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Autore: muffin12    15/12/2021    3 recensioni
C'era una volta, nemmeno troppo tempo fa, un idiota in negazione.
C'era una volta, su per giù nello stesso periodo, un altro idiota che non capiva come muoversi.
C'era una volta, quindi, una coppia di idioti che tentava e non riusciva.
Ce l'avrebbero fatta, prima o poi, con i loro modi e con i loro tempi. Tranquillamente. Passo dopo passo.
Se solo non fosse stato per quei maledetti film Disney ...
Fic SakuAtsu natalizia che, al solito, di natalizio ha veramente poco.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
 
Avevo cominciato questa storia come OS. Ho sforato le pagine che mi ero imposta, quindi ho deciso di fare capitoli più brevi rispetto a quelli che sono abituata a pubblicare.
 
Le previsioni sono ottimistiche, quindi spero di essere più brava del solito e non farmi viva una volta al mese. Anzi, lo sarò!
 
Grazie a tutti per darmi, come al solito, una possibilità! È una storia molto leggera, punto a divertire e spero di riuscirci!
 
Buona lettura!
 



 
Capitolo 1 – Riflessioni  
 
 
Fu un’idea di Wan-san.
 
Per esperienza personale, Atsumu sapeva che le idee di Wan-san erano da ascoltare, prendere con delicatezza e buttare direttamente nel secchio, ma nessuno lo voleva mai ascoltare.
 
Wan-san aveva pensato bene di introdurre Shou-kun al caffè, sicuro che l’eccitazione perenne dell’esca dei Black Jackals, unita a quella che portava la caffeina naturalmente, avrebbe annullato tutta la sua energia e sarebbe crollato a dormire in qualche angolo. Secondo lui, il sovraccarico sarebbe stato così eccessivo che il sistema di Shou-kun non ce l’avrebbe fatta e si sarebbe scaricato come un robottino con la spina staccata.
 
Non aveva preso in considerazione, però, che in matematica più per più risultava sempre e comunque positivo, quindi dovettero sorbirsi uno Shou-kun odiosamente energico che schizzava da una parte e l’altra della palestra, riuscendo addirittura nella storica impresa di far stancare Bokkun. Decisero di metterlo davanti alla WII con una versione infinita di Just Dance fino a che non fosse svenuto. O morto, quello che sarebbe arrivato prima.
 
Fortunatamente sopravvisse.
 
Wan-san aveva anche proposto di regalare, per il compleanno di Meian-san, un pacchetto super romantico per le terme in Hokkaido da utilizzare con la sua storica fidanzata per un finesettimana da sogno. Fu orribile scoprire, una volta che il capitano scartò il regalo, che la ragazza aveva deciso di troncare ogni rapporto soltanto quattro giorni prima, prendendo baracche e burattini e scappando senza più voltarsi indietro. Il risentimento per la rottura era secondo solo a quello della perdita della poltrona che la tizia aveva avuto l’ardire di rubare, a cui il capitano teneva neanche fosse sua figlia.
 
Le lacrime di Kita-san, dopo aver perso la sua ultima partita all’Inarizaki, erano niente in confronto a quelle uscite dagli occhi di Meian-san al ricordo della fidata poltrona che lo accompagnava dalle superiori.
 
Atsumu, quindi, aveva con il tempo imparato a diffidare delle idee di Wan-san.
 
Ma lui aveva quell’istinto di sopravvivenza sovrasviluppato che era insito nel DNA di ogni bambino non figlio unico, meglio se primogenito. Quello che ti salvava la vita a scapito di quella di tuo fratello, quel brivido ancestrale che saliva su per la spina dorsale e ti convinceva che, tutto sommato, rasare i capelli di Osamu durante la notte, contando sul suo sonno comatoso, avrebbe portato più mali che gioie non appena si fosse svegliato l’indomani.
 
Shou-kun era il primo figlio, ma aveva avuto la fortuna di una sorellina adorabile come Natsu-chan. Non sapeva cosa significava dover crescere con un gemello, maschio in particolar modo. Non aveva dovuto difendersi da morsi, calci e spinte giù dagli alberi.
 
Bokkun era il bimbo più piccolo, quindi non avrebbe capito a prescindere.
 
Così, quando un mercoledì di allenamento Wan-san si alzò dai suoi piegamenti e disse, con tono quasi sorpreso dalla propria ridicola idea, “Ragazzi, che ne pensate della serata cinema?” ecco, Atsumu avrebbe dovuto dar retta al suo istinto e fuggire a gambe levate per mai più voltarsi indietro.
 
Era una domanda innocente.
 
Tutte le idee di Wan-san partivano come innocenti, poi avrebbero dovuto passare i successivi venti giorni a rimediare ai problemi che, inevitabilmente, sarebbero spuntati fuori e avrebbero fatto piangere gente con tempra d’acciaio.
 
Mandò una richiesta mentale di scuse ad Aran-san, che si era trovato tragicamente impigliato nel più recente disastro di Wan-san.
 
Inoltre si trovavano a dicembre, mese concentrato di partite di beneficenza e comparsate negli ospedali, non avevano tempo per correre ai ripari prima che il grassone in rosso decidesse di far visita in città.
 
Il coach Foster li avrebbe frustati a sangue molto prima che arrivasse l’anno nuovo.
 
“Sì!” Esclamò Bokkun con un sorriso enorme, completamente dimentico di essere stato l’ultima vittima di quelle genialate. “Perché non ci abbiamo pensato prima?”
 
“Perché è stupido.” Borbottò Sakusa sul tapis roulant e la sua risposta confermò il pensiero fisso di Atsumu che le cuffie che metteva mentre correva erano solo un modo per depistare tutti e non farsi rivolgere la parola. Furbo bastardo antisociale.
 
“Facciamo questo venerdì!” Cinguettò Hinata ignorando totalmente Sakusa. “Casa mia?”
 
“Serata cinema?” Il tono di pesante giudizio di Atsumu fece girare più di una testa, una sola riccia e vagamente interessata. “Cosa abbiamo, dieci anni?”
 
“Pensi che le serate cinema abbiano un limite d’età?” Domandò Meian con un sopracciglio alzato, perché se si fosse presentato lui lo avrebbero dovuto fare tutti e avrebbe lottato con i denti per questa piccola soddisfazione. Anche perché gli appuntamenti che era riuscito a rimediare nell’ultimo periodo si erano rivelati molto deludenti, avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di passare una serata diversa dal bere vino troppo caro e fingere interesse per foto di animali domestici più o meno viziati.
 
E poi adorava i suoi ragazzi, anche se erano tutti idioti.
 
“Beh, dipende da cosa guardiamo.” Rispose Atsumu con tono acido. Non si sarebbe seduto accanto a Barnes a vedere un film smielato, primo perché era sposato ed era totalmente uno spreco, secondo perché no, semplicemente. Non sapeva perché, ma no.
 
“Io non vengo.” Informò incurante Sakusa, spegnendo il tapis roulant e scivolando via con grazia zuppa di sudore.
 
“Omi-san, è quasi Natale!” Cinguettò Hinata. “Non vuoi fare qualcosa di così bello tutti insieme prima delle vacanze?”
 
“Preferisco bere candeggina.”
 
Atsumu lo guardò malissimo, perché stare sul divano accanto a Sakusa avrebbe significato essere coccolati dall’odore sottile e clinico di disinfettante e quello fresco di un profumo fruttato di cui non aveva ben capito la natura, ma che era presente attorno a Sakusa in qualunque momento ed in qualsiasi situazione.
 
Sarebbe stato molto rilassante e stranamente intrigante, ma come al solito doveva fare lo stronzo.
 
“Le serate sono aperte a tutti.” Sottolineò Meian con un sorriso fintissimo, facendo scoppiare a ridere Barnes. “Obbligatoriamente.”
 
“Ho una visita medica.” Continuò Sakusa senza guardare nessuno, tamponandosi il sudore dalla fronte.
 
“Di venerdì sera?”
 
“Medico estremamente privato.”
 
“Se non viene neanche stavolta mi incazzo.” Ringhiò Atsumu improvvisamente arrabbiato.
 
Sakusa aveva questo lasciapassare sempre valido che lo esentava da, praticamente, qualsiasi cosa.
 
Aveva lasciato correre i primi tempi: in fin dei conti ricordava estremamente bene le fisse di Sakusa e i suoi problemi con insetti più o meno schifosi, non era così stronzo da alzare un polverone per qualche rifiuto, soprattutto dopo aver avuto esperienza diretta degli Izakaya dalla reputazione dubbiosa che erano gli unici che sembravano conoscere i suoi compagni.
 
Ma era passato tempo, ormai. E aveva ampliato le conoscenze comuni sui locali da frequentare e quelli da evitare neanche contenessero scorie radioattive (e, a conti fatti, non era da escludere a giudicare dallo stato dei bagni).
 
Erano una squadra, cazzo, a volte Sakusa avrebbe anche potuto fare il sacrificio e partecipare ad una cena di gruppo, un aperitivo, una discussione filosofica al parco a mezzanotte, qualunque cosa! Non sarebbe certo morto!
 
“Sakkun, ci divertiremo!” Esclamò Bokuto cercando, e non riuscendo, di afferrare Sakusa per il collo con il suo enorme braccio pieno di muscoli.
 
“Non mi interessa vederti piangere davanti al film di un cane morto.” E quello era un fatto piuttosto specifico a cui Atsumu decise di non dar seguito, preferendo mantenere intatta la propria stabilità mentale. “Non vengo.”
 
“Non puoi rifiutare qualunque invito.” Si stufò Atsumu, perché era una situazione da chiarire quella. “Non stiamo andando in un locale che non conosci, stiamo organizzando in casa. Puoi avere il massimo controllo di quello che mangi e bevi, diavolo puoi anche portare roba tua personale!”
 
Sakusa aggrottò le sopracciglia, girandosi verso di lui con aria confusa. “Perché sei improvvisamente arrabbiato?”
 
“Ti sembra normale rifiutare ogni invito?”
 
“Sono affari miei come voglio passare i venerdì sera.” Rispose con tono secco, la mano stretta attorno all’asciugamano tanto forte da sbiancare le nocche. “Qual è il tuo problema?”
 
“Non ho alcun cazzo di problema, ma siamo una squadra e ti vediamo solo al lavoro!” Ribatté Atsumu, forse più scocciato del necessario. Sentì uno “Tsumu-san!” commosso da parte di Hinata, prontamente zittito da qualcuno. “Ti stiamo davvero così antipatici da non poter passare con noi neanche il tempo di un film?”
 
Forse non era l’accusa che si aspettava Sakusa, che rimase con l’asciugamano in mano, la bocca leggermente aperta e gli occhi un po’ spalancati. “Non volevo …” Provò a dire, ma venne bloccato immediatamente.
 
“Sono sicuro che possiamo pulire secondo i tuoi fottuti standard, ma potresti farci il favore di non trattarci come scarafaggi?”
 
“Tsum-Tsum, quindi sei felice della serata cinema!” E fu solo quell’esclamazione urlata di Bokkun che gli fece capire l’errore madornale che aveva appena compiuto, completamente accecato da Sakusa e la sua misantropia spiccia. Imprecò tra i denti, sentendo una scimmia dai capelli arancioni arrampicarsi sulle sue spalle e un gorilla di attaccante abbracciarlo con tutta la sua forza.
 
No, pensò, nemmeno lui voleva la serata cinema.
 
La reputava uno spreco di un perfetto venerdì sera e, da una parte, doveva dar ragione a Sakusa: vedere Bokuto urlare e piangere sarebbe potuto sembrare divertente all’inizio, ma la novità sarebbe presto svanita e sarebbero subentrate la noia e la malignità di prese in giro mirate, non poteva partecipare alle serate cinema.
 
Sunarin e Samu lo avevano rovinato per qualunque film gli passasse sotto gli occhi.
 
Alzò lo sguardo aggrottato, vedendo Sakusa passarsi l’asciugamano al collo pensoso e fin troppo tranquillo. Guardava il tapis roulant con sguardo fisso, battendo le palpebre ogni tanto e appiattendo le labbra in una linea stretta, come a riflettere.
 
Atsumu storse il naso. Forse aveva un po’ esagerato, in fin dei conti nemmeno lui era felice di quell’uscita e riversare su Sakusa frustrazioni di varia natura non era certo la scelta migliore per convincerlo ad accettarli.
 
Aprì la bocca, forse per scusarsi o forse per continuare ad attaccarlo con un impeto che solo Sakusa riusciva a scatenargli con mezza parola borbottata, ma non seppe mai cosa potesse uscirne perché Meian si inserì con il suo fare autoritario e sistemò tutto con le sue classiche punizioni che non volevano mai essere tali, ma che lo sembravano con tutti i crismi. “Sakusa, verrai con Atsumu.”
 
“Cosa?!” Gracchiarono tutti e due con vari gradi di indignazione, ma il capitano era irremovibile. “Dal momento che siete contrari e dovete evidentemente chiarire qualcosa, vi aspettiamo a casa di Hinata per venerdì alle sette.”
 
“Non ho bisogno del cane guida.” Sibilò Sakusa, mentre Atsumu ringhiò. “Non ho niente da chiarire.”
 
“Ragazzi, è come un appuntamento.” Ghignò odiosamente Wan-san, beccandosi un dito medio da Atsumu e un’occhiata così velenosa da Sakusa da poterlo uccidere se solo si fosse impegnato abbastanza.
 
“Quindi è ufficiale.” Meian sembrava soddisfatto. “Che film volete?”
 
“Vediamo un horror?” Chiese Tomas con molta più esuberanza del necessario, ignorando lo sbuffo arrabbiato di Sakusa.
 
“Assolutamente no, vuoi che Hinata abbia gli incubi di notte?” Lo sgridò Inunaki facendo arrossire Shou-kun. “Ricordi il trailer di quel thriller?”   
 
Un gemito collettivo si alzò nella palestra, rievocando le urla terrorizzate che erano echeggiate nell’hotel in cui erano stati ospitati per la trasferta di qualche mese prima. Dovettero offrire cesti di frutta a tutte le camere dell’edificio come richiesta di scusa, unite a bottiglie di champagne così costose ai membri dell’hotel che la totalità delle pubbliche relazioni quasi li castigò come mocciosi.
 
“Non mi aspettavo quel genere di immagini!” Cercò di difendersi Shou-kun, senza successo.
 
“Niente commedie.” Pregò Barnes con un sospiro stanco. “Mia moglie è fissata e non ho più la forza, vi prego.”
 
“Porto tutti e diecimila sequel di Fast & Furious!” Intervenne Bokuto con un sorriso enorme.
 
“Ragazzi, non preoccupatevi.” Ghignò Wan-san, diabolico e con un’aria che urlava diffidenza a gran voce. “Ho i film giusti per noi.”
 
 
*
 
 
“E gli ho detto che non può sempre rifiutare, anche solo una volta deve accettare di stare con noi!”
 
“Mmmh …”
 
“E lui ‘qual è il tuo problema?’ Capisci? Viene a chiedere qual è il mio problema! Il mio problema!
 
“Ah-ha …”
 
“Non ho un fottuto problema, è lui il mio fottuto problema perché non c’è mai!
 
“Vedo …”
 
“Mi stai ascoltando?” Ringhiò Atsumu, perché aveva bisogno di essere compreso nel pieno del suo sfogo, pretendeva attenzioni a trecentosessanta gradi e oltre e non poteva aver parlato a vuoto negli ultimi venti minuti, avrebbe fatto una strage.
 
Sentì suo fratello sospirare profondamente dall’altra parte della cornetta. “Sììì.” Esalò lentamente, un tono di voce che sembrava pregare qualsiasi entità di assolverlo in quel momento o ucciderlo all’istante, tutto pur di non affrontare quel dolore. “Ti sto ascoltando.”
 
“Beh non mi sembra, non hai detto niente!”
 
“Tsumu, sinceramente non capisco cosa vuoi sentire.” Osamu aveva la voce stanca ma Atsumu non riusciva a capire se per la giornata impegnativa o perché, sicuramente, aveva il cervello troppo microscopico per dargli la giusta considerazione. “Non vuole venire, che ti importa?”
 
“Siamo una squadra.” Sibilò Atsumu, riempiendo una ciotola di acqua direttamente dal rubinetto, il telefonino incastrato tra la spalla e la mascella. “Dobbiamo essere una squadra anche fuori dal campo. Cazzo, hai giocato anche tu, sai quanto è importante l’affiatamento tra compagni.”
 
“Non te ne è mai fregato niente.” Borbottò Osamu incurante. “Ti avrebbero tutti investito con una macchina senza pensieri per quanto eri odioso. Me compreso.”
 
“Beh, non è il fottuto liceo questo!” Ribatté Atsumu piccato. Poi, ripensandoci. “Kita-san non l’avrebbe mai fatto! O almeno avrebbe chiamato un’ambulanza.”
 
“Sakusa funziona negli schemi?” Domandò a bruciapelo Osamu e Atsumu si zittì di scatto, stringendo i denti forte. “Ti ha mai dato problemi in partita? Ti dà del filo da torcere senza motivo?”
 
“No …”
 
“E allora, ripeto, che ti importa?”  
 
Atsumu prese la ciotola piena d’acqua e la mise nel microonde, attivandolo per un paio di minuti, schiacciando i tasti con così tanta violenza da dare l’impressione di volerli rompere.
 
Gli importava.
 
Sì, che gli importava, come gli sarebbe importato se al posto di Sakusa ci fosse stato Adriah-san, Shou-kun o Bokkun. Solo che non si era mai preoccupato per loro, perché erano sempre, o almeno la maggior parte delle volte, disponibili e felici di fare un’uscita di squadra, con tante risate, troppe urla e confessioni brille al limite dell’umana decenza.
 
Sakusa non c’era mai. Non inventava nemmeno scuse, rifiutava e basta.
 
Non li voleva? Non li sopportava?
 
Era arrivato a pensare che forse i Black Jackals non erano la sua prima scelta e che si era accontentato di una squadra con troppe persone invadenti e rumorose.
 
Magari avrebbe preferito dei compagni più seri, più professionali, qualcuno che non aveva il profilo Twitter costantemente sotto controllo dai tirocinanti delle pubbliche relazioni (il monitoraggio di quello di Bokkun era più efficace di qualunque test psicologico avessero mai inventato) o che partecipava alle interviste con un auricolare nascosto per evitare inveisse troppo su Kageyama (ciao Shou-kun!) o, ancora, che le iscrizioni sui siti di incontri non portassero ad appuntamenti con squilibrate certificate e schedate dalle forze dell’ordine (il capitano ne era ancora all’oscuro).
 
Magari avrebbe potuto farlo.
 
Tuttavia, sorrideva quando facevano i buffoni durante l’allenamento. Piccoli ghigni, accennati ma ben presenti.
 
Partecipava.
 
A dispetto di ogni previsione, Sakusa era l’artefice di ogni scommessa attualmente in corso all’interno della squadra, dagli ace nelle partite ufficiali a chi riusciva a bere più granite il più velocemente possibile, ovviamente partecipando a quelle che non lo avrebbero ucciso per stupidità.
 
Nascondeva il tutto sotto la sua aura tranquilla e le frecciate sgarbate, ma era quello che aveva proposto la bomba di glitter contro la ex di Meian-san quando era fuggita con l’amata poltrona ed erano stati bloccati per un pelo sottilissimo da una sicura denuncia.
 
Si divertiva con loro, poteva vederlo.
 
Era veramente esilarante, soprattutto quando nessuno se lo aspettava. Simpatico in un modo un po’ nascosto e molto diretto che non avrebbe mai immaginato alle superiori. Atsumu poteva tranquillamente ammettere che si trovava bene con lui e lui con loro, quindi non capiva perché rifiutava ogni invito.
 
“Sto sentendo il tuo cervello friggere.” Canticchiò Osamu e Atsumu morse una rispostaccia tra i denti.
 
Il microonde squillò la fine del timer. Allungò la mano per prendere la ciotola troppo calda con dita caute e versò l’acqua nelle due confezioni di ramen istantaneo che aveva preparato sul piano della cucina, chiudendo il tutto per mantenere il calore.
 
Forse era solo lui che lo trovava simpatico. Magari Sakusa lo sopportava solamente. Era costretto nelle ore di lavoro ed evitata qualunque contatto esterno perché era sufficiente il tempo che dedicava loro sul campo.
 
“Tsumu, smettila.”
 
“Forse hai ragione.” Sospirò a lungo, guardando i coperchi di alluminio stropicciato della sua cena con una pesantezza sulle spalle che lo schiacciava verso il basso. “Non dovrebbe importarmi.”
 
“No, non dovrebbe.” Accettò Osamu con tono calmo. “Non hai niente da spartire con lui, stai bene con Hinata e Bokuto.”
 
“Sono molto più divertenti.”
 
“Oddio, quello no.” Atsumu aggrottò le sopracciglia, sentendo suo fratello mugugnare pensoso. “Sono divertenti in modo differente. Sakusa ha quel sarcasmo secco e brutale che ti aspetti ma per cui non sei mai abbastanza preparato.”
 
“Quando siamo sul treno ci divertiamo a commentare i passeggeri.” Rivelò con un mezzo sorriso.
 
Quelli erano i momenti perfetti per vederlo abbassare quasi completamente le difese, tra la stanchezza che ammorbidiva le membra e la tranquillità della fine di una giornata, scrutando un vecchio guardone con la palpebra un po’ abbassata e sentirlo sbuffare ‘pervertito’ tra labbra tenere e screpolate.
 
 La prima volta che avevano giocato avevano ridacchiato come idioti, ringraziando le mascherine e le sciarpe che avvolgevano le loro facce per una sorta di privacy che non c’era davvero. Era diventata un’abitudine a cui non avrebbe mai rinunciato, sentendo come se potesse vederlo veramente solo in quel momento. Non era mai stato così soddisfatto di vivere nella sua stessa direzione.
 
“Vedi? Divertimento stronzo.” Atsumu aprì il coperchio di una confezione di ramen, mescolando concentrato i noodles nel brodo caldo. Non erano ancora morbidi, ma l’aroma salato che raggiunse le narici sembrò rimetterlo un po’ in pace con sé stesso. “Ti è sempre piaciuto il divertimento stronzo.”
 
“Perché non vuole uscire con noi?”
 
“Forse pensa di non essere il vostro tipo.” Atsumu alzò di scatto la testa, battendo le palpebre come un gufo.
 
Oh. A quello non aveva mai pensato. “Ma lo invitiamo sempre!”
 
“Non so se te ne sei accorto, ma è un po’ più complicato dei cervelli di gallina a cui sei abituato.”
 
“Non ha assolutamente senso!”
 
“Senti, non ho la sfera di cristallo, non so cosa pensa Sakusa.” Atsumu avvertì il suono di pentole che cadevano dalla parte di suo fratello, producendo un rumore assurdo, e una caterva di imprecazione dalla fantasia sopraffina a cui era tristemente abituato. “Se ti preoccupa così tanto parlane con lui. Magari senza insultarlo. Magari senza rompermi le palle.”
 
Eh, quello era più difficile. Sakusa aveva questa anormale capacità da attivargli i nervi e renderli ipersensibili. Giochi sul treno a parte, qualunque altra conversazione finiva inevitabilmente a ringhi e insulti da parte di entrambi, iniziando con un argomento e finendo a sfidarsi per qualsiasi altra stronzata.
 
Sarebbe stato parecchio difficile fare una chiacchierata cuore a cuore con tutto quell’ammasso di irritabilità pronta a scattare.
 
“Se invece decidi che non ne vale la pena, fattene una ragione e basta. Vivrai tranquillamente come hai sempre fatto.” Osamu fischiettò una canzoncina stupida per un paio di battute, poi chiese. “Com’è finita alla fine?”
 
“Cosa?”
 
“In palestra. Avete litigato?”
 
Atsumu prese le bacchette e afferrò il ramen, scoperchiandolo e mescolando i noodles con aria pensosa, tirandoli su di tanto in tanto per snodarli. “No.” Mormorò, poggiandosi con i fianchi sul piano della cucina, avvicinando la cena alla bocca e sentendo il vapore bollente inumidirgli le labbra e il naso. “Sembrava sorpreso.”
 
Quello non era stato molto chiaro.
 
Sakusa aveva combattuto con tutto sé stesso per la serata cinema, aggrappandosi con le unghie e con i denti a qualsiasi cavillo idiota, ma le accuse che gli aveva rivolto Atsumu erano state assorbite con una concentrazione e una calma paziente che non aveva compreso pienamente.
 
Si sarebbe aspettato un riscontro acido, un invito a farsi gli affari propri, un augurio di essere tirato sotto da un camion, ma non c’era stato nulla del genere e la cosa non aveva assolutamente senso.
 
“Quindi non era offeso.”
 
“Non sembrava.” Atsumu portò i noodles alle labbra, soffiando il calore in eccesso. “Era più interessato a defilarsi dalla serata cinema.”
 
“E questo dimostra la sua sanità mentale in confronto a quella di molti altri.”
 
“Fatto sta che il capitano vuole che andiamo insieme da Hinata.” Mise con rabbia il boccone tra le fauci, ustionandosi il palato e la lingua. Mugugnò insulti incomprensibili e ingoiò tutto, cercando l’acqua tra le imprecazioni. “Come due deficienti.” Aprì il frigo e si scolò mezza bottiglia con un sorso solo.
 
Osamu, dall’altra parte della linea, sorrise consapevole.
 
Il capitano Meian ci aveva visto lungo e giusto e quanto pareva si era rotto anche lui di quella situazione.
 
Dovevano solo aspettare che i due idioti aprissero finalmente gli occhi e smettessero di calpestarsi i piedi nel loro miserabile tentativo di avvicinarsi e comprendersi. Poi, forse, avrebbero tutti vissuto un po’ meglio.

 
 
   
 
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