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Autore: Joy    27/12/2021    2 recensioni
Ha due reclute accanto e il silenzio nella testa.
Uno dei due gli stringe una spalla muovendo le labbra.
Levi non lo conosce e non capisce.
L'altro sposta una alla volta tutte le macerie. Suda nel farlo, le getta lontano.
Cadono nel silenzio pure le pietre.

[Eruri, scritta per l'Advent Calendar gruppo Facebbok Hurt/Comfort Italia]
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Moblit Berner
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autore: Joy Inblue

Fandom: Attack on Titan

Personaggi: Erwin/Levi

Warning: Sordità temporanea.

 

Scritta per l'Advent Calendar, gruppo facebook Hurt/Comfort Italia

Prompt: Sordità.

 

12° giorno Writeptember:

Prompt: X perde uno dei cinque sensi.

 

 

 

 

Non verbal cues

 

 

 

Grida e non sente niente.

Grida di nuovo, perché le macerie detonate con l'esplosivo gli bloccano una gamba e non ha speranza di liberarsi da solo con quel braccio piegato di un'angolatura sbagliata.

Ha due reclute accanto e il silenzio nella testa.

Uno dei due gli stringe una spalla muovendo le labbra.

Levi non lo conosce e non capisce.

L'altro sposta una alla volta tutte le macerie. Suda nel farlo, le getta lontano.

Cadono nel silenzio pure le pietre.

La pressione sulla sua gamba muta, il suo ginocchio urla in fitte di dolore. Quelle le sente.

Il ragazzo che ha lavorato per liberarlo sembra sollevato, prova a metterlo in piedi, si passa il braccio buono sulle spalle e Levi glielo dice -anche se non sente la sua stessa voce- che è inutile, le gambe non lo reggono.

Tornano a terra.

Quello esita. Si ferma indeciso, lo guarda e muove le labbra. Ma non fanno rumore.

C'è una nube di panico che gli annebbia i sensi rimasti: Levi non sa nemmeno più quali siano, annegati nell'andirivieni frenetico che si sta formando attorno a lui, senza che possa prevederne la provenienza.

Due mani si posano ai lati della sua testa, non le ha sentite arrivare e non sa di chi siano.

Grida.

L'ha fatto?

O forse no.

La quattrocchi compare dalle sue spalle, con le mani alzate in segno di resa.

Indica il braccio e la gamba feriti, piega le labbra in un richiamo che Levi è sicuro, gli perforerebbe i timpani, se non l'avesse già fatto l'esplosione.

S'immobilizzano tutti tranne lui, volgono la testa verso la parte ancora integra di quel deposito di gas che per poco non gli è franato per intero sulla testa, con l'attenzione rivolta a qualcosa che per lui non ha avuto suono.

Lo vede però, sebbene abbia contorni sfocati dalla nebbia che non riesce a scacciare dalla sua testa; vede il caposquadra che gli ha promesso il cielo, mentre corre verso di lui e s'inginocchia come ha fatto nella fogna dove lo ha trovato.

Le sue labbra si muovono poco e quelle parole mute non sono rivolte a lui -per fortuna, perché tanto non le capirebbe- per lui c'è una mano protesa che si avvicina lentamente ai suoi capelli e li sfiora, e Levi riesce a vederla arrivare.

C'è un sorriso calmo, una stretta rassicurante sulla spalla e nessun allarme nello sguardo.

Gli passa un braccio attento dietro la schiena e l'altro sotto le ginocchia, e lo solleva.

C'è silenzio per tutti adesso e non solo per lui, Levi lo sente nelle schiene girate che si allontanano.

Posa la tempia contro il suo petto, perché è stanco e quella bolla di silenzio comincia a spaventarlo.

Perché sente il battere vigoroso di un cuore proprio sotto la sua tempia.

E quella è l'unica cosa che fa rumore.

 

***

 

Sulle pareti dell'infermeria rimbomba un fischio costante.

O forse è nella sua testa, Levi non è sicuro.

In ogni caso è consolante riuscire ad udire qualcosa dopo il silenzio in cui l'ha scaraventato l'esplosione.

Erwin però non sembra avvertirlo: non si muove e non ne cerca la fonte, si limita a rimanere al suo fianco e a smorzare la tensione che gli scorre sotto pelle con il solo ausilio di un palmo caldo tra le scapole.

E se Erwin non lo sente, allora non può esistere.

Ne è abbastanza sicuro.

Le labbra di Hange che si muovono senza che possa udirne le parole, confermano che non tutti i suoni sono tornati. Anzi, non ne è tornato alcuno, ad eccezione di quel fischio che -adesso è chiaro- risuona solo nei coni doloranti delle sue orecchie.

Qualsiasi consolazione si sia illuso di provare, è già scomparsa.

Controlla il respiro e si concede una posa meno difensiva solo perché il pollice di Erwin, con le sue carezze a mezzaluna e i suoi colpetti lievi, riesce a sostituire buona parte dell'udito che ha perduto: può permettersi di chiudere anche gli occhi, se Erwin è la sua ancora.

La pressione della sua mano tra le scapole cambia appena in tempo perché il tocco leggero sul suo braccio ferito non giunga completamente inaspettato.

Levi snuda i denti e soffia lo stesso, mentre mette a fuoco il volto concentrato di Hange chino sul suo arto.

“Tieni quelle tue manacce lontano da me, Quattrocchi di merda!”

Aggiungerebbe anche che fa male, ma non sa se le sue parole sono udibili: lui l'ha pronunciate con quanto fiato aveva in gola, ma non le ha sentite risuonare nella stanza.

La mano di Erwin che deposita colpetti tranquillizzanti sulla sua schiena gli dice che : si sono sentite forti e chiare. Pure quelle che non ha detto.

Solleva lo sguardo verso di lui e lo trova intento a confabulare con Hange; prova a capire e rinuncia subito: il fischio nella sua testa spegne ogni tentativo di concentrazione.

Erwin annuisce ad Hange e rivolge a lui un sorriso incoraggiante: a Levi non sembra un buon segno.

Non lo è neanche la mano che lascia planare sul suo petto: è troppo pesante.

Levi sente il proprio cuore martellargli contro, prima ancora di scorgere la siringa comparsa tra le mani di Hange.

Il respiro si raccoglie nei suoi polmoni, non riesce a buttarlo fuori, la mano buona si stringe contro il suo volere attorno alla stoffa della divisa di Erwin; vorrebbe muoversi ma non riesce a farlo, bloccato com'è tra i suoi palmi e con metà degli arti maciullati.

“Stammi lontana!” grida, quando la siringa si avvicina al suo braccio.

E prova a sfuggirgli, anche se le dita di Erwin sono irremovibili, anche se il dolore gli esplode in tutto il corpo, facendogli digrignare i denti e ruggire di rabbia.

Erwin solleva una mano e lei fa un passo indietro.

Ha le spalle circondate dal suo braccio, adesso, e il viso contro il suo collo. Quando è successo?

Hange gli agita davanti la fiala dalla quale ha riempito la siringa e picchietta insistentemente con l'unghia sulla scritta che la decora; Levi vorrebbe farle notare che non è ancora disinvolto con la lettura e quand'anche lo fosse, dubita che quel nome possa significare qualcosa per lui.

“Lasciami in pace!” sbotta esasperato, distogliendo lo sguardo, ma la spalla di Erwin non basta a schermarlo dalla sua insistenza.

Qualcosa però lo fa, perché Hange indietreggia, si volta verso la porta e posa gli attrezzi sul tavolo dell'infermeria.

Levi sospira, le braccia di Erwin allentano la presa e lo adagiano contro la testiera del letto.

“N..non and..”

Non andare, gli vorrebbe dire.

Ma Erwin si allontana solo per afferrare un bicchiere d'acqua e porgerglielo con espressione serena. Non si è arrabbiato.

La sua mano però continua a tremare: qualche goccia d'acqua sborda e bagna i pantaloni della divisa: Erwin non ci bada e la stabilizza coprendola con la sua.

L'acqua scivola ristorando la sua gola irritata, ha inalato la polvere sollevata dal crollo senza rendersene conto; beve fino all'ultima goccia e quando lascia il bicchiere nella mano di Erwin, quello lo trasferisce prontamente tra quelle di Abel accompagnandolo con un movimento di labbra che Levi può solo intuire.

“E..Erwin...” azzarda, sperando di non suonare patetico. “Del tè”

L'angolo delle sue labbra che si alza rivela che quello è esattamente l'ordine appena impartito.

L'attenzione di Erwin si sposta. Segue il suo sguardo e scopre che l'assistente di Hange è entrato nella stanza: non se ne era accorto.

Gli sta bene, a patto che tenga la quattrocchi lontano da lui.

È di lui che stanno parlando, però, Levi riesce ad intuirlo dagli sguardi fugaci che entrambi gli rivolgono e dal modo in cui Erwin interviene: il suo sguardo serio non gli piace.

Il broncio della quattrocchi invece è abbastanza soddisfacente, deve ammetterlo, la mano di Moblit Berner però sembra in grado di mitigarlo.

Una fitta di dolore gli attanaglia la gamba e lo fa piegare su se stesso.

“Cazzo!” grida e continua a sentire sempre e soltanto quel fischio assordante che adesso minaccia di trapanargli il cervello.

Le mani di Erwin tornano su di lui, quella tra i suoi capelli ne placa le fitte. Levi vi si appoggia e chiude gli occhi.

Quando li riapre Moblit è seduto a lato del letto e muove frenetico la matita sul blocco che sostiene col braccio.

Levi gli lancia uno sguardo sospetto e quello ricambia facendogli cenno di attendere.

Il ritratto che prende forma sotto le sue dita gli somiglia, ma ha un volto rilassato e non contratto dal dolore: la freccia che sposta il suo sguardo sul margine del foglio indica lo schizzo di una siringa.

Moblit glielo mostra, senza aggiungere parole che sarebbero cadute nel silenzio.

“È un sedativo?” chiede e non sa se la sua frase suona davvero come una domanda, ma Moblit annuisce con impeto e anche Erwin lo fa, lasciando trasparire un sollievo che rivela la tensione tenuta nascosta.

“Va bene” accorda e sente la mano di Erwin stringersi attorno alla sua.

Hange si avvicina questa volta a passi lenti, si accerta di avere la sua attenzione prima afferrare di nuovo la siringa e avvicinarsi al braccio sano. La mano di Erwin glielo consegna.

Disinfetta l'area in modo clinico e le sue labbra rimangono ferme. Lo sono anche le sue mani, per la verità, Levi sente a malapena l'ago che lo punge.

Il calore del sedativo che entra in circolo invece lo travolge: ridimensiona il suono che gli tormenta le orecchie e anche il dolore nei suoi arti malridotti si attenua.

La mano di Erwin che scorre tra la nuca e la schiena gli sta chiedendo di rilassarsi, ed è l'unica che tenta di comunicare con lui: Levi ne è sollevato.

Coglie un movimento sul lato destro, dove la matita di Moblit traccia nuove linee frenetiche su di un foglio bianco.

Lo guarda, perché quello è l'unico modo in cui riesce a capire cosa sta per succedere.

È di nuovo il suo volto, quello che si forma sulla carta.

La matita rallenta, Moblit solleva la testa e lo guarda intensamente, poi corregge la curva che rappresenta la sua bocca: la volta verso il basso e aggiunge una lacrima per ognuno dei suoi occhi.

Quando gli mostra le modifiche, avendo cura d'indicare ripetutamente il braccio fratturato e le attrezzature per steccarlo, la sua espressione è greve e concentrata.

Nel sottosuolo non si usa avvisare prima, se una procedura medica risulta dolorosa, anzi, normalmente si mente.

Levi vorrebbe ridere e invece sbotta.

“Non piangerò di certo, razza di idiota! Fai il tuo lavoro.”

Il petto di Erwin che vibra di quella che sembra una risata trattenuta, gli fa capire che forse il suo tono è risultato leggermente stridulo: gli scocca un'occhiata furente proprio mentre gli occhi di Erwin s'inclinano verso il basso, come a volergli chiedere scusa, e i suoi palmi si fanno più decisi.

Levi non è sicuro, perché il sedativo rende confusi anche i sensi che gli sono rimasti, ma ha la sensazione che voglia tenerlo fermo.

Seduto su un angolo del suo stesso letto, Moblit ha già tra le mani il gomito e il polso del braccio ferito.

Non sente granché, sul momento.

Arriva tutto insieme: la tensione esercitata sull'arto e il dolore innescato dalla manovra, gli incendiano ogni nervo.

Spalanca la bocca, ma si scorda d'incamerare aria.

Non pensa di aver gridato, stavolta: non ci è riuscito.

Però le sue labbra sono finite sulla clavicola di Erwin: può sentire il sapore salato della sua pelle e l'odore del grezzo sapone militare; è stata la mano sulla sua nuca e spingerlo lì, e lì lo tiene, non gli permette di allontanarsi.

Quella presa si allenta gradualmente, di pari passo alla morsa del dolore e quando Levi riesce a voltare il viso, la steccatura del braccio e già a buon punto.

Ha due cuscini che lo sostengono ora, e il dolore si sta diradando.

Anche il fischio si affievolisce e Levi comincia ad avere sonno. E freddo.

Rilassa le spalle e si appoggia alla testiera del letto chiudendo gli occhi: la mano che gli interroga la fronte non è quella di Erwin.

Non importa, gli sembra di sentire un fruscio sotto il sibilo ovattato, di stallo nelle sue orecchie: deve essere quella coperta di lana che improvvisamente lo copre.

Solo la gamba resta fuori e le mani di Moblit sono già lì.

S'irrigidisce, non può farne a meno, anche se Erwin si premura d 'indicargli il primo disegno, quello con il volto rilassato.

Levi finge di credergli; vorrebbe parlare, ma non sa se e come escono le sue parole ed è troppo stanco per qualsiasi cosa.

Riesce a fare un'eccezione solo per il tè, il cui profumo gli giunge ora unito a quello di Erwin e non saprebbe dire quale dei due trovi più calmante.

Il liquido caldo che gli scorre nella gola lo ripara, non sente più nemmeno la mani di Moblit che procedono a steccargli la gamba.

Sente quella di Erwin tra i capelli però, e un ronzio di cui non capisce la fonte

Dagli occhi socchiusi riesce a vedere il volto di Hange, di nuovo vicino a lui: le sue labbra si muovono scandendo il tempo di quel brusio.

Forse è lei, pensa. Del resto è sempre stata fastidiosa come una zanzara.

Prova a dirle di concedergli una tregua, apre la bocca per farlo, ma non riesce più a capire se sta parlando davvero o se la sua testa formula parole che in realtà non pronuncia.

Rimane immobile con le labbra socchiuse finché Hange non gli afferra la mano e gliela guida contro la gola incitandolo a parlare con una serie di gesti.

“Ma cos-” sbotta Levi e il riverbero di quelle poche sillabe sulle corde vocale, vibra anche sulle sue dita.

Hange annuisce euforica e lo incita a parlare ancora, ma adesso che ha di nuovo la certezza di possedere una voce udibile, Levi non sa come vuole usarla, non sa a cosa dare la precedenza in quel calderone di pensieri che lo stordiscono.

“Erwin...?” chiama d'istinto, senza pensare, perché si è allontanato -anche se solo per posare il bicchiere- e lui non vuole sprofondare nel sonno da solo.

Sente il fremito che il suo nome trasmette alle corde vocali, sui polpastrelli: è rassicurante.

Più di Hange che, seppur risolutiva con le sue idee, continua a ronzare contro il suo orecchio.

Erwin gli rivolge un sorriso benevolo e torna a sedere al suo fianco, poi afferra la sua mano e la trasferisce sulla propria gola.

Il “dormi, resto con te” gli vibra sulle dita e forse anche un po' nelle orecchie che ricominciano a funzionare, Levi non è sicuro. Sprofonda le spalle nei cuscini e chiude gli occhi.

Lascia però la mano lì, sulla gola di Erwin, nel caso in cui lui voglia parlargli di nuovo.

Per non rischiare di non sentirlo.

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

  
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