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Autore: elenatmnt    09/12/2021    6 recensioni
"Non ho saputo ricambiare l'attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Tutti si sono mobilitati a fare qualcosa per rendermi felice, per distrarsi dal peso che gravava nel loro cuore, un macigno più grosso dei loro gusci pesava sulle loro spalle. Questa era l’unica cosa che mi faceva stare male, per il resto ero sereno.
Io non ho fatto nulla ovviamente, diciamo che ho avuto modo di avere un po’ di tempo in privato con ognuno di loro, un modo adeguato per… per salutarsi.
Il genio era nel suo laboratorio, entrando potevo vedere solo le sue gambe, il resto del corpo era conficcato in un enorme scatolone, evidentemente qualsiasi cosa cercasse era situato in fondo. Tiratosi su, era avvolto come una matassa da un’infinita lunghezza di filo con le lucine colorate.
“Vedi che con quelle devi addobbare l’albero e la casa, non te stesso” lo presi in giro come sempre.
“Oh Raph, sei qui! Credo che la prossima volta dividerò tutto in scatole più piccole!” si fece cupo in viso, ci sfiorò lo stesso pensiero. ‘La prossima volta’ non ci sarei stato.
Il genio non me la raccontava giusta, mi nascondeva qualcosa, si sforzava con tutte le sue forze di fare il disinvolto, sotto questo aspetto era un pessimo attore. Era ovvio che stava male per la mia scelta, tuttavia c’era dell’altro di cui non faceva parola.
Si liberò dai fili e a stento mi guardava in faccia, non potevo lasciarlo in balia di sé stesso, ero lì per assicurarmi che tutto sarebbe andato bene, o se non bene, nel miglior modo possibile.
“Don?” il viola stava trattenendo il respiro, tremava un po’ e i suoi occhi dicevano più di mille parole.
“mmm?” fu la sua laconica riposta.
“Donatello, se vuoi dirmi qualcosa, qualsiasi cosa, puoi farlo…”.
Non ha fiatato.
“Don ti prego, so che è difficile, ma…”.
“Difficile? Tu parli a me di difficile? Proprio tu?”, è andato in collera in una frazione di secondo, sentimenti repressi da molto tempo venivano a galla. “Tu hai idea di cosa significhi vedere il proprio fratello deperire giorno dopo giorno e soffocare nell’impotenza di non poter fare proprio niente? Tutta l’intelligenza che tanto vanto, non è servita ad un accidente! Ho studiato giorno e notte nuove tecniche mediche, progressi scientifici, tecniche orientali, miracoli, santoni, elisir… magia persino. Tutto per niente di niente! Non ti ho potuto aiutare e ora mi chiedi addirittura di ucciderti? Si caro mio! Omicidio, anzi fratricidio. Perché chi pensi che lo farà? Io sono il ‘dottore’ di casa e se mi rifiuto sarò considerato codardo oltre che spregevole fratello egoista. Cazzo Raph, non è giusto”.
Aveva sputato tutto il suo veleno, ne aveva accumulato a iosa. Se torno indietro con la mente, comprendo solo adesso che lui era l’unico che non abbia avuto modo di sfogarsi, la maggior parte del tempo l’ha dedicata a me e il resto, beh credo sempre a me, visto che ha provato a cercare una cura che non esiste.
“Don, mi dispiace…” il senso di colpa era tremendo, tutto questo dolore solo ed esclusivamente per causa mia.
“No Raffaello, a me dispiace”, fece una pausa sospirando, titubante se continuare o meno, ma ormai era in ballo. “Se quella sera non mi fossi fermato a salvare quella ragazza, tutto questo non sarebbe successo… io, insomma… è stata solo colpa mia. Io ti ho fatto questo”, crollò sulle mie ginocchia disperandosi per ciò che era stato e su ciò che doveva accadere, che lui doveva fare.
“Nerd, laggiù sei troppo distante, perché non mi abbracci come si deve?!” Non ho avuto il tempo di finire la frase che già cingeva le sue braccia attorno alle mie, povero fratellino, deve essersi sentito completamente solo per tutto questo tempo.
“Voglio che sia chiaro una volta per tutte, e devi sentirlo dalle mie labbra: non è colpa tua. Io ho scelto di inseguire quel teppista e nessuno poteva sapere come sarebbe andata” sentivo gli occhi riempirsi dell’infima rugiada lacrimale. “Ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto per me, non solo ora, ma in tutta la mia vita. Non ho saputo ricambiare l’attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero e il genio che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e per sempre lo sarò”.
Bramavo di poterlo stringere, di muovere le mie braccia un’ultima volta solo per fargli sentire quanto gli volessi bene, l’affetto non era cosa mia, cioè sì, ma non lo dimostravo, tendevo a celare i sentimentalismi. Al diavolo, volevo abbracciare Donnie.
“E io sono fortunato ad avere un fratello come te, sei il migliore del mondo Raph, fa così male tutto questo”.
“Lo so, ma so anche che hai la forza di affrontarlo a testa alta”.
“Lo farò per te Raph”
“Lo devi fare per te stesso”.
“Ti voglio bene aniki” *
“Ti voglio bene anch’io otouto”. *
Nell’intimità di quel momento mi sentii in dovere di risolvere un’ultima questione “Don? C’è una cosa che ho notato in questo ultimo periodo e…” mi interruppe.
“Non c’è bisogno che continui, ho capito e voglio dirti che ho smesso. Giuro. Non è semplice ma ci sto mettendo tutta la buona volontà, inoltre ne ho parlato anche con Splinter, così mi assicurerò di avere un giusto supporto nel mio percorso di disintossicazione”, fu calmo e consapevole mentre mi confermava ciò che sospettavo da tempo. “E prometto che ne parlerò anche con Leo e Mikey”.
Non potevo ricevere notizia migliore, era sincero. Glielo leggevo in faccia.
Un momento nostro, solo nostro, il genietto aveva trovato la vera forza di reagire, sapevo dentro di me che se la sarebbe cavata e che non si sarebbe lasciato abbattere da niente, sarebbe stato saldo come una montagna. Ne ero certo.
“Raffaello…” continuò tornando all’argomento che lo ha fatto esplodere “…sarò io a farlo, senza timori e senza rimorsi. Posso farlo”, dopo mesi, il volto di Donatello era tornato sereno, mi guardava sicuro di sé, abbracciava il destino con coraggio e onore. Quello era mio fratello, quello era Donatello.

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 L’inconfondibile profumo di bontà irradiava tutta la casa, Michelangelo in cucina si stava dando un bel da fare, immaginate una fragranza mista di pane caldo, arrosto e qualche tipo di biscotti che si doravano in forno, le mie papille gustative cantavano inni di gioia.
“Al posto tuo valuterei seriamente di fare il cuoco, se rinunciassi mai alla carriera di ninja” ero sulla soglia della porta da cinque minuti, il mio fratellino non si era accorto di me, la sua concentrazione era solo su tutto quel ben di Dio, infatti sobbalzò.
“Aaaahhhh!! Accipicchia Raph! Mi hai fatto prendere un colpo!” strillò come una femminuccia, le urla di Mikey sono sempre state motivo di scherno, il suono stridulo ricordava quello di una ragazza.
“Allora che prepari di buono?”, ero irrimediabilmente curioso.
Tirò sul col naso prima di rispondere, stava piangendo ma fece di tutto per tentare di nasconderlo, purtroppo per lui era già tardi “un po’ di tutto, ci sarà da scoppiare, preparati!” rispose sorridendo.
“Sono già pronto!” gli sorrisi di rimando, puntando la mia attenzione su qualcosa di squisito tenuto da parte sul tavolo di Frankenstein.
Il povero piano da lavoro era un disastro di farina, uova, zucchero e una serie di altri cibi e sughi schizzati come un da una lama di un serial killer. Tolto il disastro, il resto era perfetto.
“È crema quella che vedo laggiù?” chiesi con un ghignando beffardo.
“Sì, ma non puoi averla!” disse in falso tono infastidito.
“Perché no? Solo un assaggio, sai, per accertarmi che sia… ecco… al punto giusto” si convinse abbastanza in fretta, non me lo avrebbe negato.
“Ok, ma solo un cucchiaino” si raccomandò, premessa stupida dal momento in cui fu proprio lui ad infrangere la regola. Mi imboccò con un primo cucchiaino, fu un viaggio gastronomico, seriamente, nessuno batte mio fratello in cucina.
“Caspita Mikey, ti sei superato” mi complimentai, se lo meritava.
“Dici sul serio?” se fosse stato un’emoticon gli occhi celesti del mio otouto sarebbero stati sormontati da due stelline. In breve, di crema non ne avanzò molta, la finimmo cucchiaiata dopo cucchiaiata, solitamente non mi sarebbe stato concesso… bhe sapete, le cose cambiano.
“Raph, posso confessarti un segreto? Però promettimi di non ridere e di non arrabbiarti” mi disse titubante.
“È un tantino contradditorio non credi?”.
“Me lo prometti?”.
“Sì, certo. Allora, cos’hai combinato?”.
Si passò una mano dietro alla testa, improvvisamente imbarazzato e il rosso si faceva strada nelle sue gote verdi, stava prendendo tempo per trovare le parole giuste da dire. Fece un respiro profondo per sopportare il peso della grande rivelazione, la scoperta del Santo Graal, l’isola perduta di Atlantide. Sputò tutto d’un fiato.
“Ho visto una ragazza nuda!” si torturava le dita per la tensione. Più che scioccarmi mi incuriosì.
“Ah sì? Dove? Chi?” volevo saperne di più, era strano e buffo e insolito parlare di certe cose, specialmente con lui, il piccolo di casa.
“Ho una rivista con le ragazze nude. L’ho trovata per caso e, insomma, l’ho sfogliata e ho guardato… E poi l’ho nascosta e ogni tanto me la riguardo”.
Lo so che avevo promesso di non ridere, avrei dovuto sentirmi in colpa per aver infranto la mia promessa, ma la risata uscì contro la mia volontà. Non ridevo così di gusto da tanto tempo, un momento idilliaco, impossibile fermarsi. Avevo dolori alla gola, nonostante quello continuai a ridere.
In un primo momento Mikey ci rimase male, poi mi guardò sconcertato, ma alla fine rise anche lui.
“Mikey sei uno spasso! Era questo il tuo grande segreto? Non ci posso credere”
“Beh si, insomma, si.”
“E perché avrei dovuto arrabbiarmi?”
“Perché è vietato, credo. Non lo è?” appariva come un bambino, ingenuo, innocente, ma non stupido.
“Magari non dirlo a nostro padre, sarebbe imbarazzante! Comunque no, non c’è nulla di male. Anzi se ne vuoi altre, sfila via l’ultimo cassetto del mio comodino e sotto ne troverai altre. Sono tue, però condividile anche con Don e Leo” tornai a ridere.
“Raph, sei impossibile e io che credevo di far qualcosa di male. Che scemo sono!”
“Lo so, l’ho sempre detto che sei una testa di legno”.
“E tu una testa calda”.
Ci godemmo ancora per un po’ quei sani istanti di condivisioni e confessioni, ancora ridemmo e ci scambiammo qualche sogno proibito. Non nascondo che un po’ di imbarazzo ci avvolse, ad ogni modo fu piacevole quel momento fraterno così naturale, così vero.
L’atmosfera euforica passò per lasciare spazio ad un momento più spassionato, Mickey prese una sedia e mi si sedette di fonte, le nostre ginocchia si toccavano, combaciavano le mie con le sue e mi strinse una mano nella sua. Decise di non sedersi a terra e nemmeno di restare in piedi, il suo intento era avere un ‘faccia a faccia’ con me, guardarmi negli occhi né dal basso né dall’alto, voleva pareggiare le distanze.
“Raph, non sono bravo con le parole, parlo sempre a sproposito dicendo cavolate…”
“Questo lo so!” entrambi sorridemmo alla mia ironia, poi continuò sincero.
“Ecco, quello che voglio dire è… Mi mancherai fratello, mi mancherai tantissimo” era cambiato, cresciuto, maturo, non più l’innocente bambino che mi lanciava palloncini d’acqua, o che si infilava sotto le mie coperte dopo aver avuto un incubo, o che frignava per una stupidaggine. Quell’ex bambino stava diventando un giovane adulto. Michelangelo aveva maturato un tale autocontrollo da fare invidia a Leo.
I suoi occhi celesti, luminosi e commossi per il nostro momento di confessioni mi trasmettevano pace; quella non era malinconia era serenità.
“Mickey, non so se esiste un aldilà, non ho mai creduto in una vita dopo la morte. Ora, però, voglio credere che esista, forse lo faccio per bisogno, per la voglia di speranza, non so.  E francamente non mi importa molto… Mi importa solo di una cosa, di voi. Se mi sarà concesso un paradiso, io vi porterò nel mio cuore fino a lì. Qualsiasi cosa sarà di me, noi staremo sempre insieme”.
Lacrime? No nemmeno una.
Appena un leggero sorriso, qualche complice sguardo e non poteva mancare il suo dolce abbraccio, questo aspetto di sé non lo aveva cambiato. Lui, il più incline al contatto fisico, colui che si stringeva ancora i peluche.
“Mikey?” captai qualcosa di sospettoso.
“Dimmi” mi rispose senza staccarsi da me.
“Credo che qualcosa stia bruciando!”
“Accidenti hai ragione!” annusò l’intenso odore di bruciato che sostituì gli inebrianti profumi culinari.
Sobbalzò correndo verso i fornelli, saltellava come una rana avanti e indietro per rimediare al pasticcio; nonostante l’esperienza dell’ultimo periodo lo abbia cambiato in un ragazzo più adulto, per me lui rimarrà sempre il mio piccolo Michelangelo.

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L’arbusto di qualche strana pianta o albero o cespuglio era stata accuratamente potata a forma di cono per camuffarlo in un abete. Era stato posto al lato del salone principale, da quell’angolazione avrebbe illuminato da solo gran parte della stanza. Non era così male. La precisione di Leonardo anche nell’addobbare ‘l’abete’ era nauseante, è sempre stato il perfettino, in tutto. Splinter Junior era il secondo appellativo che preferivo dopo Senzapaura.
Michelangelo si sarebbe prodigato ad addobbarlo con accozzaglie di oggetti anche non inerenti al Natale, pur di riempirlo. Ricordo che una volta, quando eravamo piccoli, ci ha appeso anche le forchette in assenza di veri e propri addobbi.
Leonardo al contrario, scrutava anche i centimetri di distanza tra una pallina e l’altra, assicurandosi di non mettere vicine due dello stesso colore.
“Raph!” il leader in blu, mi distolse dai pensieri, scorgendo la mia presenza, “che te ne pare fratello? Ti piace?”.
“Triste verità o fantastica bugia?” ecco il mio sarcasmo che mi pizzicava le labbra.
“Dai Raffaello, non può essere così male… cioè, beh, sì insomma è carino, no?!” si posizionò a distanza dall’albero per osservarlo da lontano, come un pittore che prendeva le misure della prospettiva.
“Se lo dici tu!” ero tornato ad essere piacevolmente maligno, mi mancava questo aspetto pungente del mio essere.
“Non sai apprezzare l’arte!” borbottando, ripose gli ultimi oggetti avanzati nella scatola, in generale aveva fatto un discreto lavoro.
Lo guardavo un po’ abbattuto nel vederlo così dimagrito, non che fosse mai stato grosso o muscoloso come me, penso che tra tutti, avesse sviluppato il fisico migliore, era perfetto. E ora invece, faceva a gara con Donnie a chi fosse più smilzo.
“Ehi Senzapaura! Dovresti mettere su un po’ di ciccia, altrimenti le ragazze scappano. Non sai che i ragazzi rinsecchiti non piacciono a nessuno?”.
“Ti ricordo che sono una tartaruga, non credo rimorchierei comunque”.
“Come ti pare Leo, ad ogni modo, così fai schifo!” la seconda freccia pungente era scoccata.
Ovviamente sorrise e scosse la testa, come a farmi capire che non ero cambiato affatto, poi si voltò per riporre la scatola sotto un mobile “Raph… tu…” Leo era di spalle, il suo tono aveva smesso di essere allegro, ma non era triste, era forse curiosità? Incertezza? Si voltò e dopo aver preso una boccata d’aria a riempirgli i polmoni continuò la sua balbettante domanda “Raffaello… non hai… paura?”.
Aveva toccato un tasto dolente, come potevo parlargli di paura?
Io non ho mai avuto paura.
Ok, lo so, mento a me stesso, certo che conoscevo la paura, ad ogni modo la maschera del duro mi calzava meglio di quella del fifone. Il mio carattere focoso e permaloso mi proibiva di svelare la paura, eppure l’ho provata tante di quelle volte, anche in quell’esatto momento.
“Cosa vuoi che ti risponda?” dove voleva andare a parare? Cercavo di leggere nei suoi occhi color del cielo notturno.
“Semplicemente la verità. Sì o no?”.
E verità sia.
“Cavoli Leo, certo che ho paura!” l’avevo fatto. Mi ero messo a nudo ancora una volta.
“E allora dove trovi il coraggio?”, il suo sguardo profondo e intenso mi guardava desideroso di conoscere quella risposta, come se tutta la sua esistenza dipendesse dalle mie successive parole. Non le scavai nei meandri dell’anima, non le scelsi con cura, non cercai parole forbite per enfatizzare l’attimo; no, nulla di tutto questo. Dissi solo la verità.
“Lo trovo perché ho deciso”.
Lo spiazzai. Peggio di quando in una delle nostre famose liti, finite in scazzottate, si rendeva conto che ero io ad aver ragione.
Si zittì. La situazione si protrasse per qualche minuto. Ne ebbi abbastanza. Mentre stavo per sbottare come ero solito fare in un passato che ormai era diventato un ricordo sbiadito, lui bisbigliò qualcosa “come faccio?”.
La domanda mi uscì spontanea “a fare cosa?”.
Si gettò verso di me e afferrò le mie spalle “come faccio senza di te?” sarebbe stato un urlo rabbioso, fortunatamente si limitò a sibilare tra i denti.
Dire che mi sentii aprire la terra sotto i piedi è un eufemismo.
“Tu sei la mia forza Raph, io sono un buon leader solo perché ci sei tu a spronarmi. Senza di te io non sono niente”. Le sue parole mi avevano toccato il cuore, era così vicino che mi rispecchiavo nei suoi due zaffiri supplicanti; a quel punto era chiaro che non solo gli sarei mancato, ma mi stava dimostrando che aveva bisogno di me, ha sempre avuto bisogno di me… e io di lui.
“Ti voglio bene Raph, non puoi farmi questo, non puoi. Quante cose ti vorrei dire, quante ne vorrei fare con te. Cazzo, mi devi insegnare ad andare in moto! La odio, non mi piace eppure voglio imparare! Mi insegnerai giusto? Dimmi che lo farai”. Mi scuoteva stringendomi le spalle, qualcosa scricchiolò, la sua stretta mi faceva male ma ignorai il dolore. Si stava ingannando, si stava illudendo.
Avrei solo fatto cenno di no, purtroppo il mio corpo mi negava quel lieve movimento e dovetti parlare o sarebbe più corretto dire sussurrare, il suono della mia voce si rifiutava di risalire su per la mia gola. Mi rifiutai di cedere, il mio impavido fratellone aveva bisogno di me un’ultima volta.
“No Leo, non ti insegnerò ad andare in moto. Né ora né mai”.
Il dolore ci fa perdere la cognizione di noi stessi, la sua freddezza si era sciolta come neve al sole, il suo orgoglio si era spezzato come un ramoscello rinsecchito, la maturità si era mutata in avventatezza.
Strinse gli occhi e represse un grido, il suo viso era deturpato dalla verità che già conosceva, si limitò ad appoggiare la sua fronte alla mia, ognuno respirava il fiato dell’altro. Io lo guardavo, non lo persi di vista un istante.
“Leo, non hai bisogno di dirmi nulla. Quello che ci dovevamo dire ce lo siamo detti tutta la vita, non è necessario aggiungere altro. Imparare a guidare la moto? Lo farai. Lo farai con Mikey e Donnie; tante altre cose farete insieme. E io… io sarò sempre con voi, vivrò nei vostri ricordi. Portatemi con voi, nel vostro cuore, e io ci sarò. Ma adesso lascia che io vada, ti prego”.
Rimase ancora fermo, il suo respiro si calmava di secondo in secondo finché ebbe la forza di riaprire gli occhi, sembrava un bambino.
“Io sarò con te fino alla fine, fratello!” fu l’unica cosa che disse prima di abbracciarmi. Il leader sarebbe tornato tale e più forte di prima, col tempo sarebbe diventato il più forte guerriero del mondo, sarebbe tornato ad essere il vero Leonardo.

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*Aniki = fratello maggiore
*Otouto = fratello minore

 
 
Note dell’autrice:
Ci stiamo avvicinando alla fine, sto per piangere! No, mi trattengo, le conserverò per l’ultimo capitolo.
Questo capitolo è molto più lungo degli altri, non potevo proprio spezzettarlo XD
Ringrazio tantissimissimo Made of Snow and Dreams e Ciarax che sopportano le mie follie e tutti voi che state seguendo questa storiella strappalacrime. Mi avete perdonata?! Hahhahah!!
Ciaoooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!

 
   
 
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