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Autore: edoardo811    12/12/2021    4 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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VII

Profezia

 


Camille avrebbe di gran lunga preferito che Kiana non la piantasse. Quando era uscita dalla Principia non l’aveva vista da nessuna parte, né lei né Marianne, a dire il vero. In compenso aveva trovato Amedeo e Ian, che con una semplice occhiatina omicida le avevano fatto capire che non sarebbe mai più stata la benvenuta nella Principia – anche se per fortuna non dipendeva da loro – e poi il resto dei centurioni, che invece l’avevano tempestata di domande in maniere più e meno – soprattutto meno – cortesi.

Anche se Ashley le aveva vietato di parlare con gli altri del suo sogno, dubitava che l’avrebbe fatto in ogni caso. Non le andava di parlare di nuovo di sua madre, non voleva rievocare quell’immagine orribile nella sua mente e soprattutto non voleva farlo con le stesse persone che l’avevano sempre guardata dall’alto verso il basso proprio per via del suo genitore divino. Non esisteva proprio che raccontasse loro che Ecate era stata rapita, non avrebbe permesso che le mancassero di rispetto in sua presenza con chissà quali insinuazioni. Per quel pomeriggio ne aveva abbastanza.

Si districò tra le domande dicendo che Ashley avrebbe detto a loro tutto quello che c’era da sapere e se ne andò per la Via Principalis con l’umore sotto la suola dei suoi anfibi neri. Avrebbe tanto voluto sapere dove diamine era finita Kiana. Aveva bisogno dei suoi commenti stupidi per farla pensare a qualcosa che non fosse quello che era appena successo. Si sarebbe accontentata anche solo di essere chiamata “fricchettona” un paio di volte.

Era di umore così nero che solo una cioccolata calda avrebbe potuto tirarla su, ma purtroppo la gelateria era chiusa durante quel periodo dell’anno. E in ogni caso, dopo una giornata come quella, lo sarebbe stata comunque.

Non aveva idea di che cosa fare, Marianne era sparita, Allen era fuori gioco, quindi non potevano darle dei lavori da fare, e perfino Daniel non si vedeva, e con lui sì che avrebbe voluto parlare. Voleva raccontargli del sogno, voleva dirgli quello che era successo con Ashley e… beh, voleva solo vederlo e accertarsi che stesse bene.

In un mondo perfetto, lo avrebbe visto e poi si sarebbe gettata tra le sue braccia per baciarlo, ma quello non era un mondo perfetto. Il rapimento di sua madre e la quasi distruzione del campo erano una dimostrazione piuttosto chiara di ciò.

Ashley le aveva detto di andare a riposarsi, ma ripudiava l’idea di starsene ferma con tutto quello che era successo, con tutti i pensieri che le vorticavano nella mente e con la sua iperattività maledetta.

Decise infine di tornare in infermeria, a fare compagnia a David e Travis. Il fratello di Kiana sembrò felice di vederla, ma non disse molte parole, e lei nemmeno pretese che lo facesse. Era legato a Travis, erano amici da sempre, poteva comprendere perché fosse così in pensiero per lui.

Camille cercò di mostrarsi forte, per fargli coraggio, ma perfino lei era sconvolta da ciò che era successo a Travis. Ogni istante passato a vederlo ridotto così era uno strazio. Ed era ancora più straziante leggere il dolore negli occhi di David.

Nell’infermeria notò anche Allen, seduto sul bordo di un lettino, intento a discutere con Kyle. Loro erano gli unici due centurioni che non aveva visto nella Principia, e non ci mise molto a capire perché: Allen era ferito, Kyle invece era rimasto lì per il motivo opposto, lui doveva occuparsi, dei feriti. Sembrava essersi ripreso del tutto dallo spiacevole incontro che aveva avuto con lei, Kiana e i gemelli. Di tutte le persone su cui avrebbe voluto usare i suoi poteri, lui era tra le ultime. Era della Prima Coorte, ma era un bravo ragazzo, un medico figlio di Esculapio che aveva molto a cuore il suo dovere. Era anche carino, doveva ammetterlo, ma aveva già una ragazza, una specie di super modella della Prima Coorte.

Camille riportò la sua attenzione su Allen. Quando lei era arrivata al campo, sei anni prima, lui era già centurione assieme a una ragazza che poi si era ritirata per iniziare il college a Nuova Roma, lasciando il posto a Marianne. Era un figlio di Vittoria allenato, muscoloso, con i capelli rasati. Anche lui era piuttosto carino. E anche lui non l’aveva mai degnata di uno sguardo di troppo.

In quel momento sembrava guarito del tutto, ma pareva ancora scosso. Di fronte a lui, Kyle stava scuotendo la testa con aria mesta. Allen abbassò il capo e non disse più niente, e a Camille fu subito chiaro che qualcuno a lui caro non ce l’aveva fatta. Forse un suo amico, o magari… la sua ragazza? Allen aveva una ragazza? Camille si rese conto di non averci mai pensato. Non che fosse affare suo. Come poteva pensare a qualcosa del genere in un momento come quello? Forse Kiana aveva ragione, forse era davvero un caso disperato.

Distolse lo sguardo da quei due, con un sospiro afflitto. Non seppe quanto tempo ancora trascorse lì dentro. A un certo punto vide entrare anche Marianne, che puntò proprio verso il suo collega centurione. Si dissero qualcosa e la discussione parve infervorarsi in pochi istanti, prima che Allen si alzasse dal letto e se ne andasse a passo pesante, lasciando da sola Marianne, la cui espressione era a metà tra l’infuriata e l’angosciata.

Camille intuì che andarle a chiedere dei lavori sarebbe stato utile forse solo a farsi urlare addosso. Salutò David dandogli qualche colpo di incoraggiamento sul braccio e se ne andò, stanca dell’aria di desolante tristezza che opprimeva quel luogo. Il figlio di Venere le aveva detto che i Vega, Daniel e i suoi pochi altri amici erano tutti tornati nei dormitori, perciò decise di andare anche lei da loro.

Durante il tragitto non fece altro che pensare al suo colloquio con Ashley. Non riusciva ancora a credere a come l’avesse liquidata, con quello sguardo così freddo e minaccioso. Si fidava di lei, certo, era il pretore, figlia di Giove, e l’aveva vista abbattere Encelado con i suoi stessi occhi. Se c’era qualcuno che davvero avrebbe potuto entrare in quella caverna, sconfiggere Clizio e la donna misteriosa, quella era proprio lei.

Eppure, Camille non poteva fare altro che pensare a sua madre, a come avesse detto a lei di trovarla.

Un legame. Aveva parlato di un legame. Solo lei poteva sentirlo, e solo lei poteva trovarla. Camille chiuse gli occhi e inspirò, liberando la mente da ogni altro pensiero, estraniandosi dall’ambiente che la circondava. Si concentrò, su cosa, nemmeno lei poteva saperlo. Cercò di avvertire di nuovo quella sensazione, la stessa provata nel sogno, in presenza di sua madre, ma non avvertì nulla.

Solo angoscia e preoccupazione di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

Qualcuno la afferrò alle spalle. Sgranò gli occhi, ma non riuscì a fare altro: venne trascinata di forza in uno dei vicoletti tra i dormitori e sbattuta contro il muro. Stava per urlare a perdifiato, credendo di essere sotto attacco, ma poi si accorse di chi l’aveva portata lì. Osservò allibita Dante, intento a scrutarsi attorno guardingo.

«Ma che cavolo stai facendo?!» sbottò. «Ti sembra forse il modo di…»

«Shhh

Dante le posò l’indice sulle labbra, facendola trasalire. Si chinò su di lei per via della loro abissale differenza di statura e la scrutò intensamente, come se la stesse studiando con un microscopio. Camille si ritrovò quegli occhi scuri e caldi stagliati su di lei, il viso del ragazzo a pochissima distanza dal suo, e pregò tutti gli dei che conosceva, e non, di non essere arrossita.  

«Vieni con me» disse lui, afferrandola per mano senza troppi complimenti. Camille squittì per lo stupore e l’indignazione, ma non riuscì a liberarsi dalla presa del ragazzo.

«M-Ma dove stiamo andando?!» domandò, sconvolta. Si accorse che Dante stava tenendo un malloppo gigantesco di fogli sotto braccio, che frusciavano ad ogni passo.

«Al Tempio di Giove Massimo. Devo farti vedere una cosa.» Dante le lanciò un’occhiata veloce, mentre sgattaiolavano tra i vicoli attorno ai dormitori, ancora stretti per mano. «Non abbiamo molto tempo, quindi sbrighiamoci!»

«No, aspetta, perché devo venire con te?!»

«Riguarda tua madre! Ho capito che cosa sta succedendo, ma Ashley non vuole che tu lo sappia!»

«Che… che cosa?»

Dante le disse di portare pazienza, di aspettare che raggiungessero il tempio, e Camille decise di non insistere più, troppo scossa da quello che aveva appena sentito. Nessuno sembrò accorgersi dei due ragazzi appartati per i vicoli dei dormitori e che si tenevano per mano. Per fortuna avrebbe voluto aggiungere, anche se, con tutto quello che era successo quel giorno, dubitava che a qualcuno sarebbe davvero importato qualcosa.

La sua mano venne liberata solo quando raggiunsero la Collina dei Templi. Nonostante Dante non fosse praticamente allenato, e l’unica arma usata da lui era un pugnale per squartare pupazzi, Camille faticò a tenere il passo di quelle gambe lunghe. Fu costretta a quasi corrergli dietro finché non arrivarono al Tempio di Giove Ottimo Massimo.

«Va bene» esordì Dante, gettando il malloppo di fogli sopra l’altare. «Per prima cosa, ho bisogno che mi racconti di nuovo tutto il tuo sogno, da capo, bene. Mi serve tutto, ogni cosa, ogni dettaglio, tutto quello che ricordi. Ok?»

Camille sbatté le palpebre. «Ehm…»

Dante la prese per le spalle. Il suo alito sapeva di caffè forte. «Concentrati. È importante» disse ancora, quasi dando per scontato che lei avesse già accettato. La osservò di nuovo negli occhi. Sembrava davvero serio, e anche angosciato. L’immagine di lui a testa bassa di fronte ad Ashley balenò nella mente di Camille, facendola esitare. E le tornarono anche in mente le parole che aveva detto, qualcosa riguardo una dea imprigionata, e una figlia abbandonata. 

La ragazza venne scossa da un brivido. «Davvero… davvero sai che cosa sta succedendo?»

«Per esserne sicuro, ho bisogno che tu mi ripeta quello che hai detto ai pretori. Se le cose sono come credo di aver capito, allora forse potrei aiutarti. In caso contrario, ci separiamo qui e fingiamo che non sia successo niente. Ci stai?»

Non sembrava avere cattive intenzioni, affatto, e a differenza di molti altri ragazzi che l’avevano guardata, non c’erano malizia o indifferenza nel suo sguardo. E poi le aveva detto che l’avrebbe lasciata andare via se non avesse trovato quello che cercava. Decise di accontentarlo, anche perché voleva davvero capirci di più.

Mentre ripeteva il sogno all’augure, pensò al fatto che l’avesse cercata e portata lì solo per avere quella discussione con lei, in privato, e a come sembrasse davvero interessato alla vicenda, molto più interessato di quanto l’avesse mai visto. Voleva davvero aiutarla. Chissà quanto tempo aveva passato ad aspettarla, vicino ai dormitori.

Tutto quello la lasciò di sasso. Era sempre stata convinta, come tanti altri, che Dante fosse un lavativo, uno scansafatiche, ma forse si era sbagliata su di lui. Lei per prima avrebbe dovuto tenersi alla larga da certi pregiudizi.

A racconto concluso, Dante le lasciò le spalle e si voltò verso l’altare, cominciando a rovistare tra i fogli. «Allora è proprio come sospettavo.»

«Che… che intendi dire?»

Dante si voltò verso di lei, reggendo un post-it tra le dita. Glielo porse. «Tieni, leggi.»

Sempre più confusa, Camille obbedì. C’erano delle frasi scritte a mano, in un corsivo frettoloso, ma comunque ordinato:

 

Con la sparizione del velo invisibile

Apparirà la minaccia più temibile

E al richiamo della dea imprigionata

Dovrà accorrere la figlia abbandonata

 

Più leggeva quelle frasi, più Camille sentiva il sangue gelarle nelle vene. Ogni parola era una freccia che si conficcava nel suo cuore.

«Sembra… sembra una profezia» sussurrò stupita, e intimorita. Non le era mai capitato di leggerne una, ed era da molto tempo che i semidei non se ne servivano.

«È una profezia» chiarì Dante. «O, almeno, sono due pezzi di profezia che sono riuscito a mettere insieme dopo che ho sentito la tua storia nella Principia. Credo che sia incompleta, però. Manca… qualcosa, non so se mi spiego. Sto ancora cercando di capire quale sia l’ultimo verso, sempre se ce ne sia uno. In ogni caso…» Si mise accanto a lei, ed indicò i primi due versi. «Guarda. Il Velo Invisibile. È un altro nome per chiamare la Foschia. E Ecate ha detto che è sparita, giusto?»

Camille cominciò a capire dove l’argomento stava andando a parare. E non era molto sicura di voler rimanere lì. Dante, però, stava già andando avanti. «La minaccia più temibile. Non so a cosa possa riferirsi, ma se non c’è più la Foschia, significa che non ci sono nemmeno più i confini del campo, o mi sbaglio? Questa minaccia potrebbe trattarsi di un altro attacco, molto più violento, che sta per arrivare. Anche se, stando a quello che avete sentito da Clizio, forse prima vogliono aspettare questa “Notte Eterna”, qualunque cosa significhi. Comunque sia, io ti ho chiesto di venire qui per questo…»

Indicò gli ultimi due versi. «La dea imprigionata. Non può essere che tua madre. La figlia abbandonata invece…» Dante si piazzò di fronte a lei, scrutandola dall’alto con espressione critica.

Camille avvertì un sussulto al petto. «Pensi… pensi che sia… io?»

«Ecate ha cercato te. Avrebbe potuto chiamare chiunque altro, ma ha scelto te. Forse l’ha fatto perché sei sua figlia, ma potrebbe esserci un motivo ben preciso, e quel motivo è che tu sia già stata scelta dal fato. Pensaci bene. Sei stata abbandonata da qualcuno? Non lo so, un amico, un parente, o cose del genere? Sforzati. È importante che tu ricordi, per capire come muoverci.»

Accorgendosi del silenzio della figlia di Trivia, l’augure si accigliò. «Andiamo, dì solo “sì” oppure “no”, non è così difficile! Devi solo…»

Si interruppe quando Camille abbassò lo sguardo, incapace di osservarlo in faccia. Un dolore lancinante al petto cominciò ad assalirla, seguita da una collera altrettanto travolgente. Strinse i pugni con forza e sentì il corpo tremare, non sapeva se per la tristezza, per la rabbia, per la magia che cominciò a scorrerle nelle vene come luce liquida e incandescente, oppure un misto di tutte quelle cose.

«Ah, cavolo…» mormorò Dante. «Sono stato indelicato, vero?»

Camille drizzò la testa. Si accorse dell’espressione mortificata dell’augure, che questa volta distolse lo sguardo per primo, grattandosi dietro al collo.

«Ti chiedo scusa. Avrei dovuto immaginare che potesse essere un argomento difficile. Sono la solita frana, perdonami... è solo che… per la prima volta dopo mesi, anni di nulla, mi sembra finalmente di scorgere un significato a questo ammasso di profezie sconclusionate e senza senso. Ashley ed Elias continuano a chiedermi se ho scoperto qualcosa, e mio padre non vuole mandarmi nemmeno un segno. Il Senato mi odia, vorrebbero bandire il ruolo di augure, e mi trovo bloccato in questo limbo in cui mi sembra che ogni cosa che faccio o è sbagliata, oppure…»

«Ehi, calmati» lo interruppe Camille, alzando le mani, mentre un piccolo accenno di sorriso nasceva sul suo volto e la rabbia provata poco prima sfumava. «Non mi hai offesa. Non preoccuparti.»

Dante sollevò di nuovo lo sguardo, sorpreso. «Non… sei arrabbiata con me?»

«Ma no, sta tranquillo.» Camille cercò di sorridere più sincera. Avrebbe dovuto capirlo subito che lui non aveva tentato di ferirla di proposito. E a giudicare da come le avesse appena parlato, era chiaro che era davvero mortificato.

Anche Dante cominciò a sorriderle, prima di grattarsi di nuovo dietro al collo, imbarazzato. «Davvero?»

«Ma certo. E comunque… non sei una frana. A me sembra che tu abbia molto a cuore quello che fai.»

«Davvero??» Questa volta Dante apparve genuinamente sorpreso, ma in senso positivo.

Camille si sentì in imbarazzo di fronte a sguardo così carico di aspettative. «Ma sì, certo.»

Per tutta risposta, l’augure chiuse gli occhi e le rivolse un sorrisone enorme, a trentadue denti. «Grazie!»

«P-Prego» bisbigliò Cam, avvertendo uno strano sussulto al petto, rimanendo per alcuni istanti a osservarlo. Nessun ragazzo le aveva mai sorriso così. Di solito la ignoravano, o facevano come Daniel, qualche parola, qualche sguardo, e poi lei tornava a essere invisibile. Dante invece sembrava davvero felice.

«Posso riaverlo?»

Camille trasalì, rendendosi conto che lui si era avvicinato, e aveva teso il palmo verso il post-it ancora tra le sue mani. Si affrettò a restituirglielo. «S-Sì, certo…»

Le loro mani si sfiorarono, facendola rabbrividire, e poi Dante tornò a chinare la testa sull’altare per armeggiare di nuovo con i fogli.

«Sono… tutte quante profezie?» domandò Camille massaggiandosi la punta delle dita divenute roventi all’improvviso.

«Sì, all’incirca. Non sono complete, però. Sono… pezzi. Come un gigantesco puzzle da mettere insieme.» Dante le mostrò il plico nella sua interezza, facendo scivolare l’indice tra le pagine. «Crediamo che Clizio cercasse proprio queste, durante l’attacco.»

Camille schiuse le labbra per lo stupore. «E perché avrebbe dovuto?»

«Beh, le profezie non sono soltanto un excursus sul futuro. È il volere degli dei, anzi, del Fato, espresso a parole, o lettere nero su bianco, nel caso di questi pezzi di carta qui. Se i mostri ci mettessero le mani sopra, disporrebbero di un’arma molto più potente di quanto chiunque di noi potrebbe mai immaginare.»

«Ma… come faceva Clizio a conoscere quelle profezie? Io non ne avevo mai sentito parlare!»

«Perché io e i pretori avevamo deciso di tenerle nascoste. Nemmeno noi sappiamo come hanno fatto i nostri nemici a scoprirle.»

Un brivido percorse la schiena di Camille. La talpa. Ecco come.

 L’augure diede un rapido colpo sul plico con le nocche. «Se è davvero questo il bersaglio dei nostri nemici, allora chiunque abbia orchestrato quell’attacco proverà ancora a metterci le mani sopra, in tutti i modi più orribili che possono venirci in mente. Per questo motivo, dobbiamo trovare Ecate al più presto. Abbiamo bisogno dei confini magici del campo, per proteggere queste pagine a ogni costo.»

Camille serrò le labbra. «Perciò… se la “figlia abbandonata” fossi io…»

«Dovrai rispondere al richiamo di Ecate» concluse Dante, annuendo. «Tua madre ti ha cercata, e abbiamo una profezia. Se le cose dovessero combaciare, allora non avremo più dubbi.»

Camille abbassò la testa. Anche Ecate gliel’aveva detto. Avevano un legame che solo lei poteva sentire. Solo lei poteva trovarla. Non si sarebbe palesata a lei in sogno, altrimenti. Non avrebbe avuto alcun motivo di avvisarla di essere stata rapita, se poi non voleva che fosse proprio lei ad andare a cercarla.

Figlia abbandonata.

Tutta la vita aveva trascorso così, portandosi dietro quella maledetta nomea. Anni e anni di vessazioni, paura, dolore e lacrime, passati con la consapevolezza di non essere state volute nemmeno dal proprio padre.

Credeva di essersi liberata di quel maledetto stigma, quando si era ritrovata di fronte a Lupa, e lei le aveva detto che era pronta per il Campo Giove. Credeva che avrebbe ricominciato da capo, con una nuova famiglia, nuovi amici, qualcuno che non le avrebbe mai fatto pesare quello che era accaduto. E invece, il passato era tornato a bussare alla sua porta, come sempre, riportandole alla mente tutto ciò che aveva cercato di superare, a partire da quello stupido nomignolo, strega, fino a quello.

Tuttavia, ora capiva che cosa intendeva dire Dante. Ora capiva molte cose. Prese un profondo respiro, poi annuì. «Mio… mio padre mi ha abbandonata quando ero appena nata» mormorò. «Non l’ho mai conosciuto. Sono cresciuta in un orfanotrofio, e poi…»

«Ehi, ehi, ferma.» Dante le posò di nuovo una mano sulla spalla, facendola sussultare ancora una volta. Le sorrise ancora, un sorriso molto più ampio, caldo e rassicurante, che le mandò in subbuglio lo stomaco. «Non serve che racconti tutto, soprattutto se è qualcosa che ti turba. Mi basta solo sapere che la profezia parla di te.»

Camille si sforzò di ignorare il cuore che le batteva all’impazzata nel petto e cercò di ricambiare il sorriso, provando genuino sollievo. «Credo… credo di sì.»

Dante strinse una mano a pugno, entusiasta. «Sì! Lo sapevo! Allora non c’è un solo attimo da perdere!»

«In che senso?» domandò la figlia di Trivia, corrugando la fronte.

«Devi partire per andare a cercare Ecate! Forza, va a prendere il tuo zainetto o quello che è, fatti prestare un pegaso e…»

«No, no, aspetta!» Camille agitò le mani. «Guarda che non funziona così!»

Dante sbatté le palpebre. «Ah no?»

«No! Per uscire dal campo ci vuole un’impresa! Bisogna presentare la questione al Senato, e soltanto dopo, se il Senato accetta, potrò andarmene!»

«Oh…» Dante sembrava davvero sorpreso. Camille non capiva se faceva sul serio o se la stava solo prendendo in giro. Se era uno scherzo, allora era davvero bravo a recitare la parte dell’ignorante.

La figlia di Trivia si passò la mano tra i capelli, inspirando a fondo. Se non altro, ora non aveva più dubbi: doveva essere lei a partire per cercare Ecate. Ashley aveva cercato di tagliarla fuori, non comprendeva il motivo, ma non aveva importanza: sarebbe tornata a parlarle e l’avrebbe convinta che doveva partire. Era spaventata, certo, ma era una legionaria, si era addestrata proprio per quello, e in ogni caso, era sua madre ad essere in pericolo. Non se ne sarebbe rimasta con le mani in mano a osservare qualcun altro correre per aiutarla.

Tutte quelle domande che voleva farle, quelle risposte che non aveva mai avuto, quell’approvazione materna che tanto aveva cercato, era la sua occasione per ottenerle. Non l’avrebbe sprecata.

«Ehm… ci sei?»

Camille si rese conto che Dante la stava chiamando. Sembrava aver già fatto un paio di tentativi.

«S-Sì, ci sono.»

«Dicevo, non puoi andare da Ashley» asserì lui, come leggendole nel pensiero. «Te l’ho già detto prima, lei non voleva nemmeno che venissi a parlarti della profezia.»

Quelle parole la lasciarono di sasso. «Ma… perché?»

L’espressione angosciata riapparve sul volto di Dante. «I-Io… non posso dirlo…»

Camille sollevò un sopracciglio. «Però così non mi aiuti molto…»

«Ti prego.» Dante le afferrò la mano. «Fidati di me.»

Le guance di Camille bruciarono come non avevano mai bruciato prima di quel giorno, superando ogni limite conosciuto. Le sarebbe piaciuto rispondergli che si fidava, ma purtroppo aveva dimenticato come parlare. E anche come respirare. Dalle sue labbra uscirono alcuni versi sconnessi che potevano essere un assenso, oppure un sibilo di dolore, non era molto chiaro. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era a quanto calda fosse la mano affusolata di Dante.

«Che sta succedendo qui?» domandò una voce all’improvviso, che li fece gridare entrambi.

 

 

 

Salve gente, grazie per aver letto!

Chiedo scusa per il capitolo nano, non mi ero accorto di averlo tagliato così tanto (ho scritto questo capitolo e lo scorso insieme) in ogni caso spero che vi sia piaciuto. Direi che ormai la situazione è piuttosto chiara, la storia sta prendendo forma e spero davvero che per ora vi stia coinvolgendo.

Io come sempre ringrazio chi legge, ringrazio Roland e Farkas di cuore per le recensioni e nulla, alla prossima!

 

p.s. avevo già postato i disegni di Dante e Camille, ma li rimetto qui perché erano le due star del capitolo:

Dante

Camille

   
 
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