Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: 68Keira68    03/09/2009    1 recensioni
Non ti accadrà niente, io ti posso giurare che non sarai mai più sola per davvero. Attraversa il varco e sarai protetta."... Volevo scoprire la verità e se il mio destino era dietro quella sfera, l’avrei afferrato senza altre esitazioni. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, dopodiché avanzai decisa all’interno del varco. Una ragazza con speciali e unici poteri magici cerca di vivere la sua esistenza nel nostro mondo, sentendosi perennemente isolata ed emarginata a causa delle sue capacità, finché un giorno le voci di due figure sconosciute, un leone e una donna, la invitano ad entrare nel loro mondo per non sentirsi più sola e per scoprire la verità che le era stata nascosta da sempre. La giovane accetta senza sapere le enormi conseguenze che avrà il suo gesto su tutti gli abitanti di Narnia, primo tra tutti il re Peter Pevensie, che incontra in circostanze burrascose ma con il quale instaurerà un legame dolce quanto pericoloso. In una Narnia già in lotta con il tiranno di Telmar, un nuovo male, proveniente direttamente dagli incubi più reconditi di ogni abitante magico, tornerà dal suo limbo più potente e assetato di vendetta che mai. NB: La storia segue gli eventi del secondo film e ci sono tutti i personaggi, anche se i principali sono Peter, Caspian, un nuovo personaggio e una vecchia conoscenza^^
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Aslan, Caspian, Jadis, Peter Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve a tutti^^  ho deciso di pubblicare il 1° cappy subito dopo il prologo in  quanto quest'ultimo era solo introduttivo e decisamente corto ^^  così si riesce ad avere anche un'idea più completa dell'inizio della ficcy^^ spero che il cappy piaccia, vi mando un grande bacio!!!!

witch

1_La scintilla nel buio

 

“Su, giù, su, giù, rosso, verde, giallo”

Ammaliata dalla mia stessa magia, guardavo le pareti della soffitta cambiare colore a mio piacimento, grazie alla luce irradiata dalla palla fosforescente che galleggiava nella mia mano.

“Argento, bianco, Sali”

La palla magica obbedì come sempre ai miei comandi, e salì fino a raggiungere il punto più elevato della soffitta. Da quella posizione illuminava tutta la stanza, permettendomi di vedere ogni cosa come se fosse giorno invece che piena notte.

Soddisfatta, mi adagiai comodamente su il mio puff rosa, comodo più di qualsiasi altro divano, a mio parere, pronta per finire il compito di aritmetica assegnatomi quella mattina.

Era raro che mi riducessi alle due di notte a fare i compiti di scuola, solitamente cercavo di finirli entro il pomeriggio, ma gli eventi di quel giorno me lo avevano impedito, così ora ecco Catharine Icepower, studentessa modello della Queen’s High School di Londra, che cerca disperatamente di studiare matematica per non rovinarsi la media. La mattina dopo le mie occhiaie avrebbero sicuramente battuto un record, ero stanchissima.

Mi chiesi perché, tra tutti gli incantesimi che sapevo fare, non ce ne fosse uno che mi permettesse di imparare il libro di aritmetica a memoria in cinque minuti. Se proprio dovevo essere anormale che servisse almeno a qualcosa di più utile che parlare con gli animali o creare sfere di luce.

Sorrisi alla parola “anormale”. Era una definizione che mi calzava a pennello, anche se le persone che ne erano a conoscenza erano poche. Una per la precisione, esclusa me. Quell’angelo di mia madre che fingeva di non conoscermi da quando aveva sorpreso la figlia a giocare con barbie che si muovevano da sole.

Avevo cinque anni all’epoca, e non aveva ancora ben chiara la distinzione tra fatti normali e non. Solo dopo aver visto l’espressione sconvolta di mia madre, Eleanor Campbell, la linea di confine tra normale e anormale mi fu chiara per sempre.

Sprofondai di più nel puff, in mano le disequazioni di secondo grado ancora irrisolte, che malignamente mi facevano comprendere che per questa volta potevo scordarmi un otto. Tirai un sospiro e guardai il Calvin Klein che avevo al polso. Le lancette argentate segnavano le due e mezza.

Amen, domani prenderò il mio cinque e recupererò con il prossimo compito.

Con questo pensiero scaraventai malamente quaderno e penne per terra, il più lontano possibile da me. Facendo spallucce pensai che se anche fosse stato pomeriggio, con tutti i pensieri che mi vorticavano in testa, non avrei combinato lo stesso un granché.

Eleanor era tornata questa mattina dalla Francia, dove aveva mostrato al critico pubblico parigino la sua ultima collezione di vestiti primavera-estate. Per preparare l’evento era stata via per due settimane. Due stupende settimane.

Dato che mio padre era a New York da almeno un mese, in casa c’eravamo solo io e Gabrielle, l’anziana governante che si aggirava per casa come un fantasma silenzioso con l’unica preoccupazione di assicurarsi che la polvere non si depositasse sull’argenteria. Per me era stata una magnifica vacanza mentale. Per quattordici giorni non avevo dovuto subirmi il sostenuto mutismo che mi riservava mia madre ogni qual volta papà era via per lavoro, né il suo evidente disagio a trovarsi in mia compagnia.

Quando c’era George Icepower, mio padre, manager di un’azienda d’automobili, almeno si sforzava di essere gentile nei miei confronti, di comportarsi come farebbe una madre qualsiasi. Quando eravamo io e lei sole invece, diventavamo improvvisamente due estranee. Per me era meglio così, preferivo restare da sola che sopportare accanto a me qualcuno che mi paragonava ad uno scherzo della natura.

Mi sollevai i capelli con una mano e mi feci aria sul collo con l'altra. La soffitta era il luogo ideale per riflettere senza essere disturbati, l'unica pecca era che mancava l'aria condizionata.

Cambiando il colore bianco della mia sfera con un rosa tenue, dipingendo così tutta la stanza e i vari oggetti che la riempivano di quella tonalità pastello, ripensai a come quell’assurda giornata era cominciata…

 

“Sveglia signorina Catharine, sua madre sarà qui a momenti”

La voce della mia governante giunge lieve al mio orecchio. In quella casa di matti, probabilmente la povera vecchia Gabrielle era la più sana di mente, con un innato istinto materno che compensava quello latente di mia madre.

Mia madre… il solo pensiero mi fa mettere la testa sotto il cuscino, come a volermi nascondere dalla triste realtà. Oggi, esattamente alle 7.30 del mattino, sarebbe tornata, insieme alle sue unghie smaltate e i piastratissimi capelli biondo tinto. Mio Dio, ma non poteva restarsene in Francia?

“Signorina, per favore, sua madre non gradirà il fatto di trovarla ancora a letto” insiste la governante.

Mia madre non gradirà il fatto di trovarmi ancora a casa, penso amaramente, ma mi limito a rispondere un “si, ora scendo” biascicato. Sarebbe inutile parlare delle mie controversie con Gabrielle, con la sua visione semplice del mondo non sarebbe neanche riuscita a capacitarsi che madre e figlia potessero odiarsi, senza contare che non avrebbe potuto farci niente comunque.

Di malavoglia esco dal caldo rifugio delle coperte azzurro cielo e raggiungo il morbido tappeto che tappezza il pavimento della stanza. è interamente bianca e azzurra, tanto che Gabriella la paragona sempre ad un pezzo di cielo riservato unicamente a me. Io trovo che assomigli di più all’interno di un grosso iceberg, dotato però di riscaldamento per mia fortuna.

Mi avvicino all’armadio a tre ante che occupa tre quarti della parete ad ovest. È  grande e ben fornito, la fortuna di essere figlia di una stilista è avere abiti a non finire.

Del rientro di mia madre mi importa poco o nulla, ma per andare alla Queen's High School l’abbigliamento deve essere scelto con cura ogni giorno. Opto per una gonna corta bianca e una camicetta rossa con le maniche a sbuffo, arricciata sul seno. Metto i sandali alla schiava rossi anch’essi e raggruppo i miei capelli in una coda di cavallo, lasciando però qualche ciocca ribelle e riccia libera di cadere sul collo.

Mi guardo allo specchio mentre inforco gli occhiali D&G che arrivano dritti dritti da New York, un regalo di mio padre che ci tiene a farmi sapere che mi pensa costantemente nonostante la lontananza. Almeno una delle due figure genitoriali non mi odia, anche se papà è  all’oscuro del mio piccolo segreto. Dettagli, la mia mente si rifiuta di immaginare la sua reazione se anche lui avesse saputo dei miei poteri. Meglio non pensarci.

L’immagine riflessa nella specchio affisso ad una delle ante dell’armadio è quella di una ragazza con ricci e lunghi capelli ramati, in perfetto contrasto con l’incarnato pallido ma coordinati con la bocca a forma di rosa e rossa come il fuoco. Anche se nello specchio al momento non si vedono perché nascosti dalle lenti scure, so che un paio d’occhi di ghiaccio ricambiano il mio sguardo. La ragazza nel riflesso è alta un metro e sessanta, e possiede un fisico minuto. È snella ma con le forme al posto giusto, anche se un po’ d’abbondanza in più non sarebbe guastata.

Guardo l’ora, 7.20.  Ancora dieci minuti di libertà. Mia madre arriverà con tutta la cavalleria esattamente a e trenta, non un minuto di più né uno di meno. La sua assoluta puntualità è una certezza.

Scendo al piano di sotto per fare colazione e noto una donna bassa e grassottella con cotonati capelli grigi e paffute guance rosee che mi aspetta con un vassoio con sopra un fumante cappuccino e un invitante croissant al cioccolato. Gabrielle a volte pare un angelo sceso dal cielo unicamente per me.

“Grazie Gabrielle, tu mi vizi troppo, lo sai vero?” la ringrazio togliendole il vassoio dalle mani e portandolo nel piccolo tinello che precede la cucina. La sala da pranzo posta accanto alla grande vetrata che da sul cortile è riservata solo ai pranzi familiari e alle cene di gala.

Contemplando le pareti verdi e tutto l’arredamento coordinato secondo il gusto di Eleanor, consumo la mia colazione, cercando di dimenticare cosa mi aspetta da lì a poco.

Il suono della campanello segna lo stesso la fine della mia libertà. Un voce acuta e piacevole come le unghie sulla lavagna precede una figura slanciata e sciupata. I capelli sono ancora più lisci del solito e gli occhi sono circondati da pesanti occhiaie, merito delle lunghe serate mondane parigine.

“Ben tornata a casa signora Campbell” Gabrielle, cortese come sempre, va a salutare la signora di casa.

“Gabrielle cara, che piacere ritornare nella vecchia Londra” le risponde con voce stridula mia madre.

Decido di anticipare lo strazio dei saluti. Tanto prima o poi sarebbe successo. Prendo lo zaino rosa appoggiato sulla sedia alla mia destra e mi dirigo verso l’atrio interamente blu.

“Ciao mamma, ben tornata”. Il mio tono piatto era in pentdan con la mia espressione atona. 

Mia madre si irrigidisce come di consueto alla mia vista. “Ciao cara” dice con un sorriso forzato. Per quella donna l’apparenza è tutto. Non vuole sembrare scortese nemmeno di fronte ai domestici, compresi Gabrielle e l’autista che dietro di lei sta scaricando le sue valigie dalla mercedes nera. Anche se non può impedire alla sua schiena di drizzare come il pelo di un gatto appena mi vede.

“Vado a scuola, ci vediamo dopo” e senza aspettare risposta mi fiondo fuori dalla casa divenuta ad un tratto asfissiante. Primo round andato, ora non l’avrei vista prima di sera.

Il resto della giornata scorre tranquillo. La mia scuola, la Queen’s High School di Londra, è un istituto zeppo di figli di papà dove per sopravvivere o sei un genio o possiedi mezza Londra. Io rientro in entrambe le categorie, figlia di un manager e di una stilista famosi in mezzo mondo e con la media dell’otto. La mia scuola, ovvero un edificio rosso costruito a U che da su un ampio cortile delimitato da un colonnato bianco, è il mio piccolo pezzo di cielo, dove assieme alle mie amiche posso dimenticare per qualche ora le mie abilità magiche.

Varcato l’ingresso della scuola, tutto si svolge da manuale. Lezioni fino alle due del pomeriggio, pranzo nel locale più sofisticato di Londra insieme a Claire e Margaret, ovvero nel McDonald’s di fronte alla scuola, luogo che mia madre avrebbe bruciato se avesse potuto, e lezioni di scherma. Quest’ultimo impegno è particolarmente piacevole. Adoro tirare affondi con il mio fiorino, è un ottimo antistress, libera la mente e tiene allenato il corpo. In più è l’unico sport in cui riesco bene dato che sono negata per l’atletica, particolare che la mia professoressa di educazione fisica continua a ripetermi.

 

Rinvenni dallo stato di trance in cui ero caduta mentre ricordavo la mia giornata. Mi stavo addormentando e con me anche la sfera di luce si affievoliva, ma non potevo permettermi di assopirmi. Dovevo assolutamente pensare a ciò che era successo questo pomeriggio, il fatto che aveva interrotto una routine che andava avanti da cinque anni. Era successo tutto velocemente, dopo la lezione di scherma ero andata ad Hide Park giusto per ritardare il ritorno a casa, mi ero distesa sul prato per rilassarmi e proprio mentre ero nel piacevole stato del dormiveglia era successo…

 

L’erba soffice sotto di me mi solletica il collo, lasciato scoperto dai miei capelli ora distesi sul prato come a formare una corona sopra la mia testa. Il sole primaverile mi accarezza il volto, ma ormai erano le sei di sera ed era quasi tramontato, infatti la luce è tenue e filtra a malapena dalle mie palpebre socchiuse. Ma la quiete tipica del parco a quell’ora della giornata viene improvvisamente spezzata da un rumore violento, come una forte esplosione.

Mi metto a sedere di botto, spaventata dal rumore assordante. Apro gli occhi in cerca della fonte e una luce bianca e fredda quasi mi acceca. Porto una mano dinanzi al viso per pararmi gli occhi e nel mentre sento una voce provenire al centro di quell’immensa fonte di luce.

“Vieni cara, mi stavi aspettando, lo sai che mi stavi aspettando, ora è giunto il momento…vieni”

È una voce di donna, una voce suadente e calda a discapito di tutto quel freddo improvvisamente calato sul parco. Mi sta invitando ad…entrare con lei? Ma dove? Dentro la luce? Ma di chi è la voce misteriosa e cosa vuole da me? Cosa stavo aspettando?

“Chi sei?” domando circospetta, allontanando il busto istintivamente. Sono confusa e spaventata, e provo l’istinto di scappare. Sono certa che si tratti di un fenomeno magico, ma chi si azzarderebbe ad utilizzare la magia in un parco londinese, sotto lo sguardo di tutti? La voce non risponde alle mie domande, continuando invece a cercare di convincermi di seguirla. Non so chi sia, ma non mi fido. Dentro di me avverto una sensazione di pericolo. Agisco di istinto, mi alzo e urlo “Va via!” lanciando una palla di fuoco verso il centro della bolla di luce. Sono cosciente del fatto che potrei essere vista, ma in quel momento l'istinto di conservazione è più grande.

Non ho mai usato i miei poteri contro qualcosa o qualcuno, ma spero di riuscire a far dissolvere la luce lo stesso. Invece la mia palla viene inglobata dalla fonte lucente.

“Non puoi combattermi, sono come te…” la voce continua imperterrita nella sua arringa.

Arretro di un altro passo e mi tappo le orecchie. Urlo ancora di andarsene, finché un ruggito potente sovrasta tutto il resto. La luce si dissolve e con essa va via anche il freddo. Sfinita finisco in ginocchio sull’erba. Mi guardo attorno, sperando che qualcuno possa soccorrermi e spiegarmi cos’è successo. Ciò che vedo mi lascia basita. Ogni persona nel parco è perfettamente tranquilla, chi intento a leggere, chi a giocare a palla, chi a seguire il proprio cane.

La risposta a questa stranezza mi giunge cristallina. Nessuno oltre me si è accorto di nulla.

 

Presi un grande respiro e mi tirai su dal puff. Iniziai a misurare la stanza grandi passi. Le possibilità erano due: o stavo completamente perdendo la ragione, o aveva assistito a un’esibizione di magia in grande stile. Considerando che se avessi decretato di essere pazza vedendo qualsiasi magia sarei internata già da un pezzo, ero più propensa alla seconda possibilità.

Ciò mi elettrizzava e terrorizzava allo stesso tempo. Se era magia, voleva dire che non ero l’unica persona con questi poteri. Non ero da sola. Avevo pregato di conoscere qualcun altro con le mie stesse abilità da quando le avevo scoperte, e ora, dopo sedici anni di vita, finalmente avevo il primo segno di qualche altro mago o strega su questa terra. Ma la cosa mi terrorizzava anche. Chiunque fosse stato a creare quella grande luce, perché non si era mostrato apertamente? Perché farmi solo la richiesta vaga di seguirlo facendomi sentire la sua voce?

O di seguirla, dato che ero quasi sicura che la voce fosse femminile. Ma soprattutto, perché avevo provato tanta inquietudine sentendola? Solitamente avevo un sesto senso infallibile per distinguere il pericolo nelle varie situazioni, probabilmente una delle tante conseguenze dei miei poteri, ma potevo anche essermi sbagliata. Magari, presa alla sprovvista, avevo captato il pericolo dove non c’era.

Senza contare che rimaneva l’interrogativo del ruggito che aveva messo fine a tutto. A chi apparteneva? C’era un leone accanto alla donna? Era con o contro di lei? O forse era solo il suono consueto che metteva fine alle magie della donna? Per quel che ne sapevo io, poteva anche essere un semplice effetto sonoro.

Infastidita dagli innumerevoli punti interrogativi, mi risedetti a gambe incrociate sul puff.  Misi la testa tra le mani sconsolata.

In sedici anni non avevo mai assistito a nessuna magia al di fuori della mia. Per sedici anni avevo pregato e scongiurato il cielo più volte di mandarmi un segno, di dirmi che non ero sola a quel mondo. E avevo aspettato, atteso con ansia. E ora che finalmente era giunto il momento, il mio segno, l’avevo cacciato via terrorizzata. E se non fosse più apparso nessuno? Se dopo la mia reazione avessero deciso di abbandonarmi per sempre, sola con i miei pensieri e le mie paure?

Lo sconforto si impossessò di me, temendo anche solo l’idea di aver rinunciato  all’opportunità di conoscere qualcuno come me.

Riguardai l’orologio. Erano le 3.30.

Decisi che per quella notte mi ero tormentata abbastanza. Stare sveglia con le mie domande sarebbe servito solo a farmi assomigliare ad uno zombie la mattina successiva. A malincuore spensi la sfera di luce e mi diressi a tentoni verso la botola che mi avrebbe riportata al secondo piano della villetta, diretta alla mia camera.

Una volta giunta a destinazione, mi avvicinai alla finestra e guardai le stelle. Il loro brillare immutabile nel tempo mi diede la forza di andare avanti a sperare. La misteriosa luce sarebbe tornata e con essa le risposte alle mie domande. Dovevo solo continuare a sperare.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: 68Keira68