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Autore: wolfymozart    15/12/2021    0 recensioni
La rivoluzione incombe su Parigi, restituendo dignità agli oppressi e presentando un conto amaro agli oppressori. Ma nei suoi giudizi perentori e tranchant, di condanna e assoluzione, non tiene conto delle sfumature, mai nette, tra innocenti e colpevoli, non tiene conto di sentimenti, paure, speranze di quanti, pur nella schiera degli oppressori, sono stati anch'essi vittime del sistema.
Un rivoluzionario integerrimo ma tormentato, una nobildonna infelice ma determinata, un amore impossibile, una condanna eterna.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Elenoire di Roussignac non aveva, agli occhi dei più, concluso un buon matrimonio. Ribelle per sua natura, si era incaponita con l’idea di sposare un intellettuale senza arte né parte, poco versato in duelli e pratiche belliche, privo di particolare talento per gli affari, ma con un’approfondita conoscenza della legge e del pensiero degli ideologues, con cui si piccava di aver più volte conversato nei caffè di Parigi: il visconte André de Brionne. Non un uomo ricco, né forse abbastanza altolocato per compiacere la famiglia della moglie, ma dall’animo tanto nobile e dalla mente tanto aperta da conquistarsi l’amore di Elenoire. Brionne, infervorato dai suoi studi, si era votato alla causa dei rivoluzionari, era stato eletto agli Stati Generali del 1789 tra le file del Terzo Stato; aveva in seguito lasciato l’impegno politico, spinto dalla sua indole schiva e riservata, ma conservava tuttavia amicizie e conoscenze persino tra i montagnardi.  Elenoire andava fiera di questo ed era una delle poche nobildonne rimaste a Parigi a potersi mostrare in pubblico senza temere di poter essere insultata, provocata o aggredita da sanculotti esasperati o da popolane riottose. Nonostante le loro strade si fossero divise a causa delle inclinazioni politiche differenti dei rispettivi consorti, Elenoire non aveva mai dimenticato l’amica di gioventù, Marianne de Blanchard, e, sfidando il veto opposto dal conte di Beaufort, si recava di quando in quando a farle visita, per ritemprarle il morale e accoglierne le confidenze circa l’infelice matrimonio. 
-Marianne cara, non sai quanto ti abbia ammirata per la tua decisione di ritornare a Parigi. Per me è diverso, ma per te non deve essere facile. Dover restare chiusa in casa, vivere nell’incertezza, nel timore costante…- Elenoire sorseggiava una tazza di tè bollente, comodamente seduta sulla poltrona color senape della stanza dell’amica Marianne, che con aria trasognata e malinconica fissava le nuvole che correvano veloci nel cielo del pomeriggio. La camera era avvolta dalla luce incerta dell’autunno, liquida e dorata, il silenzio infranto solo dal tintinnio del cucchiaino nella tazza. 
- Non lo è, Elenoire. Non è affatto facile restare qui, dove non siamo certo i benvenuti. Sei l’unica amica che mi è rimasta, tutti gli altri se ne sono fuggiti o, peggio, il popolo di Parigi ne ha visto rotolare la testa in piazza della Rivoluzione. È tutto così ostile, così minaccioso. Ma non temo per me, temo per Juditte. – concluse dopo  qualche istante, distogliendo gli occhi dalla finestra per fissare con sguardo disperato quelli dell’amica. 
- Eppure avreste potuto fuggire, andare da Roland, con i tuoi genitori. Perché non l’hai fatto, Marianne? – domandò sinceramente impensierita Elenoire.
- Guillame. Non l’avrebbe mai tollerato. Non ha alcuna intenzione di lasciare Parigi. Sta tramando non so che, non so con chi. È sempre chiuso nel suo studio, riceve personaggi ambigui oppure sparisce per alcuni giorni. Non oso pensare ai piani che sta tessendo, conoscendolo non può che essere qualcosa di pericoloso che ci arrecherà soltanto danni. – spiegò scuotendo la testa, sconsolata. 
- Guillame è sempre stato un uomo orgoglioso, per questo non lascerà Parigi finché non avrà portato a termine i suoi progetti. Ma tu, Marianne, perché non te ne sei andata? Lo ami a tal punto da sacrificare la tua vita per stargli vicino? – chiese con una punta di incredulità nella voce nel pronunciare quest’ultima domanda. 
- Sai bene che non è così. – la zittì l’amica, con un moto di stizza. 
- E allora perché? – domandò nuovamente Elenoire, prendendole la mano. 
- Perché non ho abbastanza coraggio per oppormi al suo volere, perché mio marito mi tiene in pugno, esercita un tale potere su di me che io non potrei mai venir meno ad un suo ordine. Se volesse, potrebbe distruggere la mia vita in un battito di ciglia: potrebbe portarmi via Juditte. Lo capisci questo? – Marianne tratteneva a stento le lacrime, gli occhi arrossati, le labbra contratte in una smorfia. Appoggiò maldestramente la tazza sul tavolino davanti a lei, il tè scuro si riversò sulla tovaglia di pizzo. Si alzò di scatto e si avvicinò alla finestra, appoggiando la fronte al vetro. 
Elenoire fissava desolata l’amica, sbocconcellando nervosamente i biscotti da tè; conosceva fin troppo bene Marianne: lei, di solito così controllata, si spingeva a gesti inconsulti, che contravvenivano alle norme della buona educazione, soltanto giunta al limite della sopportazione. La tensione, il clima ostile di Parigi, l’intransigenza di suo marito e la sua cocciutaggine nella strenua difesa degli antichi privilegi, avevano messo a dura prova di nervi di Marianne. Elenoire si alzò e le si avvicinò, annunciata dal fruscio della veste sul pavimento. Posò dunque una mano sulla spalla dell’amica:
-Tuo marito è un uomo deciso, risoluto, abituato al comando, ma non lo credo capace di fare una cosa simile. Portarti via Juditte. Per che cosa, poi? Per averla messa in salvo da un pericolo concreto? Di’ la verità, Marianne, è stato lui a minacciarti? – 
Lei si voltò e le sorrise riconoscente: - Elenoire, sappi che apprezzo molto la tua premura e te ne sono grata-
-Per la mia più cara amica questo non è nulla, vorrei poterti aiutare di più.-
- Conosci Guillame, non ha mai detto una cosa simile, non si è mai permesso di esprimere a parole una tale minaccia. Ma lui è ancora molto potente, ha amicizie altolocate, giudici, avvocati: quando le cose torneranno come prima (perché torneranno come prima, amica mia, la Rivoluzione non durerà in eterno) avrà tutte le armi per rivalersi su di me. E la prima cosa che farebbe, sarebbe sottrarmi Juditte, se io facessi la stessa cosa con lui. No, è fuori discussione: senza il consenso di mio marito, non andremo da nessuna parte. – concluse a capo chino, assorta nelle greche del tappeto. 
Elenoire di fronte a queste parole non poté far altro che tacere, ritornando al suo posto e accomodandosi nuovamente sulla poltrona, con un’espressione mesta e impotente sul viso. Assistere alla sofferenza degli amici senza poter intervenire in loro soccorso è una prova molto dura per un essere umano dotato di sensibilità. Anche Marianne si sedette, proprio di fronte a lei, ma ne evitò in ogni modo lo sguardo. 
Restarono così, in silenzio, per diverso tempo, mentre la luce del pomeriggio pigramente sfumava in quella della sera, confondendo i contorni degli oggetti della stanza: le tende scure, i ritratti alle pareti, il grande specchio, tutto si scoloriva sfumando nell’indistinto. Quell’atmosfera sospesa venne improvvisamente interrotta da un bussare convulso alla porta. Entrambe le donne si voltarono sobbalzando. 
-Signora contessa, aprite vi prego. Aprite! – la voce turbata di Louise si stagliò nella penombra. Le due amiche si guardarono per un istante, allarmate, quindi Marianne si diresse senza indugi alla porta e la spalancò.
- Che succede, Louise? Che cos’è questo tono concitato? – domandò dominando la sua stessa ansia.
- Non avete idea, contessa, non avete idea di quello che è successo…-riuscì a spiccicare la devota serva, portandosi le mani al volto. 
- Dimmi, dunque, non tenermi sulle spine! – la incalzò, mentre Elenoire sopraggiungeva impensierita.
- Il signor conte è stato arrestato. Questa mattina mentre si trovava nel palazzo di madame Brizay. – 
Marianne ammutolì, non la scalfì nemmeno il riferimento alla ben nota amante di suo marito: suonava quasi beffardo che l’avessero arrestato mentre si trovava in sua compagnia, quasi che anche la gendarmeria fosse a conoscenza delle dubbie frequentazioni del conte di Beaufort. Calò per qualche istante il silenzio nella stanza, interrotto soltanto dal battito regolare della pendola. 
-Che cosa?!– domandò invece stupefatta Elenoire ad un certo punto. 
- Proprio così, madame. È stato condotto in carcere con l’accusa di tramare contro la Rivoluzione. Ho raccolto le voci di strada. Credo che fra poco la guardia nazionale si presenterà a palazzo per comunicarvelo ufficialmente. – 
- Oh mio Dio! – esclamò Elenoire, mentre l’amica restava muta, immobile, pietrificata. – Sapete questo che significa? – le due donne tacquero, come incoraggiandola a continuare il discorso. – Significa che anche tu, Marianne, sei passibile di arresto! – concluse portandosi una mano alla fronte. 
- Come sarebbe a dire? – domandò incredula la contessa de Beaufort, rivolgendole uno sguardo smarrito. 
- La legge dei sospetti! È di pochi giorni addietro, André non parla d’altro. I congiunti degli arrestati sono anch’essi perseguibili, specie se nobili. Madri, padri, moglie, fratelli, figli e figlie di sospetti controrivoluzionari, nobili emigrati o fedeli realisti possono essere imprigionati, per l’unica colpa di avere con questi un legame di parentela. –
Marianne si accasciò sulla poltrona, spossata, incredula più che spaventata: non aveva ancora messo ben a fuoco la sua delicata situazione. 
– Padrona! – esclamò preoccupata Louise, avvicinandosi a lei per farle aria con un fazzoletto. 
-Non è niente, Louise, non è niente. Vai pure, lasciami con madame de Roussignac.- La domestica le si inchinò devotamente e poi, mormorando qualche espressione angosciata, uscì dalla stanza, ormai buia. 
- Marianne, devi partire, subito! – la spronò l’amica. – Non c’è più tempo! Devi raggiungere i tuoi genitori nel Ponthieu e di lì salpare verso l’Inghilterra. Non ci sono altre soluzioni. – chiarì concitata Elenoire, scuotendo la testa senza darsi pace. Marianne non rispondeva, persa in chissà quali pensieri, figurandosi chissà quali foschi scenari. Elenoire credette per un istante che penasse per le sorti del conte di Beaufort, ma scacciò ben presto quell’idea: era convinta che per Marianne l’uscita di scena di Guillame non potesse essere altro che una liberazione. E allora perché non reagiva? Perché non si ingegnava per sfuggire all’arresto? Il tempo stringeva, scandito dal battito nervoso dell’orologio a pendola. 
Un servo in quel momento entrò per accendere le candele, un secondo fece il suo ingresso con un vassoio di pietanze e si scusò dicendo: - Louise vi ha fatto preparare in anticipo la cena per non intralciare più tardi i vostri discorsi, dice. – Era evidente che la fedele domestica auspicasse una pronta partenza della padrona e la aveva dunque fatto preparare in fretta e furia la cena. Marianne lo capì e nel suo cuore gliene fu grata, tuttavia non era proprio il momento adatto per consumare la cena: lo stomaca le si era del tutto chiuso. 
-Molto bene, Gabriel, lascia pure qui il vassoio. – lo ringraziò Marianne, riacquistando la voce. 
Non appena i servi se ne furono andati, Elenoire riprese ad incalzarla: 
-Devi mandare a chiamare la tua domestica e far preparare Juditte per il viaggio. Nel frattempo io penserò a procurarvi una carrozza: mio marito ci potrebbe venire in aiuto…- rifletteva a voce alta, camminando nervosamente per la stanza in cerca di una soluzione che sottraesse l’amica a quel pericolo imminente.
- Ti ringrazio, Elenoire, ma come potrei fare? Ci vorranno almeno due giorni di viaggio e io non so se in queste condizioni…- 
La conversazione venne interrotta da un nuovo bussare alla porta. Questa volta fu il maggiordomo a fare il suo ingresso nella stanza.
-Contessa, non avrei mai voluto darvi questa notizia ma… - tergiversò l’uomo, vagando con lo sguardo per la stanza.
- Parla, Dominique, che è successo d’altro? – 
- Vedete…il conte ha parlato, ha fatto nomi. Secondo le ultime voci, insomma, non ne sono certo ma… ho sentito che…- cercava le parole adatte per formulare quella frase che avrebbe preferito non dover mai pronunciare. 
- Per Dio, parlate! – lo incitò Elenoire, avvicinandosi con piglio deciso. 
- Ecco…il signor conte de Blanchard e la signora contessa sono ricercati. Pare che stiano seguendo una pista che li vorrebbe pronti per espatriare. - 
Marianne ebbe un mancamento, si appoggiò al braccio dell’amica: - Non è possibile…non è possibile…- mormorava incredula. Elenoire fu pronta a sorreggerla: aiutata dal domestico l’accompagnarono sul divanetto dove la fecero stendere. 
-Ne siete proprio sicuro? – si accertò la contessa de Brionne rivolgendo uno sguardo diffidente al maggiordomo, troppe volte aveva udito fandonie pronunciate dalla servitù, che si infervorava ad ogni minimo pettegolezzo. 
- Madame, ho raccolto quel che si dice in giro. Non ne sono sicuro, la fonte però pare attendibile. Per conferma dovreste attendere l’avviso di garanzia della guardia nazionale. – sembrò infine quasi sfidarla Dominique. 
Marianne intanto si era messa a sedere, la bionda chioma sparsa in modo scomposto sullo schienale, gli occhi vitrei, impassabili, fissi sul pavimento. Ogni piccolo movimento le costava un enorme sforzo, i suoi sensi erano interamente tesi a metabolizzare le notizie ricevute. Ricacciava le lacrime, aggrottava le sopracciglia, chiudeva gli occhi, serrava le labbra, si ingegnava in ogni modo per trovare una via di fuga da quell’intricata situazione che tutt’un tratto le si era parata davanti.
Elenoire congedò il maggiordomo, intimandogli di restare a disposizione per l’intera serata, poi si sedette di fronte all’amica prendendole le mani fra le sue, mentre l’arrosto languiva sul vassoio posato sul tavolino in mezzo a loro. Sempre quei dannati rintocchi a scandire il poco tempo che avevano a disposizione, pensò.
-Non c’è più alcuna speranza, Elenoire. È finita. Per i miei genitori, per me e per Juditte. L’unica soluzione possibile, fuggire con loro, è andata in frantumi. Che cosa mi resta da fare, ora, se non attendere che le guardie giungano a prendermi per seguire la loro stessa sorte? Forse è giusto così, che condivida in tutto e per tutto il destino della mia famiglia e di mio marito. E di tanti altri aristocratici come noi. – constatò amaramente. Elenoire le poté leggere un’ombra cupa che non le aveva mai visto in quegli occhi celesti, malinconici ma mai disperati. 
- Se solo André avesse conservato il suo incarico di deputato! Ma purtroppo ormai non ha più voce in capitolo, la sua posizione di nobile poi non incontra molte simpatie fra i giacobini più accesi…- si dannava l’anima Elenoire cercando disperatamente un modo per sottrarre l’amica al suo destino. La notte intanto si era impadronita delle strade, il buio era calato oltre la finestra, non solo nel cuore di Marianne de Blanchard. Forse poteva ancora sperare di aver ancora qualche ora a disposizione, che le guardie si presentassero all’alba del nuovo giorno. Ma a che cosa sarebbe servita una manciata di ore senza alcun appiglio, alcun espediente, alcun aiuto?
- Non ti crucciare, Elenoire, tuo marito non potrebbe far nulla per me: non è deputato, non è giacobino dunque non verrebbe nemmeno ascoltato. – le rivolse un sorriso riconoscente pur nell’angoscia. – Nessuno mai potrebbe aiutarmi. –
-Eppure ci deve pur essere un modo, una soluzione…- l’amica non si rassegnava, mentre scuotendo la testa, i suoi splendidi boccoli castani le ricadevano sulle spalle. 
- Una via d’uscita ci sarebbe. – mormorò ad un tratto Marianne, senza levare lo sguardo da terra. Elenoire si mise in ascolto, tutta orecchie. 
- E quale sarebbe? – domandò, mentre un barlume di speranza tornava a farsi strada nei suoi occhi.
- Me ne vergogno, mi costerebbe molto dover ricorrere a questo. – rispose a mezza voce la contessa Roqueville di Beaufort alzando ad un tratto i suoi vividi occhi azzurri da terra per piantarli in quelli dell’amica, come in cerca di sostegno, di approvazione.
- Marianne, è in gioco la vita tua e quella di Juditte. Non c’è prezzo che non possa essere pagato per questo. – cercò di infonderle sicurezza, stringendole le mani e cercandone lo sguardo sfuggente nella luce incerta della candela. 
Per qualche istante il silenzio si impadronì della stanza. I respiri trattenuti, i rumori attutiti che giungevano dalla strada, i rintocchi della pendola, il vociare sommesso e concitato della servitù per i corridoi non valsero a scalfire quel muro di muta tensione che aleggiava su di loro. 
- Jacques Clermont. – proruppe infine Marianne, infrangendo l’atmosfera sospesa di quegli attimi. Quanto le costò pronunciare quel nome non avrebbe saputo dirlo, ma il sospiro profondo che seguì poté farlo intuire all’amica. 
- Clermont? – domandò incredula Elenoire. Erano anni che non udiva il suo nome, anni che ne aveva completamente perso le tracce. Evidentemente non era stato così per Marianne, ma non poteva fare a meno di stupirsi che non gliene avesse mai parlato nelle sue confidenze. 
- Sì, proprio lui. Il deputato, il dottor Jacques Clermont, eletto alla Convenzione tra le file dei giacobini. – spiegò abbassando il capo e portandosi le mani al volto. – La persona perfetta, non è così? – domandò in tono ironico con un sorriso sardonico appena abbozzato. Ma Elenoire non si fece incantare, scorse le lacrime che le riempivano gli occhi, pronte a scivolarle rapide sulle guance. 
- Come…come fai a sapere tutto ciò? L’hai forse rivisto? – domandò turbata. Era stata sua complice in molte occasioni, aveva fatto da tramite, l’aveva più volte aiutato ad incontrare Marianne; poi, in seguito, ne aveva perso ogni traccia. In seguito a quella tragica notte in cui le si era presentato sconvolto, sanguinante, disperato; ma di questo Marianne non sapeva né avrebbe mai dovuto sapere nulla.   
- Sì, l’ho rivisto. – rispose laconica Marianne, si alzò e si passò una mano sulla fronte, aggirandosi inquieta tra le poltrone. – Ma non c’è stato nulla, Elenoire. – prevenne la domanda dell’amica rivolgendole uno sguardo carico di dolore e nostalgia. 
- Non alludevo a questo. – si giustificò l’amica. – Devi trovarlo, devi rivolgerti a lui. Stasera stessa. – la incoraggiò.
Marianne arrestò per un istante il suo peregrinare senza meta. Si voltò di scattò verso l’amica, gli occhi luccicanti di lacrime trattenute.  
-Come posso chiedergli una cosa simile? – domandò allargando le braccia in segno di resa.
- Se tu non gli chiedessi aiuto in questo frangente, non te lo perdonerebbe mai. -  
   
 
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