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Autore: FrancescaPenna    16/12/2021    0 recensioni
Possono cinque ragazzi non ordinari sperare di trovare il loro posto in una società dove l'essenza viene spesso sottomessa all'apparenza, dove le persone rincorrono una perfezione che non esiste per sottrarsi ai pregiudizi?
Casey e Satèle Johns sono due gemelli albini.
Markus Lancaster ama la lettura e odia le persone.
Johnnie Bailey è silenzioso.
Angel Hassler è un maschiaccio.
Cinque ragazzini diversi con cinque vissuti diversi, che si affacciano al contesto delle scuole medie diventando i protagonisti del primo atto di una storia che parla di diversità, accettazione, amicizie e primi amori, ma anche di bullismo, famiglie disfunzionali, autolesionismo e disturbi mentali.
Una storia in cui impareranno a conoscersi per come appaiono agli occhi di tutti, ma anche e soprattutto per come loro stessi si sentono dentro: strani.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: De-Aging, Kidfic | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 7 – Compleanni…

 

“Entra pure!”, disse Casey dopo aver riconosciuto la bussata di Johnnie grazie ai suoi soliti e veloci tre colpetti alla porta.

Erano trascorsi diversi giorni da quello in cui loro due avevano iniziato a parlarsi e soprattutto a confidarsi, cosa che ormai facevano con regolarità e naturalezza. Oltre ai pensieri condividevano la routine, infatti erano diventati quasi inseparabili: ogni mattina si aspettavano vicino alle scale e scendevano insieme per fare colazione, poi andavano in classe e al termine delle lezioni raggiungevano di nuovo la mensa per la pausa pranzo; si sedevano sempre vicini e qualche volta potevano contare anche sulla compagnia di Sarah e Karen. Si aiutavano a vicenda con i compiti, si scambiavano la merenda e a volte persino gli indumenti. Ogni sera si davano la buonanotte davanti alla porta di Casey e il giorno dopo ricominciava tutto daccapo. Ormai lui e Johnnie potevano considerarsi migliori amici a tutti gli effetti e Casey non poteva chiedere di meglio.

“Stai diventando il nuovo Sheldon Cooper", disse al corvino che intanto stava provando a nascondere qualcosa dietro la schiena.

"Almeno io non ripeto il tuo nome tre volte prima di entrare."

"Okay", convenne Casey, sporgendosi in avanti per riuscire a curiosare meglio dietro le spalle del suo amico, il quale però arretrò prontamente per impedirgli di scoprire di cosa si trattasse. La verità era che voleva essere lui a mostrargli la sorpresa.

"Su, fammi vedere cos’hai lì!" lo implorò Casey.

"No."

"Andiamo!"

"Proprio non riesci a immaginare cosa potrei star nascondendo? Non ti viene in mente niente?"

Casey corrugò le sopracciglia, pensoso, infine scosse la testa.

Allora Johnnie decise di dargli un indizio. "Oggi qualcuno compie dodici anni", disse, mostrandogli ciò che aveva tenuto nascosto dietro la schiena da quando si era alzato quella mattina: un muffin con una piccola candelina già accesa sopra.

Casey sgranò gli occhi. "Ti sei ricordato del mio compleanno!", esclamò.

"Ovvio! Altrimenti che razza di amico sarei?" Johnnie si avvicinò a lui e gli porse il muffin. “Tanti auguri, Casey. Esprimi un desiderio.”

Casey chiuse gli occhi e provò a focalizzarsi su ciò che voleva più di qualsiasi altra cosa al mondo. Una volta fatto, soffiò sulla candelina e poi la mise da parte per poter addentare il muffin.

“Grazie davvero. Sei il mio migliore amico.”

“E tu il mio”, rispose Johnnie, stringendolo in un forte abbraccio. Quando lo sciolse, notò che Casey aveva cambiato espressione. Sembrava cupo, triste.

“Qualcosa non va?”, gli chiese.

“Diciamo che non è proprio il compleanno che vorrei”, confessò Casey. “Non fraintendermi: ti ringrazio infinitamente per il gesto, sei stato gentilissimo e sono strafelice di passare il mio compleanno con te… ma, vedi, mi sarebbe piaciuto di più se ci fosse stata anche la mia gemella. Questa è la prima volta in assoluto che non festeggiamo insieme.”

“Oh, mi dispiace”, lo compatì Johnnie.

“Mi basterebbe semplicemente parlarle, farle gli auguri e dirle che le voglio bene per sentirmi meglio”, continuò Casey. “Ma come potrei fare?”

A quel punto Johnnie preferì tacere perché non sapeva proprio cosa consigliargli, si limitò a stargli accanto e osservare il suo sguardo malinconico. Poi, all’improvviso, Casey parve riscuotersi da tutti i pensieri che fino a poco prima turbinavano nella sua testa e annunciò solennemente di aver avuto un’idea: rubare il cellulare e telefonare Satèle.

“Rubare il cellulare?”, si accigliò Johnnie. “E come, scusa? Non sappiamo nemmeno dove Suor Elizabeth li tiene, i cellulari!”

Casey fece un sorriso sghembo, beffardo. “E se invece ti dicessi che io lo so?”

Johnnie ne rimase alquanto stupito. Credeva che il suo amico fosse più ingenuo, invece sapeva essere abbastanza furbo quando voleva.

“Davvero? Quando l’hai scoperto, come?”

“Un paio di giorni fa, se non erro. In pratica stavo cercando un posto in cui nascondermi per saltare le pulizie – ehi, non guardarmi così, mi facevano male le braccia e a stento riuscivo a tenere in mano una penna! –, perciò, dicevo, sono sceso giù in seminterrato, sapendo che lì non va mai nessuno perché non c’è niente a parte un bagno guasto e un piccolo ufficio dove ci sono la stampante e dei vecchi armadietti scassati. Proprio in uno di quegli armadietti, caro amico mio, c’era uno scatolone con dentro tutti i nostri cellulari”, spiegò Casey. “Li ho visti con i miei occhi, te lo giuro! All’improvviso ho sentito dei passi e mi sono nascosto in ufficio, dietro il carrello della fotocopiatrice, e poco dopo è arrivata Suor Elizabeth che ha aperto proprio l’armadietto in cui tiene i cellulari, ha preso certi documenti e poi se n’è andata.”

Dopo aver ascoltato il suo resoconto, Johnnie piegò la testa di lato e si mostrò perplesso.

Non sentendolo parlare di sua spontanea volontà, Casey gli chiese esplicitamente di esprimere un parere riguardo al piano, ossia scendere giù in seminterrato di nascosto, prima di colazione, rubare il cellulare per chiamare Satèle e posarlo prima dell’inizio delle lezioni.

“Onestamente, mi sembra un po' rischioso”, commentò Johnnie. “L’hai detto proprio tu che all’improvviso ti sei dovuto nascondere perché è arrivata Suor Elizabeth. Non pensi che in due potremmo avere più probabilità di essere scoperti?”

“Fidati, non accadrà”, obiettò Casey. “E comunque, sappi che sono disposto a rischiare qualsiasi cosa pur di riuscire a parlare con mia sorella. Per favore, Johnnie!”, lo pregò, “ti prometto che, se qualcosa dovesse andare storto, sarò io ad assumermi tutte le responsabilità, ma almeno lasciami tentare!”

 

“Ricordi che armadietto era?”, sussurrò Johnnie. Alla fine si era lasciato convincere. Un’altra cosa che non avrebbe mai detto di Casey era che sapeva essere molto persuasivo.

“Primo a destra”, rispose Casey. “Coraggio, seguimi!” gli ordinò.

Scesero l’ultimo gradino, percorsero in punta di piedi lo stretto corridoio che li avrebbe condotti all’ufficio e vi si intrufolarono facendo attenzione a non sbattere la porta.

Johnnie si mise le mani a coppa davanti al viso affinché il suo starnuto suonasse più ovattato.

Casey gli fece il gesto del silenzio.

“Non è colpa mia, sono allergico alla polvere! E vedo che qui ce n’è parecchia…” provò a giustificarsi il corvino, tappandosi il naso prima di starnutire nuovamente.

“Muoviamoci, allora”, convenne Casey. Aprì l’armadietto lentamente, con molta cautela, e Johnnie lo aiutò a trasportare lo scatolone su un ripiano più basso per permettergli di rovistare più facilmente al suo interno.

“Trovato!”, annunciò Casey non appena riuscì ad estrarre il proprio cellulare dal fondo.

 

Svegliarsi con la consapevolezza che quel giorno non sarebbe trascorso come l’aveva immaginato era orribile.

Tanti auguri a me, si disse Satèle, ma in circostanze simili tale augurio non poteva che assumere una forte accezione ironica.

Non c’era nulla di felice in un compleanno senza Casey, e ciò che la faceva infuriare di più era il fatto che fosse caduto di venerdì, non di sabato, anche perché non aveva nessunissima voglia di andare a scuola.

Appena la sveglia cominciò a suonare, Satèle mugolò e si coprì le orecchie con il cuscino, ruotò leggermente il busto e le assestò una gomitata che la fece cadere a terra, spegnendola definitivamente.

Avrebbe voluto tanto riassopirsi e rimanere sotto le coperte ancora per qualche minuto proprio come Akuma, invece le conveniva tirarsi su al più presto, se non voleva che fosse sua madre a buttarla letteralmente giù dal letto.

Si stiracchiò e con gli occhi ancora impastati dal sonno si diresse verso l’armadio, prese i vestiti e andò in bagno a prepararsi. Stranamente, Coco gliel’aveva lasciato libero.

Di solito, a quell’ora del mattino, la casa non era mai silenziosa, perché fra i suoi che dovevano prepararsi per andare al lavoro e Coco che già da appena sveglia telefonava la sua migliore amica Myriam per aggiornarla su tutti i pettegolezzi, almeno un po' di confusione si creava. Invece, quel giorno, Satèle aveva l’impressione di essere rimasta sola, come se tutti fossero già usciti da un pezzo.

Attraversò il corridoio guardinga e drizzò bene le orecchie, ma non udì alcun rumore e iniziò a preoccuparsi.

La sua ansia svanì solo quando raggiunse la cucina per fare colazione e vide che il resto della famiglia era lì, radunata intorno al tavolo.

Brad stava bevendo il caffè e nel frattempo aiutava Hannah a fare i conti con le bollette, invece Coco stava versando i cereali nel latte.

“Buongiorno”, disse Satèle, ma non venne degnata della benché minima considerazione da nessuno. Sembravano tutti troppo presi dalle loro cose per accorgersi della sua presenza o quantomeno della sua voce. “Oggi è il mio compleanno”, aggiunse anche. Rimase in piedi davanti ai fornelli a farsi dare le spalle nella speranza che qualcuno prima o poi si voltasse, ma Coco non riusciva a staccare gli occhi dal cellulare nemmeno mentre mangiava e i suoi stavano verificando che non gli fossero stati addebitati dieci dollari di gas in più.

Scongiurata l’ipotesi, Hannah mise da parte la calcolatrice e pensò ad alta voce che in quel giorno dovesse accadere qualcosa di particolare, però non ricordava cosa.

“Oggi è il mio compleanno”, ripeté Satèle, ma venne nuovamente ignorata.

“Forse stasera c’è la riunione di condominio?”, suggerì Brad.

“No, è la settimana prossima”, rispose Hannah. “Mica è oggi la cena con i nostri colleghi?”

“No, l’hanno spostata a domani.”

“Allora oggi cos’è?”

“È il mio compleanno!”, alzò la voce Satèle, incrociando le braccia. Sono invisibile, pensò non appena si rese conto di non aver ottenuto ancora nessuna risposta, di non aver suscitato in loro alcuna reazione. Sono d’intralcio in questa famiglia, non conto nulla. Sono sola.

“Aspetta, mamma”, intervenne Coco quando finalmente alzò lo sguardo dallo schermo, “oggi è Halloween!”

“Ed è anche il mio compleanno!”, puntualizzò Satèle, ma evidentemente i suoi la ritennero un’informazione di poco conto.

“Giusto!”, esclamò Hannah. “Come ho potuto dimenticarmi di Halloween?”

“Nello stesso modo in cui hai dimenticato il mio compleanno”, le rinfacciò prontamente Satèle, concedendole un’ultima opportunità per rimediare alla sua mancanza. Sua madre, invece, continuò a parlare solo con Coco e a chiederle che piani avesse per la serata.

Satèle ne ebbe abbastanza. Aveva provato a imporsi con le buone e non aveva funzionato, perciò non le restava che ricorrere alle cattive.

Prese un bicchiere di vetro dalla credenza, lo strinse prima così forte da farsi sbiancare le nocche e poi lo lasciò cadere a terra. Le schegge si sparsero sul pavimento e il rumore del vetro che si frantumava fece sobbalzare Hannah e Brad. Solo allora si voltarono.

“Guarda cos’hai combinato!”, la sgridò sua madre. “Che bisogno c’è di rompere un bicchiere a prima mattina, eh? Rispondimi, Satèle!”

Ma Satèle tutto voleva tranne che risponderle. Inasprì lo sguardo, la fissò con astio, e calpestò un pezzo di vetro con la suola delle Converse prima di lasciare la cucina e dirigersi verso l’attaccapanni per prendere la giacca. Sebbene fosse ancora presto per iniziare a incamminarsi verso scuola, l’atteggiamento dei suoi l’aveva talmente disgustata che le si era chiuso lo stomaco. Non intendeva fare colazione o quantomeno passare un minuto di più in quella casa.

“Ragazzina, tu sei matta!”, le disse suo padre quando ebbe già messo entrambi i piedi fuori la porta.

“Grazie”, rispose Satèle con un sorriso mellifluo, che sprofondò in una valle di lacrime nel momento in cui se la richiuse alle spalle.

Solitamente prendeva una scorciatoia che le risparmiava un tratto di strada abbastanza isolato per andare a scuola, ma in giornate come quella, in cui non desiderava altro che sparire dalla vista di tutti, quella strada isolata diventava il suo rifugio preferito.

Mentre la percorreva a passo felpato, si accorse del cellulare finito sul fondo dello zaino che stava squillando, lo prese e lo avvicinò all’orecchio senza neanche leggere il numero sullo schermo.

“Buon compleanno, Sat”, le augurò Casey.

Per un attimo, Satèle pensò di star sognando o peggio ancora impazzendo. Come aveva fatto suo fratello a chiamarla, se gli era stato sequestrato il cellulare?

“L’ho rubato”, fu la sua risposta, “infatti ti sto chiamando dal seminterrato. Se non mi senti tanto bene è perché qui non c’è quasi linea e anche perché non posso alzare la voce, altrimenti ci scoprono.”

Ci?”, ripeté Satèle perplessa.

“Oh, non ti ho detto che ho trovato un amico. Adesso è qui con me. Johnnie, saluta Sat”, disse passando il cellulare al corvino.

“Ehm, ciao. B-buon compleanno”, balbettò questi prima di restituirglielo.

“È un po' timido”, spiegò Casey. “Invece tu che mi racconti?”

“Niente di che, il solito”, rispose Satèle, sospirando.

“È successo qualcosa?”

“Mamma e papà si sono dimenticati del nostro compleanno. Stamattina ho provato a ricordarglielo in tutti i modi, ma è finita che mi sono beccata l’ennesima sgridata. Sento di non avere più una famiglia.”

“Invece ce l’hai, Sat. Hai zio Luke, zia Dia, hai me. Finché ci sarò io, ce l’avrai sempre.”

Satèle fece un mezzo sorriso. “Grazie, Casey. Ti voglio bene.”

“Anch’io. E non essere triste, su! Domani torno a casa, così, anche se con un giorno di ritardo, possiamo festeggiare il nostro compleanno e magari portare un pensierino a zia Dia, visto che proprio domani è il suo.”

“Certo, mi farebbe piacere.”

“Bene. Adesso, però, devo andare. Di nuovo tanti auguri, Sat.”

“Tanti auguri anche a te, fratellino.”

 

La McClaine si era data da fare per Halloween e tutti i corridoi erano stati addobbati con decorazioni a tema. Dal soffitto pendevano festoni arancioni e neri, zucche e pipistrelli di carta crespa e ragnatele finte; invece le pareti erano state ricoperte di cartelloni che informavano chiunque li guardasse della festa che si sarebbe tenuta quella sera stessa in palestra. Satèle dubitava fortemente che vi avrebbe preso parte, perché - come aveva detto a sua zia, che l'aveva telefonata per gli auguri poco prima che lei arrivasse a scuola - non aveva alcun motivo per festeggiare.

Si fermò davanti al distributore più vicino perché, non avendo mangiato nulla, il suo stomaco stava iniziando a reclamare. Purtroppo non le erano rimasti molti spiccioli, pertanto dovette accontentarsi dello snack più economico e a parer suo meno appetibile: le gallette di riso.

Inserì le monete nel macchinario e questo le prese senza darle lo snack in cambio.

“Fanculo!”, sbottò Satèle, attirando, senza volerlo, la curiosità del suo insegnante di matematica, il professor Miller.

Questi le rivolse un cenno e fu subito da lei. “Satèle, buongiorno. Chi è che ti ha fatta arrabbiare?”, le chiese cordialmente.

La ragazza spiegò la situazione e il professore l’ascoltò con pazienza, si premurò addirittura di ricomprarle lo snack andato perduto.

“Non si preoccupi, professore, non fa niente”, provò a dissuaderlo lei, ma lui insistette e le chiese cosa avesse preso. Satèle disse le gallette di riso; Miller, invece, ritenne che una magrolina come lei avesse bisogno di qualcosa di più sostanzioso, perciò le comprò un pacchetto di M&M’s.

Satèle lo osservò di sottecchi mentre inseriva gli spiccioli nel distributore, chiedendosi cosa avesse mai detto o fatto per ottenere in cambio tanta gentilezza, che da un lato la sconcertava. Non significa niente, forse il professor Miller offre spesso gli M&M’s ai propri alunni, sarà una cosa sua, si augurò.

Intanto si era avvicinato anche Markus, il cui primo pensiero era stato fare gli auguri di compleanno alla sua amica.

Il professore lo salutò e porse lo snack a Satèle.

“La ringrazio, domani le porto i soldi.”                                                                                    

“No, non farti problemi, consideralo un regalino da parte mia. Oggi, da quel che mi è parso di sentire, è anche il tuo compleanno”, insistette Miller. Chiese anche a Markus se avesse gradito qualcosa e lui rispose di no, allora congedò i ragazzi e li lasciò soli.

“Come va?”, chiese Markus.

“Bene”, mugugnò Satèle.

“Non si direbbe. Sembri un po' lunatica, oggi.”

“Non sono lunatica.”

Markus alzò le mani. “Ho capito, non vuoi parlarne. Be’, qualunque sia il problema, spero che il regalo che ti ho preso possa tirarti un po' su di morale.”

“M-mi hai preso un regalo?”, fece Satèle, incredula.

“Esatto”, asserì Markus, tirando fuori dalla tasca più esterna della tracolla un piccolo cofanetto. “Coraggio, aprilo.”

Satèle lo prese e non credette ai propri occhi quando ne vide il contenuto: un choker in pizzo nero con al centro una pietra azzurra. Ne desiderava da tanto uno simile, ma i suoi genitori non gliel’avevano mai voluto regalare. Aveva parlato solo una volta a Markus della sua passione per i choker e lui se n’era ricordato. Non poteva essergli più grata.

“Markus, è bellissimo! Grazie mille, anche se non dovevi”, disse. Sapeva per certo di essere arrossita, ma non poté far nulla per evitarlo.

“Figurati, l’ho fatto con piacere. Sono contento che ti piaccia”, sorrise lui, arrossendo a sua volta.

“Tanto”, ribadì Satèle.

Poi successe qualcosa. Markus ebbe una reazione che non si sarebbe mai aspettata: quando capì che lei aveva intenzione di abbracciarlo, si scansò e in compenso le diede solo un colpetto affettuoso ma un po’ forzato su una spalla.

Satèle non riuscì a spiegarselo. Che motivo aveva Markus di farle un regalo per il compleanno, se poi rifiutava di stabilire anche il minimo contatto fisico con lei? Forse, ipotizzò, c’entrava qualcosa il suo albinismo; forse lui, come la maggior parte delle persone che aveva conosciuto, credeva che facendosi toccare da lei si sarebbe contagiato, che avrebbero iniziato a spuntargli i capelli bianchi.

No, non poteva essere. Markus era un ragazzino intelligente, non era affatto da lui lasciarsi condizionare dalle supposizioni infondate delle persone ignoranti.

Smettila di farti paranoie. Markus ti vuole bene, semplicemente non ama gli abbracci, si rassicurò Satèle. Non sapendo cosa fare, iniziò a rigirarsi il choker tra le mani.

“V-vuoi che te lo metta?”, chiese Markus per rompere il ghiaccio.

“Va bene”, accettò Satèle, confortata dal fatto lui non si facesse problemi a toccarla come aveva creduto.

Markus le scostò i capelli dalla nuca e lei sentì il proprio corpo irrigidirsi per effetto della sua vicinanza; a lui, invece, tremavano le mani come non mai.

Dopo diversi tentativi riuscì ad allacciarle il choker e Satèle chiese il suo parere.

Gli occhi di Markus si soffermarono più sul suo viso che sull’accessorio in sé. Vedendoglielo indossare notò che il colore della pietra richiamava l’azzurro ghiaccio dei suoi occhi. Era perfetto per lei.

“Ti sta benissimo”, le disse e prima di lasciarsi sfuggire altro la prese per mano e fece: “Andiamo, ti offro la colazione.”

 

Satèle aveva provato a convincere Markus che non era necessario che le offrisse la colazione e che spendesse altri soldi per lei, ma lui aveva insistito ed ecco perché in quel momento si trovavano seduti al tavolino del bar della scuola davanti a due belle porzioni di pancakes.

Presto vennero raggiunti anche da Angel, la quale non poté fare a meno di ammirare la pietra azzurra che risaltava sul pizzo attorno al collo della sua amica. Quando Satèle rivelò che era stato Markus a regalarglielo, Angel ricordò di tirar fuori dallo zaino il pensierino che le aveva preso: un cerchietto ricoperto di piccole borchie a piramide. Sapendo che lei lo usava, le aveva comprato anche uno smalto nero.

Satèle la ringraziò offrendole un pancake, e Angel se lo gustò mentre discorreva con lei e Markus della festa di Halloween. Tutti e tre, ognuno per un motivo diverso, erano indecisi se andarci o no, ma alla fine della conversazione si erano convinti e avevano stabilito che si sarebbero incontrati davanti all’uscita d’emergenza della palestra.

 

La festa era già iniziata da un po' quando Satèle, Markus ed Angel erano arrivati; la prima travestita da diavoletta, il secondo da vampiro e la terza da cowgirl (o meglio da cowboy, visto che come sempre indossava abiti maschili).

La palestra non era stata decorata in maniera tanto diversa dal corridoio. L’unica eccezione era, ovviamente, la musica. Toxic echeggiava nell’ambiente ma a cantare non era Britney Spears, bensì una ragazzina del glee club, accompagnata dagli strumentisti e da due coriste.

La prima cosa che i tre ragazzi fecero fu dirigersi verso il buffet prima che venisse preso d’assalto.

Mentre si versava un po' di Coca-Cola, Satèle ricevette gli auguri di compleanno da Peter Evans, amico d’infanzia e presunto fidanzatino di Melissa Richardson, anche se da un paio di settimane sembrava aver posato gli occhi su di lei. Questo, Melissa l’aveva notato eccome ed era pronta a tirar fuori gli artigli non appena le si fosse rivelata l’occasione.

Intanto Satèle aveva congedato Peter perché aveva capito che, se non l’avesse fatto, lui si sarebbe intrattenuto a parlare per ore e lei preferiva stare con i suoi amici piuttosto che con uno che a stento salutava.

Inoltre, neanche Markus apprezzava particolarmente la vicinanza di quel pallone gonfiato a Satèle, tuttavia negò di essere geloso quando Angel glielo chiese. Propose di andare a ballare e le ragazze lo seguirono, mischiandosi alla folla in cui riconobbero quasi tutti i loro compagni della classe di scienze, i quali, però, non li degnarono di un saluto.

“Possibile che sembriamo così irriconoscibili con questi costumi? Non ci hanno neanche salutati”, osservò Angel.

“Ti sbagli: non ci hanno salutati proprio perché ci hanno riconosciuti”, la contraddisse Markus. Intanto Toxic cedette il posto a Disturbia di Rihanna, cantata da una ragazzina afroamericana.

“Con questo cosa vorresti dire?”, si accigliò Angel. “Che ci considerano degli…”

“Sfigati!”, li additò Melissa travestita da strega, completando involontariamente la frase. “Immaginavo che sareste venuti, anche se proprio a voi non serve il costume per fare paura.”

I ragazzi si ritrovarono improvvisamente accerchiati dai compagni, che grazie all’intervento di Melissa iniziarono a deriderli rivolgendogli il gesto della L.

“Neanche a te serve il costume per essere una strega”, la sfidò prontamente Satèle, facendo cessare le risa che avevano cominciato ad attirare l’attenzione del resto dei presenti.

“Ma senti chi parla!”, esclamò Melissa. “Tu sei un diavolo ogni giorno, Satèle Johns, altrimenti non faresti la gattamorta con tutti i ragazzi di questa scuola, incluso il mio fidanzato!”, sibilò poi a denti stretti.

“Uno: ti stai inventando tutto; due: se proprio vuoi saperlo, è stato Peter ad avvicinarsi a me, e io l’ho soltanto ringraziato perché mi ha fatto gli auguri!”, si discolpò Satèle.

Melissa divenne rossa di vergogna, complice il fatto che il ragazzo confermò tutto, allora si fece avanti e con l’aiuto di Kelly immobilizzò le braccia della sua vittima con una mano, mentre con l’altra le tirò i capelli con forza.

Nonostante dal viso di Satèle non trapelasse alcun accenno di dolore, Markus ed Angel non riuscirono a sopportare quella scena. Il primo ordinò alla folla che aveva ricominciato a ridere di smetterla subito; la seconda aiutò la sua amica a liberarsi dalla presa delle due bulle e le affrontò con determinazione.

“Lasciatela stare!”, gridò. “Le uniche gattemorte, qui, siete voi; siete voi le stronze!”

“Stronza lo dici a tua madre, cara!”, ribatté a tono Kelly, non sapendo che con quelle parole avrebbe potuto ferire Angel nel profondo del cuore.

Infatti fu così. Kelly vide chiaramente che si era indisposta, ma a darle la conferma definitiva della propria supposizione fu il pugno che le arrivò dritto in faccia dalla ragazza.

Nessuno seppe spiegarsi quella reazione così violenta ed Angel non si soffermò nemmeno a guardare il naso sanguinante di Kelly. Si fece largo tra la folla sbigottita e si avviò verso l’esterno, seguita da Satèle che prima si voltò verso Coco e le sue amiche travestite da odalische, le quali avrebbero fatto meglio a vergognarsi per aver assistito senza reagire, soprattutto sua sorella.

Markus fece per inseguire le ragazze, ma prima di varcare l’uscita fece un passo indietro e si rivolse ai compagni. “Fatevi schifo”, gli ordinò. “Tutti quanti.”

 

Markus e Satèle chiamavano Angel ma lei non accennava a fermarsi, anzi: più loro insistevano, più accelerava il passo. Quando riuscirono a raggiungerla, i due erano già senza fiato.

“Calmati”, le disse Satèle. “Perché hai tirato quello schiaffo a Kelly? Okay, se lo meritava, ma tua madre non era presente, non ha sentito quello che ha detto.”

Angel strinse le labbra e trattenne le lacrime, ma la sua voce suonò ugualmente flebile quando, prima di scappare via, rispose: “Certo, perché non può.”

Allora Satèle provò a fermarla, voleva scusarsi per aver toccato un tasto dolente senza saperlo, ma Markus le suggerì di concederle il tempo necessario per smaltire la collera.

“Che festa di merda!”, sbuffò poi. “Se avessi saputo che sarebbe finita così, sarei rimasto a casa a guardare The Nightmare Before Christmas come ogni anno.”

“Anch’io adoro quel film”, disse Satèle.

“Veramente? So che nei dintorni c’è un cinema, potremmo provare a vedere se è in programmazione e guardarlo insieme”, propose Markus.

A Satèle piacque l’idea, ma non era in vena. Desiderava soltanto tornare a casa e andare a letto per lasciarsi alle spalle tutto quanto. Lo disse a Markus e lui rispose: “Mi dispiace.”

“Per cosa?”

“Per non essere riuscito a farti passare un bel compleanno.”

“Non dire così”, rispose Satèle. “Tu sei stato uno dei pochi a ricordarselo, e questo mi ha resa molto felice. Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi fatto un regalo che desideravo da tanto, per avermi offerto la colazione e, soprattutto, per avermi difesa poco fa. Sei davvero un buon amico per me.”

“Anche tu per me”, sorrise Markus.

Si diedero la buonanotte e si incamminarono verso casa prima che facesse notte, perché si sa: il buio fa luce a troppi pensieri.  

   
 
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