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Autore: Aky ivanov    04/01/2022    2 recensioni
Le catene spinose del suo cuore si erano spezzate con un sinistro cigolio, rimpiazzato dalle pulsazioni ininterrotte sulla schiena. Un ritmo costante, accompagnato dalla morbidezza delle labbra adagiate sulla gota inumidita per un bacio dolce e soffice quanto lo zucchero filato tanto amato durante i festival. Inaspettato. Takashi non si era mai spinto oltre una carezza affettuosa, una stretta fraterna o un qualunque gesto che contemplasse una sorta d’invisibile distanza. L’apparenza per poterla chiamare e trattare come le due sorelline senza rimorsi o ambiguità
Una linea sottile da non oltrepassare.
[SPOILER: fino al Volume 14, capitolo 122 con accenni al Volume 22, capitolo 189]
[Takashi Mitsuya x Yuzuha Shiba]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ken Ryuguji (Draken), Luna Mitsuya, Mana Mitsuya, Takashi Mitsuya, Yuzuha Shiba
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Restcome

– Novembre 2007 –

 

 

La camera dell'ospedale era cambiata. Niente più tende bianche ma azzurre, il bicchiere d'acqua mancava dal comodino, i cappelli un momento erano sciolti e gli altri raccolti. Yuzuha non la ricordava più correttamente. Era strano come il momento più importante e peggiore della sua vita avesse assunto degli spigoli tanto sfocati.
L'aveva guardata in volto? Aveva posato il libro prima di salire sul letto? C'era mai stato qualcun altro? Il sogno era stato vivido, a tratti realistico nelle parole ricordate punto per punto. Se fosse stato un testo scritto avrebbe potuto riposizionarne anche le virgole. L'ambiente di quell’anno lontano aveva però perso importanza, con gli anni i piccoli dettagli erano venuti meno, insignificanti e privi di valore rispetto all''abbraccio. L'ultimo. Il suo inestimabile tesoro. Quello che non sognava da quasi due anni era tornato nuovamente a farle visita con una nota stridente. Lo aveva saputo allo schiocco bagnato sulle guance, affondando le mani nella camicia ospedaliera così ruvida al tatto.
Qualcosa era cambiato.

Quel giorno lontano, sua mamma non aveva sorriso felice piangendo.

Il sogno era finito così com’era iniziato, in uno sbuffo di colori distorto e immagini disgregate. Le ciglia pesanti sollevate forzatamente al quarto tentativo erano state accolte dalla penombra soffocante della camera ove gli unici sprazzi di luce provenivano dal televisore silenzioso, un eterno sfarfallio grigiastro bruciante al primo impatto.
Due anni dall'ultimo giorno in cui aveva sognato e modificato quel momento. Da quella fatidica nottata di sangue nella chiesa, quando un ulteriore membro della sua famiglia era uscito da una porta senza farne ritorno. In quell’ultima occasione il suo inconscio aveva giocato con lei. Il letto ordinato era stato sovrapposto all'altare, la sacca delle trasfusioni era stata sostituita da una flebo incolore mentre il sangue ricopriva le ferite dei quattro ragazzi lì con lei intenti a combattere. Fisicamente sua mamma non c'era stata, l'aveva solo percepita alle spalle, sottopelle, nel cuore. L'abbraccio accogliente era stato di Takashi. Il rifugio sicuro in cui nascondersi, una spalla tonica in cui affondare a stretto contatto con una giacca sgualcita. Le parole di quella notte erano state graffitate sul muro della sua memoria, indelebili e gelosamente custodite.

Ti rispetto.

Il rombo del tuono la riscosse, la pioggia battente picchiava freneticamente sui vetri tremolanti. Fragili e delicati, incastonati in un telaio usurato dal tempo nella posizione opposta alla finestra della sua camera.
Gli ingranaggi intorpiditi dal dormiveglia vennero messi in moto controvoglia riavvolgendo gli ultimi momenti vissuti con un barlume di coscienza. Il profumo speziato catturato dal naso dissolse lentamente la foschia rammendandole la cena confusionaria a casa Mitsuya.
Takashi impegnato a rifinire il costume di scena per lo spettacolo scolastico in cui lei sarebbe stata la protagonista aveva dimenticato la pentola sul fuoco e il curry era stato salvato per miracolo. Luna lo aveva punzecchiato tutta la cena per quell'errore, prendendo volutamente in giro uno dei talenti maggiori che Takashi vantava di avere. Mana l'aveva accompagnata e in meno di cinque minuti la cena era diventata la gara a chi metteva maggiormente in imbarazzo l'altro. Inutile dire che il fratello maggiore fosse stato il vincitore indiscusso con i suoi aneddoti, alla sesta rievocazione dei bagnetti catastrofici le due sorelle gli erano piombate addosso di slancio per zittirlo al limite della vergona.
L'acqua si era rovesciata sul tavolo, il curry era schizzato sui loro volti e vestiti.
Takashi in preda alle risate si era fatto volutamente sconfiggere ricadendo a terra con il duo dedito a prenderlo inutilmente a pugni sulla pancia indurita. Involontariamente era scoppiata a ridere di gusto guardandoli azzuffarsi, in una scena tanto diversa e impossibile da ammirare o prenderne parte tra le solitarie mura della sua casa. Creando un attimo di smarrimento silenzioso in cui tre paia di occhi dal medesimo colore l'avevano osservata sorpresi cessando ogni altro movimento.
Si era sentita sbagliata, di troppo, in quel quadro di affetto familiare.
Bocca e cervello si erano collegati a fatica nell’elaborare delle scuse frettolose a cui dar voce non raggiungendo lo scopo. Era stata inglobata nella lotta in un attimo.

«Yuzuha, non ti hanno insegnato che non si ride alle spalle altrui?»

Takashi l'aveva afferrata alle spalle bloccandole ogni pensiero. Il tocco leggero delle dita sui fianchi sfiorati, le piccole e intermittenti carezze l'avevano spinta a scalciare per una fuga al primo accenno di risata.

«No, no...Taka smettila!»

Quel nomignolo ereditato dal fratello era diventato suo quando al secondo anno del liceo erano finiti nella stessa classe. Un ulteriore frammento di confidenza, un'apertura per quel ragazzo sempre presente per la loro famiglia da quando Hakkai l'aveva incontrato in un parco.

«No, non posso, ho dimenticato come si fa»

Il divertimento era stato così tanto palese ad un soffio dal suo orecchio da non necessitare un confronto diretto. I brividi le erano scivolati lungo la schiena persi poi nel divincolarsi improduttivo quando era finita schiacciata contro di lui, incastrata tra le sue braccia. Dopo averlo inutilmente provato a schiaffeggiare non aveva potuto fare altro che ridere in affanno riuscendo a malapena a sollevare i palmi.

«Sei un...» la frase era morta al ghigno accattivante e alle dita di destra scivolate verso le gambe piegate sul pavimento, sotto la pianta del piede fin troppo accessibile «No!...Idiota!»

Il sottile strato della calza di nylon era stato totalmente insufficiente a proteggerla. Il calore sbocciato sulla guancia premuta contro il volto imberbe saldamente incuneato sulla sua spalla si era irradiato sino alle orecchie. L'istinto di fuggire e arretrare al nuovo attacco l'avevano spinta all’indietro, la schiena premuta maggiormente contro il petto del suo assalitore.

«Non puoi scappare»

Taiju le aveva ripetuto quelle parole fino a marchiarle a fuoco sulla sua pelle. Un'infinità di volte. Facendole desiderare l'esatto contrario, una via di fuga dalla realtà durante i pugni e gli schiaffi sopportati per mantenere vanamente unita la propria famiglia diretta all’autodistruzione. Quella frase involontariamente pronunciata era tornata a bruciare surclassando ogni altro suono o percezione circostante. Scagliandola indietro di mesi, al tunnel buio e tortuoso in cui per lungo tempo non aveva mai osato sperare in una via d’uscita.
Era ancora impossibilita a scappare, bloccata da qualcuno di più forte capace di tenerla ferma senza sforzo. C'erano ancora mani sul suo corpo ma non pungevano la pelle, la lenivano come la malva cosparsa dopo ogni pestaggio per evitare domande. Nessun grido d’aiuto premeva soffocato tra le labbra in una villa troppo grande e solitaria. Era racchiusa fra due braccia improvvisamente allentate in una minuscola casa in cui la povertà regnava sovrana, calda e ospitale anche con una stufa non funzionante.

«Yuzuha?»

Il bisbiglio incerto di Takashi sul collo l’aveva sentito a malapena nel fischio ovattato persistente. Il campo visivo offuscato ai bordi aveva registrato le braccia intrecciate sulla sua pancia allontanarsi fino a caderle inerti in grembo. La cascata dei capelli argentei aveva anticipato il volto preoccupato sporto in avanti per guardarla in faccia.
Aveva smesso di muoversi, di ridere, ma non ricordava di aver dato tale comando ai propri muscoli. Una bambola di pezza non più proprietaria del corpo scosso dai tremori dapprima non notati che nonostante tutta la sua volontà non era riuscita a placare. La comprensione era dilagata inesorabile negli occhi color lavanda slavata ad un soffio dai suoi, sostituita velocemente dal senso di colpa nell’assordante silenzio frapposto fra loro.

«Mi dispiace…avrei dovuto immaginarlo» il balbettio affrettato era stato sbagliato sulle labbra sempre solari incupite e mordicchiate dalla colpevolezza «Sono un cretino, ho parlato ed agito senza pensare»

Takashi non aveva avuto bisogno di conferme, aveva capito tutto da solo. La notte in quella chiesa l’aveva trasformato, non in meglio, lui non aveva mai avuto bisogno di essere migliore di quanto già non fosse. Era stato più attento, difficilmente fermo alle sole risposte date da Hakkai. Chiedeva personalmente a lei come stesse, cosa pensasse, come le andava la giornata, cosa voleva mangiare quando andavano tutti e due a casa sua. Includendo sempre di più anche lei sotto l’ala protettiva dei “fratelli minori” nonostante avessero la stessa età. Finendo con il leggerla dopo pochissimo tempo come un libro aperto. Il suo modo di chiederle scusa, di ottenere un perdono che Yuzuha non aveva mai ritenuto necessario dargli, non più almeno. Takashi non aveva nulla da farsi perdonare. Forse due anni prima aveva odiato la sua cecità, l’ostinazione persistente con cui difendeva Hakkai in ogni situazione senza notare la sua rabbia sbattutagli in faccia dopo l’accordo stretto con Taiju. In cuor suo aveva sperato che Takashi capisse come stavano realmente le cose in casa senza dirlo apertamente, ma ciò non era accaduto fino allo scontro sanguinario in chiesa. Non l’aveva mai incolpato realmente e quel briciolo di delusione era scomparso velocemente quando venuto a fermarla ferendosi nel processo le era poi rimasta accanto. Era stata sua la volontà far credere che Hakkai fosse quello più maltratto, il suo dovere di sorella. Takashi l’aveva capito, aveva annuito qualche giorno dopo comprendendo appieno quello che anche lui a ruoli invertiti non avrebbe esitato a fare ma, lei lo sapeva. Lo vedeva dalle reazioni, dalle braccia ritirate velocemente come in quel momento.
Lui, infondo, rimproverava ancora sé stesso per quella svista.

Il cuore d’oro di Takashi sarebbe stato la sua rovina.

«Stai zitto»

Takashi l’aveva assecondata, non perché l’avesse ordinato nella frase a malapena comprensibile tra le lacrime. Yuzuha gli aveva afferrato gli avambracci prima che svanissero alle sue spalle in una stretta spasmodica per non farlo scappare lontano da lei. Attirandolo di forza nuovamente addosso, le braccia incociate attorno al suo busto in un incastro complicato tipico delle camicie di forza.

«Resta così e basta» una preghiera supplicata assaporando il sale infiltratosi sulle labbra tra i rumorosi battiti ormai rimbombanti sottopelle «Non allontanarti…non tu…restami vicino»

Takashi era rimasto. Tacitamente l’aveva accolta restando dietro di lei, sedendosi a sua volta sul pavimento, stringendola con una forza sconosciuta da toglierle il fiato. Le gambe avevano circondato le sue tirate al petto mentre la scia incontrollabile trasbordata oltre le sue ciglia ne aveva bagnato il volto riposizionato sulla spalla. I pollici impotenti stritolati dalle sue mani non avevano potuto asciugarle le lacrime, la guancia premuta nuovamente sulla sua ne aveva assolto il compito. Riducendosi ad accarezzarle i dorsi contratti con i polpastrelli in piccoli cerchi concentrici. Il profumo delicato che lo contraddistingueva l’aveva coccolata, dolce e avvolgente come l’abbraccio meraviglioso della sua infanzia. Un aroma poco mascolino – totalmente prevedibile vivendo con tre donne sotto lo stesso tetto – i petali dei fiori appena sbocciati raccolti al mattino, un mix di piante dalle proprietà terapeutiche per spiegarne l’effetto balsamico. Lentamente si era calmata inspirando a fondo quella vicinanza, godendosi il calore sgorgato dai punti di contatto capaci di sciogliere il gelo impossessatosi dei suoi arti e del suo cuore.

Le catene spinose immaginarie si erano spezzate con un sinistro cigolio rimpiazzato dalle pulsazioni ininterrotte sulla schiena. Un ritmo costante accompagnato dalla morbidezza delle labbra adagiate sulla gota inumidita per un bacio dolce e soffice quanto lo zucchero filato tanto amato durante i festival. Inaspettato. Takashi non si era mai spinto oltre una carezza affettuosa, una stretta fraterna o un qualunque gesto che contemplasse una sorta d’invisibile distanza. Una linea da non oltrepassare. L’apparenza per poterla chiamare e trattare come le due sorelline senza rimorsi o ambiguità, la stessa mantenuta saldamente da lei negli ultimi sette mesi a stretto contatto. Però, Takashi non poteva più essere come Hakkai. Qualcosa era mutato nel loro rapporto, così gradualmente da non rendersene conto finché i capelli cortissimi non avevano raggiunto il collo e i lineamenti maturi occupato la sua mente. Un semplice sorriso era divenuto sufficiente a scioglierle lo stomaco, un complimento a farla saltellare allegramente fino a sera.

Il bacio innocente? A farle impazzire il cuore.

Hakkai aveva avuto ragione nelle sue disinvolte battutine. Insulsa e stupida, la scusa dei capelli utilizzata per tenerlo lontano le si era ritorta contro accentuando la sua cotta adolescenziale. Era bastato poco per infatuarsi. I modi gentili e teneri così inusuali dalla forza bruta sprigionata in una scazzottata l’avevano conquistata in pochi pomeriggi di compagnia, nel periodo in cui aveva desiderato ostinatamente avere indietro un fratello maggiore da ammirare più che un fidanzato da amare.

Ora, la situazione era diversa.

«Credo di aver rovinato la cena…»

Le parole erano scivolate pesanti dalla bocca impastata dal pianto, basse e insicure ugualmente udite nel religioso silenzio scandito dal ronzio del frigorifero.

«Chi se ne importa»

Takashi l’aveva mormorato con fermezza separando le guance incollate, usando la curvatura del suo stesso braccio come base d’appoggio per guardarla meglio. Lei non era riuscita a fare altrettanto. Le loro dita fermamente intrecciate sul petto avevano catalizzato la sua attenzione spingendola nell’imbarazzante riflessione. Erano finiti estremamente vicini, più di quanto non lo fossero mai stati. Intimi. Le pieghe della gonna ricaduta accartocciata sulla base della vita a malapena avevano coperto l’indispensabile. I capelli scossi dal respiro di Takashi le avevano solleticato il collo ad ogni espirazione, venendo meno al compito di nascondere adeguatamente il rossore affluito sul viso.

«Non pensare di essere sola, per nessuna ragione al mondo» la gelatina sostituitasi al suo cuore era esplosa in minuscoli frammenti allo scatto repentino con cui si era voltata «Hai Hakkai, le tue amiche, me. Le promesse sono fragili, non posso prometterti che non ti capiterà mai più un momento di tristezza o di sentirti di nuovo in quel modo…ma parlami. Hai la mia parola, questa volta farò il possibile affinché non accada»

I battiti erano diventati dolorosi, impegnati in un incontro di arti marziali nella sua cassa toracica. Takashi aveva poggiato la fronte contro la sua cancellando ogni barlume d’informazione nella sua testa, dalla più articolata alla più basilare. La respirazione non era mai stata così complicata. Tutto sarebbe stato più facile se Takashi in passato non l’avesse mai chiamata sorellina.

«Ti meriti la felicità, di gettare alle spalle tutto il tuo dolore senza più voltarti indietro»

«Taka…potrebbe volerci una vita, non puoi-»

«Passerò con te tutto il tempo che voglio affinché tu possa vivere sentendoti libera»

Stavano ancora parlando come fratelli?

Era stato impossibile rispondere a quell’interrogativo con tutte le cellule celebrali partite per una vacanza natalizia anticipata. Il rosa pieno delle labbra aveva ricevuto tutta la sua attenzione, la mente ne aveva disegnato il sapore in assenza del coraggio. Le aveva viste le spezie utilizzate nel curry ma, su quelle sporgenze carnose avrebbe prevalso la curcuma o lo zafferano? E della cannella ne sarebbe rimasta traccia? Il peperoncino poteva averle coperte tutte senza via di scampo? Il calore rovente delle guance si era espanso al girocollo sotto la lana pizzicante e la domanda su cos’altro avesse aggiunto Takashi era sorta spontanea.
Yuzuha non aveva più ascoltato una parola. Forse il discorso non era nemmeno andato avanti e non c’erano stati responsi attesi, forse Takashi era stato perso quanto lei in quei microscopici millimetri separatori per pensare a cosa dire. Non avrebbe saputo dirlo né allora né ripensandoci, anche se l’urletto improvviso di Luna li aveva colti impreparati entrambi. Ricordandole vergognosamente la presenza di altri due abitanti della casa.
Se Takashi si era offeso alla stretta annullata quasi con violenza non l’aveva dato a vedere. Tutt’altro, quasi comprendendo il suo imbarazzo ed estraniamento per l’assenza di Mana l’aveva messa al corrente dei fatti con la sua solita naturalezza. Le due erano scappate a giocare mentre lei era troppo impegnata a contenere le risate per accorgersene, nell’implicito messaggio nascosto: “non ti hanno vista piangere, non hanno sentito nulla, non hanno vista nulla”. Quasi nulla. L’ultima parte poteva averla aggiunta di sua iniziativa ma seppur in modo contorto era stata bambina anche lei, non si era stupidi come sovente si credeva. Luna l’aveva guardata a lungo prima di concentrarsi sul fratello con uno sguardo che le aveva fatto porre centinaia di quesiti irrisolti. C’erano state delle scuse non dette, interrotte dalla nonchalance con cui Takashi aveva chiesto alla bambina se lei e la sorella avessero ancora fame. Il consueto sorriso perennemente presente mentre proponeva di riscaldare una cena ormai raffreddata consumata allegramente con il vociare della sorellina più piccola.

Il resto della serata era trascorso senza intoppi e meno imbarazzante di quanto inizialmente previsto. Si era offerta di lavare i piatti e risistemare la cucina mentre lui terminava gli ultimi accorgimenti al vestito, in modo da tenersi occupata e quantomeno distante. Luna e Mana l’avevano aiutata tra una lotta saponata e l’altra alleviandole i pensieri con grasse risate e storielle assurde di quello che combinavano rispettivamente all’elementari e alla scuola materna, facendola propendere per una carriera distante anni luce dall’insegnamento.
L’ultimo punto al costume era arrivato con lo scoppio del temporale prolungandole il soggiorno di qualche ora. Takashi aveva saggiamente deciso di non accompagnarla in moto fin quando la pioggia non si fosse un minimo attenuata, impedendole però di andare a prendere l’autobus da sola con tutto l’occorrente per lo spettacolo al seguito. Pericoloso. Era stata quella la giustificazione rifilatale allo sdegno ampiamente manifestato, sfortunatamente per lei con una cordialità e una premura contro cui non era riuscita a irritarsi ulteriormente.
La seppur piccola rivincita l’aveva ugualmente ottenuta pochi minuti dopo. Luna e Mana avevano insistito per guardare insieme uno dei loro film preferiti pregando invano il fratello di mangiare gli snack comprati quel pomeriggio. Il “no” vanamente pronunciato più volte da Takashi era venuto meno quando aveva dato manforte alle bambine, fino a cedere con il disappunto stampato sulla faccia. La soddisfazione era stata grande, protratta nella degustazione delle patatine mentre il piccolo carrellino con il televisore era stato spostato con reticenza nella cameretta condivisa. Era stato divertente anche non considerando minimamente i dinosauri del film d’animazione. Trascinata sui futon posizionati per terra e attorniata dai cuscini extra prelevati dal divano si era finalmente sentita a casa, accolta, in pace con sé stessa.

Casa…

Yuzuha cessò il perdersi nei propri ricordi. La videocassetta seguita svogliatamente era andata avanti mentre la pioggia scrosciante non aveva accennato a calmarsi. Il picchiettio incessante sui vetri aveva attirato la sua attenzione più dei dinosauri dai nomi strampalati, il calore della coperta poggiata addosso l’aveva coccolata. Takashi le aveva detto qualcosa…qualcosa che non ricordava.

Incurante del bruciore provocato dallo sfarfallio fissò con occhi vacui la trasmissione inesistente mentre un dubbio atroce prendeva forma nella sua mente. Il televisore arricchito da adesivi sorridenti sembrò farsi beffa della sua ingenua e retorica domanda, quasi parlando attraverso lo smile giallo appiccicato accanto al pulsante.

“Sì cara, sono ancora il televisore del film, quello che non hai visto a casa tua”

Yuzuha annuì al vuoto, preoccupandosi più dell’effettivo risvolto della faccenda che di star parlando mentalmente con un oggetto inanimato. Il televisore aveva avuto ragione, lei a casa non c’era mai tornata.

«Merda»

L’imprecazione sussurrata – repentinamente censurata – l’aveva spinta a voltarsi verso la prima conferma. Luna e Mana dormivano placidamente in posizione scomposte, l’una con la gamba sulla pancia dell’altra e le braccia allargate su un groviglio di coperte scostate indefinito. Non era più chiaro dove iniziassero o finissero i rispettivi futon nella penombra ma entrambi erano sicuramente da scartare dalla lista. La famiglia Mitsuya non viaggiava nell’oro, la camera di piccole dimensioni condivisa in tre non lasciava adito ad altre spiegazioni. Se le due bambine dormivano nei rispettivi posti letto lei poteva averne occupato soltanto un altro, togliendolo al legittimo proprietario.

No, peggio.

Il calore ancora percepito al risveglio non era stato il rimasuglio di un sogno. Il ciondolo a forma di limone penzolante dal cinturino in caucciù baluginava fiocamente alla luce del televisore. Il regalo sciocco e antiestetico che aveva immaginato sepolto tra milioni di rifiuti nella discarica più vicina aveva fatto bella mostra di sé sul polso niveo il giorno dopo il festival dei fiori di ciliegio, quello seguente e i giorni successivi. Era rimasta sorpresa quando Takashi aveva ammesso candidamente di apprezzarlo “è un tuo regalo, no?” ma non avrebbe mai immaginato desiderare di non vederlo. Il bracciale giaceva sul suo stomaco insieme al resto del braccio coperto dalla stessa maglia su cui qualche ora prima aveva riversato fiumi di lacrime.

Come aveva fatto a non notarlo prima?!

Lentamente ne seguì il contorno fino all’attaccatura della spalla, perdendosi a contemplare con un pizzico d’ansia la sua gamba abbracciata da quella mascolina. La mancanza di coperte abbandonate ai piedi del futon non era stato un problema insormontabile per il suo corpo, lo sfregamento fra calze e pantalone bastava a riscaldarla per intero. Accaldandola in zone fino a quel momento ignorate tanto da spingerla ad arrossire solitaria per i suoi stessi pensieri. Esitante, con la saliva frazionata allo stretto indispensabile cessò infine la sua indagine guardandolo in faccia.
Takashi dormiva placidamente a quella ridotta distanza già sperimentata qualche ora prima, il volto affondato nel cuscino con la bocca dischiusa in una smorfia involontaria. La frangia argentea copriva uno degli occhi ricadendo scomposta insieme al resto dei suoi capelli facendole provare l’irrefrenabile desiderio di scostarli per ammirarlo meglio. Il calore alla pancia bruciò a ritmo con la mano sollevata lasciata a metà strada, indecisa se assecondarne o meno la fantasia. Dai capelli sarebbe passata alla guancia, da lì alla bocca arrivando ad un punto in cui ammirarlo dormire o bearsi di quelle carezze accennate non le sarebbe bastato. Era al varco di non ritorno, se avesse smesso di negare l’esistenza di quell’attrazione sarebbe stata la fine del suo autocontrollo.
Il tentativo di provare a sguisciare via silenziosamente restò un’idea vagante come altre, per nulla ascoltata dalle sue mani entrate in contatto con i sottili crini d’argento dall’insolita morbidezza. I capelli decolorati difficilmente restavano lisci e setosi sottoposti a quello stress di tinture più volte all’anno, lei stessa faticava a placare l’effetto crespo dell’umidità nelle uggiose mattine con il solo colore naturale.

Li aveva scostati avvicinandoli delicatamente all’orecchio con il martellare del cuore nel petto e la voce della ragione in preda a crisi isteriche. Le dita avevano indugiato sui contorni scorrendo oltre il lobo, accarezzando i lineamenti dolci del viso abbelliti dai primi insignificanti accenni di peluria percepibili solo al tatto.

Il cuore compì la capriola schiantandosi contro le costole al tremolio delle palpebre, le mani corsero nella ritirata immediata allo spicchio lilla puntato confusamente su di lei.

Takashi sbatté le palpebre intontito, sventagliando le ciglia sempre più velocemente alla crescente contestualizzazione. Yuzuha lo fissò con due occhi sbarrati torturando a sangue le proprie labbra. Il tentativo di farla smettere gli fece collocare l’esatta posizione dei suoi arti: uno bloccato sotto il cuscino e l’altro scostato al risveglio, adagiato sulla lana. Soffice. Le dita colpite da scariche elettriche invisibili ballarono sulle rotondità del seno afferrato propendendo per una fuga molto tardiva alla parata carnevalesca esplosa nella testa.

«Uhm…scusa, non -» volevo?, la voce non collaborò spingendolo a maledirsi internamente per non riuscire a insudiciare la lingua seppur con una menzogna parziale «Devo essermi addormentato prima della fine del film, non volevo metterti a disagio…solitamente ho Luna e Mana che si infilano nel cure della notte e non c’è questo rischio»

Yuzuha annuì vigorosamente, incapace di elaborare una risposta di senso compiuto all’ossigeno inesistente fino al cervello. Era tremendamente sbagliato trovare appagante quella stentata carezza fatta da Takashi. Lui non era un fratello di sangue ma di quelli acquisiti che raramente si trovano nella vita, da voler bene e amare come Hakkai.

Da quando il suo tocco era diventato eccitante?

«No…nessun problema» frettolosamente ed inciampando nei suoi stessi piedi per rimettersi in piedi ballonzolò incerta sul futon «Io devo andare. Sì, a casa. Hakkai mi aspetta»

Takashi ancora disteso fissò imbambolato lo scatto della ragazza sfregandosi la guancia improvvisamente accaldata. Lo sguardo distolto per educazione non minimizzò il fuoco esploso sul resto della faccia. Yuzuha nella foga si era dimenticata di indossare una gonna e di fornire un’annessa panoramica con la sua posizione seppur nella penombra, almeno finché la domanda nemmeno udita non l’aveva colto in flagrante. Impegnato a contar i bottoni presenti nella scatola sul bordo della scrivania pur di non essere annebbiato da pensieri peccaminosi era tornato a guardarla riluttante. La lampadina si era accesa nella testa della ragazza, Yuzuha battute le mani sulla gonna si era allontanata velocemente a retromarcia inciampando nel groviglio della coperta prima che potesse avvisarla.

Tornando nolente seduta lì con lui.

«Yuzuha, calmati… » sbiascicò a bassa voce puntellandosi sui gomiti, la voce rauca di chi si è appena svegliato dal più profondo dei sogni, assicurandosi che le due bambine stessero ancora dormendo prima di continuare in un sussurro «Sta ancora piovendo a dirotto là fuori, aspetta»

«E con questo? Devo tornare a casa» fu la concitata risposta rifilata alla ricerca infruttuosa e frettolosa del suo cellulare nelle tasche della divisa sgualcita, ai piedi del futon, nella giacca abbandonata sulla sedia «Può anche grandinare, non fa nulla, non posso di certo dormire qui!»

«Ma è notte fonda! Perché questa fre

«Domani abbiamo scuola, è tardi, sono rimasta più del dovuto» frustrata per l’assenza dell’apparecchio elettronico simile a un mattoncino tornò a rialzarsi in piedi stando bene attenta a non compiere lo stesso errore «Pensa poi se tua madre tornasse e ci vedesse così! Si farebbe strane idee»

Takashi restò a fissarla confuso stropicciandosi un occhio ancora mezzo intontito dal sonno, faticando a star dietro alle frasi sputate a raffica mentre il suo cervello stava ancora ingranando la prima marcia. Yuzuha suo malgrado fece lo stesso per motivi diversi, imbambolata da quell’innocenza del dormiveglia trovata indefinibilmente attraente, sfoggiata involontariamente dal ragazzo strisciato carponi fino alla scrivania posta al suo fianco.

«In realtà credo ti abbia già visto» mormorò lui soffocando uno sbadiglio, una mano premuta sulla bocca e l’altra sollevata tranquillamente insieme alla sveglia dalle lancette fosforescenti «Sono le due del mattino…sarà tornata da almeno due ore»

«Stai scherzando?!»

Yuzuha avrebbe voluto uno scuotimento di testa e non un assenso noncurante. Takashi aveva archiviato la questione come un dettaglio futile, un insignificante mosca ronzante a cui non dare peso. Era vero, lei non aveva avuto molte occasioni per incontrare la signora Mitsuya, non la conosceva bene per suppore e creare castelli sui suoi modi di fare ma una cosa la sapeva: la donna rimboccava sempre le coperte alle sue bambine quando rincasava. L’aveva visto con i suoi occhi in diverse occasioni quell’estate, quando era stata riaccompagnata personalmente a casa in piena notte dopo interi pomeriggi passati a studiare insieme.

Sicuramente li aveva visti insieme, abbracciati, addormentati.
Non osava pensare alle strane idee formulate dalla donna, doveva sparire prima dell’indomani, magari non tornando più in quella casa.

«Yuzuha? Ehi?»

Allo schiocco di dita persistente tornò alla realtà fissando atterrita le iridi chiare ad un passo da lei, incapace di collegare quando Takashi si fosse alzato in piedi senza premurarsi di sistemare il maglioncino e la camicia sottostante. La stoffa spiegazzata fuoriusciva dai pantaloni ricadendo scompostamente sulla cinta, scoprendo lembi di pelle che non avrebbe dovuto guardare insieme alla testa arruffata e le guance arrossate derivate dal sonno.

Quasi saltò all’indietro per respirare correttamente, con un sorrisetto tirato, a tratti isterico, stampato sulla faccia. Disposta a qualunque cosa per eliminare il silenzio confuso in cui era annegato Takashi. Yuzuha avrebbe voluto urlargli di aggiustare i capelli incastrati nel cerchietto nero all’orecchino anziché restare a guardarla, lei stava faticando a tenere a freno le mani e non invadere ulteriormente quello spazio personale di sua iniziativa mentre lui continuava a creare pretesti per mettere il suo autocontrollo in discussione.

«Stavo dicendo…è ormai notte fonda e non ci sono nemmeno più autobus, avverti Hakkai che resti qui a causa del temporale così domani mattina non si spaventa non trovandoti in casa» la cadenza tranquilla di Takashi e il sorrisetto sghembo sortirono l’effetto opposto, anziché rassicurarla la gettarono nel panico «Se ti lasciassi uscire ora mamma potrebbe non farmi arrivare vivo al tuo spettacolo di Natale»

«Ma…» Yuzuha balbettò a vuoto incapace di formulare una risposta corretta alla ciocca di capelli castana scivolata sulla faccia e riportata dietro l’orecchio dalle dita di Takashi «Non ho portato nulla per la notte»

La scusa dell’anno, quella scema e per nulla d’aiuto.

«Non preoccuparti per questo, credo di avere ancora un vecchio regalo di Draken dello scorso anno» il ragazzo la oltrepassò ridacchiando, scavalcando silenziosamente i posti letto delle sorelle per scavare nel piccolo armadio dalle ante consunte «Sai, non ha proprio il senso della misura quando si tratta di capi di abbigliamento»

Fuori misura era un eufemismo. Yuzuha ammirò dubbiosa la maglia a maniche lunghe stesa da Takashi, di tre taglie più grande per lui e probabilmente inappropriata per lo stesso Draken. Nera e felpata con uno strambo animale rosa sgangherato, allucinato e verosimilmente sotto effetto di acidi cucito sul davanti.
Simile a qualcosa a cui Yuzuha non riusciva a dare un nome.

«Non l’hai cucito tu, vero?» domandò titubante prima di lasciarsi sfuggire commenti inappropriati sulla bruttezza del disegno, chiaramente sbagliato persino per lei che di cucito non capiva nulla «Sai…come esercitazione»

«No, no» il sorriso si ampliò sopprimendo una risata più rumorosa mentre tornava da lei, trattando la maglia come un estimabile tesoro concesso eccezionalmente per lei «È opera di Draken, ricordi quella maglia su cui ti ho chiesto un parere lo scorso anno?»

Yuzuha la ricordava perfettamente. Era rimasta incantata dall’enorme drago rosso meticolosamente cucito simmetricamente per tutta la lunghezza della maglia, a destra e sinistra, due maestose creature ricreazione perfetta e migliorata del tatuaggio impresso sulla testa di Draken. Completate dalle code avviluppate attorno alla manica fino a metà braccio che avevano reso quel regalo confezionato a mano una piccola opera d’arte.

«Sì, mi era piaciuta tantissimo. Era il regalo per il compleanno di Draken, giu-…» la frase andò via via scemando alla realizzazione di cosa dovesse essere lo sgorbio rosa raffigurato sul suo futuro pigiama «Non dirmi che questo…coso…lo ha cucito lui per ricambiare il pensiero»

Takashi incurvò le labbra annuendo, facendo penzolare la testa di lato, con la gioia negli occhi abbracciato a un capolavoro che di bello per lei non aveva proprio nulla se non il pensiero. Non che immaginare Draken con in mano ago e filo fosse una scena di tutti i giorni, proprio non riusciva a vederlo bene in un lavoro tanto delicato.

«Twin Dragons»

«Mh? Il vostro soprannome?» chiese afferrando i pantaloni della tuta e la maglia tesa verso di lei che nella migliore delle ipotesi le avrebbe fatto da vestito «Sarebbe stato più semplice per lui proporti lo stesso tatuaggio… anzi, a questo punto mi chiedo come abbia fatto a tatuarsi un disegno tanto figo date le sue doti artistiche»

Takashi istintivamente portò la mano alla tempia destra grattando il cuoio capelluto sopra quel disegno accuratamente celato sotto strati di capelli. Draken non gli avrebbe mai permesso di sfoggiare lo stesso tatuaggio ma paradossalmente vantava con chiunque il loro status di draghi gemelli. Tra loro c’era una fiducia indiscussa, non avrebbero esitato a porre la propria vita nelle mani dell’altro, era il fratello di cui avrebbe seguito sempre le orme.
L’altra metà di una stessa medaglia.

«Potrei averlo indirettamente aiutato…ma, ti racconto la storia solo se prendi il mio futon per la notte mentre io vado a occupare il divano»

«No!»

Yuzuha si coprì istantaneamente la bocca al monosillabo fin troppo alto, voltandosi lentamente verso le due bambine mossesi leggermente ma ancora profondamente addormentate. Il ragazzo accucciato accanto a loro sistemò le coperte scivolate via tranquillizzandola, sussurrando quanto i due terremoti necessitassero di trombe, cannoni e magari un’intera banda musicale nella stanza per svegliarsi.

«Taka non puoi dormire su quel divano microscopico con il freddo che fa, facciamo il contrario»

«Ed io che pensavo di evitare la discussione offrendoti una favola della buonanotte» lo sbuffo divertito accompagnò il mento poggiato sul palmo della mano, in bilico sulle ginocchia piegate ad un soffio a terra «Non sono riuscito a suscitare la tua curiosità?»

Le palpebre cascanti illuminate dal televisore ancora acceso così come la nota furba e provocatoria dell’ultima domanda avevano suscitato altro. Yuzuha aveva stretto l’abbigliamento tra le mani cercando di non pensare alla malizia inesistente da lei percepita. Inutilmente. Le parole avevano abbandonato la sua bocca prima che potesse fermarle.

«Puoi sempre condividere il futon con me, stavamo già dormendo così»

Il sorrisetto di Takashi si era bloccato, un attimo, quel microscopico momento necessario a far avviare una serie di domande retoriche senza risposta nella sua testa. Una più catastrofica dell’altra.

«Sempre che non ti dia fastidio, non voglio ovviamente costringerti a dormire tutto storto in quel misero spazio… Facciamo così, la storia per quanto intrigante la racconti un altro giorno. Io vado di là sul futon e tu resti qui con sul divano. No, aspetta, cosa sto dicendo? Il contrario, dobbiamo fare il contrario»

L’apocalisse prevista non era giunta al termine dello stallo sproloquiante in cui si era coperta la faccia pur di smettere di parlare a vanvera e incasinare ulteriormente il discorso. Nascosta dietro i vestiti, quegli stessi indumenti profumati come lui che aumentarono la fitta allo stomaco accentuando il calore sul viso. Lei era più coraggiosa di così, non era il tipo da nascondersi o scappare a una frase detta male. Al leggero colpo di tosse inspirò a fondo uscendo dal suo nascondiglio. Takashi passata una mano tra i capelli a capo chino aveva riportato gli occhi su di lei con la solita rassicurante aura di pace.

«Sicura che per te non sia un problema?»

No.

«Sicura»

Yuzuha voleva la stessa sicurezza tanto decantata dalla sua voce. Incerta, era rimasta a spostare il peso da un tallone all’altro guardando la porta della camera da cui sarebbe dovuta uscire per andare in bagno a cambiarsi. Non era ancora pronta a incontrare accidentalmente la padrona di casa. Le serviva un contatto con l’acqua gelida del lavandino ma non una conversazione su cosa stesse facendo nel letto del figlio.

«Puoi usare l’altro lato della camera per cambiarti»

Takashi ancora accovacciato le aveva indicato la tenda divisoria posta in mezzo alla stanza, l’escamotage utilizzato per dividere l’angolo delle bambine dal suo in mancanza di ulteriore spazio per una camera propria. Divisorio quasi inutile considerando le due piccole pesti sempre pronte ad aprire la tenda e trascinare i loro futon nell’angolo del fratello o infilarsi senza permesso accanto a lui.
Utile però per lei, per catapultatasi immediatamente dietro il piccolo tratto scorrevole ancora utilizzabile e non occupato dalle bambine addormentatesi proprio nel mezzo. Cinquanta centimetri più che sufficienti per cambiarsi e bearsi della perspicacia con cui lui continuava a intuire silenziosamente la direzione dei suoi pensieri.

Takashi dal canto suo prese la t-shirt notturna rovistando nel cassettone per un pantalone da affiancarci, abituato a dormire solitamente con quel pezzo mancante in meno sicuramente non attuabile quella notte. Fermandosi ad osservare costernato la poca attenzione riposta nell’operazione quando praticamente mezzo armadio era stato tirato fuori inutilmente.
Più agitato di quanto volesse ammettere e dare a vedere.
Non avrebbe dovuto accettare di dormire insieme a lei dopo il piccolo incidente del risveglio. A cena era riuscito a mantenere per sé tutti quegli impulsi del proprio corpo cedendo solo con un misero bacio, accusando volutamente il curry del bruciore alle labbra provato nelle ore seguenti. Perlomeno finché il suo subconscio non l’aveva tradito facendolo addormentare e svegliare accanto a lei, mandando all’aria tutti i suoi buoni propositi di non chiudere occhio e accontentarsi di vederla dormire. Una scemenza, una situazione come un’altra che aveva gettato benzina sul fuoco rammentandogli tutte quelle sensazioni che cercava di dimenticare in sua compagnia.
Hakkai era stato chiaro l’anno prima durante le pulizie a casa Shiba.

Ad inizio gennaio, un paio di settimane dopo lo scontro con Taiju, si era volontariamente offerto di aiutare Hakkai e Yuzuha nella sistemazione delle cose appartenute al fratello. I due avevano voluto riporre tutta la roba in degli scatoloni per liberarsi materialmente della sua presenza, nonostante la volontà di conservarle in soffitta. In segno di scuse per non aver potuto far molto la notte di Natale, nonostante il fermo rifiuto dei due pronti a sostenere il contrario, li aveva aiutati a spostare tutto ritrovandosi ad ora di pranzo da solo con Hakkai nella camera appartenuta a Taiju. Yuzuha era uscita a comprare qualcosa di già pronto lasciando loro due a occuparsi delle ultime cose.

«Pensavo piacessi a mia sorella, così gliel'ho chiesto a Capodanno»

Hakkai aveva tirato fuori il discorso dal nulla scorrendo l’indice sui volumi nella libreria, di spalle al suo goffo tentativo di sorreggere la scatola quasi scivolata via dalle mani per la sorpresa.

«Ma mi ha detto "Vedo Mitsuya solo come un fratellino... perché ha i capelli corti"» ridendo tra sé Hakkai l’aveva sorpassato scrollando braccia e spalle per sollevare il cartone abbandonato sul letto mentre il suo cuore dava i primi accenni di aritmia «Le ragazze sono strane, a cosa serve avere una cotta per uno già impegnato come Takemichi...Taka ti sei addormentato in piedi?"

«Eh? No, arrivo»

Al fianco di Hakkai per il resto della giornata c’era arrivato solo fisicamente, finendo con il rimuginare per giorni su quelle parole ingenuamente confessate, consapevole di non poter mai diventare qualcos’altro per Yuzuha. Lei aveva trovato il suo amore non corrisposto, come lui aveva trovato il suo. Ma, al contrario della ragazza lui non era riuscito a mantenere le distanze, un po’ a causa di Hakkai, un po’ per la volontà di volerle stare accanto come amico e fratello. Il club di economia domestica, gli scontri della Toman con conseguente scioglimento e le sue sorelle gli avevano dato pretesti utili per accantonare quei pensieri e portare avanti la sua vita finché il destino non aveva messo il suo zampino facendoli finire nella stessa classe. Distruggendo giorno dopo giorno ogni speranza di vedere Yuzuha solo e soltanto come una cara sorella.
Quel lontano gennaio Hakkai aveva posto la domanda alla persona sbagliata.

«Ti piace Yuzuha»

Draken al contrario non si era nemmeno preoccupato di renderla una domanda.
Dallo scioglimento della gang e con paradossalmente il suo tempo libero ridotto a poche ore notturne, l’ex vicecomandante della Toman era stato costretto a pedinarlo durante le commissioni giornaliere pur di passare del tempo insieme dopo la chiusura dell’officina. Il pomeriggio della settimana scorsa l’aveva invitato a cena, obbligandolo a comprare insieme gli ingredienti prima di tornare all’abitazione con un risvolto totalmente inatteso. Draken aveva sputato l’osservazione senza mezzi termini davanti il negozio di alimentari in cui pochi istanti prima avevano incontrato e salutato i fratelli Shiba.

«No»

Istintivamente l’aveva negato, con una durezza fuori dall’ordinario osservando le due figure ormai lontane alla fine del marciapiede. Incapace di appurare chi stesse effettivamente cercando di convincere con quella negazione dopo un anno e mezzo speso a sopprimere ogni sentimento diverso dall’amore fraterno.

Lo schiaffo sul collo l’aveva colto alla sprovvista, decisamente più forte e violento delle solite pacche rifilategli scherzosamente da Draken.

«Smettila Mitsuya» massaggiandosi la nuca pulsante aveva osservato confuso l’occhiata d’acciaio e l’atteggiamento autoritario riserbato rarissime volte per lui «Smettila di mentire solo per non ricordarmi Emma»

Tutto il disappunto per il colpo a sorpresa era scemato spingendolo a guardare il lastricato del marciapiede ottenebrato dal senso di colpa. Il suo bluff era stato facilmente scoperto, dalla morte di Emma aveva smesso volutamente di fare commenti sulle ragazze viste in giro o di portare in qualsivoglia modo la conversazione su un ambito più personale. Le notti successive alla perdita della ragazza le avevano passate spesso insieme. L’aveva invitato più volte ad andare da lui, a viaggiare in moto fino all’alba o semplicemente ad accettare la sua presenza al suo fianco in silenzio nei pressi del cimitero. Sapeva quanto fosse forte, nonostante tutto il dolore ancora visibile era riuscito ad andare avanti e costruirsi un futuro. Lo ammirava, ma allo stesso tempo non poteva far a meno di ricadere recidivamente in quei comportamenti da mamma apprensiva irritante così etichettati da Draken.

Evidentemente era stato scoperto prima del previsto, il suo amico aveva solo atteso il momento propizio per sbatterglielo letteralmente in faccia.

«Mi dispiace, non volevo procurarti ulteriore dolore»

«Come se non lo sapessi»

Draken aveva sbuffato poggiandosi al parapetto della carreggiata stradale, le braccia incrociate sulla tuta sporca d’olio di motore e un ghigno ironico presto impresso sulla faccia. Era stato perdonato velocemente.

«Lo dicevo io che la vita da delinquente non ti apparteneva» l’insinuazione derisoria avrebbe dovuto infastidirlo ma nemmeno il più piccolo pizzico di insofferenza trovò via d’uscita «Sei fottutamente buono…se non esistessi dovrebbero crearti»

«Perché anche un complimento detto da te somiglia a un insulto?»

«Sei un cazzo di cuore di burro»

Alle occhiate oblique dei passanti aveva sospirato sollevando le buste della spesa, accennando in direzione di casa sua per non cambiare nuovamente supermercato a causa del suo amico. La lista di ingiurie fasulle dette per il solo gusto di infastidirlo si era attenuata quando l’aveva abbandonato diversi passi indietro. Draken ovviamente non si era scomposto scoppiando a ridere di gusto. In poche falcate aveva recuperato la distanza perduta strappandogli di mano uno dei sacchetti per passargli amichevolmente un braccio attorno al collo.

«Mitsuya, apprezzo davvero i tuoi sforzi ma non serve, continuo a pensare ad Emma ogni singolo giorno anche senza te e i tuoi problemi di cuore» l’equilibrio faticosamente trattenuto e lo strattone alle spalle lo costrinsero ad arrestare il cammino in mezzo al marciapiede «Quindi, sputa il rospo e ammettilo ad alta voce»

«Sì, mi piace...»

«Chi?»

Draken l’aveva scosso leggermente chinandosi in avanti pur di guardarlo in faccia, esortandolo a dire quelle sillabe che proprio non volevano saperne di uscire dalla bocca. Era stato già tremendamente difficile ammettere finalmente a qualcuno diverso dallo specchio del bagno quell’interesse, visto e considerato che il suo riflesso ancora attendeva un cenno affermativo del capo mai arrivato. Giungere a confessare apertamente il suo nome era stato un atto esponenzialmente più complicato, aveva reso definitivo quel sentimento.

«Yuzuha» infine l’aveva sussurrato a labbra tremanti nel caos cittadino, a stento udito tra lo sfrecciare delle auto e il chiacchiericcio della gente passatagli accanto, un nome come altri per quegli estranei, un’associazione capace di cospargere di porpora le guance per lui «Ma non ho speranze, a lei interessa qualcun altro, almeno così mi ha detto Hakkai una volta»

Il burbero colpetto sul petto l’aveva spinto a guardare gli occhi scuri del suo interlocutore nonostante l’imbarazzo, non gli piaceva essere compatito e per sua stessa considerazione il suo tono era sembrato troppo arrendevole. Draken però schioccata la lingua non aveva detto nulla, l’aveva semplicemente esortato a camminare riprendendo parola solo in sella alla sua moto condivisa per quel giorno.

«Per esperienza, non lasciare nulla d'intentato...potresti pentirtene quando non ne avrai più l'occasione» il casco e il vento non avevano impedito al resto della frase mormorata al suo orecchio di generare emozioni contrastanti nel tragitto verso casa «Il tempo non ti è amico»

Takashi quell’allusione l’aveva recepita perfettamente, quella conversazione era stata difficile per entrambi. I rimpianti celati nel cuore di Draken poteva soltanto immaginarli, desiderando non provarli tanto presto. Perdere qualcuno di così importante, in così giovane età, era un dolore con cui non voleva fare i conti tanto presto. Il tre agosto di due anni prima al sol pensiero di trovare Draken in obitorio e non in sala operatoria era impazzito, la rabbia esplosa nel suo corpo l’aveva portato a prendere a pugni il muro per l’impotenza.
Immaginare di perdere lui, qualcuno della sua famiglia o la stessa Yuzuha gli faceva paura.
Da una parte poteva soltanto ringraziare lo scioglimento della banda per aver allontanato la maggior parte dei suoi amici da possibili guai e pericoli, diminuendo le possibilità di vedere qualcuno di loro attorniato da fiori e incenso come ultima volta.

Baji ed Emma erano stati più che sufficienti, non ne avrebbe retto un’altra.

«Taka? Posso tornare?»

Takashi sospirò dolorosamente scompigliandosi i capelli all’esplosione della bolla malinconica nella quale si era rintanato. Yuzuha aveva terminato di cambiarsi mentre lui era rimasto ad osservare il nulla. Esortato a muoversi velocemente dai passi ovattati, sostituì la divisa scolastica con i due pezzi della tuta finendo di tirar su i pantaloni contemporaneamente allo scostamento della tenda.

Il buffo tentativo minaccioso di Yuzuha non gli impedì il solco di un sorriso. La maglia oversize lunga sino alle ginocchia e arrotolata sui polsi vinceva a mani basse contro l’indice intimidatorio puntato verso di lui nel tentativo di imporgli di non ridere.

Yuzuha gli appariva incredibilmente bella anche conciata in quel modo.

I capelli disordinati appiattiti dalle dita e il broncio torvo gli facevano soltanto venir voglia di correre verso di lei, abbracciarla e non lasciarla più andare.

«Direi che possiamo andare a dormire»

Il buio suo alleato gli aveva impedito quella pazzia nonostante il presupposto di averla distesa accanto. Ignorando ogni pensiero logico l’aveva invitata ad accomodarsi sul futon spegnendo finalmente il televisore per lasciare il predominio all’oscurità della notte. Le imposte parzialmente chiuse rischiarate da radi lampi esterni conferivano il minimo indispensabile fascio di luce utile a identificare le forme della stanza e null’altro.

Nessun particolare, nessun volto, nulla da contemplare inebetito fino al mattino. Almeno finché gli occhi non si fossero abituati al buio. In quel caso la tiepida speranza era di essere già stato abbracciato da Morfeo e portato in una terra lontana prima di perdere la testa.

«Smettila di ridere sotto i baffi o giuro che te la faccio pagare»

«Ti assicuro che non lo sto facendo»

«Bugiardo, ti vedo»

«Ma se siamo al buio»

Takashi mossosi a tentoni tra i borbotti sommessi incassò suo malgrado un pugno alla spalla una volta inginocchiato sulla coperta, colpo più che meritato considerando la sottile risatina che non era riuscito ad arrestare del tutto. Non soddisfatta del poco dolore inferto Yuzuha aveva azzardato anche uno schiaffo che la fortuna dalla sua parte aveva fatto giungere in piena faccia una volta sdraiato al suo fianco.

«Va bene, mi arrendo! Lo ammetto, stavo ridendo»

«Non credevo bastasse così poco per vincere… tsk, sei il solito gentiluomo che lascia vincere le donne. Irritante»

Yuzuha l’aveva borbottato accanto a lui, così vicina nel buio da preferire una sconfitta fulminea al rischio di toccarla accidentalmente in posti sbagliati durante un’amichevole lotta. La sua mano voleva esplorare le curve di quel corpo, infilarsi sotto la maglia data in prestito e accarezzarle la pelle. Una fantasia piuttosto ardita che della correttezza e l’atteggiamento nobiliare appena associato a lui non aveva nulla.

«Forse sì, forse no…chi lo sa»

Rannicchiata nel suo angolo Yuzuha si era voltata dando le spalle all’altra presenza sotto le coperte. Parlare di cose inutili e punzecchiarlo come al solito erano sembrati i pretesti giusti per mantenere una parvenza di normalità in quella situazione, ma con Takashi così arrendevole non erano durati a lungo. Il sonno l’aveva abbandonata da un pezzo, non sarebbe riuscita a dormire facilmente con la tachicardia in corpo e gli abiti di Takashi stretti addosso. Era come averlo a fianco – non che materialmente non fosse così – ma congiunto a lei pelle contro pelle, senza alcuno spazio frapposto tra loro dalle coperte.
Incasinata com’era non aveva fatto caso a quanto facesse freddo nella camera quando si era cambiata, le temperature invernali e le pareti sottili non trattenevano adeguatamente il calore. La coperta tesa fra di loro ai due capi opposti dello stretto letto facilitava l’infiltrazione degli spifferi gelidi procurandole brividi nonostante internamente andasse a fuoco. La stufetta rotta era stato sicuramente il problema di quel gelo a cui non era per nulla abituata ma tediare ulteriormente il padrone di casa facendo presente il bisogno di quell’ulteriore coperta era fuori discussione.

Takashi così silenzioso poteva essersi già addormentato.

«Etcì

«Hai freddo?»

Yuzuha si morse le labbra insultando il suo stesso organismo poco resistente. Mentire non l’avrebbe giovata in ogni caso, Takashi avrebbe capito la sua bugia continuando a indagare.

«Un po’…ma non preoccuparti»

Il fruscio segnalò lo spostamento di coperte alle sue spalle spingendo il suo orgoglio a reagire, Takashi era dannatamente prevedibile quando si trattava di preoccuparsi per il prossimo. Il richiamo duro di farsi gli affari suoi almeno per una volta restò sospeso sulla punta della lingua alla soluzione inaspettata adottata. Il braccio pallido era scivolato sul suo fianco stringendosi attorno alla pancia, impedendole di completare la rotazione e voltarsi e far valere il suo punto di vista. Takashi l’aveva poggiato leggermente, con cautela, cingendola soltanto quando era stato certo di non essere scacciato con un manrovescio o una gomitata d’autodifesa. La sicurezza si era fatta largo nel semplice gesto, l’azzardo insicuro era stato convertito in una solida stretta che l’aveva spinta all’indietro. L’aveva attirata verso di sé in mancanza di una resistenza, racchiudendo le sue mani gelide sotto la propria dotata di riscaldamento autonomo. Il calore sprigionato dalla presa e attraverso il contatto tra i loro corpi era stato più che sufficiente a farle dimenticare le basse temperature. I respiri leggeri le avevano stuzzicato il collo scatenando brividi lungo la spina dorsale, spingendo lei stessa ad accoccolarsi il più possibile tra le braccia accoglienti. Fino a ritrovarsi ad usare come cuscino l’incavo dell’altro braccio fatto passare sotto la testa.

Takashi era un termosifone nonostante la maglietta a maniche corte. Il perché le due sorelline finissero sempre accanto a lui in special modo in inverno non era più mistero.

«Va meglio?»

Yuzuha avrebbe voluto restare così in eterno.

«Sì»

Takashi abbassò le palpebre affondando il viso nei capelli sottostanti, ringraziando di non poter essere guardato in faccia. Non era riuscito a fermarsi, l’aveva abbracciata assecondando l’istinto rendendosene conto troppo tardi. Yuzuha si era avvicinata così tanto da non distinguere più il buon senso dai piaceri personali. La luce accesa o spenta avrebbe fatto poca differenza per i suoi ormoni ballerini.

«Non avevi una storia da raccontare?»

«Mh»

La storia dell’incontro con Draken, quella del tatuaggio tanto speciale e significativo. Takashi non la ricordava più. I ricordi non collaboravano, tutti schierati verso i momenti trascorsi con Yuzuha; dal più innocente giorno scolastico al pomeriggio passato al mare con lei e le sorelline, dalla torta preparata insieme per il compleanno di Hakkai ai fuochi d’artificio ammirati da soli sotto le stelle, dalla spesa effettuata nello stesso supermercato al vestito per una festa realizzato esclusivamente per lei.
Tutti con un unico comune denominatore: il contatto con lei.
Il foglio contemporaneamente preso dal banco, la scivolosa crema solare tra le dita strofinate sulla schiena pallida, gli schizzi di panna leccati via dalla guancia in segno di sfida dopo il disastro in cucina, la mano intrecciata alla sua per allontanare un corteggiatore indesiderato al festival, lo stesso ombrello condiviso sotto la pioggia stracolmi di buste, il metro sartoriale fatto scorrere sul corpo, attorno alla vita, lungo i fianchi, intorno al seno. Ottantatré, settanta, ottantasette.
Numeri marchiati nel cervello, incapaci di essere dimenticati.

Yuzuha aveva elogiato il suo vestito più del dovuto con complimenti immeritati ma senz’altro apprezzati, ignara dello schizzo recante un completino intimo osé in perfetto pendant con l’abito indossato alla festa dove era stata invitata da una sua amica. Il disegno aveva preso vita spinto dalla fantasia galoppante alla fine delle attività del club scolastico, con una modella stilizzata superflua fin troppo simile a lei anche per un estraneo. Hakkai aveva fatto irruzione nell’aula insieme a Draken – frequentatore abituale di una scuola non sua – e per poco non aveva dovuto mangiare la carta e fuggire dalla finestra per evitare che i due impiccioni continuassero a insistere di dover vedere come se lo cavava il loro stilista in erba.

Il punto debole dell’essere appassionato di sartoria in piena crisi ormonale era immaginare troppo facilmente quante cose una persona potesse o meno indossare. Il disegno degli slip e del reggiseno poco casto era stato un suo capriccio, una fantasia che non aveva voluto condividere con nessuno di loro. Dire ad Hakkai di aver progettato ricami e pizzo velato immaginandoli addosso a sua sorella, a letto con lui, probabilmente pronta a farseli sfilare era stato fuori discussione. Aveva fatto sparire velocemente lo schizzo dalla loro vista innescando un tira e molla vinto per pura fortuna tra i due giganti in quella lotta totalmente impari. Draken prevedibilmente aveva conquistato la vetta ma altrettanto inaspettatamente era stato il primo ad arrendersi e dichiarare una resa che Hakkai non aveva potuto fare altro che assecondare. Non provando nemmeno a gettare l’occhio sul bottino conquistato gliel’aveva restituito squadrandolo con un ghigno divertito allora non compreso, qualcosa nel suo atto disperato di volerlo tenere segreto l’aveva convinto. Soltanto dopo il pomeriggio in cui aveva messo a nudo il proprio cuore con lui l’aveva capito, non era stata una semplice tregua. Draken aveva già intuito che qualcosa non andava, prima ancora che lui facesse i conti con i suoi sentimenti e le sue fantasie per quella perversione a lungo considerata sbagliata verso di lei.

Il completino sexy alla fine l’aveva realizzato dopo aver sfogliato diverse riviste di moda fai da te, cucito e accuratamente confezionato, segregato dietro strati di vestiti e scatole nell’armadio. Lontano da occhi indiscreti e dalla mancanza di un legame e la giusta dose di coraggio per regalarlo.

«Taka?»

«Sì…oh, allora, tutto è cominciato l’unica sera che ho deciso di scappare di casa»

Il pilota automatico l’avevano tutti, persino le persone. L’iniziale titubanza Takashi l’abbandonò senza farci caso, elargendo dettagli e momenti di quella serata lontana senza porci attenzione. Distante dalla realtà e dal ricordo, fisso con la mente sulla ragazza accanto a lui, sul suo profumo, sul concerto di battiti esploso tra le scapole.

«Non ci credo…hai scambiato un’opera d’arte per del cibo»

Yuzuha era scoppiata a ridere presto raggomitolata contro di lui.
Il volto nascosto sul suo braccio intorpidito, baciato dalle labbra premute sulla pelle scoperta per soffocare le risate altresì rumorose. Il corpo scosso da tremori ripercossi sui suoi tendini in tensione, sul desiderio di ricevere tra quelle carezze labiali involontarie piccoli morsi da ricambiare sul collo longilineo messo in mostra dalla manica scivolata via.

La maglia fuori misura era stata una cattivissima scelta.

Il suo discorso aveva perso il filo all’ammissione di essersi tatuato il drago stilizzato. Incapace di crederci Yuzuha aveva compiuto l’errore peggiore di tutti voltandosi a guardarlo. Il buio aveva rotto la loro alleanza, gli occhi abituati all’oscurità ed aiutati dallo schermo del cellulare sul pavimento illuminatosi per una notifica l’avevano tradito.

«Non continui?»

Il disagio al basso ventre l’aveva invogliato a distanziare il bacino quel tanto per non far capire la natura dei suoi pensieri, salvando quel poco di dignità rimasta. Le guance arrossate da contorno al sorriso entusiasta e lo scintillio di pura felicità intravisto negli occhi bronzati per un singolo istante erano stati sufficienti a mandare tutto in blackout.

«Taka?»

Il display ritornò inerte contrariamente all’organo tra le sue gambe.
Era una questione di poco sforzo, sarebbe bastato uno spostamento in avanti per accorciare la distanza tra le loro labbra e scoprirne il sapore. Il buio non aveva mai avuto importanza, conosceva l’esatta posizione verso cui andare, anche chiudendo le palpebre il desiderio non si sarebbe assopito.

Cinque centimetri.

«Ti sei imbambolato?»

I suoi pensieri erano maledettamente folli.

La mano adagiata sulla curva del fianco tremò per restare al suo posto e non discendere verso le rotondità del fondoschiena. Il battito di ciglia perplesso lo attirò più vicino, il respiro irregolare trattenuto bruciò nella casa toracica.

Quattro centimetri.

«No…»

«Oh…c’è qualcosa che non va?»

Molte erano le cose fuori posto, a cominciare dalla compagnia nello stesso letto in attesa dell’alba fin troppo lontana. La piega pensierosa aveva increspato le sopracciglia castane mentre la perplessità le aveva arricciato le labbra, un quadro grazioso, tenero, buffo.
Attraente al punto da voler dissipare i suoi dubbi in un unico modo.

Tre centimetri.

«Yuzuha…»

«Sì?»

La distanza raddoppiò non per buon senso ma per rispetto.

Il suo corpo era stato chiaro, non sarebbe riuscito a vedere il sorgere del sole senza fare qualche sciocchezza ed evitarla non era più possibile. Poteva solo limitare i danni senza annientare la fiducia indiscussa riposta in lui. Baciarla senza autorizzazione non rientrava tra le opzioni contemplabili a mantenere un legame anche se dopo anni ad occuparsi degli altri, delle sorelline, degli amici, di ogni persona che chiedesse il suo aiuto avrebbe voluto soltanto essere egoista.

Pensare ai propri desideri senza rimorsi di coscienza e senza rimpianti.
Egoista.

«Takash

«Promettimi che non scapperai nel cuore della notte, che resterai qui con me anche se in stanze diverse» uno, due, tre…dieci, venti, quaranta battiti si susseguirono freneticamente nella pausa ansiogena di quel sussurro sviscerato intoppando tra le parole «Promettimi solo questo»

Yuzuha sussultò mentre scostava la frangia, la mano sollevata sul volto era rimasta catturata da quella di Takashi scappata dal fianco durante la frase improvvisa. Palmo a palmo, dita intrecciate serrate con forza sul dorso pressato quel tanto da far male senza lasciare il segno.

«Di costa stai parlando? Perché dovrei scappare?»

L’ansia aveva aperto una voragine nel suo stomaco, un buco nero fatto di emozioni contrastanti. Yuzuha si sentiva soffocare dalle idilliache speranze immotivate in guerra aperta con la paura di aver accidentalmente reso fin troppo chiari i suoi sentimenti.

«Promettimelo…per favore»

Impreparata per quel rifiuto diretto prossimo ad arrivare secondo le sue supposizioni, aveva provato ad allontanarsi senza riuscirci. Takashi aveva accentuato la prese guardandola negli occhi con un’espressione quasi impaurita, supplicandola silenziosamente oltre che con le parole.

«Promesso»

Non era stata colpa sua, lui non doveva rattristarsi per quello che stava per dire.
Era stata lei ad innamorarsi della persona sbagliata, quella così dolce da preoccuparsi perfino di farla restare male con un rifiuto. Enfatizzando ancora una volta nei suoi pensieri quanto lo ritenesse speciale per tutti quei piccoli accorgimenti.

«Io…io…»

Takashi non aveva continuato.

La bocca dischiusa non aveva emesso altri suoni, lo sguardo distolto era stato diretto al lenzuolo tra morsi agitati alle labbra. Il sospiro frustrato era sgorgato feroce quanto lo stritolamento alla mano, il volto era stato celato dall’altra tirata via da sotto il suo busto.

«Cavolo… » il pollice e l’indice stretti sul ponte del naso non avevano placato la tensione spingendo il risolino isterico a riempire il silenzio «Quanto sono negato per queste cose»

Yuzuha deglutì stando bene attenta a non lasciar trasparire la tristezza scivolata in ogni singolo arto. Le mancava già stargli accanto, parlargli ogni giorno, scherzarci, sfiorarlo, accarezzarlo; ammirarlo concentrato sui suoi schizzi con la matita rotolata tra le dita, uno sbuffo scioccato alle interruzioni di Hakkai e un sorriso gentile sempre riservato per lei.
Essere la prima a vedere le sue invenzioni, consigliarlo, indossare per prima quegli iniziali tentativi fantasiosi che l’avrebbero sicuramente portato a coronare il suo sogno di designer.

«Takashi non è necessario…»

La frase non trovò conclusione, bloccata dal nodo alla gola.
Sentiva le lacrime pungere agli angoli degli occhi prontamente ricacciate indietro per non rendere il tutto ancora più complicato. Era stato sciocco pensare di poter andare nella medesima direzione sentimentale. Lui avrebbe potuto avere chiunque al suo fianco, lei sarebbe rimasta per sempre soltanto la sorellina del suo più accanito e alquanto ambiguo sostenitore. La felicità non si raggiungeva così facilmente, gliel’aveva detto.

«…non fa nulla, davvero»

Takashi spostò il braccio e il volto tornò visibile insieme alla persistente stanchezza delle palpebre cadenti, insolitamente accentuata sulla carne pallida. I contorni delle borse sotto gli occhi scavavano rudi i lineamenti troppo delicati per appartenere ad un uomo, profanavano quella bellezza sfiorita dalle notti negligenti passate sveglio a studiare o concludere mansioni domestiche rimaste incomplete anziché riposare. Lambiti fugacemente con poco tatto dal fascio di luce esterno. Il lampo li aveva enfatizzati, i solchi avevano gettato ombre scure attorno ai tormentati occhi inchiodati su di lei. Un misto di lilla e argenteo, insoliti e dai confini mescolati al bianco della sclera in cui lei si era totalmente smarrita.

L’accennato sorrisetto agrodolce lo intravide appena persa com’era nella sua contemplazione alla deriva. Apparentemente sghembo per chi non lo conosceva ma colmo di rammarico per chi, come lei, aveva imparato a cogliere tutte le sfumature. Esageratamente affranto, fin troppo vicino all’essere lui la parte lesa piuttosto che il detentore del coltello dalla parte del manico.

Non stava per infrangere i suoi sogni?

«Yuzuha, perdonami»

I filiformi capelli argentei le accarezzarono la fronte scossi da un vento inesistente all’inusuale e alquanto disperata richiesta di assoluzione. Takashi le aveva lasciato la mano come l’uccellino svolazzante nei cartoni animati abbandona il proprio nido diretto al cofano dell’auto in bilico sul ciglio di dirupo. Il battito d’ali incerto, il peso piuma improvviso a malapena adagiato sulla carrozzeria.

La morbidezza premuta contro le sue labbra non le aveva lasciato scampo.

Takashi l’aveva baciata senza il giusto preavviso, leggero e fatale come l’auto precipitata nel vuoto al peso di troppo. Un contatto soffice, umido, dalla lunghezza indeterminata. Il primo ed unico ottenuto nella sua vita. Le riviste femminili e i racconti delle sue compagne con le loro frasi fatte non erano state sufficientemente paragonabili alla scarica di emozioni detonata nell’addome insieme al rombo minaccioso del tuono. La bocca scottava contro la sua fredda, assuefaceva la razionalità spingendola ad assecondarne il movimento per impedirne la sospensione. Lo spaesamento era stato sostituito dall’esitante ricambio. Un movimento della bocca appena accennato, il labbro inferiore catturato tra le proprie, la lingua scivolata sullo strato di carne morbida in cui i denti affondarono debolmente.

La microscopica interruzione di Takashi a stento registrata tra lo scambio d’effusioni divampato in un gioco di carezze passionali e scambi di lingua.

La mano era risalita sulla sua guancia facendosi largo tra i capelli, insinuandosi sulla nuca, spingendo i loro visi sempre più vicini. Le sue braccia erano scattate attorno al collo schiacciandosi contro di lui, attorcigliandosi tra i capelli gettati alla rinfusa sulle coperte divenute un campo di battaglia. I ripensamenti avevano cessato di esistere, soppressi dalla forza calamitica sostituitasi alla muraglia meticolosamente eretta da entrambi, in piedi fino a pochi secondi prima. Irrefrenabile e irrazionale, incapace di arginare le carezze lascive cosparse sui loro corpi e i baci sempre più appassionati privi di ritegno che la ragione ormai addormentata era ben lontana dallo spiegare.

Yuzuha lasciò scivolare il braccio sotto di lei mugugnando soffocata alla punta dei polpastrelli strofinati alla base della schiena. Avvinghiata a lui e al rigonfiamento irrigidito dei pantaloni sfregato contro la pancia, impazienti di non perdere alcun secondo a disposizione senza conoscersi fisicamente l’un l’altro. Viandanti esploratori nella stessa inesperienza tra le coperte aggrovigliate e baci bagnati sempre più passionali.

Placati soltanto dal clic della riserva d’ossigeno esaurita.

Imbarazzati e affannati dalla stessa audacia messa in mostra alla lenta ripresa d’afflusso ai polmoni, sopresi dalla frenesia che li aveva travolti portando l’una cavalcioni sull’altro, intimità a contatto. L’inguine di Yuzuha pulsava contro la stoffa dei pantaloni scivolati oltre la molla dei boxer, svelata nei movimenti frenetici come la propria pancia parzialmente scoperta. La mano di Takashi le aveva afferrato la natica sinistra crogiolandosi con l’altra sotto la maglia, arruffato e sconvolto quanto lei dalla piega degli eventi. Entrambi immobili, indecisi sulla giusta reazione o le corrette parole da elargire per quel confuso scoppio erotico ambivalente.

«Takashi…» il sussurro tra i sospiri ansanti acquisì una nota lamentosa al palmo ancora premuto contro il seno, artefice involontario dell’attrito scaturito all’alzamento e abbassamento del petto «Ho bisogno di sapere questo cosa significa»

Takashi umettò il labbro gonfio e insolitamente asciutto inspirando a fatica con un tremolio al sopracciglio e l’ombra sfuggente di un ghigno incerto, quasi a voler sottolineare con la sola mimica facciale l’ovvietà di quella risposta altresì complicata.
Parzialmente rincuorato negli iniziali timori da quell’implicito consenso non verbale.

«Pensavo che il mio atto volgare fosse stato abbastanza esplicativo… ma comprendo la tua perplessità» bisbigliò con il cuore palpitante in gola, gli occhi strizzati alla cascata di capelli castani penzolati ai lati della faccia in quel momento intrappolata dalle braccia poste a sostegno sul futon per non finirgli addosso «Devo esserti sembrato una qualche sorta di maniaco sessuale, incapace di parlare ma quasi perfettamente in grado di svestirti senza permesso…ti chiedo scusa»

«Ti stai scusando di nuovo…perché cavolo continui a farlo?»

Yuzuha la pose come un’accusa poco velata, le mani erano state allontanate reticenti da lei per essere riposte in grembo. Takashi nemmeno per un istante aveva distolto lo sguardo, fissandola silenzioso con quell’intensità capace di farle attorcigliare le viscere.
Recluso nella consueta gabbia di riflessione spesso innescata dall’elaborazione di constatazioni particolarmente difficili da spiegare.

«I tuoi ormoni si sono improvvisamente svegliati rendendosi conto che sono una donna e non più una sorellina?» da sola si soprese per l’ironia e la casualità inserite sul finire della domanda priva di vergogna ormai superflua se paragonata all’indecente posizione in cui ancora giacevano «Mi hai chiesto di perdonarti perché stavi per usarmi soltanto per i tuoi personali piaceri senza pensare ai miei sentimenti? Per della mera attrazione fisica? Per cosa Takashi…dimmelo»

«Non oserei mai trattarti egoisticamente come un oggetto»

Takashi l’aveva ribadito veemente, con quella stessa pacata e intransigente determinazione mostrata nel faccia a faccia con Taiju senza nemmeno pensarci. Il suo solito sé, il ragazzo pieno di valori e principi per cui aveva perso la testa.

«Lo so benissimo, solo non capisco tale cambio d’approccio. Per me sei una sottospecie di angelo, non ti rendi nemmeno conto di quanto sei speciale con la tua gentilezza e la tua dolcezza, sei una rarità Takashi…una di cui io non riesco più a fare a meno nella mia vita» il volto arrossato quanto il suo sotto di lei si era cosparso di sorpresa, tra i sospiri rumorosi gli occhi chiari dilatati all’inverosimile l’avevano osservata costernati «Mi rifiuto categoricamente di crederti una persona talmente meschina da potermi sfruttare solo a scopi sessuali. Per questo ti chiedo, cosa ti ha spinto?...Non voglio farmi un’idea sbagliata, non adesso, non con te»

«Sei bellissima»

Yuzuha quasi si strozzò con la sua stessa saliva all’improvviso complimento detto con tutta la sincerità di cui Takashi era in possesso. Tranquillo e pacato, come se gli avesse semplicemente parlato delle previsioni meteo previste per l’indomani mentre lei faticava a creare profonde frasi dal senso compiuto.

«Eh?! Taka-»

«Mi sono innamorato di te»

Una dichiarazione semplice, senza fronzoli, detta con estrema naturalezza da chi fino a un minuto prima aveva sostenuto la sua incapacità di dialogo. Yuzuha non avrebbe mai capito quell’insicurezza per nulla veritiera celata nell’essere perfetto che afferratagli delicatamente l’estremità della maglia l’aveva lentamente tirata in basso vero di sé. La bocca nuovamente premuta sulla sua in un bacio stracolmo di dolcezza, soffice e angelico quanto le carezze trascinate sulle guance bollenti raccolte tra le mani. Il desiderio prorompente sostituito dalla placida armonia di labbra rincorsesi pigramente per abbracciarsi, ritrovarsi, godersi il momento e non lasciarsi più andare. La bolla di coccole in cui esistevano solo loro senza alcun secondo fine, sdraiati l’uno sull’altro con nessuna intenzione di spostarsi di un millimetro. Beati nel calore sviscerato dai loro corpi, cuore a cuore nell’abbraccio soffocante sotto le coperte. Takashi, eterno sdolcinato, trasmetteva tutto il suo amore anche in quello. Un bacio all’angolo della bocca, uno alla guancia, uno alla base del mento susseguito dalla piccola scia alternata a sospiri posata lungo l’incavo del collo.
La trattava come il più fragile dei tesori, in modo totalmente opposto all’irruente versione di sé messa in luce attimi prima. Il lato angelico smielato che prendeva il sopravvento sugli impulsi lussuriosi rendendolo ancora più attraente, accentuando quella fiamma di felicità accesasi insperatamente su una candela spenta e tediata da tempo dalle intemperie.

«Fratellone?»

Takashi imprecò a fior di labbra sussultando al richiamo infantile assonnato, gli occhi socchiusi riflessi in quelli oro colato allarmati dinanzi ai suoi. Yuzuha rotolata immediatamente da parte sistemò alla meglio i capelli ingarbugliati mentre scostava la coperta per osservare la figurina della bambina arrancata sul suo futon.

«Cosa c’è Mana? Un brutto sogno?»

Mana, la testolina inclinata nel buio si era fermata a metà esplorazione sbattendo le ciglia oltre alle manine sulle lenzuola, confusa dalla presenza della ragazza ancora a casa loro. Annuendo incerta dopo qualche istante alla domanda preoccupata del fratello che si era seduto sciogliendo quello che chiaramente per lei era un abbraccio molto affettuoso.

«Yuzuha-chan sei rimasta a farci compagnia?»

«Uh…sì, era ormai tardi»

Yuzuha sorrise riluttante balzando seduta a sua volta, con la migliore espressione di isterica tranquillità rifilabile in quelle circostanze. Aggiustandosi freneticamente la maglia spiegazzata e qualunque altra parte dei suoi indumenti fuori posto prima che la curiosità della bambina sfociasse in domande sbagliate.

«Oh…Fratellone però potevi dormire sul divano e non rubarle il letto»

Se lei voleva trovare una zolla di terra dove andare a scavare una fossa in cui sotterrarsi per il resto dei suoi giorni, Takashi era pronto per tenere un discorso alla Nazione. Posato, parlava alla bambina con un autocontrollo da far invidia al presidente mentre sotto le coperte rialzava i pantaloni precedentemente calati.

«Senti, senti chi parla…tu non stavi cercando di fare lo stesso?»

Mana imbronciata aveva richiuso la bocca alla risatina divertita del fratello, schiaffeggiando scontenta le braccia protese ironicamente verso di lei finché Takashi sghignazzante non l’aveva catturata di peso trascinandola in grembo. La piccola peste stretta tra le braccia si era sistemata meglio per nulla intenzionata a tornarsene a nanna molto presto, piuttosto decisa invece a rifilare per quella ripicca blande offese al fratello intento a prometterle i migliori dorayaki del mondo.

Lontana da quello che era il discorso principale, almeno così aveva sperato Yuzuha.

«Cosa ci faceva Yuzuha-chan sopra di te?»

Per soddisfazione personale, Yuzuha ebbe la grazia di poter ammirare un barlume di incertezza comparire sul volto di Takashi senza essere la sola completamente a disagio. Il suo amico, fidanzato o qualunque altra cosa fosse data la mancanza di tempo per discuterne aveva cominciato a grattarsi la guancia con il sorriso più tirato mai visto sulla sua faccia.

«Ci stavamo riscaldando» fortunatamente per lei la bambina era stata troppo concentrata a guardare lui per notare la sua occhiata scettica ampiamente vista dal diretto interessato che faticò a restare serio «Yuzuha aveva freddo, voleva compagnia come spesso fai tu»

La scusa sembrò convincere la bambina che scossa la testolina convinta si era alzata per catapultarsi di peso l’istante successivo addosso al fratello, per farlo tornare disteso con lei sotto le coperte nella posizione che aveva visto prima.

«Voglio farlo anche io!» il gridolino soffocato da Takashi che le intimava di fare silenzio e abbassare la voce non servì a farle smettere di pensare a Yuzuha quanto tutta quella situazione avesse assunto una piega altamente fraintendibile «Yuzuha-chan vieni anche tu, non preoccuparti!»

«Tranquilla piccola, io sto bene ora» bisbigliò dando foto tutta alla sua serietà per continuare la frase senza sorridere stupidamente o ridere sfacciatamente «Mi sposto nel tuo letto così voi potete…sì, riscaldarvi come fanno tutte le persone normali»

«Ma no, resta qui anche tu sei hai freddo!»

«Mana, il letto sarebbe ancora mio…»

«Vieni! Entriamo anche in tre!»

Yuzuha afferrata per la manica si ritrovò ad assecondare la richiesta infilandosi con un sospiro accanto a loro, limitandosi – una volta assunti tutti una posizione consona – a poter soltanto comunicare tramite sguardo con Takashi. Mana si era letteralmente intrufolata nel mezzo, accoccolata il più vicina possibile al fratello che dondolando leggermente tentava di farla addormentare il più in fretta possibile provocandole una discreta dose d’invidia.
Takashi aveva continuato a ondeggiare senza sforzo, arcuando le labbra in un dolce sorriso rivolto esclusivamente per lei quando si era conto di essere osservato. Il braccio disteso oltre il terzo incomodo per arrivare alla sua pancia e intrecciare le dita con lei sotto le coperte. Intenzionato a dormire così per tutte le ore di sonno rimanenti, non prima di aver sussurrato con fare cospiratorio all’orecchio della bambina semiaddormentata.

«Mana…questo modo di “riscaldarsi” non dirlo a Luna, né tantomeno alla mamma»

Yuzuha aveva premuto le unghie nella carne, indecisa se ridere o piangere per le figuracce che di lì a poco si sarebbe ritrovata ad affrontare con la signora Mitsuya. La bambina aveva annuito nel dormiveglia, addormentatasi velocemente, probabilmente nemmeno capendo cosa le era stato chiesto. Takashi accortosene aveva sbuffato sconsolato riserbandole un mesto sorriso di rammarico, conscio quanto lei che le peggiori domande sarebbero toccate a lui.

«Mi dispiace per te»

Takashi aveva scrollato la testa al sussurro ironico, sfoggiando un sorrisetto accattivamene che le aveva fatto desiderare di essere nuovamente soli. L’intreccio di mani allontanato dal corpicino addormentato era stato avvicinato alla bocca per adagiarvi un casto bacio in mancanza di ulteriore libertà d’azione, mantenendolo a sé incurante di poter essere scoperto.

Takashi non l’avrebbe lasciata sola, l’aveva promesso.

«Buonanotte Yuzuha»

«Buonanotte Takashi»

 

Prima che potessero pensare di distanziarsi il sonno prese il sopravvento trascinandoli in un’altra realtà.
Le mani restarono bloccate al petto, all’altezza del cuore di Takashi.

 

 

 

** SCENA BONUS **

 

«Ti ho detto che mi dispiace!»

Yuzuha sbatté irritata l’anta dell’armadietto cambiandosi le scarpe nell’atrio della scuola, intenzionata a considerare il discorso unilaterale con suo fratello completamente chiuso. Takashi se l’era svignata velocemente ad inizio battibecco, catturato e trascinato via dallo stuolo di ragazzine del club di economia domestica di cui avrebbero dovuto parlare in seguito. Tutte quelle presenze femminili intorno a lui cominciavano a infastidirla.

«Mi hai fatto preoccupare! Ti ho anche chiamato e inviato più messaggi! Tu e Taka-chan potevate almeno avvisarmi con un misero testo che avresti dormito lì… » alla voce melodrammatica pensò fugacemente che sì, Takashi la responsabilità di suggerirle di avvisare il fratello l’aveva avuta, ma lei era stata lei troppo impegnata a immaginare lui in altri contesti per portarla a termine «Avevo deciso di chiamare persino la polizia se non ti fossi presentata a scuola!»

«Per l’amor del cielo, mi sono scusata dieci volte. Sto bene!»

Alzando gli occhi al cielo sistemò la giacca della divisa incamminandosi nel corridoio con ancora il suo ignaro e alquanto blaterante fratello al seguito. Il primo pensiero era stato dirgli della sua nuova relazione, immediatamente accantonato all’irritazione fattale salire appena aveva varcato i cancelli. Per vendetta l’avrebbe lasciato nell’oblio ancora un po’.

«Eh grazie, lo so ora! Alle quattro quando mi sono svegliato non trovandoti ho persino chiamato Draken, Chifuyu, Hina che fortunatamente non ha risposto perché non avrei saputo cosa dirle, Pah-chin, Peh-yan, Takemichi, Taij

«No, no, aspetta un attimo» fermatasi bruscamente in mezzo al corridoio afferrò il fratello per la giacca cominciando a scuoterlo come un budino «Tu hai chiamato Tajiu?! E cosa caspita gli avresti detto?»

«Cosa potevo mai dirgli?!» fu la risposta alquanto perplessa di Hakkai i cui capelli ondeggiavano da una parte all’altra a ritmo con lo spostamento «Gli ho detto che eri scomparsa tutta la notte dopo aver detto che restavi a cena da Taka-chan

«Sei….sei un cretino!»

Yuzuha colpì senza ritegno con la propria cartella la testa del fratello per evitare di prenderlo a calci davanti al resto della scuola. Girando sui tacchi e camminando a passo di marcia oltre Chifuyu sbucato fuori dall’aula che pensò bene di non fare domande, restando nel suo angolo ombroso a salutarla con un’incerta alzata di mano.

Nonostante entrambi portassero rispetto a Takashi, il fratello maggiore non era proprio uguale a quello minore. Al termine dell’unico incontro avuto negli ultimi due anni Taiju aveva burberamente chiesto come stesse Mitsuya. Non chiamandolo Mitsuya, nemmeno Takashi, nemmeno con il soprannome affibbiatogli da Hakkai. No, Taiju che non li vedeva da un anno e mezzo aveva posto la domanda a lei chiedendole “come sta il tuo fidanzato?” facendola quasi strozzare con il succo di frutta. Non in modo ironico, non per sbeffeggiare, gliel’aveva domandato totalmente convinto della sua asserzione, guardandola quasi come se fosse lei la bugiarda quando l’aveva contraddetto.

«Si può sapere cosa ti prende?!» seduto per terra intento a massaggiarsi la testa Hakkai lo urlò nel corridoio alla figura della sorella ormai prossima a svoltare l’angolo, colpito sulla testa dai buffetti consolatori di un sempre più perplesso Chifuyu «Ero angosciato ed è stato proprio lui a dirmi di non preoccuparmi se eri con Taka-chan! Perché ti sei arrabbiata tanto?!»

«Sei un’idiota!»

 

_._._

 

Note finali

Non ho resistito.
Dovevo pubblicare qualcosa per festeggiare il mio decennio di iscrizione qui su EFP avvenuto il 31 dicembre ma non ho fatto in tempo, e ho pure pubblicato in un fandom diverso da quello scelto. Ma, pazienza, auguri a me! (?)

Ehm…proseguendo verso qualcosa che vi interessa sicuramente di più, dopo mesi di gestazione finalmente questa storia ha visto la luce. Per chi non fosse un maniaco del dettaglio come la sottoscritta informo che prima della stesura ho provveduto a informarmi sul sistema scolastico giapponese (sì, cambiano compagni di classe annualmente), Yuzuha ha realmente la stessa età di Takashi, la camera di Takashi qui riportata (link) è un disegno ufficiale realizzato dall’autore e sì, io sono ossessionata da lui.

Lo adoro come personaggio e amo vederlo insieme a Yuzuha, per me sono semplicemente perfetti. Vorrei che anche Wakui si ricordasse della sua esistenza per regalarmi tale gioia canonica (suvvia, non serviva specificare la lunghezza dei capelli se non per uno scopo…aaaargh, Wakui ascoltami e ricordati quello che fai dire ai tuoi personaggi! >.<).

Detto questo, ringrazio di cuore tutti i futuri lettori, in special modo chi arriverà fino alla fine. Augurandomi di trovare qualcun altro amante di questa coppia e di regalare una gioia a chi, come me, attendeva di poter leggere una storia su di loro 💜

Auguri di buon anno a tutti!

Aky

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Ken Wakui, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

   
 
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