di qualcun altro se non di Irene, sobbalzò comunque perché, che lei lo toccasse, era il suo sogno più inarrivabile in quel momento. 

Guardami, Rocco” sussurrò lei.  

Le obbedì e, per un attimo, Irene fissò quegli occhi rigonfi di lacrime e insieme anche pieni di stupore. 

Stai parlando di una cosa che è successa due anni fa... quando ancora sbagliavi fermata perché non sapevi leggere i cartelli e ti ‘infilavi le scarpe nei calzini’” scherzò, con la precisa intenzione di allentare la tensione servendosi di una battuta usata due anni prima da un Salvo scettico sulle competenze di tecnico di juke-box del cugino. 

Rocco inarcò le labbra in un sorriso che non fece in tempo a raggiungere i suoi occhi e si asciugò le lacrime con i palmi delle mani. 

E cosa è cambiato?” chiese retoricamente, sconsolato, “ho comunque rovinato tutto e adesso giustamente non ti fidi più di me... 

Irene deglutì, soppesando bene le parole successive.  

Era vero, lo aveva messo lei contro un muro, svuotando di senso ogni suo eventuale tentativo futuro di spiegarsi o di convincerla. Si morse il labbro mentre le formicolavano le dita per la tensione. 

Ti ricordi quando ti ho detto che eri come un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro?” gli chiese finalmente. 

Lui ridacchiò stancamente massaggiandosi la fronte e le rispose con ironia: “Come dimenticare...”. 

Irene sorrise a sua volta: “Ecco, da allora, sei riuscito a creare cose meravigliose ogni volta che ti sei deciso a pensare con la tua testa”. 

Rocco rifletté un istante su quella frase e, senza riuscire a frenarsi, la stuzzicò sul suo punto debole, ovvero la vanità:  

Cose meravigliose tipo scegliere te, dici?”.  

Irene scoppiò a ridere, cogliendo subito lo scherzo: “Come minimo!” rispose poi a tono, con una smorfia vanesia. 

Gli occhi di Rocco si illuminarono all’istante. Se era inopportuno fare battute in un momento del genere, era inopportuno anche reagire ridendo, pensò Rocco. E se era successo, voleva sperare che quello fosse un segno.  

Cioè, segno che siamo sempre i soliti scemi? - scherzò quella vocina dentro di sé. 

Se si voleva usare quelle parole, allora sì; e quindi anche segno che si stava riaffacciando la loro essenza più vera? 

Irene, con il viso ancora acceso da quel piccolo scambio, gli specificò:  

Dai, ero seria...”. 

Rocco si fece subito solenne e, guardandola dritto negli occhi, le mormorò:  

Anche io”. 

Le guance di Irene si infiammarono all’istante e, senza pensare, si passò un dito sul sopracciglio come a voler nascondere quel rossore in volto, poi si schiarì la voce: “Intendevo che... apprezzo tantissimo che tu abbia voluto confessarmi questa cosa. Non deve essere stato facile ma... e in quel nanosecondo in cui Irene lasciò la frase in sospeso Rocco fece i pensieri più catastrofici che la sua mente potesse partorire su come lei avrebbe potuto mettere fine alla loro storia “ma è da tempo che sono convinta che tu non sia più così, anzi... storse la bocca riflettendoci “sono sempre stata convinta che non sia mai stato davvero TU il ragazzo degli inizi, quello arrivato a Milano con una valigia in mano, e che tanti pensieri ottusi tu te li sia semplicemente lasciati cucire addosso” fece una pausa ricordando quel pensiero doloroso, che ancora la tormentava “Ed è per questo che mi sono arrabbiata l’altro giorno... Tutt’a un tratto non eri più tu il Rocco che conosco e che...”. 

Ma infatti è per questo che ti amo, Ire’” intervenne Rocco con semplicità. L’espressione della sua voce era neutrale, come se stesse recitando una legge fisica che tutti sanno essere vera, incontrovertibile e Irene si emozionò all’udirlo così sicuro, scientifico. “Mi hai sempre dato un credito che io non credo di meritare... anzi, ti ho proprio dimostrato che non merito” sussurrò, commuovendosi di nuovo, “cioè, anche quando per tutti ero ancora un bambinone, tu già da allora eri l’unica che mi trattava come un uomo”. 

Tu hai fatto lo stesso con me, e lo sai” si affrettò lei a rassicurarlo dicendogli nient’altro che la verità “o vuoi che ti confessi anch’io com’ero prima che tu arrivassi qui a Milano?” chiese poi retoricamente sorridendogli. 

No, bastano i racconti di Tina” rispose lui, scherzando ancora. 

Bene, perché nemmeno io ne vado particolarmente orgogliosa”. 

E risero di nuovo insieme. 

Irene si chiese per un attimo cosa stessero facendo; stavano scivolando nella naturalezza delle loro interazioni giornaliere come se nulla di quell’incubo fosse mai accaduto, lei lo stava convincendo di non essere un mostro neanche cinque minuti dopo avergli confessato che non sapeva se sarebbe riuscita più a fidarsi di lui.  

Era tutta matta? Molto probabilmente sì.  

Ma per qualche motivo sentiva che quello che stavano facendo era giusto; che ora, sì, stavano facendo leva sulla forza di quel ‘noi’, evitando di ripetere l’errore commesso qualche giorno prima, ossia quello di ‘presupporre’ piuttosto che ascoltarsi. 

Anche se il futuro era ancora pieno di incertezze e verosimilmente sarebbe stato ancora costellato da pietre d’inciampo. 

Rocco poi si fece solenne, acceso dalla stessa sua speranza che le cose potessero ricominciare per davvero: “Ire’, forse non sono più in tempo per convincerti di tante cose” fece una pausa, e Irene sapeva per certo che Rocco si riferiva al dubbio da lei espresso poco prima e che l’aveva quasi spinta ad andarsene, “so soltanto che SOLO CON TE mi sento che vado avanti e... io indietro non ci voglio tornare più”. 

Irene si morse il labbro, emozionata, pensando che quello fosse il ‘ti amo’ più bello che avesse mai sentito nei loro mesi assieme, ma siccome era sempre la solita si sforzò di mascherare la propria commozione con lo scherzo: “Mi fai sembrare come un... mmh, esperimento sociale”.  

Ma vaaaa” rispose spintonandole leggermente la spalla con la propria, non capendo del tutto cosa volesse dire con quelle due paroline, ma perfettamente consapevole che quello fosse il suo modo per avvisarlo che il miele di quella conversazione stava oltrepassando i suoi limiti di tolleranza.  

Va bene” decretò poi lei tutt’a un tratto, con voce pacata ma ferma.  

Gli occhi di Rocco si illuminarono e, timidamente, senza sbilanciarsi per paura di aver interpretato in maniera troppo ottimistica quella frase, chiese: “Va... bene? 

Irene intrecciò la propria mano con la sua e Rocco saltò un battito, o diversi, chissà. 

Va bene” ripeté lei, ancora spaventata per il futuro, ma felice oltre ogni logica per essersi decisa a compiere ‘quell’atto di fede’, come raramente le concedeva la sua anima razionale. 

Rocco sorrise senza far rumore, di un sorriso che le smentì la sua stupida gelosia di quella mattina: non c’era dubbio che Rocco sorridesse così solo a lei. 

Quindi, ancora una volta in silenzio, Rocco alzò le loro mani intrecciate e si portò quella di Irene alla bocca. Vi depositò un bacio senza staccare gli occhi da quelli di lei, mentre lo tradiva una lacrima che gli percorse la guancia.  

Irene si commosse di rimando senza riuscire a trattenersi, ora che vedeva cedere anche lui. Poi si coprì istintivamente il viso a voler soffocare una risata isterica, dovuta alla gioia, alla commozione e anche un po’ alla vergogna di aver tradito la sua natura stoica, e così fece ridere Rocco ancora di più. 

La smetti di piangere per favore?” gli intimò, tra una lacrima e una risata. 

Ancora con le guance umide, Rocco la guardò di traverso, sfidandola:  

La smetto quando la smetti pure tu!”. 

Irene ribatté, fingendosi indignata: “Ma se ho iniziato per colpa tua! 

E va bene, fammi smettere.” le concesse Rocco, smorzando i toni. 

Con uno schiaffo? Volentieri...” scherzò lei, che dallo sguardo di lui già intuiva quale sarebbe stata la richiesta. 

Rocco si morse il labbro inferiore ignorando volutamente lo scherzo e osò:  

Con un bacio... 

Pensò che non era passato nemmeno un minuto intero da quando si erano ritrovati e già quella famosa bussola interna tornava a puntare verso quel ‘sé stesso’ che meno gli dispiaceva.  

Sensibile, ma deciso. Riflessivo, ma anche propositivo. 

.... 

Ah.” fu la risposta sconnessa di Irene.  

Il suo primo impulso mentre gli si avvicinava fu quello di toccargli la guancia, forse per un trauma residuo che lui potesse dileguarsi non appena le si fossero riaperti gli occhi. 

E lì rimase la sua mano, a guidare lentamente il viso di lui verso le proprie labbra. Come se ce ne fosse bisogno... 

Le labbra di Rocco la assalirono con la peculiare energia che lo caratterizzava, quell’ossimoro fatto di slancio e timidezza, tanto che Irene non riuscì a trattenere un risata sommessa, felice, contro la bocca di lui. 

Rocco sorrise a occhi chiusi, consapevole, senza però scostarsi dal viso di Irene neanche di un centimetro. Abbandonò le labbra di lei solo per percorrere la sua gota all’ingiù e disegnarvi un sentiero di baci fino all’incavo della sua gola dove, finalmente, approdò. 

Sereno. O quasi... 

Teneva stretto in pugno un lembo del cappottino color ocra che Irene aveva indosso, come per aggrapparsi a lei, mentre cercava dolcemente frizione tra la propria guancia e il suo collo e così si rifugiava nel suo profumo.  

Se ne stettero così per un tempo indefinito di cui persero temporaneamente cognizione. 

Peccato, pensarono all’unisono, che di quel momento perfetto avrebbero avuto solo un ricordo offuscato.  

Ma d’altronde, la felicità assordante, quella che ‘senti il battito del tuo cuore fin dentro le orecchie’, ne faceva di quegli scherzi... 

 

Andrà sempre così, mmh?” gli chiese poi Irene a bassa voce, seguendo la stessa armonia di quel silenzio, “che capiremo dove abbiamo sbagliato solo dopo aver parlato con terze persone? 

Rocco si staccò da lei a malincuore, lasciandole un ultimo bacino sulla guancia prima di rimettersi dritto sullo sgabello.  

Poi protruse la bocca mentre rifletteva: “Secondo me l’importante è che lo capiamo Ire’, non è tanto importante come... non pensi? 

Irene ci pensò su per un attimo e concluse: “Sì, quello è vero... però non so, mi piacerebbe che il nostro rapporto fosse davvero ‘tutto nostro’, che ci ascoltassimo, ecco, non so come spiegarlo...”.  

E lo facciamo Ire’, anzi... secondo me finora l’abbiamo sempre fatto... rispose con semplicità Rocco, senza sforzarsi di convincerla, bensì piuttosto sottolineando un dato di fatto.  

E Irene pensò che quel suo fare disinvoltamente rassicurante al momento giusto non fosse un caso, perché era vero che riuscivano a rasserenarsi, a essere quiete l’una per l’altro - ma anche tempesta l’una per l’altro - sempre, rigorosamente, a fasi alterne. 

E se quello non si chiamava equilibrio, non sapeva davvero che altro nome avesse. 

... però ci sono delle volte, Ire’” continuò Rocco “come ad esempio questa, che secondo me facevamo più danno se continuavamo a parlare tra noi” e bastò che si guardassero per un istante perché quel momento di serietà capitolasse miseramente lasciando spazio a una risata fragorosa da parte di entrambi.  

Allora sarai contento di sapere che Stefania quella sera mi disse che avrei dovuto essere più calma, più paziente, più comprensiva...” cantilenò Irene roteando gli occhi. 

E c’ha ragione, te ne sei andata come una pazza...” disse Rocco pronunciando le ultime parole mentre gli scappava una risata, in attesa della vendetta di Irene.  

Che arrivò, puntualmente, con un pugno sul braccio. E via giù a ridere di nuovo. 

Poi Rocco tornò ad armeggiare con quel sassolino nella scarpa che gli aveva precluso una serenità piena, poco prima, mentre la baciava. 

Forte del calore delle loro mani ancora intrecciate, si lasciò andare: “Cioè io ho paura, Ire’” senza più filtrarle i propri timori prima di darvi voce. 

Di cosa?” chiese pazientemente Irene. 

Di allontanarci ancora. Di comportarmi ancora come uno scemo solo perché ho paura di perderti, e più ho paura di perderti, più mi comporto come uno scemo ed è brutto questo...” non terminò la frase per mancanza del termine corretto ma fu inequivocabile il gesto della sua mano per aria. 

Circolo vizioso?” suggerì lei. 

Sì, brava, quello” esclamò Rocco. 

Irene cercò di interpretare quelle risposte sconnesse di Rocco e concluse che, Dio non volesse, ma se fosse stato ancora necessario in futuro, lui si sarebbe nuovamente rivolto a qualcuno per un consiglio o un aiuto – mettendo quindi di nuovo alla prova la propria anima timida –  pur di ritrovare la strada verso di lei dopo un litigio. 

Irene abbassò la testa e rise sommessamente; Rocco spalancò gli occhi sorpreso.  

Che c’è?” chiese. 

Niente, mi è tornato in mente quel giorno, o meglio il momento in cui stavo tornando a casa, e pensavo che io ho fatto anche di peggio” confessò Irene. 

Cioè?” Rocco chiese sempre più incuriosito. 

Ero seduta a una panchina e, per sentirmi meglio, ripetevo a me stessa che avevo ragione e...” fece una pausa e incontrò i suoi occhi per cercarvi complicità “e sai come sono fredda, autoritaria e calcolatrice io, quando so di aver ragione” 

Rocco annuì vigorosamente “Eh! Un incubo vivente proprio!”  

E risero insieme. 

Ma per la prima volta è successo un fatto strano... Non riuscivo a sentirmi meglio.  

Di quella ragione non sapevo che farmene perché comunque non mi riportava da te...” 

Fece una pausa per cercare di nuovo il suo sguardo, ma solo brevemente, perché faceva fatica a mettergli così a nudo la propria anima, ammettere che era stata così debole, e che lo era stata per nessun altro motivo se non quello di amarlo.  

“... anzi, poi mi sono sentita anche peggio, perché ero sicura che se tu avessi scelto.... altre persone, incomprensioni di questo tipo non sarebbero mai sorte”.  

Entrambi sapevano a chi si riferisse Irene. 

“Ire’ ma...” cercò di intervenire Rocco per rassicurarla, commosso e onorato di aver avuto la conferma che cercava il giorno prima con Armando, ossia che anche lei aveva avuto esattamente la stessa paura di perdere lui.  

Certo, in quei mesi non le aveva mai dato motivo di dubitare che si fosse pentito di non aver scelto Maria, ma le ultime parole di Irene gli insegnavano che il suo gesto di allontanarla non l’aveva solo ferita di per sé, bensì l’aveva anche fatta sprofondare nel timore di sentirsi inadeguata a confronto con lo stuolo delle innumerevoli ‘Marie’ a cui era stato abituato nella sua vita e che aveva inconsciamente preso a modello in quello scontro con lei.  

Come se poi nella quotidianità, le frecciatine della zia Agnese aiutassero la causa.  

Ecco, quindi, oltre a sentirsi commosso e onorato, si sentiva, ancora una volta, un vastasu. 

Ma Irene non lo lasciò finire; si erano già chiariti su quel punto e non aveva certo aperto il discorso per fargli ancora delle recriminazioni. “No, non serve Rocco, davvero... era solo per dirti che anche io ho avuto paura e che forse... non so... quattro giorni fa hai reagito così male perché ti hanno insegnato la regola che... una donna che si muove e si comporta in un certo modo, o fa le cose in un certo modo” si mise ad elencare Irene, a mo’ di litania “ti assicurerà una vita e un matrimonio felici. Ma secondo me non funziona così...” 

Rocco continuava ad ascoltarla attentamente e gli tornarono in mente delle parole simili usate dal suo mentore il giorno prima: Perché si può essere ‘licenziosi’ e disinibiti rimanendo fedeli alla stessa persona per tutta la vita e d’altra parte la persona più casta e pura di questo mondo tutt’a un tratto può innamorarsi di qualcun altro e così tradire il proprio consorte anche con un solo sguardo’. 

Arrivò a sospettare che Armando e Irene fossero imparentati e sorrise fra sé. 

... la realtà è che, almeno secondo me, in questa cosa non ci sono regole. Non è seguendo determinate regole che avrai successo...” poi si corresse, alzando di nuovo gli occhi verso di lui, che AVREMO successo. Non ci sono scorciatoie, bisogna solo ascoltarsi decretò poi per concludere. 

Rocco finì per capire, come in un’illuminazione, quello a cui Irene era arrivata già poc’anzi, nel momento in cui si era decisa a prenderlo per mano, a ricominciare. 

Che, se era sorto il problema e successivamente avevano entrambi sentito il bisogno di parlare con altre persone, era perché innanzitutto avevano smesso di ascoltarsi. Che certamente non c’era nulla di male a chiedere aiuto a una persona fidata - in fondo tutto quello che concorreva al bene della coppia era da considerarsi positivo - ma quella era comunque e sempre una ‘cura’. 

Non era meglio prevenire del tutto? 

 

Rocco riuscì solo ad annuire, col cuore in gola, perché ora finalmente la sua serenità poteva considerarsi COMPLETA. 

Ma decise che aveva pianto abbastanza per quella sera; così, allungò una mano per accarezzarle il viso e imitò il suo atteggiamento di poco prima: camuffare l’emozione con lo scherzo. 

Quantu mi si diventata saggia” e le strizzò delicatamente le guance coi polpastrelli. 

Ah ‘diventata’?!” gli fece eco fingendo indignazione e divincolandosi dalla sua mano. “Tu invece saggio per niente; non lo sai che per chiedere scusa a una ragazza le devi pagare la cena?”.  

Al ché Rocco pensò che le donne avevano tratti moooolto simili visto che Stefania aveva espresso lo stesso concetto quella mattina. 

E intanto si alzarono assieme e Rocco si mise cappotto e sciarpa. 

Ah prima la ‘parità dei sessi’, come la chiamate voi locu” fece Rocco “e poi devo pagare per forza io la cena?” le gridò Rocco da lontano mentre si avviava ad accendere le luci. 

E certo, ‘chi rompe paga’!” ribatté Irene mentre soffiava sulle candele. 

Ah, così funziona?” le chiese con quell’accento che la mandava fuori di testa. 

Sì!” confermò granitica. “E adesso vieni qua, fammi appoggiare perché mi fa ancora un po’ male il piede”. 

Rocco le porse il braccio mentre si metteva il cappello e insieme uscivano dal magazzino. 

E invece, vanitosa come sei, dovresti esse’ contenta che stasera non ho pensato a mangiare. Vedi come mi riduci tu a me...” le disse guardandola di sottecchi. 

Irene alzò lo sguardo verso di lui e sorrise senza dire nulla. Effettivamente a quello non aveva pensato. Appoggiò la guancia sul suo braccio – perché era talmente alto rispetto a lei che sarebbe stato impossibile appoggiarla sulla sua spalla – e si strinse a lui come una bimba. 

Si godette ancora per qualche secondo in silenzio quel senso di protezione che emanava e poi disse: 

Ora è comunque tutto chiuso. Pianerottolo anche stasera?” gli propose nel loro linguaggio in codice. 

A volte per starsene un po’ soli la sera dopo cena, sgranocchiavano qualcosa assieme giù per le scale, parlando e scherzando a bassa voce e così facendo attenzione a non svegliare il vicinato, in primis le loro famiglie. Con il sopraggiungere delle basse temperature si avvolgevano con una vecchia coperta, una che ormai riconoscevano come la loro, ma il più delle volte Rocco, che meglio sopportava la stagione invernale, non ne aveva bisogno, allora Irene teneva semplicemente indosso il maglione di quando era piccolo che lui le aveva regalato tempo addietro, o per meglio dire che lei non gli aveva più restituito, come piaceva a Rocco sottolineare. 

Stefania non sapeva più in che lingua convincere Irene che non le dava fastidio la presenza di Rocco in casa, e difatti Rocco passava spesso da loro, ma Irene si rifiutava comunque di metterla in difficoltà in momenti della giornata in cui chiunque desiderava starsene soltanto in déshabillé. 

Rocco approvò la proposta, contento. “Va bene, vedo se posso rimediare un po’ di pane a casa...?” 

“E io un po’ di formaggio” approvò Irene sorridendo, quindi commentò “Peggio degli sfollati!”, in una vena autoironica che lo fece ridere. 

Poi Rocco iniziò a tamburellare nervosamente i polpastrelli sulla spalla di lei, incerto su come riprendere il discorso lasciato in sospeso quattro giorni prima. Faceva sul serio quando quella sera l’aveva implorata di non smettere di aprirsi con lui, ma ora si chiedeva se, dopo aver scelto di ricominciare, una parte di Irene si fosse chiusa per sempre, involontariamente magari, solo per la paura inconscia di sentirsi ancora giudicata. Ecco, era proprio quello che Rocco non voleva.  

Si premette le labbra tra loro, un po’ in tensione, e, sforzandosi di farla sembrare la conversazione più casuale possibile, le domandò: “Allora me lo dici adesso com’è per te? 

Irene corrugò la fronte, “Cosa? 

Eh, quello che mi stavi dicendo quel giorno...” arrossì Rocco non osando specificare. Certo che se anche lui parlava in codice, la cosa suonava ancor di più come un affare di stato. 

Irene sgranò gli occhi per una frazione di secondo, cosa che non gli sfuggì.  

Ecco. Come volevasi dimostrare, si vergognava ancora. 

Niente, Rocco, che altro c’è da dire? Era una frase e l’ho detta, nient’altro da aggiungere” rispose frettolosamente. 

Rocco storse la bocca, scettico, mentre camminava guardando davanti a sé ma anche buttando di tanto in tanto un occhio su di lei per studiarla: “Mmh, l’altro giorno non mi sembrava... 

Cioè?” chiese, confusa. 

Eh, avevi gli occhi come se volessi aprire un discorso” disse con sicurezza, forte della convinzione di conoscere persino il significato recondito delle pause che la sua fidanzata faceva tra un respiro e l’altro. 

Irene sorrise. “Addirittura?” chiese, sorpresa.  

Facciamo che me lo dici mentre cammini, così non mi guardi in faccia e ti vergogni di meno...? insistette Rocco e gettò uno sguardo su di lei quando si accorse dei suoi occhi stupiti. Scoppiarono a ridere. 

Irene scosse la testa non sapendo da dove cominciare e per il nervosismo affrettò istintivamente il passo – ormai il dolore al piede non era più così forte da rallentarla. 

Deglutì, pensando che certe cose era paradossalmente più facile confessarle con la nebbia dell’eccitazione addosso, che così, a comando. Ma ci provò lo stesso. 

Niente...” esordì, con forzata nonchalance “Rocco, ci credo anche io in Dio, anche se pensi che sono una scomunicata” e lo fece ridere di gusto “al catechismo ci sono andata come tutti... Però io, sinceramente, questa cosa non riesco a vederla come un peccato... 

Si girò verso Rocco, quasi timorosamente, forse anche stavolta con l’intenzione di testare la sua reazione.  

La guardò di rimando; aveva un’aria riflessiva ma distesa, e Irene tirò un sospiro di sollievo. 

Ma infatti, Ire’, la Chiesa non è che dice che non si può fare, dice semplicemente che non si può fare prima del matrimonio” commentò lui in un goffo tentativo di rassicurarla (?). 

Irene sorrise dinanzi a quell’ovvietà. “Sì, questo lo so anche io, ma il punto è che non capisco proprio perché dovrebbe essere un peccato. Perché, se una persona lo fa con amore? Che Dio mi perdoni, ma io davvero non lo capisco”.  

Fece una pausa mentre Rocco, ancora più pensieroso, non riuscì a replicare nulla. 

Cioè Rocco,” allora continuò “ci sono certe sere che stiamo così bene che non mi basta darti la buonanotte e aspettare l’indomani per rivederti, vorrei dormire con te, sentirti... ti vorrei completamente, perché ti voglio in tutti i sensi” disse Irene tutto d’un fiato. 

Rocco strinse la presa sulla mano di lei in un gesto incontrollato, poi si schiarì la gola.  

Solo allora Irene si rese conto di quanto avesse osato con quella frase sconclusionata, ma a quel punto era troppo tardi per rimangiarsela. 

Scusa” gli sussurrò lei, mortificata, “quando ho detto ‘non mi basta’ non era per farti pressioni...” esitò, mentre avrebbe voluto accartocciarsi su sé stessa per quanto si sentiva scema. Non aveva fatto altro che assicurargli che la sua intenzione non era mai stata quella di porre delle condizioni alla loro relazione, e ora che faceva? Dimostrava tutto l’opposto con una frase del genere? Ma un po’ meno impulsiva non sapeva esserlo? 

... mi è uscito così, mi hai chiesto tu di parlartene e...” continuò balbettando. 

Ma la testa di Rocco era da tutt’altra parte. “Tranquilla, Ire’” la interruppe lui distrattamente “stavo pensando a quello che hai detto dopo...”  

‘Pensare’ era riduttivo però; anzi, la realtà è che non pensava più molto lucidamente. 

Ah... E...?” trepidava Irene, in attesa del responso. 

‘Ti vorrei completamente, perché ti voglio in tutti i sensi’... 

... Rocco non riusciva a schiodarsi dalla testa quelle paroline, apparentemente così banali, che forse lo avevano colpito proprio perché di una semplicità disarmante.  

In quel momento gli balenò per la testa che aveva sempre visualizzato il sesso - in quella percentuale prossima allo zero che lo conosceva, certo - in maniera quasi asettica, come un concetto sociale astratto, una ‘cosa’ che si può fare o non si può fare, a cui si è autorizzati a pensare o no. 

Quella invece era la prima volta che gli veniva descritto come un’emozione, un calore, un desiderio che ti parte da dentro e che altro non è se non quello di fonderti totalmente con la persona che ami perché ‘non ti basta più’ (ed ecco, ora si rendeva conto che effettivamente non c’erano altre parole per esprimere la cosa, se non quelle usate da Irene) sentirla attraverso i sensi con i quali senti invece... tutti gli altri. 

Rocco...?” insistette Irene. 

Rocco inspirò rumorosamente, ridestandosi “Ehm, scusa, no niente...” balbettò e diede un colpo di tosse “volevo chiederti... e se tu vuoi una persona così, completamente, allora non senti il bisogno di sposarti? Cioè, a quel punto che altro c’è da aspettare? 

Irene sorrise perché effettivamente il sillogismo di Rocco non faceva una piega, ma soprattutto si intenerì perché si ricordò di quei pochi minuti risalenti a mesi addietro, trascorsi in un camerino dove l’aveva trascinata per convincerla che potevano colmare le loro differenze. 

Anche adesso, come allora, lo stava facendo con la semplicità di un bambino e lei e la sua mente contorta, a volte, avevano bisogno proprio di quello. 

Effettivamente quello metterebbe d’accordo tutti, eh?” scherzò lei, guardandolo in volto. 

Eh!” confermò, sorridendole a sua volta. 

La risposta è sì, certo che mi viene in mente, e lo vorrei in futuro, sposarmi intendo” disse non alzando lo sguardo mentre con la coda dell’occhio sentiva Rocco girarsi subito verso di lei “mmh... però ecco, per spiegartelo in maniera semplice, se rimarrò vergine fino al matrimonio, diciamo che non sarà per volontà mia, tutto qua”. 

Calò il silenzio per alcuni secondi durante i quali Rocco era tornato a riflettere a testa bassa e lei fingeva tranquillità ma in realtà si sentiva il cuore come un tamburo, nel timore che Rocco non stesse replicando nulla solo perché troppo sconvolto. 

Ci... sei?” poi gli chiese. 

Rocco si voltò verso di lei dopo un attimo di esitazione, aveva lo sguardo ancora pieno di interrogativi propri, che tuttavia non sembrava voler toccare quella sera, dato il suo sguardo sereno. 

Le sorrise teneramente prima di rispondergli con una domanda retorica “Lo sai che sei DAVVERO coraggiosa, Ire’? 

Dove quel ‘davvero’ non voleva significare ‘tanto’, bensì ‘lo sei per davvero’. 

Mmh 

Irene scoppiò a ridere: “Traduzione: ‘quando lo disse ieri il signor Armando che sei coraggiosa ci credevo e non ci credevo, mentre adesso ci credo davvero’?” lo prese in giro cercando di interpretare i suoi pensieri. 

Rocco scoppiò a ridere a sua volta. 

E NON NEGHI NEMMENO, ma grazie!!!” lo stuzzicò ancora Irene. 

No ma senti qua...!” esclamò lui richiamandola all’ordine, mentre ancora continuavano a ridere come due cretini. “Seriamente...” ripeté lui, ancora con le lacrime agli occhi. 

Eh... ti ascolto” confermò lei mentre si asciugava una lacrima. 

Ti ricordi quando è venuta quella signora americana che voleva per forza quel vestito della nuova collezione?” si accinse a spiegarle, dopo essersi calmato. 

Irene spalancò gli occhi mentre cercava di fare appello alla propria memoria:  

Ah, sì!....” per poi strizzarli “Come ti è venuta in mente questa cosa adesso, di grazia?! 

Eh...” rispose lui, un po’ languidamente “mi ricordo che quel vestito non potevi neanche venderlo perché dovevamo aspettare ancora una settimana per mettere in esposizione quella collezione, però volevi far contenta la signora, pure perché veniva da tanto lontano...”. 

“Sì...?” disse Irene non capendo ancora dove volesse arrivare, mentre si avvicinavano al loro edificio e Irene si sfilava le chiavi del portone dalla giacca. 

“E niente, questo per dirti che è facile obbedire.... come si dice” e scrocchiò le dita perché non gli veniva la parola “ciecamente, sì, ciecamente, ... ma tu sei andata contro a una regola che per te non aveva senso e penso che, per rischiare così,” fece spallucce “ci vuole tanto coraggio”. 

E la guardò insistentemente negli occhi, prima di farle una carezza sulla guancia. 

Lei, dal canto suo, non sapeva in che lingua tradurre a parole la propria gratitudine per quella che poteva sembrare una banalità, ma che per lei non lo era, ossia quel singolare modo che aveva avuto di descrivere il suo apprezzamento per lei. Anche se in pochi se ne rendevano conto, Rocco aveva uno spirito osservatore, arguto, e ora più che mai era certa che meritasse tutta la fiducia da lei riposta tanto tempo addietro. 

Si erano scambiati più dichiarazioni significative dopo un litigio di quella portata che nei mesi precedenti di pace assieme. E se avesse avuto la certezza che ogni eventuale scontro futuro avesse portato sempre a un frutto migliore, sarebbe stata disposta a sopportare altri giorni come quelli senza esitazioni. Giorni in cui si era sentita mutilata, è vero, ma ne era valsa la pena perché quell’accresciuta certezza di riuscire a superare l’impossibile era impagabile. 

E cosa ho rischiato stavolta secondo te?” poi lo stuzzicò, mascherando sapientemente le proprie emozioni “La dannazione eterna? 

Shh, non dire queste cose brutte” reagì immediatamente adagiandole un dito sulla bocca. “No, hai rischiato che succedesse quello che infatti è successo, cioè che sugnu un cretino e vabbè, niente...” rettificò il senso della frase in corso d’opera, in una vena di sfiducia in sé stesso, “alla fine se mi avessi perso, sarebbe stato pure meglio per te”. 

Questo. NO. - pensò Irene. 

Ma sì...” disse Irene con disinvoltura “in fondo molto meglio i tempi in cui i rampolli come Guarnieri mi salvavano la giornata come si fa con una donzella in pericolo” lo provocò, riferendosi proprio all’episodio da lui menzionato in cui era stato Riccardo Guarnieri a difenderla dalle intenzioni catastrofiche della Molinari. 

La gelosia colse Rocco tanto velocemente quanto avrebbe fatto una reazione allergica. 

Serrò istintivamente la mascella e si fece subito serio in volto.  

Ah sì?” quindi chiese, impennando la voce più del dovuto. 

E fu un attimo.  

Irene partì a razzo per salire in fretta i gradini che li separavano dal portone, dando così a Rocco il segnale implicito di volerlo sfidare in una gara. 

Rocco, preso alla sprovvista, iniziò a correrle dietro con un leggero svantaggio, cosa che le diede il tempo di aprire il portone e iniziare a macinare gradini prima di lui. 

Per un pelo riuscì a soffocare l’istinto naturale di gridare, tipico di quando si è rincorsi. Nonostante l’adrenalina addosso, era infatti perfettamente cosciente che già con i tonfi sordi delle loro scarpe su per le scale avrebbero potuto facilmente svegliare i vicini. 

Con enorme affanno, riuscì finalmente ad arrivare al loro piano e a toccare prima di lui il muro che separava le porte dei loro rispettivi appartamenti, a cui si appoggiò di schiena, sfinita, per riprendere fiato. 

Rocco aveva in mente un altro tipo di gara, però. 

Prima che Irene potesse rendersi conto che lui stava raggiungendo il suo viso, gli sussurrò “ho vinto i...”, ma non fece nemmeno in tempo a finire la frase che si ritrovò le labbra di Rocco sulle proprie e le sue mani sui fianchi. 

La dolce disperazione con cui la cinse era così vibrante che si sentì quasi sollevare da terra, e forse era solo una semplice impressione, ma non importava. Le piaceva così. 

Quando le loro lingue si sfiorarono, d’istinto la presa di lui sul corpo di Irene si fece più intensa. E prima che le mani di lei potessero rispondere con la stessa veemenza, come ogni volta che stava per perdere il controllo durante un bacio, lui si scostò e le chiese, fiero: 

Pure ora ti mancano i rampolli come Guarnieri?” e rimarcò quella parola che aveva sentito per la prima volta quella sera da lei e di cui aveva, per forza di cose, intuito subito il significato. 

Lei ignorò quella domanda come se lui non l’avesse mai fatta.  

Perché quel dubbio non aveva nemmeno motivo di esistere, e sotto sotto lo sapeva anche lui.  

Così ti voglio... sicuro di te” gli mormorò spostandogli un ciuffo, per fargli sapere che era esattamente quello l’effetto che voleva sortire. 

Gli occhi di Rocco, ancora luccicanti per quel gesto inatteso prima di tutto per lui che ne era stato l’artefice, si permearono di un desiderio... nuovo, in cui Irene non riconobbe più le caratteristiche striature di pudore, bensì una venatura senza remore.  

Vederlo così, e oltretutto stranamente incurante del luogo in cui si trovavano, le provocò un senso di vertigine. 

Così, quando le si avvicinò di nuovo, intenzionato a ripetere, lei gli toccò le labbra per fermarlo... a malincuore. “Non so se ti sei accorto che siamo sul pianerottolo” gli comunicò, sorridendo. 

E vabbè...” fu l’unica risposta sconnessa che la sua mente annebbiata riuscì a produrre in quel momento, mentre nel frattempo non riusciva a smettere di fissarle le labbra schiuse... 

 

Vi prego, ditemi che quello è un bacio e che non vi state picchiando” fu l’intervento che li interruppe, delicato come una secchiata d’acqua gelata in qualsiasi stagione, di una certa persona che si affacciò alla porta con atteggiamento implorante. 

Buonasera pure a te, Stefa’” esclamò Rocco fingendosi scocciato, e ormai di nuovo lucidissimo dopo che era bruscamente sfumato l’incantesimo degli attimi subito precedenti. 

Irene alzò un sopracciglio verso la coinquilina “Sei diventata come le pettegole che spiano i passanti dalle tendine di casa” commentò con voce neutrale, come fossero già nel bel mezzo di una conversazione. 

Stefania serrò i denti tra loro, nella sua tipica espressione disgustata. “E io che pensavo che fare pace con Rocco ti avrebbe fatta tornare com’eri prima, ovvero un po’... meno insopportabile”. 

Grazie” disse Irene con gli occhi piccoli “praticamente alterno momenti di schifo a momenti di schifo un po’ meno schifoso”. 

Esattamente” disse Stefania con aria spavalda. 

Poi Irene cambiò totalmente espressione, perché era arrivato il momento delle coccole, e tra loro ce n’era sempre uno durante la giornata. 

Al massimo uno, poi basta.  

Sono stata parecchio odiosa?” le chiese – retoricamente, perché la risposta era ovviamente ‘sì’ – protrudendo la labbra come una bimba dispiaciuta e avvicinandosi a lei. 

Stefania si mise a braccia conserte, fingendo di rifletterci su, poi alzò un braccio, quindi alzò anche l’altro e li tenne in posizione parallela tra loro “Un pochino...” rispose con una vocina innocente. 

NO!” rettificò Irene “pochino COSÌ” tenendo pollice e indice vicinissimi tra loro. 

Poi Stefania protestò di nuovo, certo, ma in maniera del tutto inutile perché Irene già l’aveva avvinghiata alla vita, fingendo di addentarle il collo, per poi schioccarle un bacio che la fece ridere rumorosamente. 

Piaaaaaaano, che mò svegliate tutto il condominio!” fu il rimprovero divertito di Rocco mentre si godeva quella scenetta, al pari di tutte quelle che ricorrevano con cadenza quasi quotidiana tra le due. 

Al ché, Irene e Stefania guardarono Rocco e spalancarono gli occhi, spaventate dalla stessa eventualità, e abbassarono il tono di quelle risa. 

Abbiamo fame, dimmi che c’è ancora un po’ di formaggio” le chiese poi Irene in tono di supplica. 

Meglio, c’è il gelato!” rispose Stefania, inorgoglita dalla brillante idea che aveva avuto di acquistare il gelato in pieno inverno. 

Poi la ragazza sgranò gli occhi dinanzi a un grido soffocato di esultanza che si scambiarono Rocco e Irene.  

Noooo, Stefa’, vabbè... mettiti l’anima in pace che sto gelato stasera finisce!” fu la semplice ‘comunicazione’ di Rocco. 

Domani te lo ricompriamooo...” gridò Irene che nel frattempo era già scomparsa dalla vista per entrare in appartamento a prendere: gelato, due cucchiaiNI e la loro coperta, approfittando anche di liberarsi del cappotto ma soprattutto dei tacchi che, dopo quella lunga giornata, le avevano ridotto i piedi in poltiglia. 

Quando poi si riavvicinò alla porta per tornare fuori, li sentì bisbigliare e le parve di decifrare un ‘Grazie per oggi’ sussurrato di Rocco a Stefania, ma non era sicura di aver capito bene. 

Si può sapere che state confabulando?” chiese Irene guardando prima l’una e poi l’altro. 

Rocco fece un gesto sbrigativo della mano “Lei sa” rispose con un sorriso furbo. 

Mentre Stefania le rispose con un occhiolino. 

Di nuovo, Irene se li rimirò entrambi e, sollevando le sopracciglia, commentò: “Un’associazione a delinquere desta meno sospetti di voi”. 

Stefania ignorò la drammaticità e rinnovò l’invito che faceva di consueto ai due fidanzati, “Ma entrate dentro, morite di freddo qua fuori, io tanto vado al letto! 

NO! Ci sediamo qui! Vai a dormire!” fu la risposta prevedibile di Irene. 

Rocco guardò Stefania mentre Irene le passava davanti e alzò una mano per minimizzare le risposte fintamente burbere della fidanzata “Lascia sta’ Stefa’, che stasera sta su di giri”. 

AH, IO?” lo penetrò Irene con lo sguardo per ricordargli il suo ‘spirito di iniziativa’ – a voler usare parole innocenti – di qualche minuto prima. 

Rocco abbassò il capo e poi sorrise, consapevole.  

Stefania, che da quella brevissima interazione già aveva percepito un’elettricità strana nell’aria, tagliò corto: “Vabèèèèè... buonanotte a voi, a domani!” seguita da loro che la ringraziarono e si congedarono da lei. 

 

Rocco si sedette prima di lei sui primi gradini della rampa, quindi si portò subito le ginocchia al petto in un inconsapevole gesto di riserbo.  

Ben presto si accorse di quanto fosse sciocco quell’atteggiamento, dato che era bastato uno sguardo per tradirsi con Irene.  

Proprio come quella mattina aveva previsto, o per meglio dire sperato, un'altra zavorra immaginaria si era disincagliata dalle sue caviglie e trovò singolare che quella svolta non fosse dovuta ad alcun avvenimento particolarmente eclatante.  

In fondo, cos’era successo?  

Rocco non aveva cambiato idea sulla propria illibatezza, né le aveva promesso in alcun modo che sarebbe mai successo in futuro; e Irene, a sua volta, si era mostrata giustamente impenitente quanto alle proprie idee... 

 

Aiutami” la voce di Irene lo distolse dai suoi pensieri e Rocco alzò lo sguardo verso di lei, che era ancora in piedi. 

Labbro inferiore tra i denti, tutta intenta a non far cadere per terra la coperta che aveva indosso a mo’ di scialle, mentre nel frattempo metteva un piede dietro l’altro per cercare posto affianco a lui sui gradini, ma lentamente, dato che era scalza e le collant sul marmo delle scale potevano farla scivolare.  

E lo sapeva pure, l’incosciente, pensò Rocco sorridendo fra sé.  

Mano sinistra a reggere la vaschetta di gelato per aria, quasi come fosse un trofeo – e lo era davvero, perché di lì a poco se lo sarebbero conteso come due bambini – mentre con l’altra mano, quella in cui teneva i due cucchiaini, si tirava su la gonna perché non le si strappasse la divisa attillata mentre si sedeva. 

In quella sequenza di movimenti le ricadde un ciuffo sulla fronte, a completare lo spettacolo, e Rocco trattenne il respiro. 

Mai in vita sua una scena così ordinaria e apparentemente sgraziata gli era sembrata così intensamente femminile. 

Le sfilò cucchiaini e vaschetta dalle mani perché non perdesse l’equilibrio, quindi stese le gambe giù per le scale e, picchiettandosi la coscia, le fece segno di adagiarvi sopra le sue. 

Al primo boccone di gelato Irene rabbrividì, nonostante si fosse avvolta per bene la coperta attorno al busto. Era stata troppo ottimista nel credere che non le avrebbe provocato quell’effetto, date le basse temperature di stagione. 

A Rocco non sfuggì quel tremore incontrollato e sorrise teneramente. “Chiattidda, c’hai i brividi? 

Irene si girò di scatto verso di lui, scioccata dalla realizzazione che la scena da lei immaginata quella mattina le si era materializzata davanti. Rocco, dal canto suo, era più sconcertato di lei quando Irene gli spiegò a cos’era dovuta la commozione che seguì quel déjà vu. 

 

Proprio quelle piccole grandi conferme lo riportarono alle riflessioni di poco prima: 

In fondo cos’era successo quella sera? Nulla di eclatante. 

Lei non era cambiata per lui e lui non era cambiato per lei. 

Ma era proprio quello il vero miracolo: amarsi ancora senza aver perso sé stessi. 

 

 

   
 
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