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Autore: elenatmnt    13/12/2021    6 recensioni
"Non ho saputo ricambiare l'attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Era ormai sera ed era ora di cena, Leonardo e Donatello avevano apparecchiato la tavola al centro del salone, il giorno di Natale è sempre stato speciale, l’unico giorno in cui c’era un minimo di eleganza nel cenare e comportarsi a tavola.
Il genio aveva illuminato tutta la stanza; in alcuni punti sulle pareti, dove non c’erano mobili, aveva tentato dei disegni elementari con i fili, appena delle forme geometriche, avevamo apprezzato molto lo sforzo, visto il suo pessimo talento nel disegno.
L’albero era perfetto, l’angolo in cui era stato posto ci permetteva di guardarlo anche mentre eravamo a tavola.
Michelangelo si occupò di portare tutte le leccornie sul tavolo, ogni genere di bontà adornava quella tavola apparecchiata con una semplice tovaglia rossa, tovaglioli di carta, posate e bicchieri diversi gli uni dagli altri, tutta roba ricavata qua e là.
Mio padre in tutto ciò dov’era?
Lo cercai con lo sguardo, non lo vidi; poi sentii una mano calda che si appoggiava sulla mia spalla, era lui, l’unico ad avere le mani così calde in questa famiglia, l’unico a sangue caldo.
“Sono qui figlio mio” disse come se mi avesse letto nel pensiero.
“Sensei, io vorrei qualche minuto con te…”.
“Certo, dopo cena avremo modo di stare da soli” mi sorrise e rivolse uno sguardo alla tavola. Avevo capito, se ci fossimo allontanati avremmo lasciato i miei fratelli da soli nell’attesa. Aspettare significava rimuginare e non voleva farli stare male, o rovinare l’atmosfera che si era creata.
Ci accomodammo tutti intorno al tavolo e come consuetudine della mia famiglia ognuno disse qualcosa, non facevamo nessuna preghiera, piuttosto emulavamo il giorno del Ringraziamento, era una tradizione per noi.
Mi stavo preparando mentalmente alle frasi sdolcinate e a qualcuna di addio, solo quell’idea mi faceva contorcere lo stomaco. Come biasimarli?
Inutile dire che il primo è stato Michelangelo, ha sempre avuto un naturale talento nel smorzare le tensioni e mettere le persone a proprio agio.
“Allora… io… ringrazio per… sono grato… per i fumetti, la TV, i legumi in scatola già pronti così non bisogna perdere tempo ad ammollarli in acqua, i videogiochi e naturalmente la pizza!” alle volte non so se Mikey è uno scemo o un genio. Uno scemo! Tuttavia ammetto che quella frase era una genialata.
Dopo qualche istante di sguardi vaghi scambiati tra noi, partì una risata generale che lasciò di sasso Michelangelo “Che ho detto?” chiese il tontolone, lasciandosi trasportare dal goliardico momento, nessuno gli rispose, troppo impegnati a ridere e riprendere fiato.
“Io ringrazio per la tecnologia, le discariche e il caffè” Don seguì il filone comico di Mikey e a quel punto sarebbe andata così, o almeno credevo. Toccava a Leo, ero curioso di sapere quale cavolata avrebbe detto “io ringrazio la spensieratezza di Mikey, la genialità di Donnie, il sarcasmo di Raph e la pazienza di Sensei”. Perfetto si era giocato la carta sentimentalismo velato, furbo il leader.
Era il mio turno, l’ultima parola spettava a mio padre, non avevo idea di cosa dire, temevo che qualsiasi cosa avessi detto avrebbe creato tristezza o cattivi pensieri, oppure che non fosse sufficiente, o magari sarei apparso ingrato.  Andai sul banale “Grazie per la cena!”.
Accidenti se lo sapevo, attimo di silenzio.
Fortunatamente per me, mio padre ha preso subito la parola, lui sarebbe stato più serio, lui ci teneva a quel momento. “Io ringrazio di aver ritrovato la via. Mi ero smarrito e grazie a tutti voi ho ritrovato la strada di casa. Ringrazio di avere dei figli meravigliosi, ognuno di voi è speciale e io vi amo tutti. Sono il padre più fortunato del pianeta”.
Probabilmente avrebbe continuato se la sua voce non lo avesse tradito tremando, i suoi discorsi avevano la fama di essere molto lunghi, soprattutto nel dojo a fine allenamento non era strano che ci inculcasse qualche lunga perla di saggezza e Mikey finiva sempre con l’addormentarsi, seguito da un sonoro colpo di bastone su quella zucca vuota.
“Che aspettiamo ancora? Su mangiamo altrimenti si fredda!” l’entusiasmo travolgente di Mikey ci trascinò via come un tornado benevolo che mescolava le nostre anime in un unico spirito d’amore.
Parlammo di ogni genere di argomento, raccontandoci storie vecchie, ricordi e aneddoti della nostra vita, dalla più remota marachella ai più recenti atti valorosi.
Il tempo trascorse inesorabile, i momenti piacevoli durano sempre poco, la percezione del tempo si restringe in un solo attimo, un soffio di vento.
Più i minuti passavano, più si sentiva l’amarognolo in bocca di un momento che nessuno voleva che arrivasse, nessuno tranne me.
Certo che avrei voluto restare ancora lì, a ridere, a scherzare, a vivere.
Prima di ritirarmi per l’ultima volta in camera mia, Michelangelo prese un pacco colorato: era un regalo, l’unico che qualcuno avesse fatto in quel Natale improvvisato.
“Non c’è Natale senza regali, è pronto da tanto tempo, non l’ho mostrato a nessuno e questa mi sembrava l’occasione giusta per donarvelo. È un regalo solo, ma è per tutti!” disse commosso e imbarazzato. “Chi vuole scartarlo?”.
“Fallo tu” gli risposi prontamente.
“Ma è per voi!” protestò con occhi dolci.
“Fallo tu per me, allora!” a quel punto non si ribellò e scartò il pacco.
Era un ritratto di famiglia disegnato a matita e carboncino, quello di cui mesi prima mi aveva accennato Donnie. Era perfetto, un talento unico. Era la raffigurazione di una foto che ci facemmo più di un anno fa, io ero proprio in piedi accanto a lui. Mi sarei tuffato a vivere in quell’immagine perfetta, sarebbe stato il mio paradiso in eterno. E per completare la bellezza di quell’opera, sul fondo in basso a destra, vi era scritta una frase in corsivo che scaldò le anime dei presenti ‘come tutte le più belle cose’.
A quel punto furono lacrime per tutti, nessuno ebbe l’audacia di commentare, so solo che mi ritrovai avvolto da tutta la mia famiglia, mio padre compreso, colui che non mostrava mai gesti sentimentali era lì che ci avvolgeva con ali d’aquila.
Sentivo il loro respiro, il loro profumo, la loro tristezza, la loro forza. Con me fino alla fine.
“È ora” al mio bisbiglio sentii la stretta ancora più forte e questa mi gelò il cuore, un attimo dopo mi lasciarono, tutti mi guardavano, nessuno distolse lo sguardo. Era il loro modo di dire che erano pronti.
Mi accompagnarono verso camera mia, prima di entrare, da lassù volsi un’ultima occhiata alla casa.
Le luci che ancora illuminavano l’ambiente, la tavola lasciata apparecchiata ma disordinata, intravedevo la porta della cucina con la luce accesa. Il laboratorio aveva la porta chiusa, lo stesso per il dojo. Il sacco da box, mio compagno di rabbia, era rimasto uguale, la TV era spenta, il telecomando chissà dov’era finito, DVD e Videogiochi erano sparsi sul pavimento e sul divano, il disordine regnava sovrano.
Rivolsi uno sguardo di gratitudine a quel panorama, come fosse vivo, sorrisi alla mia casa che mi aveva visto crescere per tutta la vita, che aveva accompagnato le mie avventure, che mi ha protetto come una madre silenziosa. ‘Grazie’ fu il pensiero che le rivolsi prima di ritirarmi nella mia ultima tappa.
Mi distesero sul letto, ero un burattino con i fili spezzati. Avevo giocato bene, avevo vissuto la mia vita a pieno, non avevo nulla da recriminare. Percepivo i loro cuori palpitanti e pieni di paura, dietro quei sorrisi rassicuranti si celava tanta tristezza. Benché i loro sguardi guerrieri mi accarezzavano come una dolce brezza estiva, sentivo il vento gelido della loro disperazione.
“Figlioli, lasciatemi qualche minuto solo con Raffaello” fu la richiesta di un padre rassegnato, stanco, segnato dalla vita. I miei fratelli obbedirono subito, nella luce tenue della stanza scomparvero dietro la porta, lasciata chiusa alle loro spalle.
Perché l’addio con mio padre faceva più male?
Una vampata di calore mi avvolse, l’agitazione mi scorreva nelle vene, temevo qualsiasi cosa mi avrebbe detto, non me ne spiegavo la ragione, probabilmente non abbiamo mai avuto un vero faccia a faccia, lui era solito chiacchierare in solitudine con Leo, con me quasi mai, a meno che non ne combinavo una delle mie.
Mi prese la mano, il gesto così semplice e intimo calmò i miei nervi.
Guardò verso la parete alla mia sinistra dove vi erano appesi i miei sai e la mia maschera rossa, ormai suppellettili, amici fedeli di un tempo che fu.
Ichinichi isshou. Un giorno, una vita” la flebile voce di mio padre accarezzò il mio animo. “Dunque, è quello che vuoi?”
Hai” risposi di sì col mio pessimo giapponese. Lui tacque ancora, annuendo piano guardandomi negli occhi.
“Ti ammiro Raffaello, il tuo è un atto coraggioso. Da vero guerriero quale sei. Sono fiero di te, mi hai reso un maestro e un padre orgoglioso. Ogni giorno della mia vita, momento dopo momento ho gioito di ciò che tu e i tuoi fratelli siete diventati, ho gioito delle più semplici cose che mi avete regalato, da muovere i vostri primi passi a sentire per la prima volta la parola ‘papà’, dalle piccole risse tra di voi all’andare a dormire tutti abbracciati. Non vi ho concepito io, ma nemmeno le forze più potenti dell’universo cambieranno mai questa cosa: io sono vostro padre e voi siete i miei figli. Bambino mio, mi spezzi il cuore lasciandomi. Tuttavia comprendo che nei doveri di un padre c’è quello di lasciare andare i propri figli, di sostenerli nelle loro scelte. Non verrò meno al mio dovere. Ti amo figlio mio”.
“Ti amo anch’io papà… spero solo di averti reso fiero di me. So che sono stato un figlio difficile, ma ogni mia azione, seppur sciocca alle volte, aveva solo il fine di compiacerti. Spero di essere stato degno di un padre come te”.
Mio padre cambiò espressione come se avesse realizzato per la prima volta ciò che gli stavo dicendo.
“Sono io che spero di essere stato degno di te, non so quale buona azione io abbia mai fatto per meritarmi quattro doni come voi. Tu sei un dono bambino mio, un dono del cielo” non ci furono più parole.
Si abbandonò su di me, mi strinse come non faceva da anni, abbandonò l’orgoglio, l’imbarazzo, la freddezza del guerriero; abbracciato a me c’era solo il mio papà.
Otōsan, papà… ti voglio bene... Per sempre”.

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Note dell’autrice:
Ciaoooooooooooooooooooooooo!!!!!
Siamo giunti al penultimo capitolo, chiedo scusa per il mio ritardo nella pubblicazione, ma di mezzo ho avuto un Christmas Comix, sono sicura che mi capirete. XD

 
   
 
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