Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: LadyNorin    19/12/2021    1 recensioni
Quando Sherlock e John quella mattina fecero ritorno al 221B di Baker Street, e Sherlock abbassò la maniglia per entrare, quasi rischiò un colpo, trovandosi subito oltre la soglia, la signora Hudons, che a quanto pareva doveva averli sentiti arrivare e aveva ben pensato di intercettarli prima ancora che salissero le scale.
Il buon dottore, dopo aver visto l’amico sussultare, si era spaventato a sua volta.
Un misterioso cliente, proveniente dal passato di John, è arrivato a Baker Sreet, pronto a portare scompiglio nella vita dei due uomini.
[Questa storia non ha un ambientazione specifica, ma si svolge dopo la seconda stagione.]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note d’autrice:

Ho degli avvisi da mettere. Ovviamente come avete visto, questa storia non viene aggiornata ogni settimana. Non ho idea di quante volte verrà pubblicato, ma penso uno o due volte al mese.

Ci tengo a precisare, che questa storia è una pazzia. Pura follia uscita dalla mia testa bacata. Fate conto che niente potrebbe avere della coerenza (almeno credo). La figura del personaggio che conoscerete a breve, è praticamente inventato da 0. Tenendo conto che comunque abbiamo davvero poche conoscenze su di lei… Ho inventato di sana pianta. La caratterizzazione, la storia dietro il suo passato. Ho semplicemente pensato a come potevano stare le cose, e improvvisato partendo da lì.
Non prendete nulla sul serio.  
Detto questo, spero che vi possa divertire ed intrattenere!

Vorrei ringraziare chi ha messo tra le seguite e preferite sia questa storia che la precedente, e a tutti quelli che stanno continuando ad aggiungersi. Grazie di cuore <3

Ho alcuni link sia social che non, in cui potete seguirmi, tra cui Wattpad.

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Ah stavo dimenticando, a proposito di Un Caso Personale, la sto revisionando, quindi ogni qual volta saranno pronti, metterò i capitoli sistemati.
Li riconoscerete perché in alto avranno la dicitura [revisionato].


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Parte seconda:



***



«Fratellone!» in un attimo la donna aveva raggiunto John, per stritolarlo in un abbraccio.
«Mi sei mancato!»
John si lasciò travolgere da quell’abbraccio senza nemmeno provare a muovere un muscolo, totalmente in balia degli eventi.
«H-harriet…»
«Come hai detto?» finalmente la donna allentò la presa. «Lo sai che odio quel nome.» lo disse in modo scherzoso, ma John, che la conosceva meglio di chiunque altro al mondo, ci aveva letto la leggera intonazione da minaccia.
«Ti vedo bene. Hai un bell’appartamento, anche la portinaia.»
«La signora Hudson non è la portinaia, è la padrona dell’appartamento, ci viviamo in affitto qui.» ci tenne a precisare John.
«Ci?» Harry sembrava sorpresa da quella nuova informazione.
«Si, io e lui.» John indicò Sherlock alle sue spalle, che si era avvicinato e stava osservando la strana piccola riunione della famiglia Watson, con estremo interesse.
Harry aveva in volto un'espressione molto colpita e sorpresa.
«Non mi dire, ti sei trovato uno!»
«Cosa?» John non capiva il senso di quell’affermazione, anche perché il suo cervello si rifiutava di prenderne in considerazione alcuna che fosse.
«Da quanto vivete insieme? Perché non me l'hai detto prima!»
«Ma… Da un paio di anni direi, e non sapevo di doverti dire che ho un coinquilino.»
«Ah è così che si dice ora?»
«Che si dice cosa?»
«Coinquilino.»
John aggrottò la fronte, in una buffa espressione di totale smarrimento.
«Sei ubriaca?»
Harry lanciò un'occhiataccia al fratello maggiore.
«Ma no tonto! Vivete insieme.»
«Si… Ed?»
«E non mi hai mai detto che ora ti interessano gli uomini!»
La faccia di John divenne bianca come quella di un lenzuolo. Sentì il sangue defluirgli dalle vene. Puff. Sparito. In compenso era rimasto il gelo.
«Ma come ti salta in mente! E’ il mio coinquilino! Paghiamo l’affitto e lavoriamo insieme, punto!»
«E il tuo amico lo sa?»
Ora invece del gelo nelle vene John aveva la lava. Tutto quello che in precedenza era defluito, ora lo sentiva tutto sulle guance che gli stavano andando a fuoco. Perché con sua sorella doveva finire sempre in questo modo. Infuriato per qualcosa che lei diceva o faceva.
«Harry!»
«Che c’è, che ho detto di così sconvolgente?» ora usava anche il finto sguardo da ingenua. John lo sapeva benissimo, non c’era niente di ingenuo in quella donna.
John chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, inspirando tutta l’aria dalle narici.
«Sherlock.»
La voce di Sherlock così vicina lo fece sobbalzare e spalancò gli occhi. Sherlock era accanto a lui e aveva allungato la mano verso Harry.
«Come hai detto che ti chiami begli occhioni?» lei l’aveva afferrata e stretta con forza.
«Mi chiamo Sherlock.» scandì bene lettera per lettera come se stesse parlando con un bambino.
«I tuoi genitori ti odiano?»
Ora anche Sherlock aveva aggrottato la fronte, assumendo un espressione confusa. Strano, di solito arrivava subito alle conclusioni, evidentemente arrivava a tutte le conclusioni, tranne quelle sconclusionate di Harriet.
«Si anche i miei. Per questo mi hanno chiamato con quell’orribile stupido nome. A John invece è andata bene, almeno lui ha un nome banale.»
«Harry…»
«E dai sto scherzando, sei sempre il solito musone.»
John afferrò la sorella per il gomito e la trascinò più lontano.
«Perché sei qui?»
«Perché mi mancavi, mi sembra ovvio. Non ci vediamo da… Oddio una vita.»
«Si e la colpa di chi è?»
«Sei tu che hai tagliato tutti i ponti.» sventolò un dito indice davanti alla faccia di John.
«Lo sai benissimo perché.»
«Si, si. La storia dell’alcolismo.»
John le rifilò l’ennesima occhiataccia, che lei ovviamente ignorò.
«Volevo solo vederti perché mi mancava l’unico membro della mia famiglia ancora in vita.»
«Quante cazzate.»
«Eh dai, non essere così crudele.» Harry mise persino il broncio.
«Non usare certi termini con me, non sono p…»
«E tu non pronunciare quella parola.» la donna tirò fuori un finto sorriso sulle guance paffute.
«Bene ora ci siamo visti.» John andò verso la porta dell’appartamento e la spalancò. «E’ stato un piacere. Torna pure tra qualche altro anno.»
Harry non si mosse da dov’era, e anzi, fissò il fratello con le braccia incrociate al petto.
«E’ così che tratti la tua unica sorella?»
«Gradisci una tazza di tè?» Il tono e i modi gentili di Sherlock stavano esasperando John.
«Sherlock…» richiamò l’amico pronunciando il suo nome tra i denti e cercando di fargli capire solo con i movimenti dei muscoli facciali quanto non gradisse che invitasse la sorella a restare per altri interminabili minuti.
«Non dovresti essere così sgradevole John.» Sherlock rimproverò il dottore.
John dal canto suo divenne di una tonalità vicina al rosso pomodoro.
«Sì grazie bellezza, mi piacerebbe molto una tazza di tè, soprattutto se me la porti tu.»
Sherlock abbozzò un sorriso imbarazzato e sparì in cucina più velocemente che poté.
John dal canto suo si passò stancamente una mano sul viso.
«Coinquilini.» riprese Harry.
«E’ quello che siamo…»
«Si d’accordo. Io non giudico. Anzi, sono contenta per te, almeno ti sfoghi un po’. E poi è molto bello. Per essere un uomo.»
«Aspett-cosa?» Era molto peggio di quello che credeva. «Di che cosa vai blaterando!» sperava davvero di aver capito male.
«Ti scegli meglio gli uomini di quanto ti sceglievi le ragazze. Mi ricordo ancora di quella specie di gallina che avevi portato a casa l’ultima volta. Com’è che si chiamava? Ah sì, Samantha con l’acca!»
Il volto di John nel frattempo cambiava diverse tonalità di viola.
«Se è anche intelligente quanto è bello hai vinto alla lotteria fratellone.»
«Harry!»
«Che c’è? Perché continui ad urlare il mio nome?”
«Io e Sherlock non stiamo insieme! In quel senso… Né in qualunque altro senso! A me piacciono le donne, io esco con le donne, e soprattutto io vado con le donne!»
Gli angoli interni delle sopracciglia di Harry si unirono verso l’alto.
«Non sto scherzando Harry, sono molto serio.»
Harry si strinse nelle spalle.
«Okay, okay. Però spiegami una cosa. Come faccio a credere che tra te e il tuo amico non c’è nulla se vivete insieme e vi fate chiamare coinquilini.»
John prese un bel respiro.
«Perché è quello che siamo. Lavoriamo insieme e dividiamo l’affitto.»
«Uhm… Sarà. Non siete un po’ troppo vecchi?»
«Non c’è un'età per dividere una casa che non puoi permetterti.»
«Se lo dici tu. Credevo che il lavoro da dottore dell’esercito fosse ben pagato.»
«Non è così.»
«Allora a che serve?»
«A fare il tuo dovere.»
Harry roteò gli occhi verso il soffitto.
«Lavoro, lavoro, lavoro. Doveri.»
«Si, è così la vita.»
«E’ così per chi si fa abbindolare.»
«Tu avevi una casa e una moglie.»
«Già, avevo. Ma ora vivo molto meglio. Sono libera di andare dove voglio, con chi mi aggrada.»
John ne dubitava fortemente.
«Immagino. Una vita entusiasmante.»
«Non tutti sono fatti per la noia fratello bacchettone.»
«Senti fa come vuoi. Ormai sei adulta e io non posso dirti come vivere.»
«E’ per questo che mi hai scaricata?»
«Ho provato ad aiutarti in tutti i modi che potevo.»
«Non direi. Ti sei arreso subito.»
«Se sei abbastanza grande per decidere della tua vita lo sei anche per capire quando è ora di cambiarla, e anche per riuscirci.»
«Si, si. Bla, bla, bla. Sei sempre stato bravo con le parole.»
Tornò Sherlock con un vassoio che posò sul tavolino in salotto.
«Prego.»
Harry andò a sedersi su una delle poltrone.
«Grazie begli occhioni. Sei sempre così gentile con tutti?»
Sherlock lanciò un occhiata in direzione di John, che rimase impassibile.
Non lo aveva ascoltato prima quando aveva cercato di fargli capire di non essere troppo accondiscendente con Harry, ora si arrangiava.
«Che c’è non sai parlare, ti serve l’aiuto di mio fratello?»
Sherlock sistemò nervosamente l’orlo destro della giacca elegante, e dopo averla sbottonata, andò a sedersi sull’altra poltrona.
«No.» rispose secco.
«Allora che fate di bello voi due scapoloni? E per voi due intendo tu. Lo so che mio fratello il dottore è noioso.»
«Lavoro per la polizia. Quando mi chiamano.» Sherlock sorseggiò elegantemente dalla propria tazza.
Harry a quelle parole fece una smorfia.
«Oddio, gli sbirri. Scherzi spero.»
«No, non scherzo. Mi chiamano quando hanno bisogno che gli risolva qualche caso.»
«Caso? Caso di cosa?»
«Di omicidio.»
Harry rimase a bocca aperta. John un po’ gongolò.
«Quindi insomma… I morti stecchiti.»
«Si, esatto.»
«Wow. Ma infondo non sarà così difficile dal fare il dottore. Cioè anche il mio fratellone ne avrà visti di cadaveri. Non è vero John?»
John raddrizzò la schiena.
«Non è una gara Harry. E qui parliamo di omicidi.»
«Anche la guerra lo è. Un grande omicidio legalizzato.»
«Non ho intenzione di discutere di questi argomenti con te.»
«Ovviamente. Perché sai che ho ragione.»
John sentì la rabbia salirgli fino all’ultimo capello.
«Ho fatto quello che andava fatto per il mio paese.»
«E’ normale che tu lo dica, da bravo soldatino repubblicano colonizzatore.»
Prima che John potesse aprire bocca, Sherlock si intromise, schiarendosi forte la gola.
«Allora, cosa ti porta qui in città Harry? A parte John ovviamente.»
«Non so perché non mi crediate, ma sono davvero qui per vedere mio fratello.»
«E hai intenzione di restare molto in città?»
Questa volta fu il turno di Harry di aprire bocca e rispondere, ma venne interrotta prima che potesse dire alcunché.
«Sono sicuro che Harry abbia un mucchio di cose da fare, e che dopo questo tè, se ne andrà ovunque vive.» Ovviamente John ci aveva tenuto a mettere più enfasi su quell’ultima parte.
«Veramente… Ormai è tardi e sarebbe lunga tornare a casa. Se potessi restare qui solo per questa notte.» Harry guardò con aria supplichevole sia John che Sherlock.
Ovviamente Harry Watson da quale brava opportunista quale era, aveva imparato subito chi fosse l’anello più debole, e puntava tutto su Sherlock, a cui rifilò un espressione disperata, con aggiunta di sguardo da cane bastonato. John sapeva, era fregato.
«Ma certamente. Non è un grosso problema per una notte avere ospiti, vero John?» John era troppo occupato a immaginare i diversi modi in cui si sarebbe sbarazzato del cadavere di Sherlock, per preoccuparsi di rispondere a quella domanda.
«Oh grazie! Se solo tutti gli uomini fossero come te.»
Harry si era buttata su Sherlock, e lo stava abbracciando, con le braccia strette attorno al collo del detective. Ovviamente Sherlock non gradiva il contatto fisico e si era completamente irrigidito.
«Prego… Figurati.» fece un fintissimo sorriso, mentre cercava di staccarsela di dosso.
John dal canto suo se ne stava con postura rigida, braccia incrociate al petto, e sguardo omicida, sempre rivolto al suo coinquilino, cercando di reprimere un forte desiderio di mettergli le mani intorno al collo.
«E dove dormirò?» Harry saltò in piedi.
Sherlock voltò lo sguardo verso John, che intervenne ancora prima che l’altro potesse incastrarlo in un altra trappola.
«Oddio, il mio mal di schiena.» si portò una mano nella parte bassa della schiena. «Ah, devo andarmi a stendere. Le mie povere ossa. Non sono più giovane come una volta.» si trascinò stancamente verso il piano superiore, dove si trovava la camera da letto. Usò volutamente un passo pesante, in modo che tutti i presenti potessero sentirlo mentre saliva le scale, e poi la porta chiudersi con un tonfo secco.
Sherlock sospirò. Quello era un chiaro segnale da parte di John: non era intenzionato ad aiutarlo a far restare la sorella.
Sherlock si alzò lentamente dalla poltrona.
Harry era in piedi di fronte a Sherlock, e lo stava fissando con uno strano sorriso.
«Puoi usare il mio letto…» lo suggerì quasi come se fosse soltanto un idea, buttata lì tanto per, giusto per essere gentili. Le convenzioni sociali.
«Ma no. Sei un vero gentleman ma mi accontento del divano, so adattarmi bene.» Harry diede un colpetto a pugno chiuso sul braccio di Sherlock.
«Insisto.» Ormai il danno lo aveva fatto.
«Beh se proprio insisti.»
«Vado a cambiarti le lenzuola. Puoi usare il bagno intanto se vuoi.»
Harry Watson a momenti non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase che già la porta del bagno si era chiusa.
Sherlock sospirò nuovamente e andò nella propria stanza, a prepararla per l’imprevista e invadente ospite.
Forse avrebbe dovuto dare retta a John.

Dovevano essere qualcosa come le tre di notte. Sherlock si era sistemato con un lenzuolo e un cuscino, sul divano del salotto. Ma era scomodo e sapeva già che non avrebbe chiuso occhio. Odiava essere sveglio e non avere nulla da fare. Era quasi tentato di andare ad importunare John, ma aveva come l’impressione che se avesse anche solo provato a presentarsi sulla soglia di camera del dottore, quest’ultimo gli avrebbe sparato.
Così rimase a fissare il soffitto per ore interminabili. A tenersi occupato pensando e ripensando a vecchi casi che gli venivano alla mente al momento. A quello che avrebbe potuto dire di più pungente in conversazioni già avvenute da tempo. Ad inventarsi nuovi insulti da dire a Mycroft quando gli faceva perdere la pazienza, cosa che accadeva molto spesso. Ma cosa più fondamentale di tutte, a maledirsi e a chiedersi perché mai fosse stato così idiota da non dare retta a John.
Una delle vocine nella sua testa gli rispose ‘forse perché la tua mania di competizione e la tua incontenibile curiosità ti ha fatto credere che fosse una fantastica idea avere a che fare con sua sorella.’
Sherlock convenne che la vocina aveva assolutamente ragione. Era stato un idiota.



Finalmente giunse la mattina, e Sherlock si era alzato non appena la luce dell’alba aveva iniziato a filtrare dalle finestre. Poteva chiaramente sentire il respiro pesante e i rantoli provenire dalla propria camera.
Harry Watson aveva degli evidenti problemi di respirazione.
Ne approfittò per usare il bagno.

John fu il secondo a svegliarsi all’alba. Quando scese per le scale, l’odore di caffè fresco appena fatto, gli colpì le narici. Scese gli ultimi gradini e guardò il divano. Era perfettamente sistemato. C’era un lenzuolo piegato e ordinato da un lato, con sopra il cuscino.
Attraversò il salotto per andare in cucina.
Trovò Sherlock davanti la macchinetta, con una tazza fumante. Il detective la allungò verso John, che senza proferire parola la prese e andò a sedersi a tavola.
Sherlock recepì il messaggio.
«Dormito bene?» chiese John, dopo almeno dieci minuti di assoluto silenzio e contemplazione, mentre sgranocchiava una fetta biscottata spalmata di burro e confettura di albicocche.
Sherlock si era seduto dal lato opposto, aveva finito il caffè e stava sfogliando pigramente le pagine del giornale.
«Meravigliosamente.» mentì spudoratamente.
«Come no.» ovviamente John non ci aveva creduto nemmeno per un secondo.
Si alzò dal tavolo e iniziò a ripulire.
«Che fai?» domandò Sherlock.
«Non lo vedi? Sto riordinando.»
Ok John c’é l’aveva ancora a morte con lui per la storia della sorella.
«Ma tua sorella…» Sherlock sapeva che fosse rischioso pronunciare quelle parole.
«Lei prima delle undici non si alza.»
«Ah.»
«Già.»
«Quindi cosa facciamo?»
John si voltò a guardare il detective.
«Cosa facciamo? Vorrai dire, cosa fai tu.»
«Andiamo John…»
«Andiamo John, un accidenti. L’hai voluta la bicicletta? Ora pedala.»
«Ma volevo essere solo gentile.»
«Piantala Sherlock. Tu non sei mai gentile. In due anni che vivo qui non hai mai voluto ospiti a casa. Dici sempre che sono degli scrocconi invadenti.»
«Ma ora è diverso…»
«E’ diverso? E perché mai?»
«Perché è tua sorella.»
«Tu lo sai che non vado d’accordo con mia sorella e che è un ex alcolizzata.»
«Lo so si, però volevo sapere….»
Sherlock si morse la lingua. Aveva parlato troppo, come al solito.
«Volevi sapere? Cosa?» il volto di John si era fatto improvvisamente minaccioso.
Ovviamente Sherlock aveva già capito che John si stava infuriando. Poteva chiaramente leggerglielo dall’espressione del viso, e dalla vena che gli si era ingrossata sul collo.
«Sapere di te… Della tua… Famiglia… Tu non hai mai detto nulla. Le uniche cose che so le ho dedotte.»
John si avvicinò con fare minaccioso, e Sherlock quasi si rimpicciolì sulla sedia.
Il dottore puntò un dito contro il proprio coinquilino.
«Non sono affari tuoi. Tu hai i tuoi segreti e io i miei. Stanne fuori. Hai capito?» e detto ciò si allontanò con passo da soldato, per tornare al piano superiore. La porta venne sbattuta con forza, tanto che quel tonfo rimbombò anche nel in salotto, fino alla cucina.
Sherlock rimase fermo, seduto sulla medesima sedia, per un tempo interminabile. A riflettere sui motivi che spingevano John a reagire in quel modo quando si trattava della propria famiglia. Purtroppo Sherlock era sicuro di conoscerlo quel motivo.



Harry, proprio come aveva detto John, uscì dalla camera da letto, che erano passate le undici.
Nel mentre i due si erano occupati di innumerevoli cose.
John era andato a dare una mano alla clinica e Sherlock aveva scambiato mail tutta la mattina con Lestrade, cercando di ficcare in quella testa di cemento, alcune semplici e banalissime nozioni investigative, che anche un bambino di dieci anni avrebbe compreso.
«Dov’è il mio fratellone?» Harry entrò in cucina stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente.
«E’ andato in clinica. Torna per l’ora di pranzo.»
La donna sbuffò e andò a buttarsi sulla sedia più vicina.
«E tu invece perché sei a casa?»
«Ho lavorato al pc tutta la mattina.»
«E sei così premuroso da far trovare il pranzo pronto a mio fratello.» concluse lei. Non era una domanda ma proprio un'affermazione. Sherlock si sentì un po’ punto sul vivo.
«Assolutamente no. Non sono la sua governante. Oggi è un'eccezione.»
Harry sorrise a Sherlock.
«Perché ci sono io? Sei davvero troppo gentile begli occhioni. Scommetto che sai anche cucinare bene. C’è qualcosa che non sai fare?»
Sherlock cercò di nascondere il disagio che stava provando, e pregò che John tornasse a casa presto.
«So badare a me stesso.»
«Lo prendo come un sì.»
«E mio fratello lo sa dei tuoi vizietti poco leciti?»
Sherlock a quelle parole si sentì sprofondare. Come aveva fatto a scoprirlo? Non andava di certo in giro con un cartello con su scritto ‘sono un ex tossico’.
Prima che potesse trovare una qualunque scusa, Harry aveva assunto un sorrisetto stampato sulle labbra.
«Le tue braccia tesoro.» le indicò. «Sai quanti tossici ho visto e frequentato nella mia vita? Ormai li riconosco con un occhiata.»
Il detective si affrettò a srotolare le maniche che aveva precedentemente arrotolato fin sopra ai gomiti.
«Non c’è problema, non ti vergognare. Io non giudico.»
«Non c’è niente da dire a riguardo»
La donna proseguì imperterrita.
«Droghe legali o illegali?»
Sherlock chiuse gli occhi e prese un bel respiro.
«Tutte… Tutte e due.»
Harry sembrava colpita da quella risposta.
«Strano che mio fratello ti abbia scelto come coinquilino e abbia resistito così a lungo con qualcuno che non si comporta secondo i suoi canoni da vecchio bacchettone.»
«John non è un vecchio bacchettone.»
Proprio in quel momento, dall’ingresso provenne il suono della chiave infilata nella toppa. La porta si aprì, e John Watson fece la sua comparsa.
Levò la giacca, appendendo l'indumento al gancio. Quando si voltò, trovò la sorella che lo fissava dal tavolo della cucina.
«Sei ancora qui?»
«Si, non sei contento?»Harry scoccò un sorriso smagliante al fratello.
John cercò lo sguardo di Sherlock, che sembrava grato di essere stato salvato.
«Rimani a pranzo?» chiese rivolto alla sorella. «Così poi ti accompagno alla stazione.»
Harry assunse un'aria innocente.
«Non mi vuoi proprio eh? Va bene, ho recepito il messaggio. Mi sembra brutto rifiutare un buon pranzo dopo che il tuo coinquilino così gentile lo ha preparato.»
«Allora siamo d’accordo.»
John andò a chiudersi in bagno. Sherlock finì di preparare il pranzo e mettere i piatti a tavola.
Parlarono tutti e tre, non di cose chissà quanto profonde, giusto le solite frivolezze.
Harry però continuava a guardare il cellulare e a scrivere messaggi. Sherlock lo trovava un comportamento un po’ maleducato, ma ormai aveva smesso di farsi domande riguardo la sorella di John.
Una volta finito, e che ebbero preso il tè del dopo pasto, Harry andò in bagno a lavarsi e poi a raccattare le poche cose che aveva portato dietro.
Arrivarono le tre passate del pomeriggio, John scese le scale.
«Allora Har,y hai raccolto tutto?» ma non ricevette risposta.
Trovò la sorella seduta sulla poltrona, intenta a mangiucchiarsi un'unghia e fissare lo schermo del cellulare, con un'espressione di apprensione in volto.
«Harry?»
La richiamò John.
La donna si voltò in direzione di chi l’aveva interpellata.
«Che stai facendo?» chiese John.
«Oh niente, niente. Non ha importanza.» lei si alzò dalla poltrona, lisciando i pantaloni.
Ma John era sicuro fosse preoccupata per qualcosa.
Le si avvicinò.
«Cosa c’è che non va?»
«Tanto non ti interessa.»
«Provaci. Magari sbagli.»
«E perché? Mi stai praticamente sbattendo fuori da casa tua.»
John prese un respiro.
«Tu non è che mi aiuti molto. Comunque non ti faccio andare via finché non mi dici cosa c’è che non va.»
Harry sembrava davvero tormentata e nervosa, parve pensarci su per un momento.
«Ho un amica… Insomma non è proprio un'amica. E’ un amica ma non solo quello, con benefici ecco.»
«Ho capito Harry, continua.»
«Si chiama Indra. Ci saremmo dovute vedere una volta che me ne fossi andata da qui. Ma non mi risponde. Non la sento più da ieri. Sono preoccupata. Lei… Ha una vita sregolata diciamo, solo che frequenta brutti giri, sai… Ho davvero paura che le sia capitato qualcosa di brutto.»
John chiuse gli occhi e si afferrò l’attaccatura del naso con indice e pollice.
«Harry…»
«Si, si, lo so. La paternale risparmiatela.»
John riaprì gli occhi per guardare in faccia la sorella.
«Che zona frequenta la tua amica?»
«Ci saremmo dovute ritrovare a Liverpool, nella zona di Birkenhead.»
«Un bel posticino.»
«Oh John…»
«Che succede?»
In quel momento sopraggiunse Sherlock.
«Un amica di Harry. Non riesce a contattarla da ieri. E’ un… Soggetto a rischio.»
Ovviamente a Sherlock gli era bastato per capire di cosa si stesse parlando.
«Capisco. Allora dobbiamo fare qualcosa per rintracciarla.»
Harry sembrava davvero sollevata.
«Davvero?»
Sherlock annuì, e anche John era d’accordo con il suo coinquilino questa volta.
Harry buttò le braccia al collo del fratello.
«Grazie. Lo sapevo che non eri così insensibile.»
John prese i gomiti della sorella e sciolse l’abbraccio.
«Ora non esageriamo. Andiamo a preparare i bagagli. Tu intanto chiama un taxi. Andiamo alla stazione.»
I tre si mossero subito.
   
 
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