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Autore: My Pride    10/01/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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My blood, my love, my life Titolo: My blood, my love, my life
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 1987
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Clark Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Malinconico
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Advent Calendar: 19. Degenza


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
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    La tazza che aveva in mano gli sfuggì e cadde con un rumore assordante quando, ascoltando il telegiornale alla tv, Damian venne a conoscenza dell'attentato che c'era stato nella sede giornalistica del Daily Planet.
    Più osservava quelle immagini, quelle barelle e quei corpi che venivano portati fuori, più il fiato cominciava a venirmi meno nel petto, il respiro affannoso sembrava bruciargli nei polmoni ogni qual volta provava a trarne uno; fu con gli occhi letteralmente fuori dalle orbite e il volto trasfigurato in una maschera di terrore che, nel sentire che il figlio di Lois Lane era stato ricoverato d'urgenza, si precipitò fuori e quasi inciampò nella sua stessa protesi mentre chiudeva la porta e afferrava il fischietto appeso al collo per chiamare Goliath.
    Non gli importava se un grosso drago-pipistrello sarebbe stato visto nei cieli di Hamilton. Non gli importava se sarebbero arrivati con la furia di una tempesta fino a Metropolis. In quel momento, Damian aveva in testa solo e unicamente Jon. Jon che era andato al Daily come giornalista. Jon che ne aveva approfittato per andare a trovare i suoi genitori. Jon che gli aveva promesso che lui e Tommy sarebbero tornati entro un paio di giorni. Jon che era stato ricoverato d'urgenza in un fottuto ospedale a causa di un fottuto attentato alla fottuta sede del Daily Planet.
    Damian saltò un groppa a Goliath prima ancora che quest’ultimo potesse atterrare fra quei campi di grano, ordinandogli di volare fino a Metropolis con voce rotta e scossa. Non stava piangendo, si convinse che non lo stava facendo, eppure la vista gli si era offuscata e si sentiva come se fosse difficile respirare, col cuore che batteva nel petto così forte che minacciava di voler esplodere.
    I pensieri si accalcavano nella sua testa, le parole sentite al telegiornale rimbombavano nelle pareti del suo cervello ancora e ancora, senza tregua, un’intera vita passata con Jon rischiava di essergli portata via e lui aveva paura. Aveva paura di non svegliarsi più la mattina con lui al suo fianco, aveva paura di non poter più sentire le sue stupide battute, di non potersi lamentare di quanto fosse sdolcinato nonostante lo apprezzasse e di tutte quelle piccole cose che erano parte di Jon, che sapevano di Jon, quel Jon che era entrato nella sua vita con la stessa potenza di una supernova e che aveva creato il suo stesso sistema stellare.
    Non gli importava quanto sentimentale e poco da lui suonasse la cosa, in quel momento era troppo scosso per pensare anche solo razionalmente, e ansimò mentre il fiato gli si mozzava nel petto, stringendolo in una morsa violenta che non voleva dargli tregua.
    Piangendo, Damian si accasciò su se stesso e affondò il viso nella pelliccia di Goliath, il corpo scosso dai singhiozzi tremava come non mai e non riusciva a smettere, avvertendo l’irrigidimento di Goliath e i suoi “Auuck?” con cui cercava di richiamarlo e confortarlo, consapevole del suo dolore ma ignaro della causa. Era tutto così… così ingiusto. Se solo… se solo Jon avesse avuto ancora i suoi poteri, adesso non--
    «Non posso perderlo, Goliath… non posso», sussurrò contro quella pelliccia, scusandosi col grosso drago-pipistrello per averla completamente bagnata di lacrime. Era appiccicosa sotto il suo tocco e stava cercando in tutti i modi di ricacciare indietro le lacrime ma, più allontanava il pensiero che potesse perdere Jon, più quest’ultimo tornava ad affacciarsi prepotentemente nel suo subconscio, lasciandolo paonazzo e senza fiato.
    La strada fino a Metropolis gli sembrò più lunga di quanto non lo fosse stata in realtà. Cercò un punto in cui Goliath avrebbe potuto atterrare senza troppi problemi e lo congedò, correndo poi trafelato tra i vicoli e le strade per poter raggiungere l’ospedale. La gamba gli faceva male ogni qual volta la sforzava troppo, ma non gli importava, voleva solo andare da Jon. Aveva lasciato a casa ogni cosa, troppo scosso per ricordare anche solo di prendere il cellulare.
    Quando vide finalmente la sua destinazione, quasi gli mancò il fiato. Si buttò sulle strisce senza nemmeno guardare, gettandosi tra la folla di persone che attraversavano e spintonandole per passare, con la testa e il cuore in subbuglio ad ogni metro che lo separava dalle grandi porte di quell’edificio; quando entrò e la prima persona che vide fu Clark che aspettava nella hall e si passava una mano nei capelli col cellulare attaccato all’orecchio, sentì la terra mancargli sotto i piedi.
    «Clark!» urlò nel corrergli incontro, e Clark sgranò gli occhi mentre si voltava verso di lui come un automa. Mio Dio… perché aveva quella faccia? Si rifiutava anche solo di pensarlo.
    «Damian? Stavo proprio per--»
    Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che le mani di Damian gli afferrarono saldamente la camicia che indossava, artigliandola a tal punto che, se avesse stretto ancora, avrebbe persino potuto strappargliela.
    «Stavo… stavo ascoltando il telegiornale, non--» Damian cercò di riportare inutilmente il fiato nei polmoni, parlando a raffica nonostante Clark stesse provando a calmarlo. Non riusciva nemmeno a capire cosa stesse dicendo tanto era scosso. «Jon-- Dio, Clark, dimmi che… dimmi che ce la farà, io non--»
    «Damian, ragazzo, calmati». La voce di Clark, per quanto schietta, era dolce e comprensiva. Gli aveva persino poggiato una mano su una spalla, rinserrando la presa. «I tuoi battiti sono fuori scala, devi--»
    «Come diavolo faccio a calmarmi?! Tu come diavolo fai ad essere così calmo?!» fu la pronta replica mentre sollevava lo sguardo e lo fissava. «Jon-- lui--»
    «Sta bene», lo tranquillizzò, sentendo il cuore di Damian avere un altro piccolo sussulto, gli occhi verdi sgranati fino all’inverosimile. «È stato solo ferito ad una spalla, Damian. Non morirà per così poco».
    Damian perse quasi l’equilibrio, e fu una fortuna che fosse ancora artigliato alla camicia di Clark e che quest’ultimo l’avesse sorretto immediatamente. «Il… il telegiornale, loro…» mormorò con un fil di voce, venendo ben presto zittito dall’uomo.
«Sì, so cos’hanno detto… hanno ingigantito la notizia per fare share, Lois si è arrabbiata come una iena con la troupe», ammise con un lungo sospiro. «Abbiamo provato a chiamarti, ma non rispondevi; Jon si è preoccupato al punto da chiedermi di venirti a prendere, stavo proprio per farlo quando--» prima ancora che potesse finire la frase, sentì un picco nei livelli vitali dell’altro e sgranò gli occhi nel vederlo svenire, afferrando alla svelta. «Damian!» esclamò mentre se lo issava fra le braccia, chiamando immediatamente un medico. Lo stress sembrava aver avuto il sopravvento e Damian era letteralmente collassato su se stesso, lasciando che tutta l’ansia e la paura si riversassero al di fuori del suo corpo.
    Quando Damian si risvegliò ore dopo, era ormai sera. Sentiva le palpebre pesanti ed era certo di avere la testa poggiata su qualcosa di morbido, e qualcosa di altrettanto morbido, caldo e delicato gli stava carezzando spasmodicamente i capelli. L’odore di antisettico e disinfettante sembrava permeare le sue narici, e nell’aprire gli occhi, ancora annebbiati, gli ci volle un momento di troppo per rendersi conto che era sdraiato su un letto di ospedale e che la mano che lo stava accarezzando apparteneva a…
    «Jon!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola nel drizzarsi a sedere così in fretta che quasi ebbe un capogiro, ignorando la voce di Jon che, preoccupato, gli diceva di non agitarsi. Ma quello preoccupato avrebbe dovuto essere lui, tanto che si gettò contro quel petto che lo accolse immediatamente. «Jon… habibi, io…» cominciò a ripeterlo così in fretta che le parole si susseguivano quasi senza senso, arrotondando il suono di ogni lettera fino a renderla un miscuglio di frasi in americano e in arabo che nemmeno lui riusciva più a capire, con la sola e costante certezza della mano di Jon sulla sua schiena.
    «Sto bene, hayati… va tutto bene…» gli sussurrò col viso affondato nei suoi capelli, ignorando la fitta di dolore che sentì al braccio quando Damian lo strinse di più. Avevano ricucito la ferita e, una volta fasciato il braccio, lo avevano assicurato al collo, ma per quanto quell’abbraccio gli provocasse dolore, non aveva intenzione di allontanare Damian da sé. Lo stesso Damian che gli diede un pugno proprio al centro del petto, facendogli sfuggire un suono goffo e soffocato dal fondo della gola.
    «Credevo che… credevo…» Damian deglutì più e più volte, dandogli un altro pugno senza ritegno. «Avevano detto che eri gravemente ferito, io--»
    «Sto bene», ribadì Jon e, arricciando un po’ il naso per il dolore, scansò Damian da sé quanto bastava per afferrargli quella stessa mano con cui lo stava tempestando di pugni e fargliela poggiare all’altezza del cuore. «Sono qui».
    Per quanto forte si fosse morso il labbro inferiore per non piangere, il battito di quel cuore, così forte contro il suo palmo, gli fece ugualmente lacrimare gli occhi. «Brutto idiota», gli scappò, tirando su col naso come un moccioso. «Non sei più invulnerabile, avresti potuto --» Damian deglutì, sentendo la presa di Jon farsi più forte, la mano che stringeva la sua. «Se fossi morto, ti avrei ammazzato io».
    Jon non riuscì a reprimere una risata isterica nel sentirlo, chinando il capo verso di lui per dargli un bacio sulla nuca. «Non ti libererai così facilmente di me, sai».
    «Idiota», ribadì ancora una volta Damian, cercando di trarre lunghi respiri e riacquistare la sua solita compostezza, pur senza muoversi dalla posizione in cui si trovava. Anni addietro, probabilmente avrebbe stentato a riconoscersi e avrebbe affrontato quella situazione senza dare a vedere le sue emozioni, ma in quel momento qualcuno avrebbe davvero potuto biasimarlo? Aveva quasi temuto di aver perso il suo compagno, il padre di suo figlio… il suo sangue, il suo amore, la sua vita. Chiunque avrebbe reagito in quel modo se fosse stato al suo posto.
    «Va tutto bene». La voce di Jon lo riscosse ancora dai suoi pensieri, e fu a quel punto che sollevò lo sguardo per incontrare i suoi occhi azzurri.
    Damian inspirò profondamente dal naso, intrecciando le dita con quelle di Jon senza distogliere lo sguardo dal suo viso. «Guai a te se rischi nuovamente di farmi venire un infarto», sentenziò, e Jon annuì solenne.
    «Niente più colpi di testa, te lo giuro».
    «Voglio ben sperarlo».
    Entrambi si scambiarono un ultimo sguardo e provarono a ristabilire i loro battiti cardiaci, restando l’uno stretto contro l’altro per accertarsi di quella presenza, per quanto Damian facesse attenzione al braccio ferito di Jon; vennero ben presto visitati da un medico che, nonostante le rimostranze di Damian e il suo insistere che avrebbe potuto benissimo tornare a casa, aveva detto loro che sarebbe stato meglio passare almeno la notte in osservazione, e Damian alla fine aveva accettato solo perché era stato Jon ad intercedere e a fargli capire che sarebbe stato meglio così. Dopotutto i suoi valori erano letteralmente crollati e non gli avrebbe fatto male restare lì almeno per qualche tempo per essere controllato.
    Solo quando il medico uscì e furono nuovamente soli, Damian si lasciò cadere col capo sul cuscino e ingoiò un insulto in arabo. «Ero venuto qui per te, non per essere ricoverato io stesso. Tommy ci sta aspettando», sbottò indignato, ma Jon gli strinse nuovamente la mano prima di chinarsi verso il suo viso.
    «Tommy è passato mentre eri svenuto e concordava già che riposassi. Quindi vedi questa degenza come una piccola vacanza», lo prese in giro, ignorando il borbottio sconclusionato a cui Damian diede vita.
    «Silenzio, campagnolo».
    «Sai che vivi anche tu in campagna, vero?»
    «-Tt- Ti odio».
    «Felice di sentirlo», canticchiò Jon con un sorrisetto dipinto sulle labbra, poggiando la fronte contro contro la sua. «Non passerai la notte da solo, resterò qui con te. Come ho sempre fatto», sussurrò Jon, e Damian gli credette mentre le dita, seppur tremanti, sfioravano l’anello che portava in sé quella calda promessa
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Anche questa storia è stata principalmente scritta per l'iniziativa #AdventCalendar indetta dal gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
Momento spiegazione: il titolo della storia prende spunto dal fatto che nella cultura araba tendevano a chiamare le persone care come "mio cuore, miei polmoni, ecc" per far capire che sono parti essenziali di loro esattamente come il cuore e i polmoni e tutto il resto (fun fact: a volte Jon chiama Damian "Dami", che in arabo vuol dire "mio sangue")
La storia è ambietata in un ipotetico momento in cui Tommy ha sui quattordici/quindici anni, quindi non proprio un ragazzino, ma Jon e Damian hanno avuto giustamente modo di consolidare il loro rapporto e Damian è più propenso a lasciarsi andare alle emozioni che prova (soprattutto tenendo conto che Jon non è più invulnerabile)
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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