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Autore: ClodiaSpirit_    26/12/2021    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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« Simone, sai mica dove é stato messo- »

Dante entrò irrompendo nella camera di suo figlio senza bussare, mentre Simone e Cristian erano in videochiamata. Suo figlio era disteso sul letto, piedi incrociati, un braccio dietro la testa, lo sguardo attento. La mano teneva l'apparecchio elettronico con una presa sciolta, libera come se fosse la cosa più leggera oltre lui dentro la stanza. « Va bene, te lo chiedo più tardi » concluse per evitarsi un occhiataccia dell'adolescente più che comprensibile e giustificata.

« Papà sta tranquillo, » sospirò Simone « che cosa cerchi? » chiese curioso.

Dante esitò prima di parlare, per poi sentire la voce dell'altro ragazzo dal telefono di suo figlio fare capolino. Era un tono socievole, accogliente.
« Ciao Cristian » mosse la mano in modo meccanico , mentre Simone ridacchiava visibilmente prendendolo in giro.

« Papà non ti vede se te ne stai fermo la sulla porta »

« Oh giusto, » Dante allora si avvicinò con un sorriso stampato in pieno volto « Ciao Cristian! Come stai? Spero tutto bene »

Cristian rispose positivo in video, mentre Simone ripeteva a suo padre la stessa domanda fatta poco prima. « Cercavo solo quel maglione rosso, sai quello un po' vecchiotto ma che mi sta bene, quello che la nonna voleva dare via, ricordi?»
Simone annuì, arricciando il naso.

« Dovresti provare a cercare in ripostiglio, tutta la roba che sono riuscito a recuperare sta là. Lo scatolone ha un etichetta sopra. »

« Okay, ricevuto! »

Dante esitò però sulla porta prima di uscire veramente dalla stanza, adocchiando e studiando le reazioni dei due. Suo figlio sussurrava sornione qualcosa in segreto al ragazzo in totale silenzio sullo schermo del dispositivo elettronico. Simone alzò lo sguardo, ammutolendosi di colpo, notando la curiosità di Dante, risucchiò le sue labbra e i suoi occhi si fecero confusi.

« C'è altro? »

« No, è solo... » suo padre si grattò i capelli neri con la mano destra « ti vedo più sereno, mi fa piacere, tutto qui »

Ne era convinto. Dopo che era ritornato a stare da lui, per fine estate, Simone era più rilassato, meno teso, era ritornato una versione diversa da quella che se ne era andata in Scozia, a inizio pausa scolastica. Dante, non poteva saperlo del tutto, ma ipotizzava che Cristian fosse stato davvero un toccasana per lui, una sorta di medicina del buonumore che devi ricordarti di prendere ogni giorno per un tot di ore per poter dare il meglio di te. Ringraziò che suo figlio avesse ascoltato il suo consiglio, che sua madre si fosse preso cura di lui in quei pochi mesi distanza e che adesso, Dante lo avesse di nuovo sotto lo stesso tetto, ma ristabilito e vibrante.
Simone annuì, increspando le labbra, guardandolo sincero.

« Sì, lo sono » confermò. Suo padre girò la maniglia della porta, non prima però che suo figlio lo richiamasse un'ultima volta.

« Sì, Simone? Dimmi »

« Volevo dirti che Cristian scenderà a Roma, per fine mese, ha anticipato la partenza, gli ho detto che poteva restare qua, se non era un problema... » si affrettò a dire, velocizzando le parole.
Dante sembrò pensarci su, poi però, sorrise premuroso ed energico al figlio. La sua maglia era di un verde brillante, i pantaloni erano scuri e la barba incolta non era stata ancora sistemata quella domenica mattina. Poteva dare l'impressione di un barbone colto oppure, di un uomo affascinante con un fare prettamente filosofico anche quando era di buon umore.

« Nessun problema Simone, per quanto si ferma?»

Simone si rivolse a Cristian, annuì e rispose di rimando a suo padre.
« Sei giorni »

« Benissimo allora, » e dicendo così solo la sua testa ormai sbucò dallo spiraglio della porta « ci vediamo settimana prossima, Cristian! » parlò più forte e poi la richiuse dietro di sé. Simone sospirò fingendosi irritato, ma sapeva benissimo che suo padre era felice per lui, era solo un modo per non lasciarsi troppo sciogliere da quello.
Sapeva che suo padre gli voleva bene, anche troppo, più di quanto dovesse fare un padre con l'unico figlio rimastogli. Sapeva anche che conoscere Cristian non avrebbe fatto altro che confermarglielo e dimostrargli che lo accettava incondizionatamente.

« Sembra carino »

Cristian lo guardava, una mano appoggiata al viso, l'altra che teneva una tazza di thè fumante.


« Sì, solo si impiccia troppo spesso in cose che non lo riguardano »

« Simone, » lo riprese il ragazzo dolcemente « è pur sempre tuo padre »

« Lo so, solo che a volte... a volte vorrei fosse più discreto, tutto qua. » spiegò per chiarire.

 



 
 
Quella settimana sembrò non passare più, quando finirono ben due verifiche di italiano e latino e ben due interrogazioni di fisica e filosofia (nonostante quest'ultima fosse la sua preferita), Manuel pensò di essere riuscito nella sua impresa più grande: sopravvivere. Non importava come fossero andate, la cosa che contava di più era uscire da scuola, prima di vedere l'altro. Uscire prima di ribeccare il suo sguardo assente, distante, appuntito.
Eppure si ama proprio quello che fa più male perché Manuel lo cercava ugualmente, disperatamente, ad ogni ora in classe.
Lo cercava mentre lo guardava sfogliare qualche pagina prima dell'interrogazione, lo cercava in pausa merenda, lo cercava quando gli altri parlavano dei fatti loro e lui faceva finta di interessarsene, lo guardava anche quando magari l'altro non c'era o si era assentato in bagno. Si odiava. Odiava il modo in cui si era rotto il loro rapporto. Odiava non aver capito prima cosa si stava incrinando senza porre rimedio. Odiava ammettere a sè stesso che Simone gli mancava come l'aria. E così, quel venerdì mattina, alle due in punto, la campana annunciava la fine di un altro giorno di scuola, un altro giorno superato e altri due da passare in balia dei ricordi, del bello passato da digerire.
Manuel uscì per primo dall'aula, o almeno pensava, si apprestò lungo il corridoio finale, lo zaino pesava più del solito per via delle lezioni più importanti, matematica, fisica e latino. Mise fuori il naso dal portone e sarebbe andato oltre se non fosse stato per ciò che aveva a pochi centimetri da lui.
Si raggelò sul posto, mentre qualcuno gli passava davanti.
Simone era lì, vicino al suo motorino, come sempre, come ogni giorno.
Ma non era da solo.
Un ragazzo biondo, alto un po' più di quanto lo era lui, dagli occhi chiari e la postura sicura gli stava parlando e annuiva. L'altro sembrava in estasi. O almeno così sembrava a Manuel.
Ad un tratto, Simone si sporse verso quello e i due si baciarono. Il ragazzo biondo lo strinse forte, con impeto, circondandogli la schiena con le braccia, mentre Simone lo tirava di poco per il collo, affondando la mano dentro la felpa del biondo. Il tutto durò pochissimi secondi.
Manuel si sentì morire. Era come se tanti piccoli aghi gli bucassero la pelle, ma non il braccio, non la mano, ma il petto. E quegli aghi erano circondati da tante punte infuocate, gli uni vicini agli altri. Simone adesso, si portava il casco alla testa, diceva qualcosa a quel ragazzo nuovo, che assecondava il suo buon umore e gli porgeva il secondo casco.
Quello stesso motorino dove anche Manuel era salito, più di una volta.
Un'altra fitta.
Lo zaino gli cadde a terra, non avvertendone più la consistenza. 
I due si misero in sella, Simone guidava, l'altro era dietro ad afferrargli i fianchi. E mentre Manuel guardava, l'altro avviava il motore e pian piano si allontanavano insieme, sempre di più dal liceo.
Manuel sentì d'improvviso la rabbia caricare dentro di lui. Come caricato a pallettoni, iniettato di qualche sostanza strana o un treno in corsa, scese a grandi falcate gli scalini, afferrò le chiavi dentro la tasca del giubbotto, le infilò nel quadro del motorino e una volta sentito il rombo del motore partì, senza neanche infilarsi il casco. Guidò in maniera sporca, come mai aveva fatto prima. Lo zaino era ai suoi piedi, stretto e tenuto con i pochi muscoli che si ritrovava alle caviglie. In quello stato, aveva bisogno di sfogarsi, non sarebbe bastato riversare tutto nell'acqua salata dei suoi occhi. Manuel doveva reagire, doveva scaricare, doveva evitare di pensare. Pensare faceva male, gli ricordava ironico il suo cervello.
Sorpassò due macchine davanti a lui, impassibile anche a una parolaccia che gli venne gridata da un passante che lui non vide mentre attraversava le strisce pedonali. Non gli interessava.
In meno tempo del previsto, arrivò all'officina, parcheggiò in modo approssimativo il veicolo, tirò su lo zaino. Entrò dentro il suo luogo di svago, o comunque dedicato al suo tempo libero, buttò il peso morto di libri che aveva ancora appresso e afferrò il primo pezzo di ferro che trovò a disposizione. Si scagliò contro un paio di cataste di legno, accanto ad alcuni pezzi di ricambio. Le ammaccò, il pezzo di ferro si incastrò nella fessura e lo liberò subito, mirando in modo secco. Spaccò le casse in due soli movimenti. 
Poi passò a delle chiavi inglesi, degli attrezzi, bulloni, piccoli seghetti che trovò appesi alle pareti. Queste vennero colpite con così tanta violenza che al primo colpo, finirono a terra con i chiodi che le tenevano, producendo un rumore assordante. Trovò delle scartoffie, forse progetti di macchine o comunque disegni di moto che lui stesso aveva scarabocchiato e li strappò uno ad uno in tanti piccoli pezzi.
Non contento si ritrovò contro la scrivania che usava come tavolo da lavoro.                                                                                              
Proprio lì Simone lo aveva aiutato per i pezzi del motorino. E lì gli aveva tatuato la pelle. E lì ancora, gli aveva spiegato la differenza tra le varie potenze di cavalli di un motore.
A Manuel non sarebbe bastato però il misero pezzo di ferro che aveva tra le mani.
Alla parete di sinistra c'era un bastone con una punta affilata, un'ascia, ma più piccola. Decise all'istante, la prese al volo, impugnandola con forza e cominciò a picchiare il legno.

Una, due, tre, quattro volte.

Come se questo fosse un mostro a sette teste, incombente sul suo petto, sull'immagine di Simone e l'altro che aveva ancora fresca in mente.
Picchiò di nuovo, sentendo le mani arrossarsi.
Scalfì la superficie che ancora però resisteva nonostante i colpi ben assestati.

Colpì di nuovo.

Sentì le mani deboli, la presa venir meno, la mandibola dolorante per i denti digrignati. E allora urlò, urlò esasperato, sfogando tutta l'aria e la tensione nei polmoni. Urlò fino a quando non si accasciò a terra, buttando giù qualcosa che emise un rumore sordo, metallico.
Si appoggiò alla parete stremato, mentre le ginocchia tremanti si rilassavano, cedendo al nervosismo, all'accumulo di energia ora tirata fuori.
Manuel guardò in basso a sinistra e notò l'ago, i guanti di lattice, l'inchiostro nero colato per terra lasciando una chiazza grande quanto un cerchio, la macchina che usava per i tatuaggi riversa offesa e abbandonata in un angolo, ma intatta. E allora capì. Capì che era arrivato il momento di assecondare le lacrime. Perché in un modo o nell'altro, insieme a quel caos, aveva distrutto anche parte di sé.
In quell'istante, Manuel si sentiva spezzato. Lo era.
Perché lui era innamorato di Simone. Non c'era altro motivo per reagire in quel modo.
Voleva indietro Simone, ma non come amico. Ora lo sapeva.
Voleva Simone ora che lui aveva un altro. Ora che non c'era più niente da fare.
Quando si guardò le mani per asciugarsi la faccia, vide la pelle che pompava ancora per lo sforzo, il battito che si impossessava delle sue vene. Un altro rumore coprì il flusso cardiaco, proveniente però dal suo zaino questa volta.
Manuel lo raggiunse veloce avvicinandolo con il piede, mentre un’altra lacrima sfuggiva dal suo controllo, bagnava la guancia rapida in modo da non essere scacciata nella sua discesa. Si inarcò con la schiena e appena lo toccò, storse il naso: quello non era il suo zaino. Lo aprì: e quello non nemmeno il suo cellulare. Sul telefono spuntava un altro nominativo: Simone. Sbatté gli occhi confuso.
Guardò meglio la marca: cazzo. Aveva il telefono dell'altro.
E anche lo zaino era suo.

Non è possibile.
Che scherzo del cazzo.

Manuel fece mente locale della situazione, pensò alla mattina, cercò di rielaborare il tutto. 
Poi ci arrivò: i ragazzi avevano raccolto dei soldi per il fondo cassa della classe giusto quel venerdì, durante l'ultima ora e per farlo, entrambi avevano aperto gli zaini per prendere i portafogli. Zaini che tutti in classe avevano messo ammucchiati prima del piccolo raduno intorno che portava una chiara spiegazione del motivo e scelta della raccolta stessa. Si morse forte il labbro inferiore.
Sia lui che Simone non tenevano mai le chiavi dei motorini lì, ma nelle tasche dei giubbotti o nelle tasche dei pantaloni.
Non si capiva perché, ma ai maschi non andava a genio tenerle in posti più sicuri, a loro piaceva perderle da un momento all'altro. Ecco perché lo zaino pesava, Manuel non portava mai tutti i libri per ogni materia. In tutto ciò il cellulare affianco a lui stava ancora squillando e lui doveva prendere una decisione. E in fretta.
Era Simone.
Era l'ultima persona che voleva sentire in quel momento.
Così lasciò che squillasse, fino a quando sullo schermo non spuntò il famoso "chiamata persa".
 


 
- - -
 
 

A casa, finalmente, sprofondò a letto, la posizione del suo corpo era ad x, braccia distese, gambe divaricate, testa sommersa e in continua lotta. Simone aveva chiamato almeno tre volte, ma lui non aveva avuto il coraggio o la forza nemmeno di prendere quel dannato cellulare e rifiutare la chiamata.
Sei un debole.
Inventa una scusa, anche la più stupida
.
E d'altra parte, in ogni caso, non aveva il diritto di ignorarlo: Manuel, stai proprio messo male. Quello lo aveva cancellato, era vero, ma in ogni caso non aveva fatto altro di grave, a parte l'atto di svanire come una bolla di sapone.
Nella penombra della camera, si torturava le mani, si allungava un elastico della felpa fino a stropicciarne la punta morbida.
Simone aveva il suo cellulare, ma poteva benissimo restare da lui e tenerselo, per quanto gli importava. Manuel poteva vivere anche senza, aveva pur sempre sua madre, un'officina distrutta e da sistemare. La rabbia risalì potente, recuperando l'immagine vivida di quel bel ragazzo vicino a Simone, il modo in cui in modo libero e disinvolto lo aveva baciato e tirato a lui come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Lo mandava in bestia.
Quello era inaccettabile, ma quel ragazzo sconosciuto rendeva Simone felice. Era finalmente a suo agio, si vedeva lontano un miglio dal modo in cui gli aveva sorriso davanti scuola. Chi era lui per rovinargli ancora una volta la vita?
Chi era lui per irrompere ancora nei suoi affari e togliergli l'ultima fetta di speranza?
Quando la vibrazione di quel maledetto affare ricominciò, Manuel sperò seriamente di andare al diavolo, sprofondare negli inferi ed essere inghiottito da Lucifero in persona. Finire divorato sarebbe stato meglio di quell'ammasso di sentimenti.
Inutile leggere il nome che appariva - di nuovo - sul display.
Inspirò profondamente e facendo appello all'ultimo grammo di consapevolezza e lucidità che gli rimaneva, prese la chiamata.

« Manuel, dove cazzo eri finito, t'ho chiamato tutto il giorno! »

Sobbalzò sentendo la voce dell'altro furiosa.
Me la merito.

« Non c'ho avuto il telefono vicino, Simone, scusa » mentì. Avvertiva già la voce che veniva meno. Ricomponiti, idiota.

« Hai il mio zaino, le mie cose e il mio cellulare, così, per informarti »
Simone era scocciato.

« Lo so, me ne sono accorto da poco, » mentì di nuovo Manuel « ho dovuto stare appresso a mi madre, » eccolo il tono incrinato, il petto chiuso dentro una morsa vorticosa senza uscita « scusami di nuovo Simò »

« Tutto bene? »

Non me lo devi chiedere, non ha importanza.
Devi farti la tua vita Simone, la mia ormai è andata. Almeno tu, salvati.

« Sì, tutto apposto »

« Non mi sembra, ti trema la voce »

Me trema pure il cuore, ma fa niente.

« T'ho detto che va tutto bene, Simò » non ci credeva nemmeno lui nel tono finto di convinzione che aveva usato.

« Manuel, le cazzate non le sai dire, lo sai-»

« Senti ce riscambiamo le cose domani a scuola, » s'affrettò mentre l'aria veniva meno « ora devo annà, ciao »

E scorrendo il tastino rosso, riattaccò.
 
 
 





« Che ha detto? »
Cristian era seduto a cavalcioni sul letto di Simone, mentre gli portava una mano sulla spalla.

« Ha detto che ci scambiamo tutto domani...ma era strano » Simone guardò Cristian confuso e un po' preoccupato.

« In che senso strano? »
Cristian gli accarezzò piano la schiena, per tranquillizzarlo.

« Non lo so, sembrava triste...forse è successo qualcosa con sua madre »
Sembrava spento? Cosa da non credere, quando mai Manuel dimostrava apertamente di stare male con lui, con chiunque in generale. Se quello sta a passando qualcosa di negativo, sicuramente non lo avrebbe confidato a lui, o almeno non più dopo che Simone aveva deciso di mettere dello spazio tra loro.

« Forse era solo stanco » suggerì il ragazzo che ora lo guardava fiducioso.

« Fosse solo questo, ci avrebbe scherzato su e invece sembrava... assente, come se gli fosse successo qualcosa di importante »

Proprio tu parli di assenza. Si corresse subito. È diverso, io ho dovuto esserlo con lui per non continuare a starci male. Un po' di egoismo ogni tanto tornava utile.

« Ti preoccupi troppo degli altri Simone, anche quando questi non se lo meritano » soffiò Cristian baciandogli appena le labbra. Quel piccolo tocco sembrò già far stare meglio l'altro, che lo guardò un po' meno rabbuiato, ma comunque consapevole di essere sempre stato quella persona che potevi contattare sempre, su cui potevi confidare, anche senza ricevere in cambio lo stesso trattamento.

« È la croce dell’essere me »

« Sei una persona stupenda, » lo bloccò prima che uscisse fuori un pensierino negativo e deprimente « mi è mancato questo e anche altro di te, spilungone » sottolineò.

Simone sorrise un po', quello era ormai il suo soprannome ufficiale conquistato con orgoglio nella cittadina scozzese.

« Sono contento tu sia qui »

E dicendo quello, riprese a baciarlo con Cristian che gli sfiorava il petto con i palmi delle mani aperte, i capelli biondi che sembravano di un’altra tonalità per via della luce della stanza. Mentre però le mani di Cristian disegnavano la linea della sua mascella, Simone non capiva perché pensava ancora al tono triste di Manuel. La sua testa era tutta concentrata da una parte, mentre il suo corpo era incentrato su quello di Cristian, attraente, disponibile, presente.
Quando quello lo vide assentarsi, lo guardò confuso. Simone si giustificò all'istante.

« Cristian, » mormorò sopra le sue labbra « per stasera possiamo, uhm, non vorrei che mio padre, sai... »

« Oh, sì, certo »

« Lo sai che lo voglio, » lo guardò serio Simone « ma non sono, non sono ancora pronto » deglutì. Cristian gli accarezzò la guancia, infondendogli sicurezza.

« Non voglio forzarti in nulla, lo sai, » gli baciò l'angolo della bocca e gli mordicchiò il labbro inferiore « non sarebbe giusto »

« Devo sbloccarmi ancora, su questo » confessò.

« Non ho nessuna fretta Simone »
Questa volta fu però l'altro a scoccargli un bacio più curato e deciso sulla bocca, soffiando un 'grazie' impercettibile.
 




 

Clò:
Io vi lascio con il testo e il titolo del capitolo,
meravigliosa canzone di Masini che secondo me
descrive perfettamente la relazione di questi due idioti in
pochi semplici
spazi:



Io ti volevo vivere, ma ti sapevo uccidere
Io ti volevo stringere, ma non ti sapevo prendere
Io ti volevo complice, ma ti sapevo escludere

Io ti volevo fragile e ti lasciavo piangere

Bene, diciamo che mi merito tutti gli insulti
e i premi possibili. Grazie dell'attenzione,
di dedicarmi sempre del tempo e di sorbirvi la fantastica
ma sofferta gelosia di Manuel. Ovviamente, avrà un suo
finale conclusivo perchè, non pensiate
che ci sia solo soddisfazione eh, anche io ho un cuore
che batte per lui.

 

   
 
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