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Autore: _uccia_    12/12/2021    0 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                          ---------------COMMISSARIO CAPO DETECTIVE, EGOR PETROV-----------------
 

SERVIZIO POLIZIA CRIMINALE
DIPARTIMENTO INVESTIGAZIONI CRIMINALI
 
 
Il detective Egor Petrov finì con gli incartamenti del suo ultimo caso intorno alle sei di mattina.
Fuori dalla porta a vetri dell'immenso ufficio a più postazioni, era un tempo affissa una logora targhetta in ottone con indicato: Ufficio principale per indagini criminali.
Ora era rimasto solo il residuo della colla a forma rettangolare e il vetro si era fatto ingiallito dal fumo di sigaretta.
A quell'ora mattiniera a essere presenti dietro alle rispettive scrivanie, c'era solo il turno di notte che avrebbe comunque staccato da lì a qualche minuto, a giudicare dal rumore di cartellini timbrati al piano di sotto del turno di mattina in arrivo.
Il detective aveva preferito soffermarsi su ogni dettaglio del rapporto, in quel periodo stava seguendo una indagine su un cadavere rinvenuto in un canale di scolo. Inizialmente era stato convocato sul posto supponendo che il corpo appartenesse all'esponente dell'alta società abbiente di San Pietroburgo, scomparso da qualche giorno, ma si era rivelato essere un signor Nessuno. Forse vittima di uno scontro fra bande.
Di solito lui non si occupava di ricerche di uomini scomparsi, ma l'opinione pubblica stava mutando. C'era sempre più una certa sensibilità sullo stato di avvelenamento malavitoso della città e di conseguenza dell'intero paese, perciò Egor era chiamato maggiormente a compiere il suo dovere.
Era un uomo ancora in forma, gli piaceva tenersi allenato e pronto all'azione sul campo. Cominciava però ad avere della calvizie incipiente, ormai era alla soglia dei cinquanta e in trent'anni di carriera nella Polizia poteva purtroppo contare sulle dita di una sola mano gli esponenti della 'Brigata del Sole' o i famigerati Vor che era riuscito a incastrare veramente. Lui poteva dormire sereno perché, anche se spesso quei perversi finivano per uscirne in poche ore, lui almeno ci provava a mettere i bastoni fra le ruote.
A partire dalle piccole cose, come farcire i rapporti di così tanti errori che dovevano essere rivisti e corretti prima della scarcerazione del sospettato e poi, chi l'avrebbe mai detto, l'amministrazione centrale continuava a fare confusione sui moduli da compilare.
E le stampanti si erano tutte inceppate. Tutte e ventitré.
Ma era quando usciva all'azione vera che il detective Egor credeva ancora nell'operato del suo lavoro.
Restava fermo per ore sotto la pioggia protetto solo da un impermeabile o in auto davanti a un bar o in un furgone con l'insegna 'Fioraio' sulla fiancata, in compagnia di altri cinque poliziotti sudati e nervosi appartenenti alla sua squadra. Solo per poter intercettare e fotografare movimenti, parole o scambi tra esponenti criminali.
Diede un ultima pinzata al plico di stampe e fece un vigoroso tiro dalla sua sigaretta elettronica. Il fumo denso, simile alla nube di fumogeno, si innalzò come un pennacchio dalla sua scrivania fino alle luci bianche al neon appese al soffitto intonacato.
"Uh, Petrov!". Si lamentò un suo collega alla postazione accanto, scacciando con bruschi gesti della mano la nebbia. "Cristo, almeno accenditi una vera cicca. Mi pari una fichetta!".
Partì una sequela di risate trattenute, provenienti al di là dei pannelli divisori tutti intorno a Egor.
"Ehi, porta rispetto. Mia moglie vuole che smetta, questa roba è pure senza nicotina. Stò andando fuori di matto".
Egor si scartò l'ennesima chewing gum e fece per alzarsi, quando il maledetto telefono fisso 'dell'ante guerra' cominciò a squillare provocandogli un principio di infarto.
Nessuno chiamava mai a quell'ora mattiniera.
"Ah, io me ne vado", alzò le mani lui. "Sono le sei e mia moglie mi accoppa se faccio tardi pure oggi. Novikov prendila tu, te la passo in linea".
Pigiò il pulsante rosso lampeggiante e fece cenno al collega di alzare la cornetta, questi roteò gli occhi in uno sbuffo e rispose alla telefonata.
Egor era già alla porta a vetri con il cappotto sulle spalle quando Novikov lo richiamò schioccando le dita e tenendo l'orecchio ben attaccato al ricevitore.
"Certamente Signore... certo... glielo passo", stava dicendo.
Egor si sbracciò contrariato ma il collega mise in attesa la chiamata per dirgli: "Ti conviene rispondere, è il Dirigente Generale. Vuole passarti un incarico urgente, per questo pomeriggio".
Egor si stropicciò gli occhi esausto, era a corto di sonno ed era certo che, se avesse risposto alla chiamata, non avrebbe nemmeno avuto il tempo di dormire per più di un pisolino di un ora.
"Passamelo". Si arrese infine, tornandosene alla sua scrivania.
L'incarico era semplice, almeno così sembrava. Doveva equipaggiare la sua squadra e provvedere al monitoraggio di movimenti sospetti in quel di una villa fuori città.
Era stata annunciata una festa per quella sera, un dolce compleanno per una graziosa e ricca ragazzina. La figlia di un magnate, Boris Titov.
Non ci sarebbe stato nulla di male, se non fosse che lo stesso Titov era controllato a vista da anni. Le sue così dette 'amicizie' comprendevano individui più disparati, dal proprietario di industrie al funzionario di banca, passando per rispettabili elementi della società arrestati poi per associazione a delinquere ed estorsione oppure politici sotto inchiesta per corruzione e abuso di ufficio.
Titov era pulito, era il migliore amico di niente di meno che il sindaco della città. Una bella giovane moglie impegnata nel sociale aiutando senza tetto e una coppia di viziate ragazzine di età inferiore ai quindici anni.
Il padre e marito modello, con proprietà terriere, auto e mani in pasta a costruzioni edilizie da lì fino all'altra parte del mondo come a New York.
Ma quella sera non sarebbe stata una sorveglianza comune, il Ministero degli affari interni aveva intrattenuto un 'piacevole' colloquio con un esponente capo della DEA. Agenzia federale anti droga statunitense.
L'amministrazione americana non poteva arrivare fino in Russia ma attraverso l'ambasciata era riuscita a stabilire un cordone con il Ministro dell'interno e la palla era passata al Dipartimento delle investigazioni criminali, di cui Egor era capo.
La DEA stava seguendo dei carichi spediti dal sud America che arrivavano fino al dominio del Zio Sam, amministrati da broker italo-americani presumibilmente affiliati alla 'Ndrangheta. Uno di questi carichi invece aveva fatto approdo, arrivando direttamente su ali di ferro, fino a San Pietroburgo.
Volevano vederci chiaro e una cooperazione tra America e Russia faceva bene all'immagine del 'siamo tutti amici sotto a quest'unico cielo' che la politica estera puntava a far digerire alla stampa.
"Novikov?", chiamò stancamente dopo che ebbe riagganciato.
Il collega allungò il collo in attesa di disposizioni.
"Fa per favore un giro di chiamate ai ragazzi, buttali giù dal letto se necessario. Voglio organizzare una riunione il prima possibile e dì loro di prepararsi a una lunga giornata. Abbiamo da sorvegliare una festa di compleanno, che portino le patatine!".
 
---
 
Quel pomeriggio nella campagna di periferia, un sgangherato pick-up rosso ruggine parcheggiò cigolando sulla sommità di una piccola collina boscosa.
Da quel punto si riusciva ad avere una buona visuale sulla florida vallata sottostante, curata e ben potata dai giardinieri della villa posizionata proprio al centro e circondata da alti cancelli.
Un plotone di sorveglianza si aggirava guardingo lungo il perimetro, non avevano armi in vista e parevano appartenenti alla semplice guardia di sicurezza. Un segnale inequivocabile che, da lì a momenti, esponenti di spicco si sarebbero fatti vedere.
Dal sedile del passeggero del auto, il capo detective Egor abbassò il finestrino in un raschiare di manovella. Agganciò il cavalletto allo sportello e vi assicurò la macchinetta fotografica digitale dall'enorme obiettivo.
Collegò un cavo che dalla macchinetta arrivava al computer portatile, aperto sulle sue ginocchia, e diede una rapida occhiata attraverso la lente ai preparativi in pompa magna che il catering stava organizzando per la serata.
Palloncini rosa erano stati appesi ai lati dell'inferriata di accesso al giardino, un gazebo bianco era stato issato per accogliere sotto di esso gli ospiti in un aperitivo di benvenuto e un tappeto altrettanto bianco era stato steso per guidare gli invitati verso l'interno dell'enorme villa storica.
La trasmittente agganciata al petto del suo collega alla guida suonò con un BIP e la voce di uno dei ragazzi, in attesa nel furgone da fioraio lungo la strada che portava fino alla proprietà, risuonò leggermente disturbata da una interferenza.
"Ci sono movimenti, auto in avvicinamento".
Egor strinse forte la macchina fotografica e zoommò verso il cancello d'ingresso.
Nell'ora successiva, quello che assistette fu una sfilata infinita di gente in completi di Armani e pellicce di visone.
Il detective scattò raffiche di immagini ritraenti persone in vista stringere, sul portico di casa, la mano prima di Titov, poi alla moglie e poi alle due figliolette.
"State ricevendo le foto?", si accertò Egor parlando al microfono agganciato al bavero del suo cappotto.
Uno degli uomini nel furgone allestito con monitor all'avanguardia, parcheggiato a qualche chilometro da lì, rispose affermativamente. "Hai la mia stessa sensazione, capo?".
Una riunione di 'capocce' proprio a pochi giorni dall'arrivo di un inatteso carico di cocaina dall'America del sud?
Sembrava davvero troppo facile a pensare male.
"Prendete nota, ragazzi", gli rispose il detective. "Oggi siamo testimoni alla nascita di un nuovo cartello".
"Ancora un auto in avvicinamento", lo avvertì il collega dalla trasmittente. "Audi RSQ8 nera, finestrini oscurati e carena bassa".
"La vedo", diede conferma Egor dopo qualche minuto.
Scattò una nuova pioggia di fotografie, l'auto che imboccava il selciato e che parcheggiava accanto a tutte le altre in fila dietro al gazebo dell'accoglienza.
"Porco cane". Si lasciò sfuggire il collega di Egor dal sedile di guida, sbirciando le foto che il suo superiore stava facendo e che comparivano in anteprima sul monitor del portatile. "E questi da dove saltano fuori?".
Dall'auto sportiva nera lucida erano scesi quattro uomini in colletti di camicia sbottonati e cappotti lunghi scuri.
Mentre i due ragazzini che scendevano dai sedili posteriori non davano l'impressione di essere nulla più che accompagnatori, i due uomini che scesero dai posti anteriori procurarono non pochi pensieri al detective Egor.
"Questi non sono capi di industria, poco ma sicuro". Commentò ancora il suo collega, sedutogli accanto.
Non erano nemmeno compagni di giochi della festeggiata tredicenne.
Sembravano essere capitati lì per errore. Volti arcigni, mani nelle tasche dei pantaloni gessati, pelle tatuata in ogni parte esposta. Uno dei due, il più nerboluto, aveva simboli persino su tutta la testa.
I quattro si muovevano in branco a ranghi stretti. Il capo di loro, il più basso, decideva in che direzione muoversi tra gli invitati e gli altri tre lo seguivano orbitandogli attorno come satelliti.
Egor scattò foto che ritraevano il nuovo arrivato mentre stringeva la mano ai padroni di casa e foto che immortalavano uno dei suoi galoppini consegnare un pacchetto con un nastro colorato alla protagonista della festa.
Constatò che, a parte le mogli molto spesso non più vecchie dei quarant'anni e ai bambini compagni e parenti delle figlie di Titov, quei avanzi di galera erano i più giovani alla spicciolata.
"Nuova generazione", commentò il detective in un sussurro. Più rivolto a sé stesso che per un vera e propria risposta al suo collega.
Fece scorrere il dito indice e medio sul touchpad del portatile e ritagliò il dettaglio del volto di quel inquietante nuovo arrivato. Naso affilato, occhi leggermente a mandorla... forse di origini nordiche. Capelli appena un po' più lunghi di una rasatura completa, leggera barba scura a coprirgli guance e mento.
"Fatemi una ricerca su di lui, controllatemi il database generale delle carceri. Tatuaggi del genere si fanno solo lì. Avrà un nome e un cognome, voglio saperli".
Dalla trasmittente giunsero esclamazioni affermative multiple.
Quando tutti gli invitati vennero esortati a riscaldarsi all'interno della proprietà, c'era gran poco che il detective e la sua squadra potessero fare.
"E adesso?", chiese il suo collega tamburellando con le dita sul volante.
"Aspettiamo", gli rispose Egor mettendo in stand by la macchinetta.
Tornò con l'attenzione alla foto dello straniero. Sigaretta tenuta in equilibrio su labbra sfregiate, espressione assorta. Dietro di lui, sullo sfondo, il compagno 'testa tatuata' stava sputando a terra.
"Chi sei tu?".
 
 
  
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