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Autore: Kimando714    22/12/2021    0 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 9 - GET INTO TROUBLE




 
Arrivò al pianerottolo del primo piano tirando un lungo sospiro, il caldo di fine aprile che cominciava decisamente a farsi sentire. Pietro non indugiò oltre, dirigendosi a passo sicuro verso l’appartamento sulla sinistra, schiacciando il campanello per avvertire della sua presenza.
Ci vollero pochi secondi prima che la porta si aprisse, lasciandolo sbigottito solo per i primi attimi:
-Ciao- Pietro salutò Alice un po’ incerto. Si era aspettato di trovare Alessio ad aprirgli, visto che era lui che cercava, ma fu la stessa Alice a togliergli ogni dubbio poco dopo, mentre gli apriva di più la porta per lasciarlo entrare:
-Alessio è ancora fuori- gli spiegò, sorridendogli e con l’accento inglese tenuto a bada – È dovuto andare alle poste per sistemare una cosa, ma penso non ci metterà troppo-.
-Non sarei troppo ottimista, visto che ci sono di mezzo le poste- replicò ironico Pietro. Alice rise sommessamente, mentre richiudeva la porta d’ingresso dietro di lui, poi facendogli strada. Non era la prima volta che Pietro metteva piede lì dentro: c’erano già state un paio di altre volte che aveva passato del tempo a casa di Alice ed Alessio, e la sensazione di stranezza che gli attanagliava la bocca dello stomaco era sempre la stessa. Era strano riconoscere in una nuova casa certi dettagli che appartenevano unicamente ad Alessio, e che sapeva appartenere solo a lui, e che una volta adornavano quel che era stato il loro appartamento. Doveva ancora farci l’abitudine.
-Do you want something?- gli chiese Alice, distraendolo da quegli attimi di silenzio – Un bicchiere d’acqua? O magari del the. Abbiamo anche della birra-.
-Gli alcolici li lascerei per dopo, o non so se saremmo in grado di studiare davvero-.
Alice rise di nuovo, e anche Pietro accennò un sorriso.
Alla mancanza d’imbarazzo tra di loro, invece, ci si era abituato. Erano diversi anni, ormai, che la presenza di Alessio non era più necessaria per fare da ponte tra di loro.
Pietro non avrebbe avuto alcun problema a definire Alice sua amica: erano, in verità, due anime più affini di quanto non avesse pensato nei primi mesi in cui l’aveva conosciuta. Si trovava bene con lei, e gli piaceva la persona che era.
Non sarebbe mai riuscito ad avercela con lei per nessun motivo, nemmeno per il fatto che lei fosse stata decisamente più fortunata di lui con Alessio.
-Andiamo in salotto, intanto- propose Alice, indicando il divano poco distante dall’entrata – Alessio prima o poi tornerà-.
“Sempre se non troverà una fila chilometrica davanti a lui”.
Pietro era pessimista. Alessio, quella mattina a lezione, non gli aveva accennato a quella commissione, ma poteva essersene dimenticato o poteva essere stata una cosa improvvisata. In qualsiasi caso le cose non cambiavano molto: era venuto lì per iniziare a studiare insieme in vista del primo esame della sessione, ed ora era sicuro che avrebbero perlomeno iniziato in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Pietro cominciava a dubitare che avrebbero anche solo studiato dieci pagine quel pomeriggio.
L’unica consolazione era che sapeva che Alessio non lo stava evitando volontariamente: aveva avuto ragione a credere che, dopo la sera del suo compleanno, tutto sarebbe proseguito come niente fosse. Che Alessio stesse ignorando certe cose deliberatamente, o perché era stato solo Pietro ad attribuirvi certi significati, poco cambiava: tra di loro andava tutto come sempre, solo con dubbi in più che Pietro si portava dietro tacitamente.
Seguì Alice verso il divano del salotto, dove lei era già arrivata: se ne stava in piedi con le mani sui fianchi a guardare qualcosa sul divano con sguardo seccato.
-Fuck- la udì borbottare, e quando Pietro finalmente la raggiunse notò la pila di vestiti appena lavati, ma ancora da ripiegare, che occupava metà divano – Gli avevo detto di sistemare questa roba-.
Si riferiva ovviamente ad Alessio, e Pietro si ritrovò a ridere sotto i baffi:
-Non ti sei ancora abituata al suo casino?-.
Si sfilò la tracolla per posarla a terra, prendendo posto nello spazio di divano lasciato libero. Alice optò per occupare la poltrona di fronte, sedendovisi con un lungo sospiro.
-No, decisamente. Non mi ero resa conto fosse così disordinato-.
-Non hai ancora visto niente- Pietro osservò divertito lo sguardo piuttosto traumatizzato di Alice – Alessio sarebbe capace di mettere in disordine anche una stanza completamente vuota-.
Lei si passò una mano sul viso, stancamente:
-Ora capisco come mai casa vostra certe volte era sottosopra-.
“Vero” si ritrovò a pensare Pietro, dandole ragione tra sé e sé. Quando Alessio viveva con lui l’appartamento era davvero nel caos più assoluto il più delle volte, per quanto avesse sempre cercato di metterci una pezza e sistemare un po’ del disordine di Alessio. Pietro non aveva mai creduto possibile sentire la mancanza di un tale casino, ma la verità era che ora gli mancava anche trovare qualsiasi cosa in disordine ogni volta che rientrava a casa.
-Non grazie a me- disse, sforzandosi di non lasciare andare troppa malinconia evidente nel sorriso che rivolse ad Alice – Ci farai l’abitudine. Ad un certo punto non ci farai neanche più caso-.
Per lui non era vero, ma era un caso particolare.
-Tu non ci facevi caso?-.
-Diciamo che ad un certo punto ho rinunciato a farglielo presente. Evidentemente è più forte di lui- Pietro scrollò le spalle – Il caos gli appartiene-.
-Oh sì. It truly belongs to him-.
Pietro ebbe l’impressione che Alice si riferisse anche ad altro, ma non le chiese nulla.
 
*
 
-Beh, direi che per oggi può bastare così-.
Aveva appena finito di dirlo, ed Alessio aveva già chiuso il suo libro – un insieme di fotocopie con i margini tutti arricciati, tenute insieme per pura fortuna- senza alcun apparente ripensamento. Pietro si ritrovò a ridere sotto i baffi:
-Un secchione come te che rinuncia ad un’ora in più di studio?- lo prese in giro – Mi stupisci-.
Alessio lo guardò malamente, ma senza alcuna serietà:
-Tanto prenderò comunque un voto più alto di te all’esame-.
-Scommettiamo?-.
Pietro lo guardò con un sopracciglio alzato in attesa, ma Alessio in tutta risposta si alzò dalla sedia che aveva occupato fino a quel momento, sorridendo tra sé e sé. Quando Pietro si ritrovò con le sue dita a scompigliargli i capelli rimase immobile, cercando di non lasciarsi andare troppo a quel contatto.
-Resti a cena qui, vero?-.
Quella domanda lo fece atterrare di nuovo nella realtà. Pietro si voltò verso di lui, standosene ancora seduto quando Alessio sembrava già sul punto di uscire da quella stanza, adibita a piccolo studio e con un letto per gli ospiti poco distante.
-In realtà … -  non fece in tempo a concludere la frase con una qualche giustificazione inventata, che Alessio lo interruppe:
-Ovvio che resti qui a cena. Niente scuse-.
Pietro si ritrovò ad annuire semplicemente, preso troppo contropiede. Forse, in fondo, doveva solo approfittare di quelle occasioni in cui era Alessio stesso a dimostrargli la mancanza che doveva provare nei suoi confronti: se possibile, da quando si era trasferito da Alice, gli aveva dimostrato molto più attaccamento di quanto non avesse mai fatto negli ultimi due anni, almeno nelle poche volte in cui si vedevano. Da quel punto di vista, Pietro lo doveva ammettere, c’era stato un miglioramento evidente.
“Se bastasse solo questo a risistemare tutto …”.
Seguì Alessio verso la cucina. Erano appena le sette e mezza, orario piuttosto tardo per finire di studiare ma Alessio era rientrato decisamente più tardi del previsto. Non che quella fosse stata una gran sorpresa: Pietro se l’era immaginato non appena Alice gli aveva accennato della commissione alle poste.
Quando entrarono lì, però, Alice era già davanti ai fornelli, un’aria pensierosa in viso. Quando udì i loro passi si voltò immediatamente verso di loro.
-Qualche idea in particolare per la cena?-.
Pietro passò lo sguardo da lei ad Alessio per un paio di volte, il sopracciglio alzato in un momento di realizzazione:
-Ah, vi siete messi d’accordo per tenermi qui, vedo-.
Era piuttosto evidente che avessero già messo in conto quell’eventualità. Non gli serviva nemmeno osservare il viso vagamente arrossito di Alessio o il sorriso imbarazzato che Alice gli stava rivolgendo.
-All’incirca- ammise lei per prima.
“E d’altro canto che motivo avrebbero per non farlo?”.
Forse se fossero stati consapevoli dei suoi tormenti interiori non sarebbe andata ugualmente, ma non ne sapevano nulla. E di certo Alice avrebbe avuto da ridire, se le avesse ricordati di certi dettagli di alcune settimane prima.
Pietro si chiese, in un secondo fugace, come avrebbe reagito Alice nello scoprire cosa provasse per Alessio. Avrebbe provato ad allontanarli? O il suo buon cuore avrebbe vinto e avrebbe sopportato in silenzio, senza mettersi in mezzo?
Non aveva alcuna risposta a quella domanda. Forse se il legame tra lui ed Alice fosse rimasto ad una semplice conoscenza superficiale, ad un legame quasi nullo, allora forse lei avrebbe davvero cercato di tenerli separati. Ma Alice lo considerava suo amico, questo lo sapeva. Si comportava da amica con lui, ed instaurare quel rapporto amichevole era forse stata uno dei suoi obiettivi più evidenti da quando Alessio l’aveva introdotta nel loro gruppo.
Forse avrebbe sofferto anche lei, nello scoprire di tutto ciò che stava dietro a quella facciata di tranquillità, esattamente come faceva Pietro stesso.
-Sorry- fu proprio la voce di Alice a riportarlo indietro dai suoi pensieri – What about fish and chips?-.
Pietro si lasciò scappare un sorriso malinconico al ricordo che quel piatto aveva legato a sé, un ricordo che aveva il sapore degli stessi pensieri che aveva appena formulato qualche secondo prima.
 


-Sul serio? Rinunciate al sushi per un fish and chips?-.
Gli occhi spalancati di Alessio lasciavano trasparire tutta la sua incredulità. Sarebbe stata un’espressione altamente comica, e Pietro sapeva che sarebbe scoppiato sicuramente a ridere in un’occasione diversa da quella in cui si trovava, in cui invece era teso come una corda di violino.
Il suo sguardo andò ad Alice, che era seduta di fronte a lui al tavolo della cucina. Lei, invece, a quell’esclamazione scioccata di Alessio aveva riso sul serio. In maniera sommessa, a malapena udibile, ma l’aveva fatto, e quello era forse il segno che stava cominciando a sentirsi meno a disagio. Non che la sua timidezza fosse una novità: ora che la metà di dicembre era arrivata Pietro aveva un po’ perso il conto delle volte in cui aveva incontrato Alice. Non si erano ancora molto parlati a tu per tu, se non per pochi minuti, a causa molto probabilmente del suo carattere non espansivo – e perché, Pietro odiava ammetterlo, ogni volta che la vedeva aggiungeva un punto in più al suo elenco mentale delle cose che facevano di Alice una persona migliore per Alessio rispetto a lui. Non odiava direttamente lei, quello no: per quanto poco la conoscesse ancora Alice gli dava l’impressione di essere una persona dolce, e attenta e premurosa. Ed era sempre maledettamente gentile, con un sorriso sincero pronto per tutti, anche se allo stesso tempo gli dava l’impressione che potesse diventare una persona estremamente ferma nelle questioni più spinose.
Era davvero perfetta per Alessio.
Lui non lo era di certo.
E poi ormai c’era Giada a cui pensare, con cui soffocare tutta la sua vergogna e l’odio per ciò che era e provava.
-Non vi capisco- si lamentò ancora una volta Alessio. Era stato lui a voler organizzare quella cena a tre, a casa loro. Pietro aveva accolto quella notizia due giorni prima con finto benestare, come se essere da solo in presenza di Alessio ed Alice non fosse un peso enorme.
Ora che era passato un po’ di tempo da quando Alice era arrivata, ed era giunto il momento di scegliere cosa ordinare per cena, l’imbarazzo generale era un po’ diminuito, ma Pietro continuava a rimanere a disagio.
Poteva ignorare solo fino ad un certo punto quanto si stringesse il proprio stomaco ogni volta che li vedeva in atteggiamenti tipici da fidanzati – ogni volta che Alice gli lasciava una carezza su un braccio o sulle mani, ogni volta che lo guardava con evidente trasporto.
Era innamorata, d’altro canto. Non poteva darle torto: avrebbe fatto esattamente le stesse cose, se ci fosse stato lui al suo posto.
Solo che, invece, poteva solo limitarsi ad invidiarla.
-Non sono molto propenso al sushi, sinceramente- si sforzò a dire, storcendo il naso.
Inaspettatamente Alice prese la parola subito dopo di lui:
-E a me manca la cucina inglese-.
Non era nemmeno stata lei a proporre di ordinare da quel ristorante appena aperto che faceva specialità perlopiù britanniche, ma Pietro. Eppure ora se la ritrovava improvvisamente coalizzata con lui.
-Vi siete alleati, quindi- soppesò Alessio, che evidentemente si era dato già per sconfitto – Chi l’avrebbe mai detto-.
Pietro condivise appieno quelle ultime parole, anche se non lo disse a voce. Con la coda dell’occhio vide Alice lanciargli un’occhiata che non riuscì a interpretare, e che preferì ignorare.
Fu Alessio stesso, alla fine, ad ordinare quel che avevano deciso. Concentrato al telefono per fare l’ordine, il silenzio calò su di loro per qualche minuto, a parte qualche sporadica domanda sui possibili dolci che si potevano aggiungere all’ordine e le bibite da prendere.
Fu dopo aver finito anche quel passaggio che Alessio si alzò bruscamente, posando il cellulare sul tavolo.
-Vado un attimo in bagno- annunciò non appena fu in piedi, gettando Pietro in un lungo momento di panico. Non riuscì nemmeno a dire nulla mentre osservava Alessio allontanarsi sempre di più dal tavolo e dalla sedia dove era rimasto seduto fino a quel momento, uscendo dalla cucina e poi svoltando l’angolo nel corridoio che lo avrebbe condotto al bagno.
Ora erano solo lui ed Alice, seduti l’uno di fronte all’altra, e Pietro riuscì solo a sperare che Alessio se ne stesse via per pochi secondi.
Non era mai stato tipo da sentirsi a disagio in presenza di persone poco conosciute, ma in quel momento si sentiva sulle spine come non mai.
-Si è piuttosto arrabbiato-.
Rimase sorpreso quando Alice parlò dopo pochi attimi che erano rimasti soli. Pietro alzò gli occhi su di lei: stava sorridendo vagamente divertita, ed era evidente che si stesse riferendo ad Alessio e alla sua delusione riguardo la cena. Ed era altrettanto evidente che il suo fosse un tentativo di rendere la situazione meno imbarazzante di quanto non fosse già.
O forse aveva davvero voglia di parlargli, e a quel dubbio Pietro rimase ancor più interdetto.
-Non sul serio- replicò infine, cercando di usare un tono di voce casuale – Può benissimo ordinare del sushi domani o qualche altra sera-.
Si chiese che impressione avesse dato ad Alice fino a quel momento, da quando si erano incontrati per la prima volta alcuni mesi prima. Forse lei non lo aveva ancora inquadrato, perché in fin dei conti si erano parlati poco, o forse lo trovava già antipatico a pelle. Pietro sperava solo che su di lui non avesse avuto l’impressione che provasse qualcosa per colui che era il suo fidanzato.
-Sono contenta di questa cena. I was looking forward to it-.
Alice parlò ancora una volta per prima, dopo che il silenzio aveva rischiato ancora una volta di calare tra loro.
-Ero curiosa di conoscerti meglio-.
Pietro aggrottò la fronte, sulla difensiva. Dove voleva andare a parare Alice?
-Come mai?- le chiese cauto. Lei non sembrò sorpresa da quella domanda: alzò semplicemente le spalle, rivolgendogli un sorriso timido.
-Sei il coinquilino di Alessio. Un suo amico caro- gli rispose con semplicità, l’accento inglese un po’ più marcato rispetto a prima – Parla spesso di te-.
Tutta la cautela che Pietro aveva assunto negli ultimi secondi evaporò all’istante. Era ovvio quel che stava cercando di dirgli Alice: semplicemente voleva conoscere le persone che stavano intorno ad Alessio, le persone a cui teneva. I suoi amici. Probabilmente più avanti nel tempo la sua famiglia.
Pietro si sentì vagamente in colpa per come si era comportato fino a quel momento nei suoi confronti, così sulla difensiva e così poco propenso a parlarle. Alice non stava facendo nulla di male. Non era colpa sua, almeno non volontariamente, di tutto ciò che gli si stava rimescolando dentro.
La verità era che, se solo le avesse dato la possibilità di avvicinarsi, molto probabilmente sarebbe persino finito a volerle bene.
Forse anche a considerarla un’amica.
E quello sarebbe stata solo un’altra cosa ancor più complicata da aggiungere a tutto il resto.
-E che dice?- Pietro si sforzò di chiederle, con sincera curiosità.
Alice gli sorrise più apertamente:
-Solo cose positive. Gli piaci molto-.
Pietro cercò di ignorare la fitta al petto che provò a quelle parole.
-Deve volerti molto bene-.
“Non nel modo in cui gliene voglio io”.
-Gliene voglio anche io- si costrinse a rispondere, anche se non era del tutto una bugia. Lo era solo per metà, perché in fin dei conti l’affetto per Alessio era vero, in qualsiasi sua sfumatura. Restava solo il fatto che il suo era un bene diverso da quello che si prova verso un amico.
“Ma lui ha già Alice per sentirsi anche amato”.
-Credo stia bene con te, comunque- si sforzò di aggiungere, con dolorosa onestà – Voglio dire … È più tranquillo rispetto a prima-.
-Really?-.
Pietro annuì ancora, trovando che sorriderle dopo aver ammesso ad alta voce quel pensiero fosse molto più difficile di quel che si era immaginato.
-Mi fa piacere saperlo- Alice lo disse con voce bassa, quasi provasse imbarazzo – Tengo molto a lui-.
E forse era proprio quello che li avrebbe avvicinati. La cosa che più avevano in comunque, almeno in quella fase della loro vita.
Si ritrovavano irrimediabilmente legati dallo stesso sentimento per la stessa persona.
-Sì, lo immagino-.
 


Forse per qualche tempo aveva davvero rifuggito quella vicinanza naturale ad Alice, quella forza che li portava ad essere più vicini e simili di quanto Pietro si sarebbe mai aspettato, ma poi aveva fallito.
E se i guai nella sua vita erano cominciati con Alessio, ben prima di conoscere lei, nel tempo non avevano fatto altro che aumentare. Si sentiva in colpa ogni volta che posava gli occhi su Alice, il tacito tradimento che lo portava ogni volta a farlo sentire meschino.
-Pietro?-.
Era stata Alice stessa a chiamarlo, e quando alzò lo sguardo su di lei la vide ancora in attesa di una risposta. Nei suoi occhi c’era l’ombra del dubbio, e sebbene in quel momento Pietro sapesse già che era un’incertezza del tutto superficiale e passeggera, si chiese se ogni tanto non avesse dubbi anche sulla sua lealtà come amico.
-Per me va bene- si costrinse a rispondere, accennando ad un sorriso che si fermò solo alle labbra, senza raggiungere neanche lontanamente gli occhi.
Ma ad Alice sembrò bastare. Le bastava sempre il minimo indispensabile per trovare il buono in ogni cosa.
Si chiese, sempre fermo a qualche metro di distanza da lei, se lo avrebbe ancora considerato un amico se avesse saputo di tutto quel che gli passava per la testa, di tutto quello che provava, o di certe cose già successe – o che avevano rischiato di accadere.
Forse nemmeno la bontà naturale di Alice sarebbe bastata.
 
*
 
Il sole cominciava a tramontare inesorabilmente, il cielo che sembrava tingersi di mille sfumature di rosa ed arancione mischiate al blu. In quella sera di fine aprile non faceva freddo ma, per quanto cercasse di stringersi nella giacca, Caterina sentiva addosso un gelo terribile.
Era come se nulla potesse fermare i brividi che le correvano lungo la schiena, rendendola nervosa e facendola sudare freddo.
Non sapeva quanto tempo fosse già passato da quando si era seduta sugli scalini di un vecchio pozzo in disuso, nel centro di Campo San Stin: intorno a lei passavano persone appena uscite dai negozi, altri che si dirigevano verso il bar all’angolo della piazzetta, alcuni turisti fermi ad ammirare la bellezza di quegli angoli nascosti di Venezia. Era come se Caterina non li vedesse, come se nessuno di loro fosse davvero lì.
Tirò fuori dalla borsa il telefono per controllare l’ora, e si rese conto di essere uscita di casa già un’ora prima. Nicola non l’aveva chiamata, e in fondo non ne aveva motivo: per lui lei era fuori per un veloce aperitivo con alcune compagne di università, in un bar dietro casa.
Doveva comunque muoversi, decidere cosa fare. Non poteva certo rimanere lì tutta la serata, in preda ai dubbi e alle paure che si facevano sempre più forti in lei.
Rimise il cellulare nella borsa, e per la prima volta da quando era giunta lì puntò gli occhi sulla farmacia che si trovava accanto ad un bar. Il fatto di aver un assoluto bisogno di trovare una farmacia di turno, aperta anche la domenica sera, era l’unico motivo per cui si era spinta in quell’angolo del sestiere di San Polo.
Doveva alzarsi da lì, percorrere qualche metro ed entrare lì dentro. Non doveva e non poteva andarsene via da lì a mani vuote.
Caterina tirò un respiro profondo. Per la prima volta da quando viveva lì, Venezia le sembrava incolore. Tutto era offuscato dalla paura irrazionale che sentiva dentro di sé, dai mille timori che cominciava a non riuscire più a tenere a bada.
In un inaspettato momento di determinazione si alzò dallo scalino dove era seduta. Cominciò a camminare, lentamente, superando i tavoli del bar e arrivando in pochi attimi davanti all’entrata della farmacia. Entrò, dando una veloce occhiata a quanta gente ci fosse prima di lei, richiudendo la porta dietro di sé.
Nonostante la maglietta e la giacca leggiere stava cominciando a sudare veramente. Si sentiva soffocare, nonostante la temperatura nella piccola farmacia non fosse affatto insopportabile.
Davanti a lei c’era solo una signora anziana, che pagò poco dopo. Caterina si avvicinò al bancone diffidente, le mani che continuavano a torturarsi l’un l’altra, mentre il farmacista di turno le rivolse un cenno:
-Cosa desidera?-.
Caterina si morse il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo.
Non ce l’avrebbe fatta, non ne aveva il coraggio.
E allo stesso tempo non poteva perdere altro tempo, né negare a se stessa che la verità sarebbe comunque emersa.
-Mi servirebbe un test di gravidanza-.
 
*
 
Aveva passato la notte insonne, come le capitava ormai da qualche giorno. Era una sensazione che non aveva mai provato, quella di voler conoscere la verità ad ogni costo, ma allo stesso tempo averne una paura tale da prendere in considerazione l’idea di seppellire tutto sotto l’indifferenza.
La nausea si era ripresentata anche quella mattina, con una puntualità che a Caterina sembrava perfino incredibile. Forse era tutta una questione di suggestione, ma troppe cose cominciavano a coincidere.
Non era facile rimanere incinta assumendo nello stesso periodo la pillola, di questo ne era convinta. Ed era altrettanto vero che, nell’ultimo mese, era stata male per colpa dello stress abbastanza volte per farle temere di non averla assorbita ogni giorno nel migliore dei modi. Se ne stava rendendo conto troppo tardi.
Stesa nel letto, sotto le coperte, le sembrava di essere tornata a quando aveva diciotto anni, a quando quella situazione l’aveva vissuta la prima volta. Anche all’epoca era finita per comprare un test di gravidanza, e tutto si era risolto come un brutto ricordo – e diversi mesi separata da Nicola. Ma allora non prendeva la pillola, ed un ritardo del ciclo naturale era molto più normale di un ritardo del ciclo di sospensione.
Sentì Nicola rigirarsi nel letto, probabilmente in procinto di alzarsi: aveva lezione quella mattina stessa, e a Caterina non sarebbe potuta andare meglio di così. Non voleva che la vedesse più nervosa del solito, né tantomeno che le chiedesse cosa stava succedendo.
Le parole che le aveva rivolto anni prima, quando ancora temeva di essere incinta, le ronzavano traditrici in testa. Erano tornate vivide e presenti come se fossero appena state dette, pronte a farla stare ancora più in ansia di quanto già non fosse.
Serrò maggiormente gli occhi e cercò di regolarizzare il respiro per non far pensare a Nicola di essere sveglia. Lo sentì finalmente scostare piano le coperte sbadigliando, prima di alzarsi definitivamente dal materasso e dirigersi verso il bagno.
Caterina attese qualche attimo, il rimbombo dei passi di Nicola che si faceva sempre più distante, prima di allungarsi verso il comodino e girare la sveglia per poter vedere meglio l’ora: erano appena le otto di mattina.
Rimase a letto a fingere di dormire fino a quando Nicola non fu pronto per uscire. Gli fu grata per non essersi azzardato a cercare di svegliarla, nonostante dovesse trovare strano il fatto che non si fosse ancora alzata a studiare per preparare gli ultimi esami che le mancavano prima della laurea.
Non appena sentì Nicola chiudere la porta di casa dietro di sé, Caterina si alzò fulmineamente. Dovette però arrestarsi subito: la nausea si fece più forte, ed uno dei capogiri che le si presentavano da un po’ di giorni a quella parte non le facilitò le cose.
Cercò di respirare piano per allentare il senso di malore. Si girò ancora una volta verso la sveglia, e si accorse che non era passata nemmeno un’ora da quando Nicola si era svegliato.
Quando sentì la nausea attenuarsi almeno un po’ provò ad alzarsi, con movimenti lenti. La testa sembrava in procinto di scoppiarle, e i capogiri non se ne andarono ancora per diversi secondi.
Si trascinò nell’ingresso dell’appartamento, il più piano possibile, arrivando finalmente alla sua borsa, appesa all’attaccapanni. Vi frugò dentro, e sul fondo ritrovò il test di gravidanza, incartato con cura.
Quello era il momento migliore per farlo: era mattina ed era sola in casa. Nessuno l’avrebbe disturbata.
Ritornò in camera, il test in mano, e si risedette sul bordo del letto; sentiva il cuore martellarle nel petto, il terrore che tornava a farsi sentire come non mai.
Con mani che tremavano strappò l’incarto, buttandolo poi in un angolo del letto. Tra le mani teneva ancora stretta la scatola del test di gravidanza: pur leggendo e rileggendo le istruzioni stampate sul retro della scatola, non riusciva a concentrarsi a sufficienza per comprenderle davvero.
Le sembrava di essere in un sogno in cui non riusciva a decidere cosa fare o come agire da lì in avanti.
Si portò una mano al viso, passandosela velocemente sugli occhi lucidi, il respiro che si faceva sempre più forte. Doveva calmarsi, cercare di ragionare il più lucidamente possibile.
Non poteva permettersi di piangere proprio in quel momento.
Doveva essere forte per se stessa, ma non ce la faceva nemmeno a pensare di poter riuscire a fare quel maledetto test, lì da sola, in balia di pensieri quanto mai pessimistici.
Doveva di nuovo prendere una decisione, nel minor tempo possibile.
 
*
 
Appena suonò il campanello Caterina sperò vivamente che Filippo non fosse in casa. Non aveva nemmeno pensato ad una scusa da rifilargli nel caso le avesse aperto la porta lui, o se fosse stato comunque a casa.
In realtà non era nemmeno sicura che ci fosse Giulia. Poteva essere uscita per andare a fare la spesa, approfittando del fatto che per quel giorno non avrebbe avuto lezione, o magari poteva essere ancora a letto.
Quando finalmente Caterina udì dei passi all’interno dell’appartamento, sempre più nitidi e sempre più vicini, cominciò ad agitarsi nuovamente. Pregò con tutta se stessa che fosse Giulia e che fosse sola.
La porta si aprì, e Caterina poté finalmente tirare un sospiro di sollievo: Giulia la squadrava da capo a piedi, con il pigiama ancora addosso e i capelli arruffati. Segno che doveva essersi alzata dal letto solo per aver sentito il campanello suonare.
-Che ci fai qui a quest’ora?- borbottò, aggiustandosi gli occhiali sul naso, e reprimendo uno sbadiglio – È praticamente l’alba-.
-È una cosa importante- replicò Caterina, non aspettando alcuna replica per fare un passo all’interno dell’appartamento – Filippo è in casa?-.
-No, ha lezione fino alle quattro. Perché?- domandò Giulia, ora incuriosita. Chiuse la porta d’ingresso e si avvicinò maggiormente a Caterina.
-Grazie al cielo- sussurrò lei, tirando un sospiro di sollievo. Ora non le rimaneva che cercare di spiegare la situazione a Giulia, e per la prima volta da quando era uscita di casa si rese conto che non sarebbe stato per niente facile.
-Mi vuoi spiegare che succede?- domandò ancora Giulia, sempre più allarmata – Vieni qui senza preavviso di mattina presto, mi chiedi se sono sola in casa, e sei pallida come non so cosa. Sei sicura di stare bene?-.
Caterina sorrise amaramente, la voglia di piangere che tornò prepotentemente:
-No. Non sto bene, in effetti- mormorò, abbassando il capo – Ti devo parlare. Di una cosa seria-.
-Cioè?- Giulia parve più preoccupata. Le si avvicinò ulteriormente, in attesa di una qualche risposta. Caterina si morse il labbro: non sapeva come dirglielo, se non andando subito al nocciolo della questione.
-Ho un ritardo-.
-Ma prendi la pillola. È impossibile- replicò subito Giulia, lo sguardo sempre più apprensivo. Sembrava più incredula di Caterina stessa.
-Appunto per questo è strano- Caterina strinse le braccia contro il petto, guardando altrove per evitare lo sguardo di Giulia – Ho una strana sensazione. Mi sento ... Diversa dal solito. Non saprei come spiegarmi meglio-.
Giulia soppesò per un attimo quelle parole. Caterina tornò ad osservarla, e intuì come Giulia stesse realizzando a poco a poco ciò che stava cercando di dirle. Sembrava persa in mille pensieri, esternati solamente dallo sguardo pensoso e dall’espressione angosciata del viso.
-Hai già comprato un test di gravidanza?-.
-Giusto ieri sera-.
Giulia annuì di nuovo, seria come Caterina l’aveva vista poche volte:
-Allora forse è meglio se scopriamo che sta succedendo-.
 


-Dobbiamo aspettare tre minuti, ora-.
Giulia osservò Caterina annuire silenziosamente, mentre usciva dal bagno. Avevano riletto insieme le istruzioni, e ci erano voluti diversi minuti per convincere Caterina ad entrare finalmente nel bagno per fare il test.
Caterina sembrava essere ancora più pallida di prima, lo sguardo vacuo. Giulia la osservò mentre appoggiava la schiena contro la parete; cercò di avvicinarsi a lei lentamente, poggiandole una mano sulla spalla.
-Magari è solo un falso allarme. Può sempre capitare- cercò di rassicurarla, ma la sua voce apparve ben poco convinta. Per quanto si sforzasse di essere positiva, anche lei nutriva un certa sensazione riguardo a quello che sarebbe stato il risultato del test. Sperava solo di sbagliarsi.
-Basta vomitare una volta poche ore dopo aver preso la pillola per rischiare- mormorò Caterina, in un filo di voce – Non ci avevo nemmeno pensato, a inizio mese, quando sono stata male-.
-Non è comunque detto- insistette Giulia, non sapendo che altro dire.
-E la nausea, la stanchezza, i giramenti di testa, come li spiegheresti? Sto così da quasi due settimane-.
-Potrebbe essere carenza di vitamine, il troppo stress, qualsiasi altra cosa- Giulia tirò un sospiro, portandosi una mano tra i capelli, nervosamente – Comunque ora ci toglieremo direttamente il pensiero, e poi la smetteremo con tutte queste ipotesi-.
-Non sono molto convinta che ci toglieremo davvero il pensiero, stavolta- farfugliò di nuovo Caterina, sentendo di nuovo l’ansia salire.
Giulia si staccò dalla parete, avvicinandosi alla porta socchiusa del bagno. Non si sentiva tranquilla, per niente: sperava davvero che Caterina si sbagliasse su tutta la linea, lo sperava sia per lei che per Nicola.
Cominciava a sentire su di sé una pressione che non aveva avvertito fino a quel momento, ma che ora cominciava a farle accelerare il battito e a focalizzare ogni pensiero solo su quella situazione.
-Vediamo se il test ha elaborato il risultato- borbottò, attendendo che Caterina la seguisse.
Giulia entrò nel bagno, individuando subito il test di gravidanza poggiato orizzontalmente sopra il bordo della vasca da bagno. Aguzzando gli occhi non le sembrava ci fosse ancora alcuna scritta sul piccolo schermo digitale.
-Giulia-.
Caterina la richiamò con voce tremante, e Giulia si voltò verso di lei allarmata: aveva una mezza idea di che cosa Caterina le stesse per dire.
-Guarda tu il risultato-.
L’agitazione che Giulia aveva mantenuto a bada fino a quel momento esplose in un attimo. Si aspettava una richiesta del genere, ma aveva sperato fino a quel momento di non dover essere lei a dover dare la notizia a Caterina, qualsiasi essa fosse.
-Sei sicura?- chiese, e non si sorprese nell’accorgersi che anche la sua voce appariva scossa.
-Non ce la faccio a guardare io- rispose Caterina, rimanendo ben piantata sulla soglia del bagno, tutt’altro che intenzionata ad avvicinarsi ulteriormente – Non ne ho il coraggio-.
Giulia annuì piano, impercettibilmente. Non riusciva a darle torto: probabilmente anche lei, al posto suo, non sarebbe riuscita a leggere da sola il risultato del test.
Rimase ancora per qualche secondo immobile, prima di decidere di voltarsi. Puntò nuovamente lo sguardo verso il test, e in pochi passi vi si avvicinò.
Lo prese in mano, e vide che sullo schermo vi era ancora il simbolo di una clessidra che stava lampeggiando. I tre minuti, in ogni caso, dovevano essere passati appena qualche secondo dopo: la piccola clessidra smise di lampeggiare, sostituita da una scritta immobile.
-Che dice?- il filo di voce di Caterina fu l’unica cosa a spezzare il silenzio che era piombato nel bagno.
Giulia guardò ancora una volta lo schermo, prima di alzare lo sguardo su Caterina.
Non era sicura di essere in grado di formulare a voce tutto ciò che le stava passando per la testa in quell’istante.
-Sei incinta-.
 
*
 
Il mondo attorno a lei sembrava essersi fermato, bloccato di colpo. Ogni rumore che udiva, proveniente dalla finestra aperta, le giungeva ovattato e distante, come se appartenesse ad un universo a parte.
Caterina si passò una mano sul viso, accorgendosi solo così delle guance bagnate di lacrime. Non si era nemmeno accorta di aver pianto, né ricordava esattamente come aveva fatto ad arrivare fino al tavolo della cucina di Giulia. Era seduta lì da un tempo che le sembrava durato un’eternità, le gambe che non l’avrebbero retta se avesse provato ad alzarsi.
Nella sua mente continuavano a riecheggiare le parole di Giulia, come a volerle ricordare come il suo mondo fosse appena cambiato totalmente, in un solo attimo. Si sentiva già diversa, diversa dalla Caterina che era prima di scoprire il risultato di quel maledetto test.
Si sentiva catapultata verso l’ignoto, verso un mondo che non conosceva e che avrebbe dovuto scoprire a poco a poco, tra la confusione e il terrore più buio.
Era davvero buio, il mondo in cui si trovava ora.
Buio e freddo come non avrebbe mai potuto immaginare.
-Come ti senti?-.
La voce di Giulia le parve giungere da lontano, nonostante fosse seduta di fianco a lei, il volto sporto verso Caterina, e le mani strette attorno ad una tazza di the fumante. Giulia l’aveva preparato per entrambe, ma Caterina non aveva nemmeno sfiorato la tazza che si trovava di fronte.
-Una domanda più stupida non potevi trovarla?- Caterina faticò a riconoscere la propria voce: era stridula e cupa allo stesso tempo, senza nessuna forza impressa in essa.
Si pentì l’attimo dopo di essere stata così scontrosa, ma non ebbe la forza di dire nient’altro. Il senso di colpa si tramutò solo in altre tacite lacrime che andarono ad appannarle gli occhi.
Giulia tirò un sospiro, affranta e forse consapevole di ciò che la stava animando:
-Scusami, hai ragione. Era davvero una domanda idiota-.
Caterina non rispose nulla. Sentì il groppo in gola farsi più grande, gli occhi che tornavano a riempirsi di lacrime ancora una volta. Avrebbe voluto rimanere sola, piangere tutte le lacrime che aveva in corpo, ma allo stesso tempo sapeva che la presenza di Giulia era una sorta di anestetico per il dolore che stava provando in quel momento.
Cercò di non piangere ancora, ma non riuscì a trattenere oltre un singhiozzo e le lacrime calde che le bagnavano gli occhi.
-Ok, tranquilla, cerchiamo di non farci prendere dal panico. Almeno non troppo- Giulia cercò di avvicinarsi a lei, mettendole un braccio attorno alle spalle il più delicatamente possibile – Sei solo incinta a ventidue anni non ancora compiuti, ma in fin dei conti aspetti solo un bambino-.
-Dovrei sentirmi rincuorata?- Caterina tirò su con il naso, cercando di arrestare il pianto – Non so cosa fare-.
Era vero, non aveva idea di che sarebbe potuto accadere una volta uscita da casa di Giulia. Era come se non riuscisse più a pensare, ad intuire quali sarebbe state le prossime mosse da fare.
Le tornava in mente Nicola, l’aria di tranquilla felicità che aveva dipinta in viso da un mese a quella parte, da quando erano andati a vivere insieme. Sapeva che, da quel giorno in poi, non sarebbe rimasta nemmeno più una traccia di quella gioia sul suo volto: ci sarebbero stati troppi problemi, troppe discussioni, troppe cose che non avrebbero saputo come affrontare.
Caterina lasciò andare ancora qualche lacrima al pensiero che, forse, stavolta lei e Nicola non sarebbero riusciti a risolvere quella situazione.
Forse non sarebbero nemmeno resistiti, non di fronte a quel peso che li avrebbe schiacciati a poco a poco.
-Direi che per prima cosa dovresti pensare a come dirlo a Nicola, se ancora non gli hai accennato nulla- riprese Giulia, prima di bloccarsi come presa da un dubbio – Perché è di Nicola, vero?-.
-Ma certo che è di Nicola!- sbottò Caterina, passandosi una mano sul viso – E proprio perché è suo che tutto mi sembra ancora peggio-.
-Perché?-.
-Come pensi possa prenderla?- Caterina allargò le braccia, come se la sua risposta fosse ovvia – Ora è troppo presto, e sta succedendo in un momento troppo difficile. Non sono pronta, e non credo che nemmeno lui lo sia-.
Si sforzò di allontanare da sé immagini in cui vedeva Nicola allontanarsi sempre più da lei, lasciandola in balia di se stessa e di tutto ciò che di inaspettato stava accadendo.
Abbassò lo sguardo, verso la propria pancia ancora piatta, uguale a sempre, come il resto del suo corpo. Il cambiamento non era ancora evidente, almeno all’esterno. Era dentro di lei che stava avvenendo tutto, quel qualcosa che ancora non aveva trovato il coraggio ed il modo per definirlo. Come avrebbe reagito Nicola, di fronte a tutto ciò?
-In ogni caso è anche figlio di Nicola, quindi che reagisca come vuole, ma è anche affare suo- Giulia sembrò leggerle nel pensiero, mentre mormorava piano quelle parole – Non devi affrontare tutto da sola-.
-Chi ti dice che non se ne andrà?-.
Caterina alzò piano lo sguardo, e per la prima volta da quando era entrata in quell’appartamento, non evitò lo sguardo di Giulia. Si specchiava nelle iridi verdi dell’amica, ritrovandosi riflessa in tutta la sua vulnerabilità e fragilità.
-Non ha più diciannove anni, non è più un ragazzino che non sa prendersi certe responsabilità- rispose infine Giulia, dopo svariati secondi. Non era riuscita a trovare una risposta migliore, più convincente, più vera, e Caterina se ne rese conto solo guardandola in viso. Nemmeno Giulia sembrava avere delle certezze.
-Non puoi essere così sicura che non scapperà via non appena glielo avrò detto-.
Giulia si ritrovò ad annuire, nuovamente afflitta:
-Allora diciamo che voglio avere fiducia in lui, e anche in te- rafforzò l’abbraccio in cui ancora teneva stretta Caterina, come per darle silenziosamente un po’ di forza – Pensi di parlarne anche con i tuoi genitori?-.
Caterina tornò a guardare altrove. Non ci aveva ancora pensato, ai suoi genitori e a quelli di Nicola. Non aveva idea di come poterglielo dire, di come ci si sarebbe sentiti esporsi così tanto.
Mille domande le affiorarono in testa, e alla maggior parte di esse non sapeva come rispondere: se glielo avesse detto subito, avrebbero cercato di spingerla verso una scelta precisa? L’avrebbero aiutata o avrebbero preferito lasciarla al suo destino? Non credeva nemmeno di essere in grado di affrontare una discussione del genere, in quel momento.
Si sentì scoraggiare ancora di più, come se le ultime forze che le rimanevano in corpo fossero appena scomparse del tutto.
-Non ne ho idea. Dipende anche da ... – la voce le venne a mancare per una frazione di secondo – Da cosa deciderò di fare-.
Si strinse nelle spalle, ben decisa a non voltarsi verso Giulia. Era sicura che avesse capito cosa intendeva, e proprio per quello si sentiva a disagio: parlarne in quelle condizioni era tutta un’altra cosa, rispetto al parlarne in modo ipotetico.
-Intendi dire decidere se tenerlo o no?-.
Caterina annuì impercettibilmente, e Giulia si ritrovò a sospirare:
-Beh, credo che dovresti discutere con Nicola anche di questo. Dovrete valutare tutte le soluzioni possibili insieme. Anche se poi la decisione finale spetterà solamente a te-.
Già, una decisione. Una decisione che, in qualsiasi caso, avrebbe portato a conseguenze che avrebbero cambiato tutto, inevitabilmente.
Qualsiasi strada avrebbero intrapreso, nulla avrebbe permesso a lei e Nicola di tornare indietro.
-Il problema è che non vedo alcuna soluzione possibile-.
 
 
 


 
NOTE DELLE AUTRICI
Eccoci infine con l'ultimo capitolo dell'anno, che di certo ha introdotto qualche novità!
Già dall’inizio abbiamo alcune risposte relative all'ultimo capitolo (che rispetto a questo avveniva a qualche settimana di distanza): Pietro sembra averci azzeccato per quanto riguarda le non conseguenze del quasi bacio con Alessio (anche se, per averne la certezza, bisognerà aspettare un pov di Alessio stesso!).
Ma qua il focus è soprattutto sul suo rapporto con Alice: attraverso i ricordi di questo flashback abbiamo potuto toccare con mano la situazione un po' ambigua in cui Pietro sta vivendo. Sembra andare d'accordo con Alice e infatti la considera  sua amica nonché una persona dall'animo buono. Proprio per questo Pietro non riesce a non sentirsi in colpa verso di lei, che è pur sempre colei con cui si ritrova a condividere i sentimenti di amore per Alessio. Che ne pensate del loro legame?
E poi arriviamo alla seconda parte di questo capitolo, dove gli spunti di riflessione sicuramente non scarseggiano. Noi autrici siamo infatti certe che molti lettori e lettrici, molto attenti e dotati di un'ottima memoria, avranno notato certi collegamenti con quanto appena letto e alcune scene del prologo. Un dubbio sorge quindi spontaneo: i flashforward del prologo fanno riferimento ad eventi che avverranno di qui a pochi capitoli, oppure si riferiscono ad un'altra gravidanza? Non sapendo se le anticipazioni contenute nel prologo sono in ordine cronologico oppure no (dovrete continuare a leggere per scoprirlo!), il dubbio è più che lecito! Quando assisteremo alla reazione non proprio tranquilla di un certo biondino di fronte a una possibile gravidanza? E durante il suo parto, anch'esso anticipato nel prologo, Caterina sarà sola oppure avrà qualcuno al suo fianco, posto che la gravidanza in questione sia la stessa svelata in questo capitolo? Tutto può succedere nei prossimi capitoli di questa seconda parte di Walk of Life... quindi non vi resta che attendere e leggere, leggere, leggere!
Mercoledì 5 gennaio, in ogni caso, ne scopriremo di più con un nuovo capitolo!
Nel frattempo auguriamo a tutt* un felice Natale e buon anno nuovo, e vi ringraziamo per questo 2021 passato insieme a voi lettor*! Il 2022 sarà ancor più interessante!🎄🎅🏻🎁
Kiara & Greyjoy
 
   
 
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