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Autore: My Pride    03/01/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Kids grow up so fast Titolo: Kids grow up so fast
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3808
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Thomas Alfred Wayne-Kent (OC)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Just stop for a minute and smile: 31. "Ho provato a chiamarlo, ma non mi ha risposto!"


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    «Ehi, papà, come vi siete innamorati tu e baba?»
    Jon, che in quel momento stava mungendo una delle loro mucche, sbatté le palpebre e si voltò verso il figlio, il quale aveva appena finito di strigliare il pelo dell'unico cavallo che avevano.
    Lui e Damian non avevano mai concordato una versione ufficiale che avrebbero potuto raccontare al pubblico, solitamente si limitavano a dire che erano amici di infanzia e che, essendo i loro padri ottimi amici, il passare del tempo insieme aveva fatto il resto. Ma, conoscendo Tommy, era sicuro che due parole in croce non fossero esattamente ciò che stava aspettando in quel momento.
    Jon si strinse quindi un po' nelle spalle, tornando a guardare davanti a sé. «È una storia divertente...» cominciò con un pizzico di ironia, cercando di romanzare nella sua testa il primo incontro avuto con Damian. Beh, dire a Thomas che Damian lo aveva rapito perché lo considerava una minaccia era da escludere, quindi avrebbe potuto colorare un po' la verità. «Sai che nonno Clark e nonno Bruce erano e sono amici e che andavo spesso con papà a villa Wayne, giusto?»
    «Sì, ma ho sentito zio Conner dire che prima litigavate un sacco... e che se non aveste fatto squadra adesso non sareste qui. Che vuol dire che facevate squadra?»
    D'accordo, avrebbe ucciso quella bocca larga di Conner. «Era... una cosa scolastica». Sì, Jon concordò con sé stesso che la cosa avrebbe potuto reggere. «E all'inizio non andavamo nemmeno molto d'accordo. Il tuo baba era insopportabile e anch'io non facevo molto per rendermi simpatico», rimbeccò nel carezzare il dorso della mucca dopo aver riempito l'ultimo secchio. «Alzavamo sempre la voce l'uno con l'altro e il tuo baba insisteva di voler comandare solo perché era il più grande. Ma io ero più alto». Rise con una nota di nostalgia, riportando la mucca nel suo box e afferrando le maniglie dei due secchi per spostarli, notando Thomas aiutarlo col terzo con la coda dell'occhio, attento a non riversarne a terra il contenuto.
    «Come avete capito che vi piacevate?» insistette.
    «Non lo abbiamo capito», rimbeccò Jon, e all'occhiata stranita del figlio continuò. «Cioè... non subito. Eravamo entrambi testardi e non so chi dei due insisteva col pensare che la nostra vicinanza fosse solo, sai, amicizia. Il tuo baba non era esattamente abituato al contatto fisico e tutto era un po' nuovo, soprattutto per lui».
    «Davvero? Eppure adesso non si direbbe, state sempre appiccicati… siete così sdolcinati».
    «Fossi in te prenderei poco in giro, giovanotto», ironizzò Jon, e Tommy gli fece scherzosamente una linguaccia. «Comunque... beh. Abbiamo fatto questo tira e molla per un paio d'anni, ne avevo sedici quando ho capito che mi piaceva. Ed ero piuttosto nervoso».
    «Perché?»
    «Non volevo rischiare di rovinare niente, Tommy», ammise mentre si incamminavano insieme fuori dal fienile, e Jon sentì tutto il tempo lo sguardo del figlio su di sé. «Damian era un mio carissimo amico. Mi aveva aiutato nei momenti brutti e io c'ero stato per lui, e non volevo che fargli capire che i miei sentimenti erano maturati potesse spingerlo a... ad allontanarmi».
Thomas tacque, il secchio più piccolo ben stretto fra le mani mentre guardava dove metteva i piedi. «Sembra... triste».
    «Lo era. Il solo pensiero mi attorcigliava lo stomaco. Potevo accettare di ignorare la mia cotta per lui, ma non che la nostra amicizia finisse per questo».
    «Allora come...»
    «Era il suo compleanno». Jon sentì nuovamente lo sguardo del figlio su di sé. «Aveva appena compiuto diciassette anni e, invece di festeggiare, mi aveva proposto di... sgattaiolare via di nascosto». Quella sera erano usciti di pattuglia nonostante Bruce avesse letteralmente ordinato a Damian di non farlo, ma quello era un dettaglio che poteva tenere per sé.
    «Cosa? Eravate i primi a scappare e avete fatto tante storie quando sono andato a trovare Amanda la settimana scorsa?» Thomas arricciò il naso con fare indignato, ma Jon lo fulminò subito con lo sguardo.
    «Hai tredici anni, erano le nove di sera e sei uscito dalla finestra, nanerottolo. Non provarci».
    «...è praticamente la stessa cosa, papà».
    «Affatto. Comunque» Jon lo guidò fino all'edificio accanto, poggiando i secchi accanto alle cisterne prima di aprirne una e cominciare a riversare il latte appena munto, «Eravamo usciti e stavamo gironzolando per Gotham, ci eravamo fermati davanti ad un negozio di alimentari a prendere qualcosa». Quella sera avevano fermato una rapina al Thai Shop, e sorrise un po' al ricordo di Damian che, prendendo a pugni uno dei criminali, gli aveva detto che quello era il modo migliore per passare un compleanno. «Con patatine e bibite alla mano, siamo andati a Robinson Park e ci siamo seduti su una panchina».
    Jon si interruppe, occupandosi del latte mentre si perdeva nei ricordi. Erano saliti sul tetto dell'edificio che affacciava proprio su Robinson Park e si erano goduti la brezza serale, osservando distrattamente le coppie che si attardavano o i padroni dei cani che passeggiavano con i loro animali. Avevano chiacchierato, mangiato e bevuto tra le risate... e Jon aveva sentito il cuore battere furiosamente quando il suo sguardo si era posato su uno dei rari sorrisi di Damian, rischiarati dalla luna. Terrorizzato di rovinare quel momento, Jon aveva ingoiato ogni parola che avrebbe voluto dire e distolto lo sguardo... ma era stato a quel punto che Damian gli aveva afferrato una mano per stringerla nella sua e lo aveva guardato; si era tolto la maschera in silenzio, e si era sporto verso le sue labbra prima ancora che il cervello di Jon registrasse cosa fosse successo. Tempo due secondi, e si stavano baciando. Era stato così improvviso che non si era nemmeno accorto che si era messo a fluttuare, quella sera.
    «Ehi, terra chiama papà».
    Sbattendo le palpebre, Jon si rese conto che si era perso un po' troppo tempo nel viale dei ricordi, visto che le cisterne erano piene e lui se ne stava imbambolato davanti ad esse con i secchi ormai vuoti. Così si massaggiò dietro al collo con un sorrisetto imbarazzato, scuotendo brevemente la testa mentre chiudeva le cisterne.
    «Dov'ero rimasto?»
    «Tu e baba eravate seduti su una panchina».
    «Giusto, giusto». Avrebbe dovuto ricordarsi di raccontare quella storia anche a Damian, se mai Tommy avesse chiesto qualcosa anche a lui. «Abbiamo... sai, parlato, riso, fatto le solite cose che facevamo sempre, ma il tuo baba sembrava più... bello del solito, quella sera».
Mentre uscivano dall'edificio, Tommy lo guardò al di sopra della spalla. «E gli hai detto che ti piaceva?»
    «Non ne ho avuto il tempo». Al nuovo sguardo interrogativo del figlio, Jon ridacchiò. «Mi ha baciato». Tommy lo fissò a bocca aperta, quasi non credesse possibile che fosse stato proprio Damian a fare la prima mossa - e in effetti anche lui era rimasto spiazzato, non essendo sicuro di essere ricambiato -, ma Jon accennò un nuovo sorriso. «È stato... impacciato, strano e troppo veloce, ci siamo guardati imbarazzati e poi abbiamo riso, ma quando siamo tornati a casa e ci siamo beccati una strigliata, non mi è importato affatto. Ero così felice che avrei potuto toccare il cielo con un dito». E lo aveva fatto, volando fra i cieli di Metropolis e tra le nuvole, girando e girando senza sosta come una trottola mentre si toccava le labbra e sorrideva. Era stata una notte indimenticabile. «Poi abbiamo cominciato a frequentarci e... eccoci qui. Il resto è storia».
    Tommy aveva ascoltato tutto attentamente, col sorriso che poco a poco si era allargato sulle sue labbra nel sentire il padre che raccontava quella storia. Poi rise. «Allora fare squadra è servito», scherzò, e Jon, nel gettargli un'occhiata, rise a sua volta.
    «Sì. Ed eravamo una grande squadra. In un certo senso lo siamo ancora». Nel dirlo scompigliò i capelli del figlio e, ignorando la sua lamentela per quel gesto, gli passò un braccio intorno alle spalle. «Venire a vivere qui, avviare la clinica, trovare un lavoro ad Hamilton, avere te, crescerti... fa ancora tutto parte della nostra grande avventura».
    Tommy lo guardò a lungo, ma rise qualche momento dopo. «Baba ha ragione quando dice che sei sentimentale», lo prese in giro, stringendo un braccio intorno ai suoi fianchi. «Vi voglio bene, papà».
    «Anche noi te ne vogliamo, tesoro», sussurrò Jon di rimando nel tenerlo stretto a sé, incamminandosi con lui verso casa con Asso che, appena comparso dal campo di grano alla loro destra, si era unito a loro trotterellando, con una palla in bocca che lasciò andare proprio nelle mani di Tommy; il ragazzo sollevò lo sguardo sul genitore e, capendo, Jon fece giusto un cenno col capo, dandogli una leggera pacca dietro la schiena. «Vado a preparare la cena. Voi due non fate tardi, qui fuori».
    Tommy annuì con un sorriso e, richiamando il suo cane, si allontanarono un po' per andare a giocare insieme, e Jon li osservò per un momento a braccia conserte con un'aria rilassata dipinta in viso. Dopo averlo chiamato quella mattina, e dopo non aver risposto subito, era stato Damian stesso che li aveva videochiamati in seguito - aveva intravisto anche Talia sullo sfondo, austera e fiera nel suo caftano verde bottiglia - e accennato che sarebbe partito nel primo pomeriggio dal Bialya, e Jon in quei giorni aveva dovuto fargli praticamente l'elenco dei valori glicemici di Tommy per tenerlo tranquillo. Da quando due anni prima avevano scoperto che aveva una rara forma di diabete monogenico, Jon non sapeva dire chi, tra lui e Damian, fosse diventato più apprensivo sulle sue condizioni. E con il fatto che fosse stato via quasi un mese, aveva davvero dovuto fare il punto della situazione ogni singolo giorno.
    «Ehi, papà!»
    La voce di Tommy richiamò subito la sua attenzione e Jon fece appena in tempo a sollevare lo sguardo per afferrare la palla al volo, vedendo Asso scodinzolare nella sua direzione e Tommy rivolgergli un sorriso divertito.
    «Giochiamo un po'? Dopo ti aiuto io con la cena».
    Jon parve rifletterci su per un istante, poi scosse il capo con fare divertito. «E va bene. Dieci minuti, non di più», sentenziò nell'avvicinarsi a loro per lanciare la palla ad Asso.
    Alla fine ne passarono ben trenta, col sole che aveva cominciato a calare oltre l'orizzonte e il venticello freddo che attraversava loro i vestiti e portava alle narici un lontano odore di pioggia, tanto che Jon, nell'afferrare per ultimo la palla, fece un cenno al figlio per far sì che entrasse per primo insieme al cane, seguendoli poco dopo col sorriso stampato sulle labbra. Se anni addietro gli avessero detto che avrebbe avuto quella vita, forse non lo avrebbe creduto possibile. Ma non avrebbe cambiato una singola virgola di tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento, e si richiuse la porta alle spalle con quei pensieri per la testa, togliendo scarpe e giacca per spedire al tempo stesso Tommy in bagno a lavare le mani.
    Una volta ripuliti e pronti, cominciarono a preparare la cena, e mentre Jon si occupava di marinare la carne, Tommy si era offerto di tagliare patate e verdure. Ma fu a quel punto che parve perdere l’equilibrio per un momento, e sarebbe sicuramente caduto se Jon non fosse stato abbastanza svelto da mollare ciò che stava facendo per afferrarlo letteralmente al volo, osservandolo un po’ apprensivo.
    «Ehi… stai bene, campione?» chiese, e Tommy ci mise un momento di troppo per rispondere, facendo giusto un breve cenno col capo.
    «Sì, solo… mi gira un po’ la testa».
    «Avrai sicuramente la glicemia bassa. Adesso controlliamo, d’accordo? Ma prima vieni a sederti», accennò Jon, aiutandolo a tirarsi su per accompagnarlo al tavolo, scostando lui stesso la sedia per far sì che il figlio prendesse posto; si lavò in fretta le mani e recuperò il glucometro dall’astuccio che il figlio portava sempre con sé, prendendo anche il barattolo di miele che, in caso di glicemia bassa, sarebbe stato sicuramente utile.
    Jon si mosse tutto il tempo senza mai perdere di vista il ragazzo, poggiando l’astuccio sul tavolo qualche momento dopo; prendendo una striscia dall’apposito contenitore, la posizionò nel misuratore e attese la conferma dello strumento prima di afferrare la penna pungidito, invitando Tommy ad allungare la mano destra. Anche se ancora un po’ intontito, il ragazzino ubbidì e lasciò che il padre gli disinfettasse il polpastrello dell’indice e lo massaggiasse un po’ prima di pungerlo, e Tommy arricciò il naso al leggero dolore, lasciando cadere una goccia di sangue su quella striscia. Quando il glucometro segnò 58mg/dl, Jon rispose tutto e affondò il cucchiaino nel barattolo di miele, prendendone un po’ prima di porgerlo al figlio.
    «Fallo sciogliere sotto la lingua», gli consigliò e, per quanto avesse roteato un po’ gli occhi a quelle solite raccomandazioni, Thomas provò a sorridere rassicurante prima di annuire.
    «Lo so, papà…» lo tranquillizzò, mangiando quel miele mentre il padre si occupava di scrivere il valore ipoglicemico e l’orario in cui aveva avuto quel picco di ipoglicemia. Si stava già preparando mentalmente a come avrebbe reagito Baba, perché conosceva fin troppo bene il genitore da sapere che, paranoico com’era - zio Jason diceva che a volte era più paranoico di nonno Bruce -, avrebbe fatto tutti gli accertamenti del caso quando semplicemente si era sforzato un po’ troppo.
    Avevano atteso un po’ che il miele facesse effetto prima di ricontrollare la glicemia un quarto d’ora dopo, e nel frattempo Jon, imponendo al figlio di non muoversi, aveva persino finito di preparare la cena, condendo la carne e grigliando le verdure. Quando alla fine si fu accertato che i valori fossero nuovamente nella norma, sorrise al figlio.
    «Va un po’ meglio, mhn?» domandò, e Tommy annuì nel ritrovarsi a passarsi una mano fra i capelli per ravvivarseli all'indietro.
    «Sì. Grazie, papà», accennò nel poggiare le mani sul bordo del tavolo, pronto ad alzarsi. «Ti aiuto a--»
    «Non muoverti», lo frenò immediatamente Jon. «Sono solo due piatti. Resta seduto».
    «Ma--»
    Tommy non riuscì nemmeno a finire la frase, giacché suo padre gli fece semplicemente un cenno prima di alzarsi e pensarci lui stesso a preparare i piatti, mettendo tutto a tavola una manciata di minuti dopo; Thomas guardò il genitore con entrambe le sopracciglia sollevate, ma sbuffò ilare prima di cominciare a mangiare, rigirando un po’ le verdure nel proprio piatto. Era da quasi due anni che aveva scoperto di avere il diabete e ormai ci comviveva tranquillamente, ma i suoi papà a volte si rivelavano fin troppo apprensiva. Tommy in parte lì capiva, ma era pur sempre un tredicenne che cercava di prendere la propria strada.
    «Quando torna baba?» domandò mentre tagliava la carne, gettando un’occhiata al padre che stava riempiendo i bicchieri di succo d’arancia.
    «Parte domani», accennò Jon. «Potrebbe essere qui la mattina dopo».
    Tommy annuì, ma tergiversò ancora un po’ prima di farsi coraggio. «Andiamo anche noi con lui, la prossima volta?» chiese ancora, e stavolta Jon si accigliò. I rapporti con Talia non erano un idillio rose e fiori, certo, ma non erano nemmeno così gelidi come inizialmente si erano aspettati… ed era logico che Tommy volesse andare a trovare anche la sua terza nonna. Selina e sua madre Lois erano praticamente nei paraggi e Tommy poteva far loro visita, Talia invece faceva loro visita per lo più durante le festività. Essere una regina - e il capo di un ex impero criminale - portava via parecchio tempo.
    «Ne parleremo con baba. Magari potremmo… andare durante l’estate», accordò Jon, vedendo il volto del figlio illuminarsi letteralmente come un albero di natale prima di esultare e far ridacchiare Jon.
    Lo ammetteva: gli faceva piacere che, nonostante tutto, Tommy fosse affezionato a Talia e lei stessa si sforzasse di essere una brava persona in sua presenza. Era sempre la stessa donna con la puzza sotto il naso e l’aria di chi era pronta a tagliare la testa a qualcuno se qualcosa non andava come voleva - Damian, però, era riuscita a convincerla a non farlo… anche se la singola minaccia funzionava in egual misura - , ma aveva avuto la sua redenzione e aveva cercato di esserci per Tommy come non aveva purtroppo potuto fare per Damian. E Jon apprezzava quel suo cambiamento.
    La cena passò in modo pressoché tranquillo, per quanto Tommy non avesse fatto altro che porre domande su domande su com’era il Bialya e cosa avrebbero dovuto portare, e non aveva potuto frenare la curiosità riguardo Raja, la tigre di sua nonna. Jon aveva ingoiato uno sbuffo ilare quando aveva saputo che la potente Talia Al Ghul aveva chiamato quella tigre che aveva sequestrato come un personaggio Disney, ma aveva avuto la decenza di non scoppiare a ridere proprio davanti alla donna, soprattutto all’occhiataccia di Damian. Erano passati quasi dodici anni da quando aveva trovato quel cucciolo in un circo e l’aveva portato con sé, ed era stato bello vedere quel suo lato amorevole con gli animali. Sembrava una cosa di famiglia.
    Una volta messo tutto in ordine, fu Tommy stesso a controllare l’orario e ad accendere il computer, facendo partire in fretta una chiamata Skype prima ancora che Jon potesse finire il proprio caffè e accomodarsi con lui sul divano in salotto, doveva aveva abbandonato il portatile sul tavolino in attesa che il suo baba rispondesse.
    «Ciao, eaziz». Il volto di Damian comparve sullo schermo, sorridente come non mai. Aveva contornato gli occhi con del kajal e si riusciva vagamente a scorgere, attraverso la chiamata, l’abito lavorato che indossava.
    «Ciao, baba», ricambiò Tommy nel sollevare entrambi gli angoli della bocca. «Come mai così elegante?»
    «Tua nonna ha organizzato una festa d’addio per me». Aveva roteato gli occhi, ma il tono appariva comunque divertito. «Si comporta come se non tornerò più qui».
    «Dille che verremo in estate».
    «Cosa?»
    Damian si accigliò, e fu a quel punto che il volto di Jon si accostò a quello di Tommy, raggiungendolo da dietro per incrociare le braccia sullo schienale del divano.
    «È solo un’ipotesi, D, a Tommy piacerebbe venire a trovare Talia», si fece sentire Jon, e Damian lo vide sorridere letteralmente rapito quando si guardarono negli occhi per un lungo istante. «Accidenti… sei bellissimo, mio principe».
    Tommy storse il naso, poggiando una mano sulla faccia del padre per scansarlo da sé e dalla camera del computer, in modo che potesse essere fuori campo. «Dai, papà, ci flirti dopo con baba», bofonchiò, cosa che fece ridere, suo malgrado, entrambi i genitori prima che Jon sollevasse entrambe le mani in segno di resa.
    «Va bene, resterò buono qui», scherzò, senza dar peso allo sguardo scettico che gli venne rivolto sia da Damian che da Tommy. Aggirò semplicemente il divano e si mise a riordinare il soggiorno, fingendo di non ascoltare mentre i due chiacchieravano.
    Jon si era reso conto che a Tommy mancava molto Damian, e lui stesso non poteva negare che quella lontananza pesasse un po’ in alcuni momenti. Jon, però, dopotutto c’era abituato anche a causa delle sue continue scomparse quando era ancora Redbird, mentre Tommy era in quella fase della crescita in cui ogni tredicenne cercava di essere indipendente e allo stesso tempo cercare l’approvazione del proprio padre. In questo caso i padri erano due, ma erano entrambi stati abbastanza chiari, soprattutto Damian: avrebbero voluto che lui fosse semplicemente il miglior Thomas che avrebbe potuto essere. Sarebbero stati in egual modo fieri di lui.
    Fu Damian stesso, seppur in tono dispiaciuto, a dover porre fine a quella chiamata quando gli venne annunciato che l’evento stava per cominciare, salutando entrambi con un sonoro bacio prima di chiudere il collegamento; con un sospiro, Tommy abbassò il portatile, sentendo un braccio del padre cingergli le spalle qualche istante dopo.
    «Manca anche a me», disse Jon nel comprendere come si sentisse, e Tommy si strinse un po’ nelle spalle.
    «È che… stavolta è rimasto un sacco».
    «Non piace nemmeno a lui doverlo fare, ma a volte deve essere lì insieme a tua nonna per aiutarla».
    Tommy grugnì qualcosa fra sé e sé, ravvivandosi i capelli all’indietro. «Baba dice sempre che la nonna sa cavarsela anche da sola».
    «Ci sono alcune questioni burocratiche di cui ogni tanto deve occuparsi anche lui», spiegò Jon, per quanto Tommy non apparisse esattamente convinto della cosa. La verità era che a volte Damian si presentava per ricordare agli oppositori di Talia che non potevano scherzare col fuoco, premurandosi che fosse Goliath ad incutere il giusto timore dato che si erano ritirati dalle scene e si erano lasciati alle spalle tutta quella roba da vigilanti.
    Il suono del cellulare di Tommy distrasse entrambi e per poco Tommy stesso non sussultò, cercandolo in tasca per leggere quel messaggio con un sorrisino prima di rispondere sotto lo sguardo curioso di Jon.
    «Non per fare il padre impiccione…»
    «Era Amanda», lo interruppe subito Tommy, ficcandosi immediatamente il cellulare in tasca come se nulla fosse, anche se ebbe l'accortezza di fingere di guardare altrove. E in suo aiuto arrivò Asso, tanto che si concentrò sul carezzare la testa del grosso pitbull per non fissare il volto del padre. Sentiva il suo sguardo su di sé, ma non aveva ancora domandato niente e lo apprezzava, anche se... «Mhn... papà?» lo chiamò, guardandolo di sottecchi.
    Jon aveva preso il telecomando e aveva cominciato a fare zapping, anche se la voce della televisione era talmente bassa che gli sarebbe servito il suo super udito per riuscire a sentire qualcosa. «Che c'è?» chiese distratto, notando Tommy stringersi di nuovo nelle spalle con la coda dell'occhio.
    «Ecco... se io volessi... chiedere ad Amanda di uscire? Come amici, intendo!» disse subito, ma il rossore sul suo viso lo tradì e Jon sorrise inconsapevolmente. Ecco il perché di tutte quelle domande su lui e Damian, avrebbe dovuto arrivarci prima.
    «La settimana prossima c'è la fiera. Potresti invitarla», la buttò lì, battendogli una mano su un braccio. «Attrazioni, zucchero filato... mi sembra una buona idea. Ma guai a te se ti becco uscire di nuovo di soppiatto per andare da lei la sera».
    Tommy bofonchiò qualcosa in tono imbarazzato, ma annuì e cincischiò un po' col cellualre che aveva in tasca. «Va bene. Grazie, papà».
    «Di niente, campione», rimbeccò Jon nello scompigliargli i capelli, ridendo alla lamentela di Tommy prima di stringerlo più forte a sé e rilassarsi con lui sul divano, vedendo Asso accoccolarsi con loro sul tappeto.
    Jon sorrise. Sembrava ieri che Damian aveva trovato Tommy in un campo di grano, e adesso era un tredicenne alle prese con la sua prima cotta adolescenziale. Crescevano davvero così in fretta che un po' gli veniva una certa nostalgia, ma non avrebbe potuto essere più felice.
    Rinunciare ai suoi poteri, vivere ad Hamilton, invecchiare con Damian, crescere Tommy… era davvero l’avventura più bella che avrebbe mai sognato di poter avere
.






_Note inconcludenti dell'autrice
Ebbene eccoci qui, un'altra storia in cui Tommy è abbastanza grandicello e comincia a comportarsi come un giovane tredicenne che sperimenta le prime cotte adolescenziali... e come sempre, Jonno è un tenero raggio di sole sdolcinato che non può proprio fare a meno di comportarsi come tale
Comunque sia, qui si comincia a vedere il primo accenno al fatto che Tommy sia diabetico. Le storie non seguono un ordine preciso, quindi la storia prima di questa in realtà deve ancora arrivare, però era per far capire che, oltre ad avere una eterocromia - cosa che l'ha portato ad essere abbadonato in fasce -, ha anche un problema di salute. Perché? Perché mi paice l'accenno hurt/comfort. Chiedo umilmente perdono
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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