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Autore: Angel TR    28/12/2021    4 recensioni
Will we be able to meet at the next station?
Le stazioni gonfiano le narici con il loro tanfo di umidità mista a sudore freddo, di anime che si accalcano, di chiacchiere del più e del meno, a volte molto meno che più, del ciclo della vita che fugge, frettolosa, andando incontro alla morte.
{Partecipa alla Challenge "Solo i fiori sanno" indetta da Pampa313, "I like that quote, said the month" indetta da Mari Lace sul forum di Efp ed è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce più la penna}
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Always In My Head.'
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1. Agrifoglio: eternità.
Speranza? La speranza può essere una forza potentissima. Forse non c'è vera magia in essa, ma quando sai quello che speri di più in assoluto, e lo custodisci come una luce dentro di te, puoi far accadere le cose, quasi come una magia. {La chimera di Praga, Laini Taylor}


La Stazione


Perso tra i bambù,
ma quando spunta la luna:
ecco la mia casa.
Kobayashi Issa


Queste stazioni sono dei luoghi affollati, a volte rettangolari, a volte ovali, ma sempre disegnati dalla mano di un qualche architetto che promette grandi progetti rivoluzionari e, alla fine, no, nessuna rivoluzione, nessuna soddisfazione, sono solo degli edifici, dei blocchi, che occupano una buona porzione di periferia – che sia centrale o provincia, il pezzo di città si trasforma automaticamente in periferia e ne assume le caratteristiche.
Le stazioni gonfiano le narici con il loro tanfo di umidità mista a sudore freddo, di anime che si accalcano, di chiacchiere del più e del meno, a volte molto meno che più, del ciclo della vita che fugge, frettolosa, andando incontro alla morte. Dei tali edifici quasi sembrano – il verbo "essere" non è adatto al luogo – dei mondi a sé; conservano la solidità delle costruzioni antiche che, quasi ancorate alle viscere della terra, svettano come immobili reperti in mezzo alla modernità. Lo scalpitio dei passi, lo sferragliare dei treni, il fruscio lontano di una burrasca, lo sballottamento da un corridoio all'altro, volti che si fanno compagnia solo fino alla prossima fermata.
Nel frattempo, tu, ombra solitaria, ti guardi intorno; il tuo animo vaga tra uno stato di fibrillazione e uno di ansia divorante.
Ogni stazione, per quanto sfoggi un vestito diverso per l'occasione – la prepotenza del barocco in quelle opulenti dei grandi centri, la decadenza delle malandate ferrovie nelle periferie della vita, il vago sentore di accoglienza e l'essenziale architettura delle piccole stazioni che sembrano fluttuare nel nulla di un'esistenza semplice e tranquilla –, possiede in comune con le altre tutte queste qualità, queste virtù, se così dir si voglia.
Le banchine sono grigie e solitarie, i tabelloni segnalano gli orari con scritte di una sfavillante allegria che potrebbero far storcere il naso a qualcuno e far sorridere qualcun altro. Si intervallano tra di loro i binari, robusti pali di ferro il cui solo compito è assistere la vita affinché scorra fluida; badate, spesso e volentieri potrebbe esserci qualche intoppo di troppo. Le vetrate in cima, rannicchiate tra la parete di mattoni e il soffitto lievemente arcuato, lasciano appena intravedere la fosforescenza delle grigie mattinate di nebbia.
A ogni cambio, tu galleggi, ambulante, tra la folla, trattenendo la nostalgia per un tempo che non hai nemmeno vissuto mai e una consunta malinconia che ti sta drappeggiata addosso come una vecchia vestaglia, così incollata da parere la tua ombra, nonostante tu la nasconda sotto un velo di finta curiosità per le novità. Essa vuole afferrarti la mano per trascinarti con sé – e, ogni tanto, tu vorresti avvolgervi le dita e finalmente dare le spalle al prossimo treno, per sempre. Questo susseguirsi di riflessioni e torture mentali si ripete a ogni stazione; vagheggi immergendoti nei pensieri che si sfilacciano come spuma fra le dita, fin quando i tuoi occhi incontrano finalmente – non sapresti contare il numero dei momenti in cui questo piccolo, insignificante evento di proporzioni bibliche si è ripetuto – i suoi, lontani.
Ogni singola volta, è l'ardente speranza di ritrovare quelle iridi che possiedono una calma dal sapore mistico, quasi ultraterreno, che ti spinge all'inseguimento delle loro tracce tra una fermata e l'altra.
In mezzo a quelle schiere infinite di anime vagabonde, in quella moltitudine di visi soffusi, visi confusi, il suo appare sorprendentemente nitido, fermo, chiaro. Non possiede la fievolezza degli spiriti né traballa mai, a dispetto del tumulto a cui è sottoposto. I suoi occhi cangianti emergono da un fondo di immagini confuse che hanno l'evanescenza di una pellicola d'annata e, in un battito di ciglia, sono capaci di dipingerla con violente pennellate di colore, arricchirla di vivaci e vibranti sonorità, di far sbocciare nuove sensazioni e potenti emozioni e di trasportarla verso un livello di qualità che non sembrava possibile fino a un battito di ciglia prima.
Allora finalmente sorridi e un po' di quella amarezza di contorno si dissipa, lasciando spazio a girandole di vitalità frizzantina.
E, così, da brava anima in attesa del prossimo convoglio, smetti di aggirarti come uno spirito in pena e trovi la forza di andare avanti nell'ennesima stazione la cui temperatura resta sempre e comunque tiepida, quasi insipida, sfregando tra le mani trasparenti le tracce di quegli occhi per tenerti al caldo nella folla.
A volte ti chiedi se è quel volto a dare un senso alla tua esistenza, a spingerti a precipitarti da un treno all'altro per far sì di avere l'opportunità di rivederlo.
A ogni stazione.
A ogni vita.
E sono i suoi occhi che cerchi ancora una volta mentre ti accomodi su un sedile di pelle mangiucchiata dalle tarme vicino al finestrino rigato dalla pioggerellina e ti rincantucci per far spazio ad altri viaggiatori scombussolati che si accalcano nello scompartimento. Il treno – il tuo prossimo treno – lancia un fischio acuto mentre si prepara per lasciare la stazione ancora una volta. Speri che almeno adesso o in un altro momento, o quando sarà il caso, qualche dio misericordioso ascolti le tue preghiere e lasci che quella figura che possiede la saldezza del per sempre abbia timbrato il tuo stesso biglietto e che sia salita sul tuo stesso vagone. Speranza? La speranza può essere una forza potentissima. Forse non c'è vera magia in essa, ma quando sai quello che speri di più in assoluto, e lo custodisci come una luce dentro di te, puoi far accadere le cose, quasi come una magia.
Ed è quest'ultimo desiderio ad accompagnarti all'uscita di quella stazione, allorché la locomotiva sorpassa il cartello che indica l'uscita. Anche quando la febbrile intensità della tua chimera inizia a sfumare in cenere, lo sferragliare delle rotaie sempre più veloce come melodia di sottofondo, continui a far saettare lo sguardo tra i cappotti, da quelli più consunti a quelli più eleganti.
Poi il nulla; il pensiero è sempre più lontano, ruzzola dalle tue orecchie fino a essere sputato insieme ai vapori dal fumaiolo nell'aria rarefatta dove sfuma, si dissolve tra le nubi – finché ritroverà il canale del tuo udito dove si rinfilerà di nuovo, qualche anno o decennio o eternità più tardi.
Intanto, il treno ha abbandonato la stazione.

Will we be able to meet at the next station?
The face I have missed
Or maybe we will meet in the next world
The place I've never left
IU - The Station


N/D: è incredibile come IU mi legga nel cervello e pubblichi giusto giusto una clip di questa meravigliosa canzone.
La stazione come luogo di passaggio dalla vita alla morte e viceversa è una metafora molto usata e c'è un motivo se è così. La trovo molto appropriata. In questa storia, le stazioni sono molteplici perché rappresentano il rito di reincarnazione dell'anima. Quest'anima in particolare è alla ricerca di un'altra che però è inafferrabile, chissà, forse non appartiene nemmeno al nostro mondo perché, in tutte le sue vite, non l'ha mai veramente incontrata se non di sfuggita, eppure è capace di dare un senso a tutta la sua vita, un senso di appartenenza. Ho volutamente evitato aggettivi che mi costringessero ad attribuire un sesso alle due anime affinché si adattassero alle fantasie e alle storie di chi legge.
Alla prossima, miei prodi lettori fantasma!
Angel

  
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