Grimmauld Place n.12,
Sala dell'Arazzo.
“Sirius, che hai? Non dormi?”
L'uomo è seduto a terra, con le gambe raccolte al
petto, i capelli un groviglio floscio incastrato a forza nella coda
di cavallo -E pensare, si dice Remus, a quante volte vi ho passato le
mani, a quante volte ho rigirato quelle ciocche nere tra le dita,
sulla riva del Lago Nero, mentre la Piovra allungava pigramente i
tentacoli e Sirius mi faceva poggiare la nuca in grembo ed io gli
solleticavo il mento con la punta della piuma...
“Come faccio a dormire con Kreacher che borbotta in
continuazione?” replica l'altro “Sembra che il non farmi chiudere
occhio sia diventato il suo scopo esistenziale.”
Remus vorrebbe credergli, ma per quanto l'Elfo Domestico
detesti Sirius e gli renda la vita difficile, sarebbe da ingenui
imputare a lui tutta la colpa. I sussurri e i borbotti e le
maledizioni e gli insulti di Kreacher sono alla portata d'orecchi di
tutti, ma ci sono altri bisbigli, in quella casa, altre accuse, di
cui Sirius è il solo bersaglio -E Remus lo sa. Ricordi annidati
negli angoli, pronti a ghermirlo, a saltargli addosso, a negargli il
sonno, a turbare il sogno e la veglia.
L'ex professore gli si avvicina, ma non si siede, rimane
in piedi con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni lisi. Con
gli occhi segue i tralci dorati della famiglia Black che si
intrecciano e si intersecano, nodi scorsoi di sangue che un secolo
dopo l'altro si raccolgono a formare il cappio che si serra al collo
dell'amico.
“Non mi hai parlato della tua vita qui.” gli fa
notare -Non c'è accusa, nella sua voce, è soltanto una
constatazione “James mi disse che non avevi raccontato niente
nemmeno a lui.”
“Non volevo che il peso di questa casa e di questa
famiglia rovinasse ciò che di più bello avevo.” risponde allora
Sirius. Inclina la testa, per guardarlo, quindi storce la bocca e gli
fa cenno di mettersi accanto a lui. “Era come sentire qualcosa
qui.” si tocca il petto col pugno “Del veleno. Parlarne era come
stillare una goccia di più, ogni singola volta. Temevo avrebbe
finito col consumarmi, se glielo avessi permesso. La Nobile e
Antichissima Casata dei Black.” recita, un verso di disgusto sulla
punta della lingua “Il tormento peggiore che potessi dare a mia
madre non era tanto negare la mia discendenza, quanto impedirle di
far parte della mia vita. Dimostrarle quanto poco mi importasse di
tutto questo, del Sangue Puro, della schiatta. Gridare a lei e al
Mondo Magico che ero fiero di me non per il cognome che portavo, ma
per il modo in cui i miei amici mi chiamavano per nome.”
Gli occhi di Sirius, ingrigiti dal tempo, si sollevano a
cercare quelli di Remus. Piano, perché all'altro sia concesso
distogliere lo sguardo senza sentirsi in difetto.
“Il modo in cui tu mi chiamavi per nome,
Moony.”
Sono trascorsi anni. Hanno attraversato il buio e
l'inferno, il lutto, la sfiducia, le loro anime sono state fatte a
brandelli, il loro spirito spezzato, eppure Lupin si sente tremare
come la prima volta che ha sentito l'ansito di Sirius posarsi come un
bacio sulla spalla nuda.
Sono vecchi, sono stanchi, sono marci, irranciditi,
rinsecchiti, sono ombre, niente più che ombre di un passato lontano,
ritagli di giornale, figure sfocate, ormai immobili, su una logora
fotografia in seppia, ma eccoli, per un attimo, un brivido, un
momento, di nuovo ragazzi, non ancora adulti, un sussurro, Remus, un
bisbiglio, Sirius, eccoli che sgranano un rosario di baci l'uno dalla
bocca dell'altro, mani che cercano mani, il nome di Remus, i denti
chiusi sulla gola e sul collo ora teso, il nome di Sirius, la schiena
inarcata, il palmo che scivola a tracciare la curva dello sterno, il
nome di entrambi, il ventre incavato, i tatuaggi che premono contro
le dita, Sirius, le ginocchia che schioccano mentre si piegano,
flettono, la pelle grigia che si colora, Remus, s'ingemma,
s'arroventa, e la carne fragile che quasi si spezza, il bacino
strettosi per l'inedia, la mancanza, la solitudine, un latrato,
Remus, un guaito, Sirius, mandibole serrate, Remus, sfiato, Sirius,
tensione, Sirius, gemito, Sirius, rilascio, Remus si ritrova coi
gomiti puntellati sul tappeto tarlato, ingoia ossigeno a sorsate,
trema, si abbandona con la guancia contro il pavimento. Sirius si
lascia cadere al suo fianco, la mano destra sulla pancia, il braccio
sinistro a coprire il viso, il mento e gli zigomi arrossati e magri.
Lupin si stende sul fianco e richiama l'attenzione
dell'altro con la punta del piede.
“Non nascondere la coda tra le zampe, ora, Pads.”
Black gira il viso nella sua direzione, la mano
sollevata sulla fronte, lo fissa -Quindi scoppia a ridere. È un
suono così forte, genuino, che sulle prime Remus lo osserva
istupidito, quindi si arrende e ride, ride anche lui, ride di se
stesso, ride di entrambi, ride e basta, ride perchè ha tenuto tanto,
ha tenuto troppo dentro e adesso deve liberarlo, deve,
non può, non può non farlo, non può sciogliersi in quella risata
che continua, non smette, frantuma il silenzio mentre rotola sul
ventre per raggiungere il corpo nudo dell'amico. Gli cinge la vita
col braccio, solleva appena il busto, abbassa le spalle e quando sono
fronte contro fronte ecco che la risata s'abbassa, s'affievolisce,
muta in lacrime, le mani di Black alle tempie, il naso che sfiora il
suo, pianto nel pianto, respiro dentro al respiro, l'uno dentro
all'altro ad una profondità che va oltre il fisico, oltre la carne,
oltre il tempo e lo spazio, in un ritaglio di adesso sospeso
tra ciò che è stato e potrebbe essere, un equilibrio di sensi che è
la cristallizzazione perfetta del Tutto e dell'Insieme.
“Chiamami sempre così.” sussurra Sirius, tanto
vicino al volto dell'altro che le ciglia s'intrecciano e si serrano
tra loro come mani, come dita “Sempre così. Che io possa morire
prima di sentirmi chiamare da te con dolore e sofferenza. Possa
morire, Merlino mi sia testimone.”
Bisogna fare attenzione a ciò che si promette, a ciò che si giura.
Sirius è già sordo quando l'urlo di Remus cerca di afferrarlo dall'altra parte del Velo.