Vergogna
Paese del fuoco, villaggio della foglia. In un
piccolo appartamento un ragazzo si stava lavando le mani. I capelli
biondo-castani,tagliati corti e un po’ arruffati, gli ricadevano sulla fronte
sudata, e gli occhi verdi tradivano una grande agitazione. Erano già più di 15
minuti che l'acqua scorreva, ma l'anbu continuava
imperterrito a sfregarsi le mani. Sapeva bene che erano pulite, eppure dentro
di sé le vedeva sporche, sporche di sangue.
“...Cazzo!!”
disse all'improvviso, mentre in preda a un impeto di rabbia chiudeva il
rubinetto con tanta forza da rovinarlo.
Si
fissò allo specchio e un giovane anbu neopromosso
nella squadra assassina gli restituì lo sguardo. Possibile che fosse veramente
lui quello nello specchio? Era stato promosso anbu da
poco, neanche un mese, dopo aver portato a termine una missione di assassinio
in cui teoricamente avrebbe dovuto fare soltanto da supporto. I suoi superiori
avevano apprezzato il suo talento e l'avevano promosso anbu.
Era
divenuto uno dei sicari della foglia. Ma era veramente questo che voleva? Si
voltò a guardare la maschera a forma di testa di drago bianco che giaceva sul
letto...dopotutto stare negli anbu non era male, lì
tutti lo trattavano con rispetto e via dicendo, ma se ripensava alla missione
di qualche giorno fa...
“CAZZO!!!” urlò all'improvviso.
Prese
la maschera e saltò fuori dalla finestra mettendosi a correre, come un'anima in
pena, per le strade del villaggio. Doveva assolutamente parlare con l'hokage. Solo Naruto avrebbe
saputo consigliarlo per il meglio...
Soddisfazione
Un sorriso che andava da un orecchio all'altro
illuminava in quel momento la faccia della Jonin a
capo della squadra medica di primo soccorso.
Avevano
dovuto prestare le prime cure a un gruppo di chunin
conciati piuttosto male di ritorno da una missione di spionaggio, e il suo team
si era ancora una volta rivelato efficiente e preparato. Essere a capo di una
simile unità medica nonostante la sua giovane età metteva la ninja di ottimo
umore, tanto che aveva arbitrariamente deciso di prendersi una pausa al piano
bar dell'ospedale.
Di
statura normale, slanciata e con un fisico atletico, la diciottenne Denakura
era veramente soddisfatta della piega che aveva preso la sua vita dopo la
promozione. Gli occhi marroni erano pieni di vita e si era accorciata i capelli
(anch'essi marroni) in nome della praticità sul lavoro, per dimostrare quanto
prendeva il suo incarico sul serio.
Con
un sorrisetto astuto la ninja andò col pensiero agli eventi che l'avevano
portata fin lì: primo il lungo apprendistato sotto Sakura Haruno, la migliore
ninja medica del villaggio, e in seguito gli estenuanti allenamenti per trovare
un suo stile unico di combattimento che le permettesse di essere
autosufficiente durante le missioni, fino ad adottare il bisturi di chakra, ed
infine la tanto agognata promozione. Inoltre c'era quell'ultima cosa che la
rendeva felice, ovvero che aveva finalmente avuto il permesso di avere
un'apprendista, ed era riuscita ad accaparrarsi nientemeno che Cryhina, figlia
di Neji Hyuga nonché sua carissima amica da sempre.
Continuando
a sorridere Denakura si avviò verso il suo reparto, niente poteva andare storto
in una giornata come quella...
Imbarazzo
“Byakugan!!!” disse per l'ennesima volta la
ragazza.
Ma
come per le centinaia di volte precedenti, non successe niente. Sconsolata,
Cryhina si sedette a terra con la testa nascosta dietro le ginocchia, chiusa a
riccio. Una mano gentile si posò sulla sua spalla, mentre un'altra le alzava il
mento, fino a che i suoi occhi non si specchiarono in quelli altrettanto
bianchi di Neji Hyuga.
“Basta
Cryhina, ormai lo sai che non ci riesci. In questo modo continui a farti del
male da sola.” le disse il padre con voce gentile ma ferma.
Cryhina
lo guardò attentamente: era alto, nobile e fiero. Un probabile ritratto di come
sarebbe stato Hizashi se non avesse avuto il marchio. Ma suo padre era riuscito
a superarlo, e ora era il capo del clan nonché il migliore usufruttore
del Byakugan di tutta la storia degli Hyuga.
Come poteva sperare lei di essere alla sua
altezza?
Neji la mise in piedi e l'abbracciò forte, come se
cercasse di trasmetterle anche la sua forza oltre al suo affetto, ma questo
fece stare solo peggio la ragazza.
Di statura normale, con un fisico minuto e
aggraziato, la sedicenne Cryhina Hyuga, capelli neri lunghi e occhi tristi, era
l'unica di tutto il clan che non fosse ancora riuscita a sviluppare il byakugan
alla sua età, e questo la faceva sentire fortemente inadeguata. Non era una
ragazza che credeva nel destino, grazie agli insegnamenti di suo padre, ma non
riusciva a comprendere il perché di questa sua mancanza, la quale le aveva
oltretutto impedito di imparare la tecnica del "palmo gentile" tipica
degli Hyuga.
Ma
suo padre non si era scoraggiato, e le aveva insegnato lo stesso i movimenti,
per poi mandarla da sua zia Hinata perché essa le insegnasse a sparare il
chakra dai palmi delle mani. la tecnica era ancora in fase di completamento, ma
un risultato l'aveva ottenuto. Il rovescio della medaglia era che tutte queste
attenzioni che il padre le dedicava la facevano sentire in colpa, come se
stesse in qualche modo costringendo Neji a seguire una figlia che da sola non
poteva farcela...
Con questi pensieri in testa si liberò dalla
stretta del padre e corse via verso il palazzo dell'hokage,
forse nella speranza di incontrare sua zia Hinata sulla strada, in quanto unica
persona che riuscisse veramente a comprendere i suoi sentimenti.
A suo padre non restò altro da fare se non
guardarla fino a che non divenne un puntino sulla strada...
Noia
Solo a guardarlo ti veniva sonno.
Era
questa l'impressione che Ton'Yesp, chunin già da qualche anno, dava ai passanti e ai commessi
dei negozi. Era già da due ore che se ne stava su una panchina, completamente
sdraiato, a leggere quel suo libro idiota che s'intitolava "le forme delle
nuvole", scritto da suo zio Shikamaru.
Per
coloro che a vedere un ragazzo giovane e nel pieno dei suoi anni perdere tempo
a leggere in una giornata come quella avessero avuto ancora dubbi sulla sua
provenienza, c'era il simbolo della casata Nara sulla
schiena a fugare ogni sospetto. Ton'yesp un po’
leggeva, e un po’ guardava i culi delle ragazze che passavano. Non poteva dire
che il libro fosse interessante (era di una noia mortale), ma se non altro era rilassante,
e lui adorava rilassarsi. Mentre pensava queste cose tirò fuori dalla tasca una
piccola bomba capace di far saltare in aria il negozio davanti al quale era
sdraiato.
Quella
era la ragione per cui a diciott'anni faceva già
parte, seppure solo nelle riserve, del team logistico di una squadra speciale senza
essere lui stesso un anbu: la sua passione per gli
esplosivi. Essendo il più sfaticato Nara che avesse
mai calpestato le strade della foglia, c'era da aspettarsi che ci fosse qualche
lato del suo carattere che compensava quell'immobilità e Ton, come lo
chiamavano gli amici, adorava vedere le esplosioni. stare immobile a vedere una
cosa che esprimeva così tanto rumore ed energia lo faceva sentire ancora più
rilassato, come quando si guarda piovere mentre si è in casa al caldo.
Ton si rimise in tasca l'ordigno e osservò con un po’
di interesse il sedere di una ragazza che stava comprando un gelato nel negozio
davanti. Ecco, quello era invece il motivo per cui nonostante fosse un genio
degli esplosivi non fosse ancora entrato nel team di ricerca, e cioè che lì
erano quasi tutte donne, e dopo due giorni lo avevano messo di supporto alla
squadra speciale.
Un Nara bombarolo a cui
piacciono le donne, certo che il mondo stava davvero cambiando...
Leggerezza
Ancora un pochino, solo pochi centimetri, un
ultimo sforzo...ed ecco!!!
Rew sfilò il portamonete di uno dei tanti passanti di
quella grande città, che da quando era stato abbandonato era divenuta il suo
rifugio. Di aspetto fin troppo bambinesco nonostante i suoi quindici anni, il
ragazzo era uno dei tanti ladruncoli che si trovavano da quelle parti tra i pargoli
abbandonati dalle famiglie o con i parenti uccisi in guerra. Il nostro furfante
diede un'occhiata al bottino, e capì che quel giorno poteva finalmente farsi un
pasto decente. Stava per avviarsi, quando vide la foto di una bambina all’interno,
probabilmente la figlia del mercante a cui lo aveva sottratto. Zitto, zitto
tornò ad avvicinarsi a questi e glielo rimise in tasca, per poi andarsene fischiettando
con i soldi.
"ladro
sì, stronzo no..." era il suo pensiero mentre si allontanava.
Con la coda dell'occhio notò che il cielo
cominciava a scurirsi, presto avrebbe piovuto...
Cinismo
L'uomo si guardò intorno, e tra quelli morti e
quelli che presto lo sarebbero stati ne rimaneva uno solo in piedi, che lo
stava pregando di risparmiarlo...
“Ti prego!!”, disse il bandito inginocchiandosi.
“Io
non volevo fare questo, ma non mi è rimasto più niente lo capisci?! Non mi
rimaneva che rubare!!!” urlò.
"che bastardo...", pensava l'uomo.
"fossi
io al suo posto non ci penserebbe due volte a tagliarmi la gola e derubarmi di
tutto", e mentre sospirava rinfoderò la spada.
“Ti
ringrazio...” cominciò il malvivente, ma l'altro non aveva mai staccato la mano
dell'impugnatura e, rivolto verso quello a terra, estrasse la lama a velocità
supersonica descrivendo un arco perfetto davanti a sé.
La
pressione del filo magico della spada nell'aria creò un'onda di vento, che
tranciò in due l'uomo stupito davanti a lui.
Non si era neanche reso conto di morire.
"ringraziami perché non ti ho fatto
soffrire..." fu l'unico pensiero dello spadaccino, che rinfoderata la lama
con un unico e fluido movimento, si voltò per tornare al suo cammino che era
stato interrotto. Si era accorto di quei banditi molto prima che essi lo
vedessero, ed avrebbe potuto evitarli senza neanche deviare tanto, ma perché
lasciare in vita della gente tanto meschina?
L'uomo indossava una lunghissima veste nera,
tenuta chiusa da una fascia in vita che aveva anche la funzione di portare la
spada Masamune, unico cimelio rimastogli della sua
famiglia.
Gli
occhi, un tempo azzurri e vivi, erano ora neri e cinici, e insieme ai lunghi
capelli argentei gli davano un che di demoniaco. L'unica cosa che guastava
tutta la perfezione di cui sembrava essere ammantato era una cicatrice fra gli
occhi, un ricordo di una visita di assassini a casa sua, tre anni fa.
All'improvviso cominciò a piovere, e per la prima
volta da quando l'avevano avvistato l'uomo parlò.
“che
giornata di merda...”.
Rabbia
Silenzio. Nel raggio di miglia non un solo suono
disturbava l'uomo e il suo dolore. In silenzio l'uomo piangeva mentre guardava
la giovane ragazza che teneva tra le braccia...
D'un tratto questa apri gli occhi, che si specchiarono
in quelli dell'altro, uno rosso e uno nero. La ragazza tossì del sangue e poi
tornò a guardarlo, e nel suo sguardo c'era solo amore.
“N-non te ne d-devi fare
una c-co-colpa D-Dreon...” sussurò con voce sempre più flebile.
“...I-io ti a-amerò p-per semp...” ma le parole le morirono in gola e gli occhi si
rovesciarono verso l'alto.
Era
morta.
Nonostante questo l'uomo la strinse a sé come se
non volesse mai più lasciarla, e ogni secondo di consapevolezza della sua morte
era una pugnalata crudele nel suo cuore...
A un certo punto si decise a metterla per terra e
la guardò, così giovane e bella, il corpo tremendamente ustionato dal fuoco che
ne aveva causato la morte...
“PERCHEEEEEEEEEEEEEEEEEE?!?!?!?!?!”.