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Autore: Eurus91    16/12/2021    0 recensioni
[…] «Non dovresti essere a letto, ragazzino?»
Jack si mosse lentamente, mal soffocando uno sbadiglio e strofinandosi una mano sul viso ruvido. La barba era leggermente cresciuta, provocandogli un fastidioso prurito che non riusciva a placare con una semplice grattata.
«Potrei farti la stessa domanda…» […]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: MacGyver (2016)
Personaggi: Angus “Mac” MacGyver, Jack Dalton

Notes: La storia  prende parte all’ Advent Calendar Challenge sul gruppo hurt/comfort- fanfiction & fanarthttps://www.facebook.com/groups/534054389951425/

110. Notte di Natale

 

A svegliare Jack, quella notte, fu il rumore di passi; passi pesanti, e trascinati come di qualcuno che si reggeva a mala pena in piedi. Come di qualcuno che fosse in posizione eretta solo per una strana legge legata alla gravità piuttosto che sorretto dalla forza delle proprie gambe. Jack non ebbe alcun problema ad immaginare a chi appartenessero quei passi: anni e anni passati a guardare le spalle di un certo genio biondo, ti rendevano anche incline a riconoscerne i passi. Tra le altre cose l’accortezza di non trascinare i piedi, per non metterlo in allerta e sembrare sospetto, poteva essere solo di Mac.

Jack si costrinse dunque ad aprire gli occhi, ruvidi e piuttosto gonfi a causa della mancanza di riposo. Ad accoglierlo ci fu la semi oscurità del soggiorno e la forma di un ragazzo in pantaloni morbidi, e vecchia t-shirt dell’esercito, che si aggirava per l’angolo cucina in cerca, molto probabilmente, di una bottiglia d’acqua. 

Per un momento fu tentato di rimettersi a dormire. Evitare che il sonno svanisca troppo presto, come il caldo in una giornata di fine estate. Erano stati giorni pesanti dove nessuno della squadra aveva davvero chiuso occhio. Ovviamente quasi come a tenere fede ad una strana tradizione nel Team Dinamico chi aveva sopportato il peggio era stato proprio il ragazzo, che ora si aggirava per il salotto come un’anima in pena. 

Prima Mac che viene portato via da casa sua in manette la Vigilia di Natale. Jack non doveva essere un genio per sapere quanto l’accusa di omicidio e terrorismo avesse sconvolto il ragazzo: preoccupato di aver ucciso un uomo innocente. 

Poi Murdoc e infine Casper in versione poco amichevole, come lo aveva definito con il ragazzo per tirarlo su, che piomba a casa di Mac e la trasforma in una gigantesca bomba, intrappolando entrambi fino a quando il ragazzo non era riuscito a tirarli fuori illesi.

Con un gesto rapido, prima di cambiare idea, gettò la coperta di pile di lato, che si riversò per metà sulla spalliera del divano su cui aveva passato le ultime ore. L’aria fredda lo fece rabbrividire, facendogli rimpiangere per un attimo di non aver accettato i pantaloni della tuta di Mac e aver optato invece per una vecchia maglietta dei metallica e i boxer. 

Non fece nulla per trattenere il respiro aspro che gli sfuggì dalle labbra quando i piedi nudi incontrarono il pavimento di legno freddo. 

Per essere a Los Angeles, con una temperatura media di 21° a Dicembre, quella notte faceva piuttosto freddo. 

«Non dovresti essere a letto, ragazzino?» 

Jack si mosse lentamente, mal soffocando uno sbadiglio e strofinandosi una mano sul viso ruvido. La barba era leggermente cresciuta, provocandogli un fastidioso prurito che non riusciva a placare con una semplice grattata. 

«Potrei farti la stessa domanda…»

Borbottò il ragazzo, mentre affondava il viso nel frigorifero. Alla luce aranciata e artificiale dell’apparecchio le ombre lunghe sotto gli occhi del ragazzo sembravano ancora più pronunciate.

«Sì, ma non sono io quello che è stato inginocchiato per quasi dieci ore a flirtare con una bomba…» 

Jack inclinò leggermente il capo verso il ragazzo, come a sottolineare quanto inattaccabile fosse quella affermazione.

Mac si limitó a grugnire qualcosa mentre tiró fuori dal frigo una bottiglia d’acqua fresca. Mac svitó il tappo con un sospiro stanco, come se quel semplice gesto gli avesse tolto quel poco di energia che era riuscito ad accumulare nelle ore precedenti.

Jack dal canto suo, ora, era piuttosto sveglio; soprattutto dopo aver visto le condizioni in cui versava il suo partner, e stava rinunciando a prepararsi un caffè solo per evitare di invogliare il ragazzo a fare lo stesso.

Potè immaginare, con una certa facilità, la barra delle energie in pieno stile videogioco, sopra la testa del ragazzo che lampeggiava di un rosso minaccioso. 

«Dico sul serio Mac, dovresti essere a letto.»

«Troppi pensieri.»

Fu la risposta secca del ragazzo, mentre abbandonava la bottiglia, ormai mezza vuota sull’isola della cucina e si dirigeva verso il portico inciampando, pericolosamente, non appena fece il giro del bancone.

«Ehi. Ehi. Piano Mac!»

In quel momento Jack ringrazió tutto il suo duro addestramento che gli aveva donato dei riflessi invidiabili, perché riuscì ad afferrare il ragazzo prima che questo ultimo avesse un incontro piuttosto ravvicinato con il pavimento. 

«Stai bene?»

Chiese Jack, mentre la sua preoccupazione ora aveva raggiunto livelli piuttosto alti e si affrettava a rimettere in posizione eretta un Mac tremante.

«Mac, parlami…»

Jack, quasi supplicó. Lo vide sbattere un paio di volte le palpebre e assumere lo sguardo di un gufo abbagliato dai fari e non gli sfuggì, di certo, come il ragazzo sollevò una mano e dopo averla rigirata e rimirata qualche volta e costatato che tremava come una foglia, la chiuse a pugno nascondendola alla sua vista e a quella di Jack. 

Era paradossale come le mani di Mac, le mani di un artificiere, ora tremavano come una Jell-0 agitata da un bambino. 

«Sono semplicemente stanco…»

Borbottó, cercando di divincolarsi dalla presa dell’uomo per dirigersi verso il portico.

Di nuovo.

«Non puoi liquidarmi così.»

Jack quasi urló, salvo ricordarsi poi di Bozer, nonché coinquilino del ragazzo, che dormiva solo qualche stanza più in là. 

«Mac…»

Aggiunse poi con un tono di voce più basso.

«Voglio solo…» Mac sembró lottare anche con le parole. 

Il ragazzo fece un vago gesto con le braccia, indicando tutto o niente, lasciandosi poi cadere sul divano con un suono aspro.

«Ecco il piano…» Disse Jack, piegandosi sulle ginocchia per essere all’altezza del ragazzo, «per prima cosa ti preparo qualcosa da mangiare…». Jack si sforzò di ricordare quando era stata l’ultima volta che il ragazzo aveva fatto un pasto completo; aveva provato a far mangiare qualcosa a Mac durante il tempo trascorso a disarmare la bomba, ma l’unica cosa che aveva ottenuto era che il ragazzo mandasse giù una bottiglia d’acqua e una barretta energetica spiluccata e lasciata a metà e poi abbandonata da qualche parte in un angolo della casa mentre borbottava di formule chimiche e di calcoli stechiometrici.

«E ovviamente Die Hard. C’è un film più natalizio di Die Hard?»

Jack fece l’occhiolino al ragazzo mentre si alzò, esagerando di proposito il fastidio alle ginocchia che provava per la posizione a cui aveva costretto le sue gambe solo per strappare un sorriso al ragazzo.

Mac sembró esitare, guardando corrucciato il suo overwatch, per poi acconsentire con un sospiro rassegnato, consapevole che Jack lo avrebbe tormentato fino a quando non avrebbe comunque detto sì. 

«Non puoi considerare Die Hard un film natalizio solo perché si svolge la Vigilia di Natale, manca l’atmosfera Jack.»

Aggiunse il ragazzo, mentre Jack si dirigeva scalzo in cucina, e lui si metteva, suo malgrado, più a suo agio sul divano. Sprofondando tra i cuscini e cullato dall’odore familiare che Jack aveva lasciato sulle coperte.

Jack si finse scioccato dall’affermazione del ragazzo, mentre tirava fuori il pane in cassetta per il sandwich dal mobile, «Oh andiamo Mac, l’atmosfera lo crea il cadavere con il cappello di Babbo Natale.»

Mac ridacchiò sommessamente, mentre a tentoni cercava il telecomando del DVD per far partire il film. 

Dieci minuti dopo Mac stava facendo, un’autopsia letterale al sandwich. Spezzettandolo in tanti piccoli pezzi disposti ordinatamente sul piatto bianco.

«A cosa stai pensando Mac?»

Jack aveva imparato da tempo che alla prima occasione utile lo stato mentale del ragazzo si sarebbe palesato che sia martoriando una graffetta, smontando un frullatore o un microonde o come in questo caso distruggendo uno spuntino di mezzanotte. 

«È colpa mia se Cage ha rischiato di morire…» Rispose Mac, con una tranquillità tale da spiazzare l’uomo che fece schioccare la lingua sul palato in segno di palese disapprovazione, tuttavia i sensi di colpa di Mac erano prevedibili come la neve al Polo Nord. 

«No. È colpa di Murdoc e del fatto che è palesemente uno psicopatico.»

Mac rimase in silenzio, portandosi alla bocca un pezzetto di sandwich, masticandolo lentamente.

«Ma è colpa mia se siamo rimasti intrappolati insieme ad una gigantesca bomba…»

Jack sospirò, avevano ballato quella canzone molte volte, come aveva già detto i sensi di colpa di Mac erano qualcosa con cui Jack doveva fare i conti ogni volta che qualcosa andava storto, e nella loro linea d’azione le cose andavano storte spesso.

«Sempre colpa di uno psicopatico ed è grazie a te se siamo qui alle due di notte a mangiare e a guardare Die Hard…» 

Jack cercò con lo sguardo gli occhi di Mac, giusto per essere sicuri che lo stesse ascoltando sul serio, «…mi hai capito? Grazie a te.»

Mac annuì poco convinto, ma il fatto che non replicò o negò venne prese da Jack come una vittoria.

«Intanto il Natale è stato rovinato…»

«Naah, DXS aveva il potere di spostare il Natale, sono abbastanza sicuro che anche la Phoenix abbia ereditato quel potere…»

Replicò Jack, mentre il film entrava nel clou dell’azione riempiendo l’aria del rumore di spari e urla che entrambi trovavano stranamente confortanti.

«Dunque Buon Natale Mac!»

Mac tirò le labbra in un sorriso, «Buon Natale anche a te, Jack…»

Poco prima dei titoli di coda, Mac aveva finito il suo sandwich e ronfava tranquillo con la testa sul bracciolo del divano. Per quanto la posizione fosse scomoda, Jack non se la sentì di svegliarlo. Le rughe di espressione che avevano fatto bella mostra di sé, sulla fronte del ragazzo, per tutto il giorno e gran parte della notte sembrarono appianate. Jack spense la TV e rimboccò la coperta, che aveva recuperato dalla spalliera del divano sulle spalle emaciate del ragazzo. 

«Sogni d’oro Mac…»

   
 
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