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Autore: smarsties    20/12/2021    3 recensioni
[Modern!AU - Duncan/Courtney - accenni Scott/Courtney e Duncan/Gwen]
Ciò che accomuna Duncan e Courtney è che entrambi devono essere a Toronto entro sabato. Bloccati in aeroporto a Filadelfia, a tre giorni da quello che potenzialmente potrebbe essere il weekend più importante delle loro vite, si ritrovano a condividere un folle viaggio in auto verso la metropoli canadese.
Sarebbe un vero peccato se la situazione, già tragicomica di suo, si rivelasse l'occasione perfetta per far venire a galla dubbi e incertezze. Ancora più esilarante sarebbe se, nel mentre, cominciassero a provare qualcosa l'uno per l'altra.
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«Ma guarda chi si rivede! Certo che il mondo è proprio piccolo!»
A tre passi di distanza, lo sconosciuto di poco fa la fissava, con la testa leggermente inclinata e gli angoli della bocca tesi verso l’alto. C’era qualcosa in quel mezzo sorriso che le faceva prudere le mani.
«Di nuovo tu, che gioia!» esclamò con quanto più sarcasmo possibile, mettendo via il telefono. «Comincio a pensare che tu sia uno stalker.»
«Non lo sono, però ammetto che ti stavo seguendo.»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Scott | Coppie: Duncan/Courtney
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Uno





[ Mercoledì 21 aprile – Filadelfia, Pennsylvania ]



Alla terza chiamata senza risposta, si ricordò che, di mercoledì, Scott lavorava di mattina. Gli inviò, quindi, una nota vocale.

«Ehi Scott, sono io. Volevo dirti che non so a che ora torno, perché hanno bloccato tutti i voli per maltempo, e ho bisogno che tu vada all’appuntamento col fioraio da solo – ti ricordi le nostre scelte, sì? Per sicurezza, ti mando tutto. Comunque, ora sto andando a New York, forse riesco a partire da lì. Ti tengo aggiornato.»

Quindici secondi. Breve e coincisa come sempre.

Allegò gli screenshot, in cui vi erano dettagli su molteplici varietà di fiori, e attese che tutti i messaggi risultassero spediti, prima di chiudere la chat.

«Sei sempre così fredda col tuo fidanzato?»

Courtney girò lentamente la testa verso sinistra, sbuffando.

Sembrava di vedere il protagonista di una pellicola hollywoodiana. Duncan portava la macchina con una sola mano, la sinistra – la destra era poggiata sopra il cambio. Si era tirato su le maniche della felpa, mettendo in bella mostra i numerosi bracciali e tatuaggi, e non s’era ancora levato gli occhiali da sole, nonostante fuori continuasse ad impazzare il diluvio universale.

«Puoi smetterla di farti gli affari miei?» domandò con tono scocciato. «E la mia non è freddezza. Se ti scrivo è per una ragione ben precisa, perciò arrivo subito al dunque.»

La Prius che avevano affittato in aeroporto era dotata di navigatore satellitare. Secondo quello, avevano percorso solamente otto miglia. Ne mancavano centonove all’arrivo. C’erano ottime probabilità che avrebbe smesso di tollerarlo molto prima.

«Ti chiederei se arrivi subito al dunque anche in altri contesti, ma ci siamo appena conosciuti e ci sono ottime possibilità che tu possa offenderti.»

«Mi stai dando della permalosa?»

«Non oserei mai!» esclamò lui, iniziando a trafficare con la radio. «Diciamo che sei sempre sulla difensiva. Sarà già la quarta volta che rispondi a tono alle mie provocazioni, come se dovessi giustificarti per ogni cosa. Per quanto mi diverta a far saltare i nervi alle persone come te, se dovessimo andare avanti così fino ad oggi pomeriggio, potrebbe diventare un tantino ridondante e- wow, non c’è mezza canzone decente!»

Si fermò solo dopo aver cambiato frequenza almeno dieci volte, commentando il brano – When you were young dei The Killers – con un cenno d’assenso.

«Comunque, non accetto critiche da chi porta gli occhiali da sole quando fuori piove» borbottò lei, rivolta verso la sua immagine riflessa nello specchietto laterale.

Poteva coprire le occhiaie col trucco, ma era comunque evidente che nell’ultima settimana aveva dormito poco e niente. Aveva un’aria a dir poco stravolta. Accettare un lavoro di tale portata nel bel mezzo dei preparativi delle nozze era stata – come Heather non aveva mancato di sottolineare più volte – una follia bella e buona.

«Nemmeno mi ero accorto di averli ancora» mormorò, tastandosi la faccia. Lasciò per una frazione di secondo il volante e se li portò sulla testa. Sotto le lenti scure, si celavano due iridi azzurrissime.

La ragazza si soffermò a guardarle con attenzione – come i capelli verdi fluo, era impossibile non notarle. Erano chiare, di un colore che le ricordava il ghiaccio, con qualche pagliuzza acquamarina. Non aveva mai visto niente di simile.

«Mi piacciono i tuoi occhi, sono molto particolari.»

Di primo acchito, Duncan parve spiazzato da quel complimento. Si ricompose in fretta.

«Ho fatto capitolare diverse persone con questi» si pavoneggiò. «Ma se sono riusciti ad ammaliare anche un osso duro come te, devono essere proprio magici.»

«Sei proprio un pallone gonfiato.»

«Giusto un po’» asserì, lasciandosi scappare una mezza risata.

Si spostò sulla corsia di destra, per sorpassare tre macchine che procedevano con una lentezza disarmante.

«Anche a me piacciono i tuoi occhi» disse con voce bassa, guardando un punto fisso davanti a sé. «Sono talmente scuri che sembra che le pupille ci affoghino dentro. Li rende particolari.»

Gli sorrise per la prima volta.

«Grazie. E… Duncan?»

«Dimmi pure, dolcezza.»

«Se stacchi un’altra volta le mani dal volante, non ti faccio più guidare.»



* * *



«Macchina gialla!»

«Cosa?»

Duncan le fece cenno con la testa. Una station wagon gialla li aveva appena passati.

«Non vale.»

«E per quale motivo, di grazia?»

«Non mi hai detto che stavamo giocando.»

«Pensavo fosse scontato! Chiunque gioca a “macchina gialla” durante i lunghi viaggi.»

Gli lanciò un’occhiata che non ammetteva repliche.

«D’accordo, non vale. Il gioco inizia da adesso.»

Entrambi tacquero per diversi minuti, pienamente concentrati a portare a casa il primo punto.

«Macchina gialla!» strillò Courtney, indicando un punto ben preciso dall’altro lato della carreggiata. «Uno a zero per me.»

«I taxi non contano.»

«Certo che contano! Non azzardarti ad inventare regole a caso solo perché vuoi vincere.»

«Sei tu quella che mi ha annullato un punto guadagnato in maniera onesta!»

«Te l’ho annullato perché non stavamo giocando!»



* * *



«Che scrivi?»

«Modi per sbarazzarmi di te facendolo passare per uno spiacevole incidente.»

«Che coincidenza, due serial killer nella stessa macchina!» esclamò con finto stupore Duncan, premendo fino in fondo il pedale del freno. «È da un’ora che progetto un metodo per farti fuori in maniera rapida, per poi abbandonare il tuo corpo tra le sterpaglie.»

La coda in ingresso in New Jersey procedeva a fatica, specie a causa delle condizioni meteo sempre più avverse.

«Puoi anche smettere di sforzare i quattro neuroni nel tuo cervello, perché non riusciresti ad uccidermi nemmeno nel sonno» lo avvertì Courtney, continuando a digitare sulla tastiera. «Sono troppo intelligente per te.»

Sul volto di lui comparve un ghigno.

«Ho passato metà della mia vita a guardare thriller ed horror e, oltre ad aver appreso qualche trucchetto, mi hanno insegnato a notare anche il minimo dei dettagli. Infatti,» le picchiettò la spalla, invitandola a guardare nello specchietto retrovisore, «macchina gialla. Uno pari. Non avresti dovuto distrarti col telefono. In altre circostanze, questo avrebbe potuto costarti la vita.»

Ottantotto miglia all’arrivo.









[ Da qualche parte nei pressi di East Windsor, New Jersey ]



«Un bel sorriso per Instagram!»

Sentì scattare nel momento in cui alzò la testa dal suo piatto. La sua immagine nel display era sfocata, aveva gli occhi semichiusi e la bocca leggermente aperta. In primo piano, Duncan sorrideva coi denti in bella mostra e con l’indice e il medio sollevati nel segno della pace.

«Non ti azzardare a pubblicarla.»

«Perché? Io trovo che sia perfetta» commentò lui, scorrendo fra i vari filtri alla ricerca di quello che meglio si adattasse alla foto. «Ha un non so che di artistico.»

Courtney si sporse in avanti, nel vano tentativo di strappargli il telefono dalle grinfie. Bastò spostarlo di qualche centimetro per far sì che fosse fuori dalla sua portata.

«Va bene, se proprio ci tieni possiamo farne un’altra» le concesse, ma non prima di aver salvato l’immagine in cui era venuta male in galleria.

Stavolta, erano entrambi perfettamente a fuoco. Duncan era nella stessa identica posa di prima; Courtney teneva poggiato il volto sul palmo della mano sinistra e guardava in camera, sorridendo in maniera quasi impacciata. A separarli, c’era il tavolo su cui erano poggiati i vassoi coi loro pranzi – un’insalata e una mela per lei, alette di pollo e patate al forno per lui. Sembravano due amici di vecchia data.

La sala buffet dell’autogrill era semivuota – oltre a loro, vi erano dei camionisti e una coppia di anziani – e pregna di odore di fritto proveniente dalla cucina. La tv era accesa sul canale di qualche stazione radio della zona e stava trasmettendo il videoclip di Stupid Love di Lady Gaga.

«Toglimi un dubbio» disse Duncan, masticando rumorosamente. «Che lavoro fai per poterti permettere dei vestiti del genere?»

Il completo ottanio che stava indossando non era nuovo, né l’aveva comprato coi suoi soldi. Gliel’aveva spedito sua madre direttamente dal Messico, affinché potesse metterlo alla laureaprima della classe ad Harvard, non di certo un traguardo da poco. Negli anni aveva messo su un paio di chili ed era rimasto nell’armadio a prendere polvere, ma adesso, grazie alla ferrea dieta prematrimoniale, le calzava nuovamente a pennello.

«Sono un avvocato penalista. Ero a Filadelfia per lavoro, ho dovuto sostituire un collega in un processo piuttosto delicato – giro di soldi illecito fra un’azienda statunitense e una canadese, non andrò nei dettagli.»

«E hai vinto?»

«In maniera schiacciante, oserei dire» rispose con una punta d’orgoglio, prima di mandare giù un sorso d’acqua. «E tu che ci facevi a Filadelfia?»

«Toccata e fuga per il compleanno di un mio amico. Sono arrivato ieri pomeriggio e sarei dovuto ripartire stamattina. Sabato ho un concerto importantissimo e io e i miei ragazzi abbiamo bisogno di provare fino allo sfinimento.»

«Suoni in una band?»

«Hai davanti a te il cantante e chitarrista dei Der Schnitzle Kickers» annunciò con tono solenne, sotto lo sguardo confuso di lei. «Abbiamo già pubblico abbastanza cospicuo e un album autoprodotto, ma siamo praticamente degli emergenti. Sabato ci esibiamo davanti al discografico di una major e, se tutto va bene, avremo la possibilità di firmare un vero e proprio contratto.»

Un trillo la dissuase dal commentare il nome del gruppo. Il display del suo cellulare si era illuminato di colpo, segno che erano arrivati nuovi messaggi. Due erano di Scott: il primo era un semplice pollice in su, segno che avesse recepito la sua richiesta; nel secondo le chiedeva come stesse e cosa stesse facendo. Il terzo, il più lungo, era del suo capo. Lesse velocemente l’anteprima, ricordandosi solo dopo dell’appuntamento che avevano quello stesso pomeriggio, per parlare del suo futuro all’interno dello studio legale.

«È il tuo futuro marito quello?» le domandò Duncan, che aveva smesso di ingozzarsi per poter lanciare un’occhiata alla foto che teneva come blocco schermo.

Era stata scattata lo scorso Capodanno, nel salone della villa di suo padre e della sua compagna. Lei era elegantissima nel suo lungo abito rosso carminio, impreziosito da gioielli dorati; lui faceva la sua bella figura con una semplice camicia bianca, un pantalone nero e un papillon dello stesso colore, ma era chiaro che avesse raccattato il tutto in qualche outlet. Le cingeva la vita da dietro con entrambe le braccia e si guardavano intensamente negli occhi, più radianti che mai. Nessuno, vedendo quell’immagine, avrebbe mai potuto dire che, una manciata di ore prima, avessero discusso in maniera piuttosto accesa.

«Me lo immaginavo diverso» ammise, guardandola prendere il cellulare e digitare rapidamente sulla tastiera. «Qualcuno di più… sofisticato.»

«Mi sembra di sentire Heather, la mia damigella d’onore e non la più grande fan di Scott» mormorò, rimembrando le parole con cui l’aveva descritto subito dopo averglielo presentato – rozzo, povero e nemmeno lontanamente alla tua altezza. La sua opinione non era mai cambiata.

«Quand’è che vi sposate?» le domandò Duncan dopo un minuto abbondante. Nel frattempo aveva ripulito quasi del tutto il piatto; la ciotola con la sua insalata, invece, era ancora mezza piena.

«Domenica mattina, ma sabato sera c’è la cena prematrimoniale.»

«Dovremmo brindare a questo weekend importante, ma farlo con l’acqua porta sfortuna», sollevò la sua bottiglietta da mezzo litro e fece un sorso, «e sono abbastanza certo che qui gli alcolici facciano schifo. Vorrà dire che ti inviterò a bere qualcosa una di queste sere.»

«Rivederti ancora una volta dopo averti sopportato per più di mezza giornata? No grazie, penso proprio che passerò.»









[ Staten Island, New York ]



«Comunque puoi anche ammetterlo, adesso.»

«Cosa?»

«Che ti sei divertita» disse Duncan, continuando a seguire le indicazioni per l’aeroporto. «E che non sono poi così terribile come credevi.»

Da East Windsor fino al Goethals Bridge non avevano incontrato grosse difficoltà, ma, nell’esatto momento in cui le ampie distese verdi avevano lasciato spazio agli alti grattacieli, si erano ritrovati imbottigliati nel traffico newyorkese. Quel viaggio non ne voleva sapere proprio di volgere al termine.

«Penso ancora che tu sia un grosso pallone gonfiato» puntualizzò Courtney. «Però, mi trovo costretta ad ammettere che la tua compagnia è stata meno tremenda di quanto mi aspettassi.»

Sul suo volto comparve per l’ennesima volta quel mezzo sorriso fastidiosissimo, ma non provò l’istinto di schiaffeggiarlo fino a farglielo sparire.

«Mi aspettavo qualche commento sarcastico, quindi mi accontenterò. Per ora. Ho ancora un paio di chilometri e tutto il viaggio di ritorno per rendere la tua opinione di me positiva al cento per cento.»

«Non ci riusciresti nemmeno se fossimo costretti a viaggiare assieme fino a Toronto.»

Proprio in quel momento sentì il cellulare vibrare nella sua borsa.

«È di nuovo il lavoro?» le chiese il ragazzo, notando come aveva inarcato le sopracciglia.

«Non esattamente.»

Qualcuno aveva risposto alla sua ultima storia Instagram – il selfie con Duncan, che era riuscito ad ottenere il suo nome utente dopo diverse suppliche. Si trattava di Alejandro.

Non era sorprendente che la stesse cercando, Heather l’aveva di sicuro messo al corrente – e per di più era il suo migliore amico.

Erano subito andati d’accordo, sin da quando i Burromuerto avevano comprato la villetta accanto a quella della sua famiglia e, per conoscerli meglio, avevano invitato lei e suo padre a cena. Erano coetanei, entrambi madrelingua spagnoli, con ambizioni e valori molto simili. Era stato naturale trovarsi e legare così tanto, così in fretta.

Perciò no, il messaggio di per sé non la sorprendeva affatto. Non poteva dire lo stesso del suo contenuto.





2.51 pm

Che ci fai in compagnia di Duncan Nelson?

2.52 pm

Lo conosci?

2.52 pm

Vagamente. Abbiamo degli amici in comune e qualche volta ci sono uscito assieme.

Tu come l’hai incontrato?

2.52 pm

In aeroporto a Filadelfia. Abbiamo deciso di guidare assieme verso New York solo per risparmiare.

2.53 pm

Perché?

2.56 pm

A quanto ne so, non ha una buona reputazione, ma immagino che con gli anni abbia messo un po’ la testa a posto.

E poi ti conosco, so che non accetteresti mai un passaggio da tipi loschi.

Però non dargli troppa confidenza, va bene hermana?





«Oh, bella questa!» esclamò Duncan d’un tratto, alzando il volume della radio.

Courtney sobbalzò, mentre Drive By dei Train veniva sparata con tono spacca timpani dall’impianto stereo, e il suo compagno di viaggio ci cantava sopra – aveva il tipico timbro da rockstar, pieno e graffiato di natura; era senz’ombra di dubbio baritono.

Intrattenuta com’era da quel teatrino, rinchiuse le parole di Alejandro in un angolino del suo cervello. Era inutile starci a rimuginare, fra poco si sarebbero salutati e non ci avrebbe avuto più nulla a che fare.

Lui le diede una lieve scrollata e le fece cenno di venirgli dietro.

«Assolutamente no» disse lei, scuotendo la testa. «Non so nemmeno le parole.»

«Impossibile, questa canzone è stra famosa. Di sicuro conosci almeno il ritornello» commentò, prima di riprendere il suo concerto. «Oh, I was overwhelmed and frankly scared as hell, because I really fell for you. Oh, I swear to you-» e qui la indicò.

«I’ll be there for you» intonò lei in modo riluttante. Poi, le loro voci si mischiarono in un improbabile duetto e quella poca sicurezza iniziale sparì di colpo.

Poche volte si era sentita così spensierata come in quel momento, lontana da casa, in macchina con un uomo conosciuto poche ore prima, a cantare a squarciagola una vecchia canzone. Avrebbe conservato gelosamente quel ricordo, una volta tornata alla sua comoda routine.

«Sono anche riuscito a farti ridere!» gongolò lui alla fine del ritornello. «Un’altra vittoria per me!»

Non s’era nemmeno accorta di star sorridendo – e in modo talmente smagliante che faceva fatica a scovare qualsivoglia cenno di stanchezza che, quella mattina, le erano subito saltati all’occhio.

«Hai una gran bella voce» aggiunse poco dopo, inumidendosi le labbra con la punta della lingua. «Hai preso lezioni?»

«Per un paio di anni, tra le medie e il liceo. Ho abbandonato quando gli impegni scolastici hanno iniziato ad accumularsi.»

«È un po’ un peccato, però. Hai più talento di alcuni pseudo-cantanti che ho avuto la sfortuna di conoscere.»

Lentamente, Staten Island lasciò posto ai quartieri periferici di Brooklyn. E, mentre si avvicinavano sempre più alle battute finali di quella folle avventura, Courtney ammise a se stessa di essersi divertita.











[ JFK International Airport, Queens, New York ]



In piedi davanti al tabellone delle partenze, non riusciva a distinguere fra déjà-vu o scherzo di pessimo gusto.

Aveva percorso la bellezza di centodiciassette miglia soltanto per vedersi cancellare tutti i voli davanti ai suoi occhi. E, ad ogni nuovo “cancellato”, percepiva il panico e la rabbia ribollire nelle sue vene.

Alla sua destra, con una mano poggiata sul fianco e l’altra a reggere la maniglia del trolley, nemmeno Duncan sapeva come reagire alla situazione.

«Beh, principessa, a quanto pare ho più tempo del previsto per rendere totalmente positiva l’opinione che hai di me».















Angolo dell’autrice

Probabilmente voi starete leggendo questo capitolo a pochi giorni di distanza dal prologo, ma in realtà la stesura è stata l’equivalente di un parto: ho allungato, poi accorciato, ho modificato paragrafi interi e non sono ancora soddisfatta – probabilmente non lo sarò mai, quindi tanto vale pubblicarlo. Vi dico solo che la primissima versione aveva di uguale solo gli avvenimenti, il modo in cui li ho raccontati sono variati di volta in volta.

Date la lunghezze e la rapidità, questo sembra più un prosieguo del prologo che un capitolo vero e proprio. Dal prossimo aggiornamento si entra nel vivo nella storia – e i capitoli diventeranno più densi, mi scuso già da adesso se diventeranno troppo prolissi. E si alzerà il rating della storia, anche se non conto di andare oltre il giallo.

E per quanto riguarda la famosa playlist, ve la linkerò la prossima volta.

Ci aggiorniamo con secondo capitolo – o forse un pochino prima.

  
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