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Autore: MusicAddicted    11/12/2021    9 recensioni
Il problema, o almeno uno dei problemi principali fra Jessica e Killgrave, è che non si capiscono, non sanno com’è la vita dell’altro/a, non sanno com’è avere il potere dell’altro/a…
E se le cose cambiassero? Se loro cambiassero? Letteralmente!
Una fanfic follissima (?) che parte dall’episodio 1x7 ‘AKA Top Shelf Perverts’ e poi degenera!
Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessica Jones, Kilgrave
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter V: When empathy is the key
 




Killgrave’s POV


Jessica mi fissa basita, la bocca aperta, le mani che lasciano scivolare la presa dal portatile, che rapido raccolgo io prima che cada sul pavimento.

“Hai capito quello che ho detto?” mi accerto.

Non è da lei restare così in silenzio.

“Che cazzo significa che uno di quei bambini sei tu?” ringhia, diffidente.

Il punto è che non so quanti e quali di quei tremendi filmati abbia guardato.

“Di certo non la bambina seviziata, non parli il Cinese… oh, cazzo, ho capito: il bambino che non sorride mai.” si dà da sola la risposta Jessica.

“Nemmeno tu avresti mai sorriso, se ti avessero fatto quello che hanno fatto a me: in quei video avevo sette anni o forse otto, nemmeno lo ricordo.” dico con la voce spezzata, il che suona come una novità: non credo di aver mai visto o sentito Jessica sul punto di piangere, quindi scopro ora come suonerebbe la sua voce.

“Io non…” mormora lei, ma la mia voce spezzata la conosco già da anni.

“Cosa credevi, Jessica? Che io ci fossi nato con quei poteri? Che mi divertissi a privare le persone della propria volontà? Era l’unico modo che avevo per sopravvivere! L’unico tipo di comportamento che ho imparato ad adottare. Non ho mai distinto ciò che è giusto da ciò che è sbagliato perché non c’è mai stato nessuno a insegnarmi la fottutissima differenza!”

Mi rendo conto che sto urlando, mi rendo conto di aver anche usato un linguaggio che solitamente è più congeniale a Jessica.
E mi rendo anche conto di essere troppo scosso da queste emozioni che non avevo previsto e che sto tenendo ancora in mano il mio laptop.

Lo poso sul letto, prima che mi venga l’impulso di spaccarlo e poi sul materasso mi ci corico pure io.

Anche Jessica si avvicina, mi si siede accanto e inaspettatamente mi prende la mano fra le sue.

“Ti va di parlarmene, Killgrave?”

Sono certo di non aver mai usato un tono di voce così dolce e accomodante.
Né di aver mai scorto nei miei occhi una luce che sembra quasi come… empatia.

“Lo hai visto tutto il video?” le chiedo e lei scuote la testa.

“Sono arrivata al punto che stava … stavi completando delle costruzioni, ma non sopportavo più quell’espressione così triste e ho smesso di guardare.” mi informa lei.

“Io allora direi di vederlo tutto come prima cosa…” decido, selezionandolo dalla chiavetta e premendo play.

È una cosa che farà male anche a me, ma è necessaria.

Rivedo e faccio vedere a Jessica come i miei genitori insistevano che io unissi i blocchi nell’ordine corretto, per monitorare i miei miglioramenti con le attività filo motorie.

"Perché ti facevano questo?” mi domanda Jessica, intenta a guardare.

“Probabilmente perché non volevano un figlio normale, ne volevano uno perfetto, a costo di generare un mostro!” replico io, con l’amarezza che si impadronisce del mio tono.

“Quegli scienziati… sono i tuoi genitori?” mi chiede sconvolta lei.

Quante cose non sai di me, Jessi.

“E… ti chiamano Kevin?” mi guarda ancora più confusa.

 

“Killgrave è il nome che mi sono scelto io per la mia rinascita, la mia rivalsa verso il mondo che mi è sempre stato ostile, però sì… quello è… era il mio vero nome. Ma non lo voglio più sentire.” borbotto.
 

“Kevin…” ripete subito Jessica.
 

Conoscendola, direi che lo fa per indispettirmi, poi mi accorgo della sua espressione e capisco che non è così.
 

 “Ma credi che sia questa la tortura, solo perché mi vedi con la testa piena di cavi collegati? Oh, mia cara, non hai ancora visto niente…” mando avanti il filmato.

“Esami neurologici, fluoroscopia, biopsie cerebrali. E il mio preferito, estrazione del fluido cerebrospinale.” commento con finto sarcasmo, quando arriviamo al punto dove mia madre mi tiene fermo e mio padre si avvicina con quell’orribile siringa.

Jessica continua a spostare lo sguardo dal me bambino che urla di dolore al me presente che sta rivivendo quegli atroci momenti, finché poi lo vede, si rende conto dell’esatto momento in cui tutti gli esperimenti a cui mi sottoponevano hanno dato vita a quel mio potere.

Io che impongo ai miei genitori di allontanarsi da me e loro che eseguono, confusi e impauriti, perché non capiscono cosa stia succedendo.

“Tuo padre giocava con te in giardino, il mio mi preparava per il quarto intervento elettivo, che dolce, eh?” commento amaro, stoppando il filmato.

“Questo potere mi è stato imposto. Pensavo che tu potessi capirmi.” prendo con me il laptop ormai chiuso, con la chiavetta ancora inserita ed esco.

Sì, lo so che teoricamente sarebbe camera mia, ma non sopporto quel suo sguardo commiserevole… dai miei stessi occhi poi.
Non credo di aver mai guardato così nessuno.
E comunque io non vado affatto commiserato, men che meno da Jessica.
Mi siedo sul divano e accendo la TV.
Spero che né Alva né Laurent si palesino, perché non sono proprio dell’umore adatto.
È già tanto che il telecomando non mi si sia sgretolato fra le mani.

 


Jessica’s POV

Quasi un fottuto anno insieme a lui e ho sempre avuto l’idea sbagliata.
Non ho capito niente.
Pensavo fosse stato esposto a delle radiazioni, magari cadendo in una cisterna, tutti i super villain nei fumetti cadono in una cisterna!
Oppure avrei anche valutato l’opzione che fosse una persona meschina, assetata di potere e controllo fin da ragazzo, cosa che magari lo aveva portato a che so, crearsi e bersi una pozione che gli permettesse di controllare le menti… e invece scopro che gli scienziati pazzi sono i suoi stessi genitori!
Che facevano del loro figlio un esperimento, giocare a fare dio con una vita umana che loro per primi avrebbero dovuto proteggere.

Certo, questo non giustifica le terribili azioni che Kevin, no, Killgrave, ha commesso, o quelle che potrebbe ancora commettere.
Lui si aspettava che io lo capissi.
Non posso capire un cazzo di serial killer!

E allora perché mi sono alzata, sono uscita dalla sua stanza e mi sto aggirando per i corridoi?
Perché voglio vederci più chiaro in mezzo a tutta questa situazione del cazzo!
Non è in camera mia, anche perché, perché mai sarebbe dovuto andare lì?
Non è in terrazzo, sto per cercarlo in cucina, ma poi lo vedo in salotto, a guardare la televisione, senza nemmeno guardarla davvero.
Ha la mia espressione imbronciata preferita, dev’essere quella che uso quando Trish mi impedisce di bere l’ultimo bicchiere di whisky… o l’ultima bottiglia, dipende dalle sere.

Mi ha visto, ma fa finta di nulla e ha spostato lo sguardo nuovamente sulla TV.
Sento che devo in qualche modo ottenere la sua attenzione.

“Ecco cosa volevi da Reva.” dico casuale, sedendomi non troppo distante da lui.

“Era l’unica prova di come sono diventato me.” torna a rivolgermi la parola lui.

“Quindi nessuno sa che esiste, a parte i tuoi, se sono ancora vivi.” cerco di tornare sull’argomento più cruciale.

Ho un disperato bisogno di capirci qualcosa.

“Forse, erano giovani. Hanno rinunciato a una bella carriera… e al figlio di dieci anni.” mormora lui.

No, un momento, che cazzo significa?

“Mi stai dicendo che i tuoi genitori ti hanno abbandonato quando avevi solo dieci anni?” mi porto le mani al viso per nascondere il mio stupore.
 

Ho nella mente continue immagini di questo povero bambino senza punti di riferimento, costretto a chiedere aiuto a chiunque incontri nell’unico modo che conosce: controllando le menti.
Se da una parte mi terrorizza, dall’altra provo… compassione? Tristezza.
Del resto, era solo un bambino…

“Famiglia amorevole, non trovi? Mi domando perché non abbiano ricevuto il premio ‘Genitori dell’anno’!” si difende lui con la sua arma preferita, dopo il controllo mentale: il sarcasmo.

Oh no, Killgrave, Kevin o come ti chiami, non provare nemmeno a issarlo quel cazzo di muro con me.

“E quindi ti comporti male perché nessuno ti ha mai insegnato a essere buono?” gli domando.

“Spero che tu non ti prenda gioco di me.” mi guarda lui, con aria un po’ scettica.

Nel giro di un attimo le mie mani gli stanno incorniciando il viso perché mi guardi bene negli occhi.

Non c’è bisogno di aggiungere parole, ci stiamo già dicendo un milione di cose così ed è forse per questo che non si sorprende se di lì a poco lo stringo in un abbraccio.
Né tantomeno mi sorprendo io.

“Perché non me lo hai mai detto?” gli chiedo, quando mi separo.

“Cosa?” si acciglia lui, confuso.

“Tutto questo. Quello che ti è capitato. Ho passato mesi con la convinzione di essere stata rapita e abusata in ogni modo da uno psicotico, un prepotente pallone gonfiato che lo ha fatto solo perché poteva farlo, per mettersi in mostra per l’ennesima volta, per sfoggiare il suo potere così forte da soggiogare anche il mio… se invece avessi saputo come stavano le cose…”

“Cosa? Credi davvero che sarebbe stato diverso?” mi interrompe lui e riconosco la mia migliore espressione diffidente nel suo sguardo.

“Non lo sapremo mai, ma forse sarebbe stato diverso. Millanti così tanto di amarmi, beh, l’amore è fatto anche di fiducia, significa che tu non ne hai avuta in me!” gli rinfaccio.

“E tu che ne sai? Perché credi che me ne andassi in giro con quella chiavetta? Non pensi che stessi solo aspettando il momento giusto per dirti tutto? Che probabilmente avevo pianificato che sarebbe stato in questa casa, ma di certo non nel tuo corpo, parlandoti con la tua voce!” sbotta lui.

“Balle, tu non mi avresti mai detto nulla!” lo guardo torva.

“Libera di credere quel che ti pare!” controbatte lui. “Senti, Jessica, è stata una serata piuttosto provante, non so te, ma io vorrei solo andarmene a dormire.” cambia decisamente tono e atteggiamento.

È evidente che sia sopraffatto dalle emozioni.

“Sì hai ragione, e tanto vale che ti lasci il laptop e la chiavetta, visto che sono comunque tuoi. Buonanotte.” bofonchio, tornando nella mia stanza.
 

Mi sdraio sul letto e rifletto su tutte le cazzate che ho commesso una a  una.

Mentre mi confessava quelle cose non ho nemmeno acceso il cellulare per registrarlo e quella era una piena ammissione del possesso dei suoi poteri speciali, a un certo punto parlava anche del fatto che ora lui è nel mio corpo e io nel suo, il che mi avrebbe risolto tutti i problemi.

Gli ho lasciato sia il laptop, sia la chiavetta, potevano essere prove evidenti, beh, più del fatto che esistano esperimenti abominevoli, ma poi in un modo o nell’altro sarei riuscita a dimostrare il collegamento fra lui e quel bambino.

Gli ho dato la buonanotte, così, come se fosse un mio buon amico.. o qualcosa di più, è inammissibile.

Cazzo, ora che ci penso, ho fatto anche di peggio: l’ho abbracciato!

Ora chi cazzo ci riesce a dormire?

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Killgrave’s POV
 

Le confessioni di ieri hanno avuto il loro peso, è stato come dissotterrare un cofanetto pieno di dolorosi ricordi, che infatti hanno finito per popolare i miei incubi.
Stanotte, per un lasso insopportabile di tempo, sono stato di nuovo quel bambino solo, indifeso e impaurito che aveva troppe domande e nessuno che gli potesse rispondere.
Ma questo Jessica non lo deve sapere.

Mi alzo dal letto, anche se controvoglia, mi spoglio, mi lavo e quando si tratta di scegliere i vestiti tiro giù dalla gruccia un paio di jeans chiari strappati così irritato che finisco per strapparli del tutto.

Stupido potere non mio… è chiaro che così non si può andare avanti.
Ripiego su un paio di jeans grigi, sempre strappati e la T-shirt che mi sembra meno kitsch fra quelle che ho a disposizione… e non è facile selezionarla.
Afferro la felpa, per lo più per coprire lo scempio che è questa T-shirt, e scendo a fare colazione.

Trovo Jessica ad attendermi, in un completo grigio ferro che nemmeno ricordavo di avere.

Lei sembra accorgersi dei miei sguardi.

“Ho dovuto guardare fino in fondo a entrambe le valigie prima di trovare un completo che non fosse dannatamente viola,” brontola lei.

Prendo posto accanto alla sedia, la tavola è ancora vuota.

Schiocco le dita, ma non succede nulla.

“Ah già, è vero, lo devi fare tu.”

“Ma io non ho dato nessun comando.”  puntualizza lei, stranita.

“Fidati.” insisto e lei mi accontenta.

Alva e Laurent ci devono aver visto dalla finestra della cucina e ci raggiungono subito, portando in tavola ogni ben di dio.

“Ma… io non ho parlato con loro e se lo hai fatto tu in passato non dovrebbe aver più effetto, no?” ci capisce sempre meno lei.

“Non si tratta di un comando, ma di una lezione che hanno imparato, perché lo sanno bene a cosa andrebbero incontro e il ricordo della paura ha più effetto del comando mentale stesso.” le spiego, tutto tronfio, cominciando a servirmi.

“Hai innescato in loro un riflesso Pavloviano, come se fossero dei cani,” mi guarda con puro sdegno lei, ma io ricambio con indifferenza, facendo spallucce.

“Beh, sì, se vuoi metterla così…”

“Sei davvero pessimo, mi fai quasi chiudere lo stomaco!” brontola, versandosi una generosa manciata di cereali, tre abbondanti cucchiaiate di yogurt greco, frutta fresca e due pancake. “Ho detto ‘quasi’, sto morendo di fame.” precisa, prima di abbuffarsi.

“Oh, Miss Jessica, con la sua linea invidiabile può concedersi ben più di un caffè, perché non prende esempio dal signor Killgrave?” mi sorride complice Alva. “Deve fargli un gran bene averla qui con noi, di solito a malapena tocca cibo.” mi sussurra, prima di lasciarci.

Quindi Alva si preoccupa per me? Io l’ho fatta vivere nel regno del terrore per giorni, mentre preparavo questa casa e l’accoglienza a Jessica e a lei sta a cuore che io mi nutra correttamente?

“Che ti ha detto Alva?” si interessa Jessica.

“Uh, nulla di che, però… ecco, forse dovrei cominciare a incutere meno paura, almeno con lei, che dici? Mi puoi insegnare come si fa?”

Jessica mi sorride a bocca piena, mentre finisce il suo pancake.

“Te lo mostro anche subito,” risponde, appena ha finito di deglutire. “Alva, Laurent, venite qui.”

I due si precipitano subito davanti a noi e io non posso fare a meno di scorgere il terrore nei loro volti.
Perché me ne dovrei stupire? Li ho abituati io a questo.

“Rilassatevi, avete la giornata libera, purché siate di ritorno in tempo per preparare la cena.” dà loro una notizia che sorprende per primo me.

“Dice sul serio, Signore?” borbotta incredulo Laurent, rivolto a Jessica, mentre la domestica mi guarda sorniona e riconoscente allo stesso tempo, come se fosse merito mio.

Non hai idea di quanto ti sbagli, Alva.

“Sì, mi avete sentito bene, è giusto che vi godiate un po’ di meritato riposo. Andate, prima che cambi idea.” li congeda Jessica, riempiendosi il piatto un’altra volta. “Ecco, ora hai visto come si fa.” bofonchia, addentando un altro pancake.

“Si era detto solo Alva però!” protesto, allungandomi per prendere una fetta di pane tostato.

“Una persona in più con la quale essere un po’ gentile di certo male non ti fa, stronzo.”

“E chi è gentile con me, invece?” mi imbroncio.

“Muoviti a finire la colazione, che poi dobbiamo uscire, avremo il nostro bel da fare oggi.”

“Ah sì?” inarco un sopracciglio, con aria incuriosita.

“Non sappiamo ancora quanto durerà il fottuto soggiorno l’una nel corpo dell’altro e viceversa, ma almeno cerchiamo di rendercerlo il più gradevole possibile.”

Non serve che dica altro, ho già capito tutto.

“Se mi fai entrare nella tua stanza, cerco l’ultimo completo dove ho lasciato il mio portafogli, credo di ricordarmi quale sia.” la informo.

“Non serve, useremo altri metodi.” mi stupisce con la sua risposta.

“Oh-oh, vuoi usare il mio potere per chiedere soldi alla gente per strada? È divertente, può sorprenderti la generosità della gente!” ridacchio.

“No, niente estorsioni, perché di questo si tratta, bastardo!” ringhia lei, che evidentemente non approva questi miei metodi. “Sarai tu a usare il mio potere.”

“Devo costringere la gente a darci i soldi usando la violenza?” sorrido intrigato.

Amo questo lato non proprio virtuoso della mia Jessica.

“Lo saprai, quando saremo nel posto giusto, quindi smettila di dire cazzate e muoviti!” mi sprona, dandomi giusto il tempo di finire la mia fetta di pane e il mio caffè, ormai un po’ freddo.

“E comunque è un bene che andiamo a fare shopping, ho accidentalmente rotto i tuoi jeans chiari.” trovo doveroso informarla, mentre Jessica infila la giacca del mio completo.

Accidentalmente?” chiede quasi retorica lei, con le mani sui fianchi e uno sguardo che non ammette bugie.

“Beh, li ho strattonati in un momento di rabbia, non gestisco ancora bene il tuo potere e…”

“Quelli erano i miei jeans preferiti, stronzo! Se già eri sulla mia lista nera, ora è proprio una questione personale!” ringhia Jessica, con la mia migliore espressione furibonda.

“Pensavo che lo fosse già dopo quello che ho fatto al tuo vicino bamboccione, quello che ho fatto fare a Hope e, ah, già… quasi dimenticavo, l’averti spinto a uccidere una persona.” le ricordo, valutando che quello sia il momento più idoneo per andare a recuperare il giubbino di pelle che ho lasciato nella mia camera.

In realtà, Jessica, quella sera il comando che ti avevo dato non implicava in nessun modo che tu ponessi fine a una vita, lo hai fatto da sola, sempre per via di quel tuo lato molto poco virtuoso, probabilmente, ma ci tengo troppo alla mia vita per fartelo notare.

E comunque la cosa che mi rincuora di più è che tu non abbia fatto parola di quello che ti ho detto ieri notte.
Sono ricordi che fanno ancora troppo male.



Jessica’s POV
 

Sono una cazzo di deficiente, un’idiota completa.

Nemmeno la più patetica delle principianti farebbe un errore così da ingenua: Killgrave mi ha appena spiattellato un riassunto completo di tutte le atrocità che ha commesso e io non ho acceso il registratore!

Un momento… ma allora sono ancora più cretina!
Se anche lo avessi acceso, alle orecchie di tutti sarebbe la confessione di Jessica Jones.
Ma allora tanto vale che registri un vocale io adesso, confessando tutto con la sua voce e…
Lo faccio, approfittando del fatto che è su di sopra e spedisco tutto alla mia casella mail.
Così, quando ciascuno tornerà nel proprio corpo, non dovrò far altro che spedire quel file e lui finirà dietro le sbarre in un lampo.
Donna o uomo che sia ci mette una vita a prepararsi, forse perché deve specchiarsi almeno quelle quindici volte… narcisista del cazzo!

Finalmente lo vedo scendere le scale, ma del suo precedente discorso mi ricordo ogni parola.

“Grazie per avermi ricordato quanto tu possa essere spregevole.” bercio e lui ha pure il coraggio di fare l’imbronciato.

“E comunque, Jessi, io sarò anche sulla tua lista nera, ma di certo tu sei sulla mia lista viola. Tu e soltanto tu.” mi sorride sornione.

“Non ti avevo imposto di smetterla di dire cazzate?”

“Con il mio potere che su di te non funziona puoi ottenere ben poco!” mi schiocca la lingua contro i denti con fare dispettoso in un modo che io non credo di aver mai fatto.

Ogni tanto ha davvero dieci anni, potevo arrivarci anche senza la sua confessione.

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“Non credo di aver capito bene, Jess.” borbotta lui, quando raggiungo la prima delle nostre destinazioni.

“E invece hai capito benissimo: un pugno deciso, lì in basso dove c’è la cassa e il gioco è fatto.” ripeto, mentre fissa poco convinto il distributore automatico delle sigarette.

“In che modo questo è diverso dal chiedere alla gente per strada di darci dei soldi, Jessi?” mi interroga lui con un’aria fin troppo divertita per i miei gusti.

“Perché in questo caso c’è anche la tassa che si prende lo Stato e fottere lo Stato è sempre cosa buona e giusta,” puntualizzo. “E poi non vorremo di certo aiutare le Multinazionali del tabacco, no?”

Kevin sembra convinto a sufficienza, senza nemmeno troppa fatica assesta un pugno al distributore e lo sportellino ci mostra le sue ricchezze: abbiamo già raccolto un gruzzoletto che si aggira sugli ottocento dollari.

“Ti dirò, è stato divertente,” ammette Kevin, incapace di nascondere un sorriso.

Dannazione, perché continuo a chiamarlo così? Killgrave, quello è il suo nome, Kevin lo fa sembrare quasi… una persona e lui principalmente è la rovina della mia vita, nient’altro.

“Hey, Jess? Dicevo che mi sono divertito.” mi distoglie dalle mie considerazioni lui.

“Uh? Buon per te, perché ci sono dislocati nei paraggi almeno altri cinque o sei distributori, per rifare questo giochetto.”

“Da come ne parli si direbbe che tu lo faccia spesso.” ridacchia lui.

“Peccati di gioventù… e comunque non sono cazzi tuoi, mi servi e basta!” torno acida io, che non voglio lasciare nessun spiraglio di confidenza aperto verso di lui.

Non visti e indisturbati, nel giro di una mezz’ora abbondante possiamo considerarci i fieri proprietari di circa cinquemila dollari.

“E comunque hai una pessima considerazione di me, Jess: un altro modo in cui posso far soldi è giocando a poker, sono piuttosto bravo, sai?” mi sorprende lui con quella rivelazione. “Beh, sì… a volte, un po’ per noia o se mi capitano proprio delle mani sfortunate, ricorro al mio potere, ma, davvero, solo in quei casi. Ad esempio, casa tua l’ho comprata vincendo con un sette e un due.” si pavoneggia lui.

“Non è comunque qualcosa di cui andrei fiero,” sbuffo. “E ora dammi la mia parte di denaro, così ciascuno va a fare i suoi acquisti.”
 

Lui mi mostra di nuovo quel broncio, il mio.

“Ma… perché dividerci? Sai, è pur sempre il mio corpo, ho il diritto di guardare come lo rovini.” mugugna lui.

“E va bene, rompiscatole galattico, io guarderò te e tu me… in fondo una cosa del genere quando ci ricapita?” mi arrendo.

“Ottimo, allora possiamo andare da Saks sulla Fifth Avenue, lì hanno un po’ di tutto.” decide lui. “Sono certo che per i tuoi acquisti mille dollari saranno più che sufficienti.” mi allunga le banconote lui.

La cosa peggiore è che ha ragione.

“Ci sono soldi a sufficienza per un taxi che ci porti lì, senza che io mi debba alzare la maglietta!” rievoca episodi spiacevoli lui.

Il taxi ci porta a destinazione e io mi addentro con lui in quel negozio enorme dove non credo di essere mai entrata.

“Da dove cominciamo?” gli chiedo.

“Mi stupisci, gentleman dei miei stivali: prima le donne, mi sembra ovvio!” indica se stesso, trascinandomi  con sé ai piani dell’alta moda.

Kevin agguanta ogni cosa viola su cui gli cada l’occhio, mentre io leggo sui cartellini dei prezzi da capogiro che non riuscirei a pagare nemmeno con mesi e mesi di indagini.

Mi siedo su uno di quei comodissimi divanetti e mi godo lo show.

Kevin entra nel camerino e dopo qualche minuto esce con un pantalone nero largo, un top nero e una giacchetta viola melanzana corta in vita.

“Niente male, vero?” ammicca soddisfatto, rimirandosi in uno dei tanti specchi.

Purtroppo ha ragione Kevin: non è affatto male.

E devo dannatamente smetterla di chiamarlo così!

Mi limito giusto a fare spallucce e lui torna nel camerino pronto per un altro outfit: stavolta dei pantaloni viola con un maglioncino a fantasia di Missoni.

Seguono due abiti, uno corto a inizio coscia, di Versace, porpora con ghirigori blu e glicine, l’altro, di Dolce & Gabbana,  più leggero, longuette, viola scuro, leopardato.

“Bene, direi che prendo tutto!” commenta soddisfatto Killgrave, quando esce dal camerino, l’ultimo abito che ha provato gli piace così tanto che ha deciso di tenerselo addosso.

“Credo che dovrai rivedere le tue priorità, te lo ricordi il budget che hai a disposizione, vero? Ti basta sì e no per la metà degli acquisti che vuoi fare.” lo faccio ragionare io.

Lui mi guarda con una luce nel mio sguardo che non mi piace per niente.

“Oh beh, non è detto…”

Ho già capito cos’ha in mente.

“Killgrave, no! Non pensarci nemmeno!”

“Suvvia, se ci pensi anche le Multinazionali della moda vanno boicottate un po’, con tutti i messaggi negativi che danno, quel bombardamento mediatico che porta le ragazzine all’anoressia…” argomenta, con tono melodrammatico.

“E va bene, ma solo per stavolta. Muoviti, vieni con me alla cassa.” lo strattono in malo modo.

La povera sventurata di turno finisce di passare il codice a barre di tutti quegli indumenti.

“Settemila dollari e ottocentocinquantotto.” espone il verdetto.

Killgrave mi guarda e capisco che è il mio momento.

“Nancy,” esclamo, guardando la targhetta della commessa. “Guarda che è tutto scontato del 50%.” le dico, quasi controvoglia.

“Uh, ha ragione, Signore, che sbadata!” si scusa lei, desolata.

Mi faccio schifo per quello che ho fatto, mentre Killgrave paga il conto con aria fin troppo soddisfatta. 

Ci avviamo verso le scale mobili, diretti a un piano uomo, con marchi decisamente più abbordabili, quando da uno dei camerini esce Trish.

Cazzo, è vero che lei bazzica spesso i negozi della Fifth Avenue.
Oh no, cazzo, ci ha appena visti, tutti e due.

TBC


Pensavo di finire in un altro modo, che forse sarà il prossimo capitolo o quello dopo ancora (c’è un certo ciclo che deve arrivare, LOL, tranquilli, non me ne dimentico XD) , ma ormai non mi sorprendo più che questi due facciano sempr quello che vogliono è che almeno un terzo delle scene non le avevo nemmeno previste XD

Spero vi siano piaciute, specie il momento più serio, ovviamente, chi ha visto ‘Jessica Jones’ riconoscerà quella parte dei dialoghi originali ;)

Spero continui a piacervi, alla prossima ;)

p.s. Per chi la segue, direi che il momento che tornino Ineffabili e Inevitabili, che poi possa metterci una vita a scrivere il nuovo capitolo è un altro discorso ^^’
   
 
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