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Autore: flyerthanwind    27/12/2021    2 recensioni
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La vita di Sam è quanto di più normale esista: ha una gemella che la conosce meglio delle sue tasche, un fratello con cui condivide la passione per il calcio e una squadra a cui tiene più della sua media scolastica –ma questo non ditelo alla madre!
Eppure, dal giorno in cui un vecchio amico di suo padre si trasferisce in città, la situazione prende una strana piega. Innanzitutto, le motivazioni del trasferimento appaiono strane, suo padre è strano e i sentimenti sono strani. Questo perché il figlio del tipo di cui sopra ha uno strano potere attrattivo nei suoi confronti.
Ottimi presupposti per una bella dose di disagio, non vi pare?
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Occhi analgesici

«Che razza di uomo di merda sei?!»

Le urla di Amelia giungevano ovattate alle mie orecchie a causa della porta dello spogliatoio chiusa, ma risultavano comunque perfettamente udibili; tuttavia nessuno, oltre me, parve riconoscere il tono alterato della mia gemella.

Mi vestii in fretta e furia, impigliandomi nella felpa della tuta per catapultarmi fuori e vedere cosa stesse succedendo. L’ultima cosa che volevo era che mia sorella desse spettacolo davanti a tutta la scuola e che, di conseguenza, sapessero il motivo per cui ero fuggita.

«Ti sei preparata in fretta, dolcezza, hai forse cambiato idea?»

La sua voce mi arrivò come un sussurro: lui non stava urlando, replicava con tranquillità, come se non gli importasse di nulla, e potevo scommettere che aveva di nuovo quel ghigno soddisfatto stampato in faccia. Gli avrei volentieri mollato un pugno dritto sul naso pur di farlo scomparire.

«Davvero, hai bisogno di espellere le ragazze pur di provarci con loro?» sputò ancora mia sorella, questa volta modulando i toni, evidentemente resasi conto che c’erano fin troppi potenziali ficcanaso.

Io la sentii solo perché ormai avevo aperto la porta dello spogliatoio e stavo marciando verso di loro dopo averli individuati.

«È un gesto così vile, meschino, persino per uno come te» continuò lei.

A quel punto potei vedere lo sguardo che gli stava riservando: aveva le sopracciglia leggermente corrugate, il naso sollevato e gli occhi ridotti a due fessure, la mascella rigida, i denti serrati ma le labbra aperte. Ogni muscolo del suo corpo urlava profondo sdegno e persino l'arbitro parve accorgersene, irrigidendosi sul posto.

«Fossi in te farei attenzione, potrei farti cacciare dalla squadra» proferì lui con ostentata sicurezza, ma i suoi occhi lo tradivano. Si sentiva intimorito da Amelia e ogni cellula del suo corpo vibrava nella sua statuaria immobilità. Da ciò che le aveva appena detto era chiaro che l'avesse scambiata per me, e sicuramente Amy non aveva la minima intenzione di fargli notare l'errore.

Non c'era nessuno nelle vicinanze, la squadra avversaria si trovava nello spogliatoio e i coach probabilmente a discutere in ufficio, gli spalti erano ormai semivuoti e le persone confluivano verso l'uscita principale, che per fortuna si trovava sul lato opposto.

I loro sguardi erano intrecciati, come se avessero davvero potuto incenerirsi con gli occhi. Non avevano notato nemmeno me che mi avvicinavo concitata.

Una risata profonda si librò dal petto di Amelia, facendo trapelare sarcasmo e ambiguità. Lasciò andare la testa indietro e, quando la sollevò di nuovo, la sua espressione era seria, imperturbabile. Quei suoi repentini cambi di comportamento dovevano star confondendo non poco l'arbitro.

«Credi davvero che sia il potere…» fece una pausa studiata, roteando il polso come a sminuire ciò che aveva appena detto, poi continuò con sguardo sdegnato. «…a renderti un vero uomo?»

A quel punto ero riuscita finalmente a raggiungerli, stabilendomi accanto alla mia gemella per spalleggiarla. Gli avevo puntato gli occhi addosso ed ero intenzionata a incenerirlo nonostante sentissi ancora le sue parole scivolarmi sul corpo come aveva fatto il suo sguardo viscido.

Lui mi osservò un momento sbigottito, ma si riprese in fretta. Osservò le mie guance arrossate, i capelli ancora bagnati e la tuta di rappresentanza della mia squadra, dunque comprese di essere caduto in un inganno. D'altronde non poteva aspettarsi una gemella rabbiosa e vendicativa.

«Chissà, magari con la sorella sarò più fortunato» chiosò senza togliermi gli occhi di dosso e ignorando completamente ciò che Amelia gli aveva detto un attimo prima. Ora la sua attenzione era completamente rivolta a me e, per quanto il suo sguardo mi procurasse ribrezzo, preferivo che guardasse me e non lei.

Come se potesse udire il suo nome tra i miei pensieri, Amelia mi afferrò guardinga il polso come a volermi trasmettere qualcosa. Non saprei come definire ciò che avvenne dopo: epifania, telepatia per contatto o cose da gemelle. Quando le sue unghie mi artigliarono la pelle immediatamente capii cosa voleva trasmettermi.

Il ragazzo davanti a noi aveva ripetuto esattamente la stessa frase che ci eravamo sentite dire alla gelateria prima dell'inizio della scuola, utilizzando persino lo stesso tono beffardo. Stessi capelli neri, stesso ghigno irriverente. Era indubbiamente lui.

Amelia stava giusto per replicare qualcosa di estremamente crudele e pungente quando io la precedetti, liberandomi dalla sua stretta e intrecciando le nostre dita.

«Andiamo via, non vale la pena perder tempo qui» e la tirai con me mentre davo le spalle al ragazzo e mi allontanavo. Il mio tono era stato pacifico, ma sentivo il sangue ribollirmi nelle vene. Se non altro, mi consolai, non mi veniva più da piangere.

«Avresti dovuto lasciarmi ribattere» protestò mia sorella quando ormai eravamo lontane, ma ero certa che avrebbe voluto dirmelo fin da subito. Era consapevole, però, di dover dimostrare di essere d'accordo con me, altrimenti quella patetica sceneggiata che lui aveva tirato su avrebbe sortito l'effetto sperato.

«Non ne valeva davvero la pena» soffiai a mezza voce mentre lei rompeva la nostra stretta di mano.

Stavo per domandarle perché l'avesse fatto, mi piaceva tenerle la mano e in più ne sentivo il bisogno – Amelia era sempre stata la mia forza – quando mi schioccò un bacio sulla guancia e si allontanò facendomi l'occhiolino. Rimasi a osservarla a qualche istante, sbigottita, poi la mia attenzione fu catturata da altro.

Una figura si stava dirigendo verso di me, i biondi ricci gli rimbalzavano morbidamente sul capo, sollevandosi per poi incorniciargli nuovamente il viso. Ciò che mi inchiodò sul posto, tuttavia, furono i suoi occhi blu, perfettamente visibili anche a quella distanza, sempre magnetici.

Austin si avvicinava con sguardo crucciato e aveva tutta l'aria di uno che ha assistito all'alterco da poco concluso. Sperai almeno che da quella distanza non avesse potuto udire ciò che avevamo detto, anche se sicuramente aveva notato i nostri modi ostili e belligeranti.

«Hey, tutto bene? Vi ho visto discutere con l'arbitro» andò dritto al punto. Mi scrutava con gli occhi socchiusi, quasi mi stesse studiando, e appariva sinceramente preoccupato.

«Niente di che, un piccolo diverbio» minimizzai. Ritenevo inutile raccontargli cosa fosse successo ed ero certa che, in quanto maschio, non potesse capire fino in fondo quanto attenzioni del genere fossero indesiderate.

Non che non lo ritenessi sensibile o empatico, affatto, tuttavia dubitavo che qualcuna si fosse mai azzardata a fare a lui una proposta tanto esplicita quanto sgradita, dunque diedi per assodato che non avrebbe potuto comprendere, per sua fortuna.

«Sei sicura? Sembravi piuttosto sconvolta quando sei uscita dal campo» domandò ancora con voce premurosa. Non era nelle sue intenzioni essere insistente, me ne ero resa conto e per questo avevo evitato di riservargli una rispostaccia; voleva solo accertarsi che andasse tutto bene.

In risposta gli sorrisi, riprendendo a camminare insieme a lui alla volta del parcheggio. Ormai i miei capelli si stavano asciugando al vento e non avevo intenzione di tornare a recuperare il borsone dallo spogliatoio, timorosa che qualche compagna acquistasse coraggio e mi domandasse cosa fosse successo. Anche se sorridevo e mi sentivo meglio, non potevo essere certa che catalizzare tutti i miei pensieri sul fatto non mi avesse fatto scoppiare di nuovo.

«Avresti dovuto vedere Lucas, se Boot e Jones non l'avessero trattenuto con la forza avrebbe fatto irruzione in campo» mi raccontò gli ultimi minuti della partita, mettendomi al corrente di quell'azione al novantaduesimo che aveva portato le avversarie in vantaggio e, dunque, a farci perdere la partita.

«Tipico di Lucas voler fare il cavaliere a tutti i costi» risposi ridendo e scuotendo il capo. Se mio fratello avesse saputo cos’era successo, non avrebbe esitato ad andare dall’arbitro per spaccargli quella sua faccia da culo.

Il suo istinto protettivo – incorporato con quello che lui chiamava family radar – lo portava spesso a comportarsi irrazionalmente, dunque io e Amy preferivamo tenerlo all’oscuro di alcuni aspetti delle nostre vite, tra cui la conversazione di quel giorno.

«Però aveva ragione, è stata un’espulsione illegittima» mi difese anche lui, concentrandosi sul calciare supposi per non guardarmi in viso.

«Sì, è stato uno stronzo…» confermai, ma preferii non sbilanciarmi troppo dato che la sensazione di rabbia e vergogna sembrava ancora ribollirmi nella pancia, rendendomi un ordigno pronto a esplodere.

Austin parve comprendere l’antifona e subito virò su un argomento che mi avrebbe fatto sentire meglio. «È stato fortunato che Lucas non sia riuscito a scavalcare la rete, altrimenti la partita sarebbe stata annullata.»

Per tutta risposta sorrisi, consapevole che mio fratello sarebbe stato capace di fare una cosa del genere. In effetti riuscivo quasi a immaginarlo con la tutina attillata e la maschera mentre sparava ragnatele in ogni direzione.

«Avrei pagato per vedere mio fratello arrampicarsi sulla rete in stile Spiderman» risi di gusto immaginando Kate in versione Mary Jane che si avvinghiava a lui. Probabilmente Austin dovette credermi folle, ma non disse nulla e si limitò a osservare la mia espressione alleggerirsi.

«Hai giocato una bella partita» si complimentò, avvicinandosi per colpirmi con una spallata leggera. Mi piaceva quel suo modo delicato di cercare un contatto in maniera scherzosa ma sempre accorta e rispettosa.

«Grazie, peccato che non sia bastato per vincere» soffiai a mezza voce. Ero sinceramente dispiaciuta per la sconfitta, stavamo giocando un buon campionato e perdere quei tre punti preziosi ci sarebbe costato sforzi immani più in là.

Tuttavia, dovevo concedermi il lusso della tranquillità per riuscire a ritrovare l’equilibrio e dimenticare quella brutta giornata.

«Sono certo che riuscirete a recuperare presto!» mi rassicurò, puntando quei suoi magnetici occhi blu nei miei. Io gli sorrisi di rimando, tentando in quel modo di trasmettere tutta la gratitudine che sentivo di provare nei suoi confronti in quel momento.

Chiacchierare con Austin mi aveva fatto calmare o, più probabilmente, erano stati i suoi occhi magnetici dal potere analgesico. Il sangue aveva smesso di ribollirmi nelle vene, i muscoli si erano rilassati e la linea dura della mascella si era distesa. Persino il dolore della stilettata allo stomaco si era dissipato, ormai rilegato a un fastidio superficiale che speravo sarebbe presto scomparso.

Sospirai tra me e me mentre continuavo a sorridere, ormai divertita, non potendo fare a meno di constatare che con lui riuscivo sempre a sentirmi bene.

 
   
 
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