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Autore: KaienPhantomhive    28/12/2021    0 recensioni
[Aggiornamenti Settimanali | -1 Capitolo alla fine | Seguito de: "EXARION - Parte I"]
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La battaglia di Varsavia ha mostrato al mondo la forza del Quarto Reich Lunare. Ma la sete di potere non conosce limiti, da parte di nessuno. Nuove Divinità Metalliche attendono di essere risvegliate, e nuovi Contratti aspettano le loro anime come pegno. Fino a che punto può spingersi il desiderio di distruzione reciproca degli uomini? Ha senso ostinarsi a concludere una guerra, se è destinata a ripetersi per sempre?
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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25.

Le Stelle

 

Gli archi elettrici che danzavano all’interno del pennacchio di scarico dei motori spaziali lasciarono il posto ad anelli e fiamme coniche bluastre, al culmine della fase di riscaldamento.

Un vento rovente di combustili criogenici agitava fronde di alberi e carta straccia abbandonata per le vie adiacenti le piattaforme di decollo delle tre Machine. Agganciato con un’inclinazione di settantacinque gradi alla rampa di lancio nella zona aeroportuale, il Raròg condivideva la loro attesa.

In mezzo alle voci dei tecnici che scandivano le operazioni preparatorie per il decollo si aggiunse quella del Capitano McCoy: “Il nemico ha superato ogni altra contromisura. Arrivati a questo punto passa tutto nelle vostre mani.”

Nataša ed Aaron, ai quali la nudità dell’abitacolo garantiva almeno il dono della scioltezza, erano calati nel muto raccoglimento che avrebbe dovuto dare loro la lucidità necessaria ad accendere mentalmente i propulsori delle loro Unità.

“Attenetevi al piano che abbiamo elaborato. Noi cercheremo di offrirvi tutto il supporto di cui siamo capaci.”

Miša, costretto a testa in giù dalla posizione, saggiò la vivacità dei motori dando carburante un paio di volte.

Amber McCoy, semi-sdraiata sul sedile munito solo di quattro leve e una di una serie di menù virtuali lungo le pareti-schermo della Synchro Chamber, finì di calcarsi in testa il casco dall’ampia visiera, che notò con piacere essere migliore e più leggero rispetto quello del suo primo test. Tubi gommosi di un arancione fosforescente le collegavano polsi, caviglie e collo al retro dell’abitacolo.

“Soldato McCoy. Amber.” – la finestra di dialogo le si aprì in un angolo del casco – “Conto su di te per condurre l’operazione in campo.”

“Sissignora.” – rispose senza il minimo segno di inquietudine e sul suo casco si accese a caratteri luminosi la parola - ONLINE -.

“Che Dio vi protegga. Grazie!”

Le gru e gli altri veicoli militari circostanti si fecero da parte.

“Settimo battaglione delle Nazioni Unite, Divisione Mezzi Speciali: lift-off!”

E decollarono all’unisono.

Tre colonne di fumo e fiamme, che dalla città svuotata si innalzavano nel cielo notturno sotto un cupo rombo di motori.

Gli occhi vacui di Na-El, sul tetto dell’albergo in Union Square, sembrarono poterli seguire davvero, e, con lei, anche tutto il mondo rimase a guardare.

 

Nel bunker sotto casa Novikov, madre e figlio erano stretti sul divano con gli occhi fissi sul teleproiettore, rivolgendo ogni loro pensiero alla ragazza che si nascondeva all’interno del gigante nero e che ora stava per toccare le nuvole. Edvard Novikov, dietro la parete della stanza in cui la paura, il rimorso e il senso di impotenza lo avevano costretto fin dal suo rientro a casa, volse gli occhi a un cielo nascosto dal soffitto e, serrando i pugni, lanciò la sua provocazione finale a quel Dio a cui tutti riservavano una supplica al momento del bisogno: Io non mi sono mai in ginocchiato per te. Ma se davvero esisti, questo è il momento buono per dimostrarlo!

 

Il mondo scorreva e si rimpiccioliva rapido oltre gli abitacoli degli ultimi alfieri della Terra, in un’ascesa turbolenta e inesorabile che comprimeva i corpi dei loro piloti sotto il peso di macigni invisibili. Su, sempre più in alto, finché i contorni della città divennero quelli della California e poi dell’America stessa e le nuvole divennero solo un tappeto lontanissimo.

I motori si arrestarono di colpo, senza bisogno di comandi.

“Altitudine raggiunta.” – annunciò Amber – “Passaggio a sistemi di movimento newtoniano. Procedere al jettison dei componenti extra.”

Le viti e le giunture che legavano i Solid Rocket Booster alle Unità si separarono automaticamente, e getti di idrogeno li espulsero del tutto. Solo due fasci di propulsori rimasero agganciati ai fianchi di Irriadiance e le estensioni protesiche delle ali e delle code del Raròg.

Per un momento, ci fu solo pace. Una pace mortale, sospesa tra i resti distrutti di apparecchi spaziali.

“Siamo davvero…” – balbettò Aaron – “…nello Spazio?”

Se qualcuno gli avesse chiesto, anche soli pochi mesi prima, dove si sarebbe visto tra cinquant’anni, l’orbita terrestre non sarebbe stata nemmeno considerata.

“Però dov’è il nemico?” – chiese Miša, frugando con lo sguardo in mezzo alla prateria di detriti, ma la risposta non tardò ad arrivare.

A circa un chilometro e mezzo più a Ovest di loro, l’ammasso accartocciato di pannelli solari e parabole che avrebbe dovuto costituire il settore destro dell’ISS si disgregò, scoprendo il Nidhoggr dalla sua tana.

Accortasene, Amber lanciò un “Attenti!” e – troppo di fretta per indossare i guanti di velluto – scalciò via Bragjantyr con forza, evitandogli di finire liquefatto da un laser entrante.

“Eccolo lì! Assumete le posizioni stabilite!” – ordinò la ragazza al resto della squadra, che, secondo il piano ripassato mentalmente fino alla nausea nelle ultime ore, si disperdeva in quattro direzioni opposte – “Unità Nera, tu e io occupiamoci dell’attacco a distanza! Unità Bianca e Unità Rossa, puntate ad abbattere le armi del nemico!”

Le giunse la risposta affermativa di entrambi i piloti russi, ma soltanto la loro.

“Alford, hai capito?! Alford!”

 

Ancora sotto l’effetto della spinta ricevuta, Bragjantyr capriolava a peso morto come una bambola di pezza, sempre più lontano da loro, urtando lamiere spaziali. Difficile per Aaron articolare alcuna risposta sensata, nello stato di iperventilazione in cui era piombato. Il cuore gli pulsava nelle orecchie al ritmo degli impatti contro la corazza della sua Unità, otturandole dai commenti degli analisti collegati dal campo base, che blateravano esagitati di “Battito cardiaco iper-accelerato!” e “Fallimenti nel tasso di sincronizzazione provenienti dall’ippocampo!”.

È quello il nostro nemico? Qualcosa di così gigantesco? È mostruoso, spaventoso! Come mai potrei farcela? E così che morirò? Nello Spazio, a bordo di questo coso? Non ha senso, non ha il minimo senso! Non ce la faccio, non ne sono capace!

Bragjantyr si schiantò contro un rottame di satellite abbastanza grande da poterlo fermare.

 

Schivando le raffiche provenienti dai mitragliatori inferiori, il Raròg di Vasyljev sfrecciò sotto il Nidhoggr.

“Non ha aperture visibili!” – esclamò irritato mentre sei missili appena sganciati facevano esplodere una torretta. Lo superò e, con una virata a sinistra per spostarsi sull’altro fianco, rilasciò altri quattro missili verso una delle torrette posteriori, che però – con suo sommo disappunto – si retrasse all’interno del corpo principale, senza ricevere danni. Il ragazzo imprecò nel suo idioma.

Freya, portandosi oltre la testa del nemico, fece fuoco con la coppia di fucili automatici XLFN-F2049 affidatele, ma i proiettili rimbalzarono contro il suo rivestimento. Il torso della Machine gigante si incurvò e, con movimenti lenti e grotteschi, sollevò un braccio per proteggersi il cranio.

Irritata dal fatto che il collega inglese si stesse dimostrando inutile, Amber si lasciò andare a uno schiocco di lingua e diresse Irradiance attraverso il campo di detriti. Atterrò sul satellite su cui Bragjantyr giaceva e vi si ancorò snodando due rostri dai calcagni. Aaron sentì sulla sua pelle la mano meccanica di Irradiance che scuoteva energicamente la spalla della sua Unità.

“Ehi, Alford!” – quel gesto lo riportò a una parvenza di lucidità – “Che ti prende adesso?!”

“Non ce la faccio!” – si prese la testa tra le mani, vietandosi di guardare la battaglia che si stava consumava– “Non posso combattere contro un mostro simile, non posso, non po-”

“Questo non è il momento per farsi prendere dal panico!”

“Voglio tornare a casa, non voglio restare qui, non-”

“A casa non ci puoi tornare e nessuno qui ha tempo di farti da baby-sitter!” – quest’ultimo rimbrotto riuscì almeno ad ammutolire il ragazzo, costringendolo a fissare inerme Freya ed Raròg ronzare come mosche intorno alla Machine nazista, troppo impegnate a fuggire dalla raffica di proiettili per poter rispondere all’offensiva.

“Ehi.” – Amber si decise ad aprire il collegamento video, che si sovrappose all’enorme testa di Irradiance sui monitor e, facendo appello a tutte le sue forze per non mollarlo lì su due piedi, cercò di regalargli un sorriso deciso – “Adesso ascoltami. Ripensa a quello che vi ho detto prima. Se qui c’è qualcuno che può tirarci fuori da questa faccenda siete tu e quella ragazza. Quello che posso fare io, almeno, sarà starvi accanto fino alla fine! Mi hai capito?”

Lui annuì. Un po’ istericamente, ma lo fece.

“Bene. Dimostra a quel tuo amico che è lui ad aver scelto la fazione sbagliata!” – così si tolse di torno la Machine bianca con una poderosa manata sulla schiena – “E sii uomo!”

Finalmente sola sulla sua postazione tattica, Amber tornò all’unica mansione che le premeva davvero in quel momento: sganciare dal booster di destra un Super-Enhanced Sniper Rifle XLXM2050 lungo quindici metri, puntare alla testa del Nidhoggr e premere il grilletto per ben tre volte, prima di riuscire a spappolare la mano copriva l’enorme testa nemica. Ricaricò il fucile e puntò il mirino verso la faccia. Stavolta il cranio si mosse verso di lei, fissandola con quegli occhi bionici, e sparò ancora con il laser. Irradiance abbandonò la carcassa di satellite con uno scarto di solo mezzo secondo, risparmiandosi di subire la stessa liquefazione.

 

Otto aperture si scoperchiarono lungo la circonferenza del Nidhoggr, mostrando una batteria di quaranta grosse punte di trivelle nere già in funzione.

“Oh, ma scherziamo!” – esclamò Miša dopo aver compreso cosa potessero essere quegli arnesi: missili perforanti a ricerca, lanciati in simultanea in un circo di scie di fumo scuro. Rapidi s’intrecciarono intorno al fighter russo, costretto a sua volta, tra virate e avvitamenti da capogiro, a rinunciare a tutti i flare e metà dei missili disponibili per ridurne il numero. Altri inseguirono la Machine di Nataša Novikov, che nonostante gli sforzi per schivarli e abbatterli a suon di fucile automatico, non poté impedire che una trivella la colpisse in pieno volto.

“Nat!” – le gridò dietro l’amico, vedendola sbalzata via.

“Sto bene!” – gli rispose, premendosi una mano sull’occhio sinistro appena indolenzito. Il visore d’ametista di Freya si era fratturato, fumante, mettendo a nudo un occhio organico, tra strati di circuiti a piastre.

Irradiance si fece strada tra i rottami di apparecchi spaziali, sfuggendo a un’altra sequela di missili che trapanavano ogni superficie d’intralcio, e sparò in volo, ripetutamente, col fucile da cecchino. Un paio di proiettili lisciarono del tutto l’obiettivo, ma alla fine anche la torretta posteriore di sinistra fu abbattuta.

Da quella distanza, il precario gioco di pistoni idraulici, che sorreggevano il punto in cui la spina dorsale del Nidhoggr si innestava nel corpo inferiore, si mostrò evidente ad Amber: “Il tronco è più esposto del resto! Concentratevi su quello!”

Un’altra raffica di proiettili all’uranio si riversarono contro Bragjantyr, in arrivo a piena velocità dall’fondo del campo di battaglia, e ne crivellarono il grande scudo bianco. Lo mollò da parte, sfoderò una spada di luce dalla cintola e scontrandosi, più che raggiungendo, il nemico la piantò con forza sulla torretta anteriore di destra. Stupito del suo stesso risultato, Aaron realizzò che da quella posizione sarebbe bastato solo un pizzico di spavalderia in più per recidergli la spina dorsale con un taglio netto, ma un movimento del suo gigantesco braccio lo scacciò via senza sforzo. La metà umanoide del Leviatano iniziò a mulinare sul disco alla base del tronco alla stessa maniera con cui un animale fuori di sé dalla rabbia terrebbe alla larga insetti molesti.

Amber guidò Irradiance poco oltre la sommità dell’Arma Finale, ricaricando il fucile.

“Soldato McCoy, il cannone!” – le giunse l’ammonimento di sua sorella, attraverso gli auricolari – “Neutralizzalo!”

“Pensi che non lo avrei già fatto se stesse fermo un attimo?!”

Con una destrezza impensabile per una simile dimensione, la mano scheletrica del Nidhoggr afferrò al volo l’Unità arancione per la gamba destra. Amber gridò sotto le scariche di dolore che la sua tuta le trasmetteva, mentre le giunture dell’anca di Irradiance davano cenni di rottura e i propulsori all’idrogeno continuavano a spingere in senso opposto. La pilota selezionò più in fretta che poté una configurazione dal menù olografico al suo fianco: la mano destra del suo robot si retrasse dentro l’avambraccio e un paio di lame a cesoia si snodarono al suo posto. Tentò goffamente di tranciare un paio di dita che la stringevano, ma la corazza si mostrò tanto coriacea da spezzare le forbici, prontamente rimpiazzate da un’altra lama a serramanico iper-surriscaldata. Gliela piantò nel metacarpo, sprizzando scintille, ma non avrebbe mai fatto in tempo a liberarsi, se non fosse stato per la Machine della Russia, che tranciò di netto l’enorme polso con un singolo colpo di spada potenziata al VRIL.

“Sto iniziando a capire solo ora come funziona!” – ammise Nataša, anticipando qualunque possibile osservazione a quella novità.

La sua capacità di visualizzare mentalmente gli armamenti di cui aveva bisogno era decisamente messa alla prova della frenesia della battaglia. Nonostante questo, però, sentiva che un istinto innato si stiracchiava dentro di lei, guidandola. Non era come quella notte al lago e nemmeno come a Varsavia. Essere finalmente consapevole della natura e delle possibilità del VRIL che muovevano quella macchina – no, quell’essere – non la spaventava e quelle armi e quei movimenti ora non le sembravano più separati dalla sua volontà. Al contrario, per la prima volta da quando era stata costretta a salirvi a bordo, si sentiva finalmente padrona delle redini di Freya.

 

*   *   *

 

Golgotha.

 

“Abbiamo perso due artiglieri!” – comunicò l’equipaggi dell’Arma Finale.

“Poniamo fine a quest’inutile seccatura.” – disse Albrecht – “Autorizzo l’uso del Cannone Dainsleif!”

 

*   *   *

 

L’equipaggio del Nidhoggr iniziò un alacre scambio di direttive con la base lunare per dare infine vita al sogno di distruzione del Kaiser.

“Portare il Cannone in posizione di tiro! Sistemi elevatori in funzione. Abbassare di quarantadue gradi.”

“Quarantadue gradi Sud, posizionato.”

“Allineamento orizzontale: quindici gradi Est.”

L’immenso mortaio scorse tra le guide e si fermò ed estese le ultime due sezioni di canna collassabile, dritto verso la Terra.

“Quindici gradi Est, posizionato. Equilibratori bloccati.”

“Inizio accumulazione particellare fino alla soglia di iper-densità.”

Il cilindro di metallo che pochi giorni prima era stato caricato manualmente da Hydraggsjl si innestò ancora più profondità nella camera di scoppio.

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

Un sottoufficiale della Marina inglese ruotò sulla sedia girevole verso Andrea McCoy: “Capitano, il nemico ha azionato l’arma principale! Punta verso di noi!”

“Vuole bombardarci da lì?!”

“Un momento!” – si aggiunse l’addetto allo scambio di dati con gli osservatori spaziali – “Si registrano distorsioni gravitazionali crescenti! L’obiettivo è assimilabile a un pozzo di Gravità!”

La cosa suonò pessima alle orecchie del dottor Khurana: “Che hai detto? Questo significa che…”

“Hanno completato il Cannone a gravitoni prima di noi!” – la Asimov finì la sua frase.

 

*   *   *

 

Dapprima, fu il tessuto spazio-temporale davanti all’imboccatura del cannone a incresparsi. Si contorse e affondò in un cerchio scuro; si sarebbe detto un’ombra, ma senza nulla a proiettarla: un piccolo Buco Nero, non più largo di qualche metro, che distorceva le immagini circostanti come una biglia premuta su un quadro di vernice fresca.

“E ora che succede?! I comandi fanno resistenza!” – chiese Miša, tirando a sé con tutte le forze le leve irrigidite, mentre il suo aereo sembrava venire tirato per la coda da una forza invisibile e tremendamente potente.

“Aiuto!” – si aggiunse la voce Nat, sovrapposta all’immagine di Freya che annaspava nel vuoto – “C’è qualcosa che mi trascina!”

La forza di gravità sradicò il silenziatore dalla canna del fucile di Irradiance, quindi il mirino e infine le strappò di via l’intera arma, facendola accartocciare e scomparire all’interno del micro-Buco Nero. Aaron sganciò due coppie di missili dalla schiena che subirono la stessa sorte non appena raggiunto l’orizzonte dell’evento.

“È assurdo!” – ogni vite o giuntura della Synchro Chamber di Amber stava cigolando – “Che cos’è quell’arma?!”

 

“Stadio di iper-densità raggiunto.” – annunciarono ancora i manovratori del Nidhoggr – “Armonizzazione della tri-brana e soppressione del campo gravitazionale.”

Il Buco Nero si allargò, raggiungendo un diametro di poco inferiore a quello delle stesse Unità contro cui è rivolto, e mutò in una sfera rossa avvolta da nebbie di particelle elementari instabili.

“Proiettile gravitonico passato a massa-zero. Pronti a sparare al suo comando, Herr Oberst-Gruppenführer!”

E il comando di Erwin Albrecht giunse, limpido e netto come lo scoppio che preannunciava: “Fuoco.”

Il fusibile cilindrico della camera si tirò indietro e il cannone sparò il globo particellare con un poderoso rinculo – la forza invisibile che risucchiava le Machine si annullò di colpo – e in una manciata di secondi fu solo un minuscolo lume rosso, contro la vastità del continente americano.

Eleanor Rigby, via di lì!” – gridò Amber, come se davvero potessero averne il tempo, ma qualcosa di imprevisto accadde: prima di scomparire del tutto alla vista, la sfera di gravitoni virò bruscamente verso Est, allontanandosi a velocità inaudita fino a perdersi all’orizzonte.

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

“Ha cambiato direzione!” – esclamò qualcuno sul ponte dell’Ammiraglia – “La velocità di fuga supera i duecento chilometri al secondo!”

“Così veloce?!” – Andrea McCoy era incredula – “Com’è possibile?!”

“È strano, dai calcoli del computer di bordo si direbbe che il proiettile non abbia alcuna massa!”

“Ora è chiaro.” – disse la Asimov – “È un agglomerato di particelle quantistiche che sfrutta l’accelerazione del campo gravitazionale terrestre. Userà la nostra orbita come una catapulta!”

“Avevano calcolato tutto fin dall’inizio.” – ignorando la catena del comando, Khurana si prese la libertà di ordinare ai fisici militari – “Svelti, applicate le correzioni di Bohm alla traiettoria!”

Digitarono freneticamente sulle tastiere e il supercalcolatore di bordo restituì una curva sul planisfero tridimensionale che lo attraversava dal 38° al 42° parallelo, ricadendo a terra.

“Correzioni effettuate. Di questo passo il punto di Ground Zero sarà raggiunto in soli novanta secondi!”

“E quale sarebbe?!”

Ma le coordinate a schermo offrivano già la loro risposta:

 

39°54′20″N 116°23′29″E

 

*   *   *

 

La sfera di gravitoni solcò l’Oceano Atlantico, distorcendo lo Spazio al suo passaggio. Attraversò i cieli dell’America, immersi nella notte, e poi quelli d’Europa, prossimi a tingersi dei colori dell’alba. Superò le città e oltrepassò le distese mediorientali, una Cometa scarlatta che annunciava l’avvento di un Messia molto diverso. Decelerò e iniziò a perdere quota solo quando fu in corrispondenza del deserto del Gobi.

Gli abitanti di una Pechino immersa nel sole pomeridiano levarono gli occhi al cielo, attratti da una luce sanguigna che filtrava oltre le nuvole. Era una stella, una fiamma, o solo un’allucinazione collettiva quella sfera di luce rossa, che vedevano scendere su di loro, rapida e silenziosa, tra spirali di particelle? Era reale quella sensazione di alleggerimento, di assenza di peso, che li attraversava mentre ammiravano lo splendore che pioveva su di loro?

Dei sassolini si sollevarono appena qualche centimetro da terra, e così fecero le cartacce e i bicchieri di qualche fast food abbandonati sui marciapiedi. Così successe alle ruote delle auto, alle zampe dei cani a passeggio, al cibo dentro buste della spesa portate a mano, alle catenine al collo e agli infanti nei passeggini o tra le braccia di una madre che spalancò gli occhi pieni di meraviglia, nei quali si rifletteva il rosso giudizio della Storia.

Nessuno era preparato a quel momento, nessuno ebbe tempo per affidare la propria anima al cielo.

Il Crepuscolo degli Déi, rinchiuso nel suo uovo rosso, si abbatté sui tetti, lampeggiò, e una croce di luce dai bracci curvi anticipò la sua schiusa. Bastò un solo istante perché ogni cosa – cielo, edifici, persone – si torcesse e deformasse verso l’epicentro dell’esplosione e tutto ciò che era vivo non lo fu più, strappato e spezzato dall’interno, quando la sfera, infine, si espanse in tutta la sua immensità. Si aprì dal centro di Pechino e dentro lo Spazio-Tempo, gonfiandolo e scansandolo, allargandosi rapidamente e investendo ogni cosa in un diametro di quattordici chilometri. Più che bruciare, la materia si annullò, quasi evaporando, disintegrata sotto una pressione gravitazionale che spinse gli atomi fuori dai loro legami. Scomparvero le coperture in vetro dai palazzi e dopo le strutture portanti, alberi e piante si ridussero ad apparati linfatici e poi più nulla, la pelle e i muscoli abbandonarono gli uomini quasi allo stesso momento degli organi e delle ossa. Una cupola di luce abbacinante ricoprì la città e tutto ciò che la circondava, innalzandosi ad altitudini vertiginose.

Dallo Spazio, un occhio rosso pulsò in mezzo alla Cina.

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

“Scossa gravitazionale registrata al 42° parallelo!”

“Perso il contatto con la base di Pechino! Nessuna risposta dal Governo cinese!”

“HAARP-2 è stato scollegato dal circuito!”

Il ponte del Rigby piombò in un ciangottio indistinto quando decine di fotografie satellitari affollarono lo schermo principale, riproducendo tutte la stessa scena: una voragine nera, piatta e uniforme, aveva preso il posto di quella che un tempo era la capitale cinese. Un orrore che non conosceva precedenti si impossessò dei loro cuori.

Andrea McCoy sentì che le gambe stavano per cederle; avrebbe voluto mettersi a piangere, se solo l’avesse purgata da quell’angoscia che non pensava avrebbe mai sperimentato in vita su: “Mio Dio. Ma contro chi diavolo siamo scesi in guerra?”

 

*   *   *

 

Golgotha.

 

“Il test di funzionamento del Cannone è andato buon fine!” – esclamò vittorioso uno dei piloti del Nidhoggr – “Esplosione confermata, l’obiettivo è stato distrutto!”

Un tripudio scoppiò nella Sala della Guerra di Golgotha, al suono di “Heil Kaiser! Heil das Vierte Reich!”: dopo oltre un secolo, la possibilità di impossessarsi della Terra non era più solo una fantasia.

 

Quel coro invasato fece gracchiare gli interfoni della camera privata dell’Imperatore.

“Li senti, Arya?” – disse, con una smorfia in cui disprezzo e compiacimento erano presenti in pari misura – “Senti come gioiscono per lo sterminio di decine di milioni della loro specie. Come puoi anche solo provare pietà verso una razza simile?”

La donna ai suoi piedi non sorresse il suo sguardo: “Quanta altra morte hai intenzione di causare prima di essere sazio, Endymion?”

E lui pronunciò lentamente la sua sentenza: “Tutta quella che riterrò necessaria.”

 

Dalla sua postazione nel centro di controllo, Albrecht sorrise soddisfatto alla vista del risultato. Gli venne istintivo di sollevare il mento, gonfiando il torace: “Prepararsi al secondo colpo.”

 

*   *   *

 

Gli animi dei piloti in orbita vacillavano, preda delle immagini che i commenti degli ufficiali del Rigby suggerivano alla loro mente.

“Hanno davvero raso al suolo…” – mormorò Miša – “…un’intera città?”

“Non siamo riusciti nemmeno a impedire questo?” – il puro terrore aveva inghiottito Nataša.

“Io ve l’avevo detto.” – si aggiunse la voce tremante di Aaron – “Non possiamo vincere, non ce la faremo mai!”

Mentre tornava ad avanzare verso la Terra, il Leviatano reinserì il fusibile nella camera di scoppio.

“Restate lucidi!” – li richiamò il Capitano McCoy – “Dobbiamo impedirgli di scendere sulla Terra. Passiamo al piano d’emergenza!”

 

*   *   *

 

Trentotto ore prima.

 

“Che cosa facciamo se tutto il resto fallisce?” – aveva chiesto Nataša durante il briefing della missione, dopo che l’accurata presentazione delle linee di difesa da schierarsi in campo fu conclusa.

La McCoy si era scambiata un breve cenno di intesa con Miša, prima di risponderle: “C’è un’ultima possibilità.”

Sul tavolo tattile scorse il render tridimensionale di un ordigno mai visto.

“L’aereo di Vasyljev sarà equipaggiato con uno speciale missile-antenna. Lo piazzerete sul nemico prima che venga sparato il raggio EMP da terra.”

“È l’unico a disposizione.” – aveva precisato Rajesh – “Cercate di non sprecarlo.”

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

“Prepararsi a usare il Transient Wave Cannon! Nave in posizione di tiro!”

I supporti di attracco laterali si estesero dalle fiancate e afferrarono le due cacciatorpediniere adiacenti. I repulsori inferiori dell’Ammiraglia iniziarono a spingere la prua verso l’alto, aiutati dagli snodi a gomito dei supporti laterali. Il peso schiacciava le carene delle due classe-Defender, affondandone la poppa.

La prua e i rostri del Rigby si spalancarono come un’unica bocca, mostrando le turbine e le antenne di trasmissione. Entrarono in funzione, convogliando elettricità dai trasformatori ausiliari delle altre due navi al generatore principale.

Output al cento…centocinquanta…duecento percento!” – disse uno degli operatori di ponte – “Scattering elettronico iniziato. Le correzioni all’asse di tiro sono affidate al computer per compensare l’effetto della rotazione terrestre.”

“Il bersaglio è ancora fuori portata e attendiamo l’innesco del catalizzatore!” – aggiunse l’armatore del cannone principale, osservando come il cerchio del mirino sul suo schermo non riuscisse ancora a sovrapporsi all’icona del nemico.

 

*   *   *

 

La filosofia dell’attacco come miglior difesa era stata presa alla lettera dai manovratori del Nidhoggr, che ora facevano ruotare freneticamente il laser ottico in ogni direzione. Pur riuscendo a scivolargli agilmente intorno per ben due volte, il caccia russo non poté impedire alla fine che gli venisse segata di netto un’ala. Iniziò a mulinare scompostamente, a precipizio verso la Terra. Dentro la cabina che si capovolgeva di continuo, riempita dalla voce allarmata di Nataša che gridava il suo nome, Miša trattenne un conato di vomito con un gorgoglio e, seppur quasi alla cieca, riuscì a premere con un pugno un pulsante alla sua destra. La scritta EMERGENCY WING apparve a schermo e il moncherino incandescente venne scalzato via da una nuova ala, simile allo scheletro di un rapace, che emerse da sotto la fusoliera; getti di carburante dalle code protesiche del velivolo riuscirono infine frenarlo.

Nel frattempo, il micro-Buco Nero davanti la bocca del Cannone si apprestava a degenerare nuovamente in massa-zero.

Miša rifiatò, ansimante, prima che Nataša gli chiedesse conferma della sua incolumità.

“Sto bene, ma in questo stato non posso volare a lungo. Unità Arancione!”

L’areo riaccese i motori e da sotto la pancia sganciò un singolo, lungo, siluro bianco dalla forma cilindrica, facendolo atterrare direttamente nella mano di Irradiance.

Schivando il raggio che le passò sopra la testa, Amber gridò a sua volta “Ragazzino!” verso Bragjantyr e scagliò a mano il missile a centinaia di metri di distanza, prima che il braccio sinistro le venisse tranciato dal laser vagante. Ignorò il dolore che le saliva fino alla clavicola, insignificante se paragonato alla vista dell’ammasso rosso che ora si era riformato nel Dainsleif: “Sta per sparare ancora!”

“No!” – Nat spinse la Machine al massimo, travolgendo il Cannone dal basso, e lo spinse in senso opposto l’attimo prima che il colpo partisse, perdendosi a vuoto nello Spazio. Freya mantenne stretta la presa, ma l’inerzia fu tale da farla girare completamente, gli artigli metallici che graffiavano la superficie lisca della canna. Nataša digrignò i denti e serrò le palpebre quanto più poté, obbligando Freya ad abbracciare la canna per trattenerla in verticale.

“Nataša!” – dimentico di quanto poco atletico fosse sempre stato fuori da quella palla di ferro in cui era chiuso, Aaron le lanciò con quanta più precisione possibile il testimone. Con un verso rabbioso, Nat conficcò il missile nello snodo elevatore del Cannone: quattro speroni si estroflessero dallo shell, bloccandolo in posizione, e il cilindro si aprì in un’antenna a dipolo.

 

*   *   *

San Francisco.

 

“Catalizzatore in posizione!”

“Ma il bersaglio è ancora fuori portata e avanza rapidamente!”

“Avete sentito?!” – chiese la McCoy alla squadra in volo - “Dovete riportarlo in linea di tiro!”

 

*   *   *

 

“Vasyljev, crea un diversivo!” – gli impartì Amber e l’Raròg, per tutta risposta, scollegò due intere casse di lanciarazzi automatici per alleggerirsi, riversando tutti le munizioni residue contro la testa del Nidhoggr. Diretto a tutta velocità contro la faccia del mostro e facendo fuoco a raffica con i mitra, Miša strinse i denti e si convinse che la scelta che sarebbe seguita era l’unica possibile.

Non sarebbe morto su un aereo da guerra, come suo fratello. Per nessuna ragione al mondo.

“Perdonami, Raròg!” - ruppe con un pugno una copertura in vetro accanto alla cloche e tirò a sé la leva rossa sottostante.

La fusoliera dell’aereo si divise in due, eiettando all’indietro l’abitacolo rinforzato, mentre il resto dell’apparecchio si schiantava contro la faccia del Leviatano. La testa riemerse dall’esplosione con i sensori ottici irreparabilmente compromessi.

“Questo è tutto quello che posso fare. Il resto lo lascio a voi. Buona fortuna!” – la voce di Miša sparì tra le interferenze radio, mentre l’abitacolo piombava verso la Terra come una Sojuz.

Abbandonata ogni altra alternativa razionale, l’unico modo che Aaron trovò per frenare l’ingresso in atmosfera del Leviatano fu pararglisi davanti, a palmi aperti, nella speranza che i propulsori di Bragjantyr fossero abbastanza potenti da contrastarlo. Ma era come sperare di prendere al volo un meteorite.

“Tieni duro!” – gridò Amber, vedendolo restare travolto, e si diresse a tutta velocità verso di lui. Il braccio di riserva sulla schiena di Irradiance si agganciò alla spalla amputata e un gatling a quattro canne fuoriuscì dall’avambraccio, sputando lunghissime funi d’acciaio arpionate; si conficcarono sul disco inferiore del Nidhoggr. Amber dovette combattere con tutto il suo corpo la spinta del momento angolare che strattonava la sua Machine, spazzando una grande area per centinaia di metri, ma non appena il momento fu propizio e il nemico difronte a lei, sparò altri due arpioni dalla cintola della sua Unità. Le carrucole entrarono in funzione all’interno del braccio e dei fiancali: con un unico movimento, Irradiance si capovolse dalla testa ai piedi e in una manciata di secondi si trovò a contatto con la prua del Nidhoggr. I booster spaziali sui fianchi si riallinearono con uno scatto, infiammandosi a piena potenza, ma la discesa contro la Terra proseguiva inesorabile. I dorsi di Irradiance e Bragjantyr iniziarono ad arroventarsi e vampe infuocate danzavano oltre gli schermi degli abitacoli invasi da segnali di pericolo.

Amber si sentiva schiacciare dalla forza g fino a toccare le ginocchia con il petto: “Ma quanto spinge!”

“Non ce la faccio!” – Nat digrignava i denti, intenta a trattenere il mostro per il Cannone – “È troppo pesante!”

“Mi serve più potenza!” – le dita della pilota americana si mossero agilmente sulle leve di comando, aprendo un compartimento nascosto e premendo un interruttore. Due connettori sulla schiena dell’Unità, che la collegavano ai propulsori spaziali, si scambiarono di posto: le fiamme gialle dei booster raddoppiarono di intensità, tingendosi di violetto. Il display indicò il supplemento ricevuto dalla riserva di carburante, a scapito del carico di post-nucleotoni; il timer di operatività, che fino a quel momento aveva indicato dieci minuti abbondanti, calò a picco a due e mezzo.

“Amber, le Unità non sono equipaggiate per un rientro in Atmosfera così veloce!” – l’agitazione di sua sorella aveva ormai toccato picchi impossibili da dissimulare – “Di questo passo finirete disintegrati nel deorbit burn! Dovete rallentare!”

“È quello che faccio!” – le ringhiò di rimando, per poi accorgersi con panico della spia lampeggiante sul timer che correva più in fretta dei suoi pensieri – “Sessanta secondi!”

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

Le scariche elettriche che scoppiettavano tra le turbine pieno regime del Rigby costrinsero il dottor Khurana a far presente che nulla di quella situazione volgeva a loro favore: “Abbiamo raggiunto la soglia di Compton. Dobbiamo sparare, non c’è più tempo!”

 

*   *   *

 

Aaron quasi non sentiva più braccia e mani, premute contro gli schermi della Camera di Flamel che sfrigolavano ogni secondo di più. Le ossa gli facevano male e la pelle della schiena iniziava a bruciargli. Ogni fibra dei suoi muscoli gridava pietà, eppure, in quel dolore che non avrebbe dovuto dare spazio a nient’altro, si fecero largo immagini sconnesse nella sua mente: i suoi genitori che ricevevano una chiamata dagli agenti governativi; la loro chiacchierata davanti a una misera camomilla al tavolo della cucina, discutendo se fosse o meno il caso di accettare quella barca di soldi per prendere parte a un programma miliare segreto e il concludere che l’idea non era poi male; una corsa sul lungo mare di una città italiana; gli occhi spenti di una ragazza diafana dai capelli azzurri; il sorriso, la lacrime, e poi le urla di rabbia di un amico, che stritolava tra dita metalliche giganti un uomo, uccidendolo. Gli tornò in mente anche l’immagine di sé stesso a terra, malconcio, con un violoncello fatto a pezzi da due teppisti che avevano preso con troppo entusiasmo tutta la faccenda del nuovo Reich. Anche loro erano sulla Terra, in quel momento. E lui che stava facendo? Era anche per loro che stava mettendo a rischio la sua vita, ora? Ne valeva la pena? Non sarebbe stato meglio che tutto bruciasse per sempre? “Tu non capisci niente!” gli era stato detto, mentre si batteva contro la Machine azzurra.

“Non è vero!” – le parole gli uscirono di bocca senza volerlo; anche un residuo di sogno erotico gli era tornato in mente, insieme a quell’inspiegabile tremore e insicurezza che cercava di nascondere ogniqualvolta era al fianco di Màrino Alto. – “Sei tu che non hai capito niente!”

E con un spruzzo di luce, il dispositivo di volo sulla schiena del gigante bianco esplose, liberando un paio di grandi ali di plasma azzurro.

Una farfalla monarca.

Si dispiegarono all’indietro, tramutandosi in geyser di energia tre volte più lunghi. Aaron urlò con tutto il fiato che aveva in gola fino a farsi lacrimare gli occhi, e, mentre gli schermi della Flam-ber crepitavano e s’incrinavano, Bragjantyr iniziò a spingere le mani fin dentro l’armatura del nemico, così che quella che fino ad allora era stata una discesa a senso unico rallentò, si arrestò, e poi invertì direzione.

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

Ekaterina Asimov osservò sbalordita la curva di Libido sul suo computer assorbire totalmente quella di Destrudo: “I livelli di Libido nel kernel sono superiori alla norma…la Traccia VRIL sta cambiando!”

Anche l’Unità Nera registra valori analoghi.” – notò Khurana – “Ma allora...”

“Stano entrando in Second Phase!”

 

*   *   *

 

L’equipaggio del Nidhoggr entrò nel panico più totale quando si rese conto che nessuno dei motori ausiliari o delle manovre stabilizzatrici avrebbero potuto impedire loro di risalire la Mesosfera, spinti da un gigante con una forza ancestrale che non poteva essere arginata da alcunché.

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

Quando finalmente puntatore e icona dell’obiettivo si allinearono, con un margine del 98.7% di probabilità di andare a segno, l’armatore del TWC dichiarò: “L’obiettivo è di nuovo a tiro! Capitano!”

“Adesso!”

Con una spinta tale da affondare per metà le navi su cui poggiava, l’Eleanor Rigby emise dalla prua il fascio di elettroni, diritto come lancia verso il cielo prossimo all’alba.

Dall’altra parte del mondo Luka Novikov fissò con occhi sbarrati il teleproiettore di casa, tenendo un braccio intorno a sua madre che si era coperta il viso con le mani giunte in preghiera.

 

*   *   *

 

Il raggio a EMP raggiunse lo spazio e investì l’Arma Finale, tra le imprecazioni del suo equipaggio che vide andare in tilt i controlli.

Dopo aver impostato la sua Unità sulla modalità a risparmio energetico, Amber si voltò verso la finestra video con il viso di Nataša Novikov: “Zarina, se vuoi avere l’onore di chiudere in bellezza puoi accomodarti!”

Anche senza quell’invito, già da un po’ la mente di Nat correva attraverso gli ultimi mesi. La lunga passeggiata per i giardini di Mosca insieme a Miša; le lacrime versate sulla camicia di suo padre, il sapore della Scharlotka alla mattina del suo compleanno, la disperazione provata a Varsavia, nel vedere quelle persone maciullate sotto la sua Machine per colpa della sua stessa goffaggine e insicurezza; gli occhi azzurri di un uomo vestito di nero, il piacere e la vergogna nel concedersi a lui e la bandiera di una Svastica che bruciava e si consumava. Infine, come l’ultimo chiodo conficcato dentro al cuore, sua madre e suo padre che si urlavano addosso.

“Io voglio che tutto questo…” – le iridi le accesero dello stesso rosso di quelle della sua Machine e le pareti dell’abitacolo si inscrissero di rune luminose – “…finisca!”

Due nastri di VRIL si spiralizzarono intorno la braccia di Freya, convertendole in lunghe canne di fucile decorate d’argento. Le incrociò oltre la testa, accumulando energia, e le rilasciò davanti a lei in un possente raggio.

Come se tutto il peso fosse scomparso in un istante, il Nidhoggr venne spinto via a velocità inconcepibile, giù attraverso tutti gli strati dell’Atmosfera terrestre, mentre scaglie dell’armatura nera di Freya mutavano in piastre translucide color magenta.

 

Con tutto il resto del corpo sempre più arroventato e l’armatura che andava sgretolandosi, il Cannone Dainsleif si spezzò in più pezzi. Sfondò le nuvole, passando di fianco al modulo di emergenza del Raròg, ancora alto nel cielo grazie ai paracaduti di rientro. Miša contemplò senza fiato l’informe massa di metallo nero in fiamme precipitare come un meteorite, fino ad abbattersi nel Pacifico con una montagna d’acqua.

Il raggio VRIL trapassò il corpo del Leviatano, liquefacendo i corpi del suo equipaggio, si aprì una strada dalla parte opposta e proseguì ancora, sotto le onde, fino piantarsi sul fondale oceanico.

 

Migliaia di metri più in alto, dall’orbita, Freya separò le braccia – un colpo netto e preciso – e il raggio si divise in due.

 

Passò attraverso la carcassa del Nidhoggr e lungo il fondo oceanico, per decine e decine di chilometri. Una fenditura si aprì nella crosta terrestre, sputando magma vivo.

Le due metà del suo corpo, tagliato da una linea incandescente, scivolarono l’una sull’altra.

Una spolverata di scintille e lampi.

Poi, ciò che rimaneva dell’Arma Finale detonò in una sfera di luce nera, che divise le acque. Filamenti cruciformi di un plasma grigiastro vi galleggiavano dentro.

Con un risucchio, la sfera collassò su sé stessa fino a ridursi a un punto minuscolo, scomparendo infine alla vista.

 

Nat rimase ad ansimare profondamente e per lunghi istanti il suo respiro fu l’unica cosa udibile.

 

*   *   *

 

San Francisco.

 

Solamente un sottoufficiale di ponte dell’Eleanor Rigby osò rompere il silenzio, cautamente: “Esplosione avvenuta al largo del Pacifico Settentrionale. L’obiettivo è sparito dal radar.”

Raccontare l’esultanza che ne conseguì sarebbe superfluo.

 

*   *   *

 

Golgotha.

 

Un’osmosi di emozioni aveva trasportato sulla Terra tutta la speranza che prima dominava nella Sala della Guerra, lasciando l’esercito lunare nello sconcerto più totale. Nessuna comunicazione dall’equipaggio del Nidhoggr, nessuna emissione gravitazionale.

Il dono della parola sembrava aver abbandonato persino il Luft-Oberst Albrecht. Dopo i tre giorni di attesa precedenti quella battaglia, dopo decenni di preparazione e stenti, dopo aver pregustato così distintamente il sapore della vittoria…tutto quello che adesso si poteva testimoniare fu racchiuso nell’unico commento che Zwei Stein sentì di dover esprimere: “Alla fine…abbiamo perso.”

 

*   *   *

 

Del silenzio e dello stupore che seguirono a quella battaglia, nessuno dei piloti avrebbe più saputo raccontarne.

Ora, tre corpi di giganti rivestiti di metallo, dalle armature danneggiate e annerite dalle esplosioni, galleggiavano esanimi come bambole tra i rottami spaziali.

Non più violenza, non più un rumore o l’alternarsi di grida. Solo una vasta, fredda, antica quiete.

Un freddo spaziale, a cui prima sarebbe stato impossibile far caso, filtrava attraverso le Camere di Flamel e accarezzava con dita gelide i corpi nudi dei Meister, sospesi nella gravità-zero.

“Quindi…” – chiese Aaron, atono e supino, fissando le pareti danneggiate del suo abitacolo – “…è tutto finito?”

“Sì. Ce l’avete fatta.” – gli rispose Andrea McCoy. Una risposta asciutta, spogliata di qualunque altra emozione, la semplice constatazione di essere ancora vivi – “Guardate.”

Nataša strinse al petto le ginocchia nude, percorsa da lievi brividi. Le sembrò di essere tornata a un tempo prima della sua esistenza, protetta da un utero nero e cosparso di stelle. Si voltò appena, disegnando figure liquide con i capelli porporini, e la più profonda meraviglia entrò in lei.

Per quanto frastagliato dai frammenti dell’ISS e dei satelliti, l’orizzonte che si offrì a loro li riempì di una pienezza mai sperimentata. Chissà dov’era la Luna, ora sparita alla vista. Quella Luna a cui un tempo poeti e sognatori avevano dedicato tante parole e che ora era divenuta il vessillo bianco della paura. Ma, a dire il vero, anche se fosse stata lì davanti a loro non sarebbe importato…perché, sotto di loro, il terzo pianeta del sistema solare si mostrava a perdita d’occhio, trapunto delle luci delle città degli uomini, avvolto da un tenue chiarore, come un’aura.

“La Terra.” – mormorò la ragazza, mentre gli occhi azzurri le iniziavano a luccicare acquosi. – “Non pensavo che l’avrei mai vista da qui.”

Aaron accostò il viso agli schermi, a bocca aperta: “È bellissima.”

Abbandonato il casco in un angolo, Amber incrociò le gambe sul sedile reclinato, posò la testa sul braccio e si limitò a sorridere.

“Osservate bene. Questo” – disse ancora il Capitano McCoy – “è il pianeta che oggi avete difeso.”

E tra le incalcolabili profondità dello Spazio ammantato di stelle, i raggi del Sole sorsero oltre la curva del pianeta blu, come avevano fatto da miliardi di anni e come ancora avrebbero fatto in seguito.

Rimasero così – loro tre in orbita e Miša Vasyljev in mare, in piedi sulla cabina di salvataggio che ondeggiava sui flutti – ad ammirare il nuovo giorno che nasceva.

 

Magari nel giro di qualche ora sarebbero stati recuperati da rumorosi moduli spaziali, o da qualche nave di soccorso in mare. Magari avrebbero pianto, o forse riso incontrollabilmente, tra le braccia di genitori e amici che temevano di non rivedere mai più. Magari si sarebbero scambiati un abbraccio interminabile, sul ponte di una portaerei, involtati in coperte di lana, e avrebbero capito che da quel momento in poi avrebbero condiviso qualcosa di più che un’amicizia d’infanzia. Magari ancora avrebbero sentito l’impulso di premere le proprie labbra le une contro le altre e l’avrebbero respinto senza nemmeno capirne il perché.

 

Però, per il momento, rimasero solo così – loro tre in orbita e Miša Vasyljev in mare – ad essere testimoni di un’alba cosmica che illuminava il Creato.


 

   
 
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