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Autore: Ciarax    15/12/2021    0 recensioni
Le stelle cadenti hanno un significato positivo e costituiscono un'imperdibile occasione per esprimere un desiderio, quando brillano e illuminano il cielo immerso nell'oscurità, ignari che quello non è che il riflesso pallido della loro esistenza.
Quello che le persone ammirano con tanta adorazione non è che il residuo, la scia di quella che una volta bruciava di passione, la stessa passione che si era lentamente spenta in Alexis. Solo l'ombra di quello che alimentava il suo spirito libero.
Era difficile immaginare un incontro tanto casuale da essere in grado di ribaltare la sua visione della vita, alimentando silenziosamente quella piccola e flebile fiamma nel suo petto.
Dal testo:
'Alexis Nyla Allen. Vent’anni. Studentessa. Questo era quello che chiunque avrebbe potuto leggere sul quel maledetto pezzo di plastica che racchiudeva semplicemente parole. Parole che non dicevano assolutamente niente di lei, di ciò che era o pensava.'
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XII
 
                    Gotta look up, just to catch that light
                    Out of the darkness, we burn so bright
 
 


Aveva corso, molto più di quanto non si sarebbe aspettato nelle volte precedenti. Aveva evitato Central Park ma era egualmente soddisfatta, era stato un azzardo uscire con quel tempo ma ne era valsa la pena.

Alexis ricominciò a camminare con più tranquillità, cercando di riprendere fiato e di appianare il fastidio delle cicatrici sensibili provocato dalla pesante umidità. Una cappa che avvolgeva New York da parecchi giorni, portando perlopiù neve che stava, lentamente e inesorabilmente, imbiancando la grande mela.

Non era raro che nevicasse in quell’agglomerato metropolitano ma che ne facesse tanta, a malapena nelle prime due settimane di dicembre era quasi una follia. La strada avrebbe rischiato di essere impercorribile nell’arco di poco tempo, motivo per cui non le sembrò una grande idea tornare indietro li all’aperto.

Nonostante l’abbigliamento tecnico e pesante, un brivido percorse Alexis da capo a piedi e quasi si illuminò quando intravide l’entrata di un sottopassaggio della metropolitana nella traversa successiva. Non indossava le lenti a contatto e non aveva gli occhiali con sé, ma l’insegna ben evidente l’aveva subito riconosciuta.

Non che bramasse particolarmente di tornare a casa. Negli ultimi giorni l’appartamento di Alexis non era altro che un particolare luogo di esasperazione, dalla quale nemmeno lei riusciva più ad esserne portatrice. Si stava riprendendo, anche se con lentezza.

Non era una cosa che doveva succedere. Loro non dovevano succedere. Capita.

Ma questo di certo non le spiegava l’insolita scena di cui era stata testimone e protagonista. Praticamente nessuno sapeva che abitava li, ma qualcosa le era stato recapitato… o meglio, l’aveva trovato di fronte la finestra del soggiorno.

Lana, lavorata a mano. Una coperta di morbida lana rossa ai ferri, come quelle che non potevano fare altro che ricordare a tutti il tempo passato da bambini nelle case dei nonni. La stessa sensazione di calore, di casa. Di famiglia.

Alexis aveva fissato quel morbido concentrato di calore, accuratamente ripiegato, come alla ricerca di una risposta che non trovava. Non c’era un biglietto, nulla. Sapeva che era da parte di Raph, lo stesso lavoro lo aveva visto in una delle sue visite al nascondiglio, ma non era questo il problema.

L’aveva trattata con sufficienza, con un’aggressività che non meritava affatto e neanche era stata smentita in alcun modo quella calunnia nei suoi confronti. Non portava rancore verso gli altri, anche se non sarebbe stata una reazione particolarmente inaspettata; eppure, non poté nascondere una certa amarezza nel ripensare a quel silenzio assordante, claustrofobico.

Cos’era quella dunque? Una richiesta di pace? Un’ammissione di colpa? Come qualcuno con l’ottusità di Raffaello fosse in grado di ammettere una colpa della quale non si sentiva minimamente responsabile. Lì non sembrava esserci un colpevole, e non c’era un biglietto.

Non gliel’aveva portata lui, nessuno di loro di era presentato o l’aveva cercata. Possibile che fosse un semplice gesto disinteressato da parte di quella testa calda? Non avrebbe mai chiesto scusa, che fosse perché sapeva di non meritarlo o perché il suo ego glielo impedisse poco importava. Lui non si sarebbe presentato a chiederle scusa. Lo sapeva.

Alexis riportò finalmente l’attenzione al presente quando si alzò con un sospiro e uscì dalla metro, arrivata alla stazione vicino casa sua. C’era un motivo se detestava rimuginare sulle cose.

Troppe possibilità. Decisamente. Troppe. Possibilità.

Si strinse leggermente nella coperta che teneva sulle spalle, affondando il viso nella morbida lana. Si sentì infantile a quel gesto non poi così dissimile da quello dei bambini incapaci di separarsi dal loro fidato amico di stoffa. Era la loro sicurezza, la zona franca. Così era quel groviglio di lana per lei e poco importava il sentimento contrastante che provava per la persona dietro cui c’era quel piccolo regalo.

Il tempo per quell’innocente pensiero fu bruscamente interrotto quando Alexis si sentì afferrare per una spalla. Buttata seccamente a terra e intimata di non muoversi, un fucile puntato nella sua direzione mentre l’unica cosa che riuscì a registrare per qualche secondo fu il bruciore insopportabile alla spalla.

Non voleva farsi toccare, detestava farsi toccare. Ogni contatto involontario altro non era che venire a contatto con un ferro rovente che le bruciava la pelle, ustionandola; eppure, non poté fare a meno di stringere involontariamente a sé una bambina, gettata anche lei a terra non appena scesa dalla metro e probabilmente separata nella foga dai genitori.

La teneva stretta a sé, circondandola con le braccia e tenendola la testa premuta nell’incavo del suo collo impedendole di vedersi intorno. Senza occhiali o lenti a contatto la sua vista decisamente non l’aiutava e le uniche cose che distingueva erano uomini in divisa scura e armati fino ai denti, giravano per la fermata della metropolitana con il fucile d’assalto spianato e puntandolo contro i malcapitati che di tanto in tanto tentavano di alzarsi per provare a sgattaiolare via.

«Sappiamo che sei qui! Se non ti arrendi, iniziamo a giustiziare gli ostaggi» esclamò all’improvviso una donna. Era in piedi in mezzo a tutti, il forte accento riuscì solamente a dare un minimo indizio ad Alexis che immaginò come non fosse americana.

Alexis era dietro una colonna, non riusciva a vedere chiaramente gli aggressori e fece cautamente capolino con la testa solo nel momento in cui sentì il click di un telefono. Qualcuno aveva scattato una foto. Ritrasse con uno scatto la testa quando sentì nuovamente una pistola venire estratta e puntata nella sua direzione.

Riusciva a stento a tenere gli occhi aperti, sentiva le piccole mani della bambina stringersi sulla coperta che Alexis portava sulle spalle e di risposta lei la strinse a sé. Le braccia erano rigide e il sudore freddo iniziava a gelarle tutti gli arti.

La metro era in arrivo. Il fischiare in lontananza si faceva sempre più vicino. E non appena la corrente venne staccata, piombò il buio. E le urla della donna che ordinò a destra e manca con la ferocia di uno squalo.

Un minuto. Sessanta secondi interminabili scanditi solamente dalle urla della gente terrorizzata attorno a lei, del proprio respiro pesante e dal tremore che la scuoteva dalla testa ai piedi. In un minuto quegli uomini armati erano spariti, tra le luci frammentate del passaggio della metro non si vedeva ad un palmo dal naso ma i forti rumori di una lotta in corso erano inconfondibili.

«Sono andati da quella parte»

«Un mostro, era una specie di mostro ma ci ha salvati!»

«Pazzesco. Erano velocissimi»


Mostro? Non c’era possibilità di sbagliarsi. Erano loro, e a conti fatti quello doveva essere stato il fantomatico Clan del Piede che da settimane aveva alzato il tiro con le proprie ‘scorribande’. I giornali e la televisione difficilmente parlavano d’altro, oltre il nuovo gruppo terroristico che metteva in ginocchio New York e le imprese filantropiche del plurimiliardario a capo delle Sacks Industries.

Lì sotto era il caos, e per una volta Alexis ringraziò il fastidioso ronzio in cui tutto quel marasma veniva trasformato e recepito dal suo udito difettoso. Non c’era comunque modo di riuscire ad orientarsi e fu quasi un miracolo mettersi in piedi e trovare la maniera di uscire prima che intervenisse la polizia, con le volanti già appostate fuori l’entrata della metropolitana.

Gli agenti non erano molti e sgusciare via fu più facile del previsto. La scarica di adrenalina e di paura erano ancora in circolo nel suo corpo e forse fu proprio in quella momentanea assenza di giudizio critico che mandò all’aria la cautela e si inerpicò sulla scala antincendio di un palazzo adiacente. Sapeva perfettamente dove trovarli e per una volta non sapeva se sarebbe stato saggio o meno lasciar perdere.

Devo decisamente cambiare zona per andare a correre, fu l’unico pensiero coerente di Alexis mentre si affannava un piano dopo l’altro. Otto piani di scala erano probabilmente l’ultima cosa che le serviva in quella giornata più movimentata del previsto e finalmente poté tirare un sospiro di sollievo quando raggiunse il tetto del palazzo all’ultimo piano.

Le giunsero voci leggermente ovattate a causa della distanza ma il timbro di tutti e quattro fu inconfondibile. Con un ultimo sforzo scavalcò e si rimise in piedi sul tetto del palazzo, senza preoccuparsi minimamente di nascondere la propria presenza. Alexis avanzò di qualche passo con calma, l’attenzione totalmente rivolta su di loro per accorgersi di una sesta figura precariamente abbarbicata su una scala.

«Avete visto la mascella di quel tizio com’era in sintonia con l’asfalto» esclamò eccitato uno dei quattro.

«Oh, siamo stati fantastici, fratelli. Come ombre nella notte» concordò l’altro.

«Completamente invisibili, eh?»

Gelati. Tutte e quattro le tartarughe erano completamente immobilizzate sul posto, l’entusiasmo di quella missione appena portata a termine, evaporato come neve al sole. La voce di Alexis era risuonata inconfondibile al loro udito e un brivido poco piacevole aveva attraversato la schiena di Michelangelo, favorevole alla vista piena della maschera gelida sul volto dell’amica.

«A-Alexis? Come… come mai da queste parti?» domandò balbuziente proprio lo stesso Michelangelo, tentando di scrollare di dosso la patina di avvertimento che gli altri fratelli avevano rivolto lui nel momento in cui aveva deciso di alleggerire la situazione.

Alexis non fiato, degnò a malapena di uno sguardo la povera tartaruga, totalmente assorbita invece dal fratello; Raph, al contrario, cercava in ogni modo di evitare quello sguardo che lo avrebbe probabilmente fulminato sul posto se solo ce ne fosse stata l’occasione. La furia della ragazza era percepibile anche a quella distanza e con cupa consapevolezza sapeva di esserne stato lui la causa.

Le sirene della polizia e dei paramedici nelle ambulanze era solo un rumore di fondo, tutti e cinque in quel momento avevano ben altro a cui pensare. Non c’era un alito di vento a scorrere tra loro e l’unica cosa sembrò l’impercettibile tremore delle mani di Alexis che stringeva la coperta ripiegata grossolanamente.

Sia Donnie che Raph si accorsero della stretta convulsa delle mani di Alexis ma non fecero a fermare Michelangelo dal tentare qualunque altro approccio che un flash illuminò i loro volti a giorno. Il flash di un telefonino che aveva appena scattato loro la foto, fece girare tutti nella stessa direzione dove una ragazza era in piedi terribilmente vicino il cornicione del palazzo.

«Ci ha… scattato una foto?» domandò Mickey confuso prima di vedere la misteriosa ragazza crollare a terra come un sacco di patate, svenuta.

Incontro… strano. Non era esattamente così che Alexis sperava di incontrare di nuovo le tartarughe, e Raph. Era lui quello che, immobile, non aveva accennato neanche un cambio di espressione.

Donatello attirò l’attenzione di tutti schiarendosi la gola con leggero imbarazzo, «Forse dovremmo portarla da un’altra parte, qui rischia di farsi ancora più del male se sviene nuovamente. Un punto meno pericoloso sarebbe l’ideale» suggerì sistemandosi gli spesso occhiali, rivolgendo un piccolo sorriso ad Alexis e un cenno con la testa a Raph.

Fu lui infatti l’unico a rimanere indietro dopo che Donatello e Leonardo si furono dileguati con la ragazza svenuta, rimbeccando nel mentre Michelangelo che era in procinto di domandare qualcosa di inopportuno in quel momento.

C’erano solo loro due, ed anche fin troppa distanza. Raffaello si accorse con parecchio ritardo che, nonostante la rabbia che traspariva dal volto di Alexis, lei non aveva minimamente cercato il suo sguardo. Lo stava evitando.

«Cosa. Diamine. Signifi-» tre parole scandite con lentezza ma che vennero bruscamente interrotte quando sentì le labbra di Raph sulle sue.

Era stato in un gesto irruento, quasi rabbioso mentre ancora stringeva tra le mani la stessa coperta che gli aveva regalato lui senza il minimo segno di spiegazione. Che cosa volesse risolvere con quel gesto era ancora più un mistero.

Raffaello aveva accorciato le distanze tra loro in meno di un secondo, scattando appena aveva sentito la voce di Alexis. Poca attenzione aveva prestato al tono d’ira con cui si stava rivolgendo a lui, troppo concentrato sugli occhi verdi che finalmente scattarono con i suoi. Era prossima alle lacrime dalla rabbia, ecco perché non lo guardava.

Alexis rimase immobile, irrigidita di scatto a causa dell’imprevedibilità di quel gesto e quasi costretta anche dal punto troppo vicino il bordo del palazzo in cui si trovava. Le sembrò quasi un’eternità prima che quel bacio si interrompesse e Raph mettesse un po’ di distanza tra i loro volti.

Osservò per un attimo l’espressione completamente persa di Alexis che si velò appena di imbarazzo. Quella volta sembrò lui essere sul punto di dire qualcosa ma non fece in tempo quando colse troppo tardi il piccolo sorrisetto divertito di Alexis, che premette le labbra su quelle di Raph.

Un brivido percorse la schiena della tartaruga quando si aspettò per un attimo la sua stessa irruenza, che non arrivò. Era stata delicata, leggera. Stessa cosa non fu però per Alexis che per una volta si sentì nuovamente bruciare qualcosa dentro.

Quello non era noioso, o asettico… era suo. Irrimediabilmente suo. E Alexis sfidò silenziosamente qualsiasi cosa avesse anche solo il coraggio di mettere il naso in quell’idillio che la fece sentire nuovamente viva.

Le mani di Raffaello, enormi rispetto alle sue erano saldamente ancorate ai suoi fianchi. L’aveva arpionata sul posto, in mezzo al caos che proveniva ancora da sotto il palazzo e che non toccava nessuno dei due.

Alexis avvertì la sua mano terribilmente vicina al fianco offeso, ma nonostante l’urgenza nel non farla muovete neanche di un passo, Raph non fece nessuna pressione nella sua presa. Sentiva la pelle sensibile, ribollire al calore piacevole emanato da Raffaello.

Proprio la tartaruga accennò un sorriso sghembo quando notò il corpo di Alexis avvicinarsi impercettibilmente al suo, attirata dal calore del suo corpo.

«Ti prendi decisamente troppe libertà» soffiò Alexis quando si allontanò di pochi centimetri e studiando con attenzione il volto di Raph, improvvisamente disteso in un’espressione rilassata.

«Mi sembri abbastanza testarda da protestare se non ti fosse piaciuto» commentò con semplicità, divertito dell’improvviso rossore ad imporporare il naso e le guance di Alexis.

La ragazza borbottò qualcosa di incomprensibile, storcendo leggermente il naso e enfatizzando involontariamente le lentiggini appena accennate. Abbassò la testa verso le mani di Raph ancora ferme a mandarle piacevoli ondate di calore nel corpo.

Seguì con lo sguardo la linea delle braccia marchiando a fuoco nella mente ogni linea e accentuazione dei muscoli ben sviluppati. Allungò appena la mano, toccando con la punta delle dita la pelle liscia e puntellata da qualche scaglia particolarmente interessante. Ammaliata dalle incredibili sfumature delicate di verde che avrebbe sicuramente avuto difficoltà ad imprimere nel modo giusto in uno dei suoi ritratti.

Era un qualcosa di cui non sarebbe bastata un’intera orchestra per descrivere quell’idillio che le aveva nuovamente infiammato l’anima.
   
 
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