Serie TV > Wynonna Earp
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Autore: aurora giacomini    04/01/2022    1 recensioni
Nel buio qualcosa si muove, si nutre di oscurità e paura. Si nutre di colpe e rimpianti.
E' arrabbiata. Non ha pace.
-
La pubblicazione riprenderà quest'autunno/inverno; questo è il piano :)
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Nicole Haught, Nuovo personaggio, Waverly Earp, Wynonna Earp
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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“Tutto tranquillo”, constatò Nicole. “Esattamente come avevo previsto.”

Si guardò attorno. Il bagno non era grande; il nero delle piastrelle, che arrivavano fin quasi al soffitto, tuttavia, conferiva al luogo un che di infinito. Il lavandino e la tazza erano di un sobrio bianco, forse troppo violento in quell'oscurità.

“Scelta interessante”, commentò.

Si avvicinò al bicchiere di plastica verde che giaceva dimenticato accanto alla doccia -una semplice vetrata di plastica-, al dentifricio e lo spazzolino lì vicino.

Raccolse il bicchiere e chiuse gli occhi. Lo lasciò ricadere quasi immediatamente con una smorfia.

“Non va bene.”

Srotolò un po' di carta igienica, per evitare il contatto col portaspazzolino, e lo mise nel lavandino. Raccolse poi anche i suoi componenti con la stessa modalità.

Si spogliò ed entrò nella doccia.

“Almeno avrò un po' di privacy, per una volta”, si rallegrò.


 Nicole scese meno di venti minuti dopo.

Trovò Wynonna, Waverly e il gatto esattamente dove li aveva lasciati. Gli ultimi due dormivano, Wynonna, invece, aveva il computer sulle ginocchia e stava delicatamente ma velocemente battendo sulla tastiera. Non si accorse subito di Nicole.

La rossa si avvicinò al caminetto e mise un altro pezzo.

“Dove tenete la legna?”

“Fa troppo freddo. Ci penserò domani mattina.”

“Non fa nulla. Basta che mi dici dove andare”, replicò Nicole.

Wynonna sospirò e spostò il computer sul lato del divano, che aveva liberato alzandosi.

“Mi vesto. Non ti lascerò fare il mio lavoro.” Guardò sua sorella, il gatto e il caminetto. “In effetti sarà una lunga notte... non possiamo rimanere senza fuoco.” Alzò gli occhi su Nicole e concluse: “Per me, almeno, sarà una lunga notte: non penso riuscirò ad addormentarmi tanto facilmente.”

“Voglio aiutare”, le sorrise. “Sarà anche una buona occasione per conoscerci meglio. Domani mi concentrerò su Waverly – questo pomeriggio abbiamo parlato di zodiaco e poco altro.”

Wynonna aveva dipinta in volto un'espressione alquanto scettica. “E' così importante?”

“Fondamentale.”

“Non so ancora se posso fidarmi di te, rossa. Non so ancora definire la sensazione di avere un'estranea in casa. Sei gentile e tutto, ma di chi tu sia davvero...”

“Puoi considerarmi alla stregua del gatto: qualcuno con un piccolo compito, qualcuno di passaggio.” Allargò le braccia e aggiunse: “So bene che a parole siamo tutti dei buoni samaritani, ma ti dimostrerò che non c'è nulla di ostile in me. E' solo uno scambio di gentilezze: tu mi accogli e io ti restituisco una casa in cui vivere.”

“Galileo.”

“Scusa?”

“Il gatto si chiama Galileo.”

“Oh, capito”, annuì. “Per me sarà il gatto, spero non ti dispiaccia.”

“Sei strana.”

“La cosa ti turba?”

“No, non mi turba. Si può dire che mi incuriosisca e mi faccia rimanere sulla difensiva.”

Si studiarono a vicenda con attenzione. Entrambe conoscevano il proprio ruolo, il proprio spazio nella stanza, nel campo visivo dell'altra. Erano due donne adulte che non si erano mai viste prima e che ora si trovavano nel medesimo luogo, ad esistere per la prima volta come due entità non separate. Due forze che dovevano capire come non annullarsi a vicenda.


“Sembra pesante...” commentò Nicole, indicando l'ascia che Wynonna stava sollevando e che fece ricadere su un ciocco per spaccarlo.

“Una questione di leve”, replicò la mora, recuperando una metà per separala ancora una volta.

“Datemi una leva e vi solleverò il mondo... qualcosa del genere?”

La lama penetrò e divise ancora una volta le fibre del legno.

“Qualcosa del genere.” Si voltò a guardarla: “Vuoi provare?”

“Spero di non piantarmela in una coscia.” Si avvicinò. “Ti ho osservata, ma sarebbe carino se mi spiegassi come non finire al pronto soccorso.”

Wynonna le porse la scure: “Piega leggermente le ginocchia e tieni la schiena dritta.”

Papà sarebbe orgoglioso.

Nicole assunse la posizione.

Posizionò il ceppo. “Qual è la tua mano dominate?”

“La destra.”

“Allora mettila in cima: sarà lei a guidare. L'altra in fondo, la sposterai in basso, verso quella sinistra, quando sarai pronta a colpire. Contrai gli addominali, così non perderai l'equilibrio.”

“Pesa un sacco”, le sorrise, lodandola per la disinvoltura con cui l'aveva maneggiata. “Come faccio a mirare se non vedo l'ascia?”

“Guarda il legno. I tuoi occhi, in questo momento, hanno già deciso dove colpire.”

Nicole aggiusto la presa e colpì. La lama, che fungeva da cuneo, rimase bloccata a metà del legno.

“Sono patetica, vero?”

“E' la prima volta che lo fai?”

“Sì, assolutamente.”

“Allora hai un talento: hai colpito la metà precisa.”

“Sì, ma non l'ho spaccato.”

“Probabilmente c'è un nodo.”

“Un nodo?”

“Sì, il punto dove è nato un ramo, o percorre. Interrompe la vena del legno ed è duro.” Indicò il soffitto del fienile -riconvertito a legnaia e deposito attrezzi-: “Solleva e colpisci di nuovo. Sarà più pesante, quindi porta la mano destra verso la testa dell'ascia: sarà più facile.”

Il pezzo si spaccò.

“Bel lavoro!” Wynonna raccolse una delle due metà. “Ecco il nodo”, rivelò, poggiando il dito su una macchia circolare di colore scuro.

Nicole le riconsegnò l'ascia: “Domani ci riproverò. Per stasera lascerò che sia tu ad occupartene, altrimenti farò venire una bronchite ad entrambe, con la mia lentezza.”

“Sei stata brava. Un ultimo trucco”, posizionò un altro pezzo da spaccare, “osserva sempre le venature: così saprai come posizionare il pezzo e dove colpire.”

“Chi ti ha insegnato?”

L'ascia penetrò e spaccò.

“Mio padre.”

“Immagino non sia più qui.”

“E' morto quando avevo quindici anni.” Si voltò a guardarla: “Parleremo dei morti con la luce del sole, ti dispiace?”

“No, non c'è problema. E' stata una giornata intensa, possiamo andare piano per questa notte.”

Wynonna annuì e riprese a spaccare. Era effettivamente molto veloce ed efficace; lo faceva sembrare davvero semplice. Forse lo era, con la giusta tecnica.

“Stiamo facendo progressi, noi due. Non trovi?”

L'ascia e le braccia di Wynonna non si fermarono.

“Cosa vuoi dire?”

Nicole attese lo schianto, poi spiegò: “Be', mi hai dato un'arma e hai lasciato che la sollevassi vicino alla tua testa. Mi sembra qualcosa di simile alla fiducia.”

“Non mi sembri violenta. Inoltre, il male non prevede per forza il sangue... Cazzo, questa me la devo segnare! Magari posso aggiustarla.” Abbassò la scure e guardò Nicole: “Potresti ricordartela per me, questa frase?”

“Ho una buona memoria”, le sorrise.


“Quando hai iniziato a scrivere?” volle scoprire Nicole, aiutando a raccogliere i pezzi che Wynonna aveva spaccato. “Hai sempre saputo di voler fare la scrittrice?”

“Volevo fare la commessa in un centro commerciale. Era la mia fissazione, quando ero bambina.”

“La commessa?”

“Sì”, rise. “Ero convinta che si tenessero i soldi, che fossero loro.”

“Pensavo la stessa cosa dei benzinai.” Raccolse un altro pezzo dal pavimento di cemento. “Li vedevo con tutte quelle banconote e pensavo: Wow, questi devono abitare in una villa!

“L'immaginazione dei bambini”, sorrise Wynonna, “dovremmo provare a non perderla mai.”


 “Latte, zucchero?”

“Lo prendo nero, grazie Wynonna.”

Aprì uno sportello sotto il lavandino. “Grappa?” Agitò una bottiglia trasparente.

“Nel caffè? Mi dispiace, la trovo una cosa disgustosa... senza offesa.”

Wynonna sospirò e prese posto al lato opposto del tavolo della cucina. “Non sai stare al mondo, rossa, lascia che te lo dica.”

Nicole sbuffò fuori l'aria dalle narici, divertita, e soffio via il vapore dal liquido nero. “Posso farti delle domande? Roba leggera, come promesso.”

“Puoi continuare con le tue domande.” Versò il liquido trasparente in quello scuro. “Basta che non si parli di nulla riguardante la morte.”

“Promesso.” Prese un piccolo sorso e: “Come ti dicevo, ho letto -credo- tutti i tuoi libri. Ognuno di essi affronta tematiche attuali e delicate, qualcosa che tocca corde profonde; eppure, ad una lettura non così attenta, potrebbero facilmente sfuggire. O meglio, c'è un argomento sociale predominante, e poi un sotto tema, di uguale e forse maggior importanza.”

“Qual è la domanda? Comunque, sono felice che tu ti sia accorta delle sfumature... davvero.”

“Parliamo de La Resilienza del Ghiaccio. E' un libro che parla della transessualità, no? Un percorso difficile sul piano fisico, ma soprattutto psicologico e sociale.

Si parla delle paure di Molly mentre diventa Morgan. E' un libro rivolto principalmente ai giovani, di conseguenza la scelta stilistica nella sua interezza ha determinate regole e, chiamiamole così anche se non è il termine migliore, limitazioni. Il primo stadio, quello predominante è, come dicevo, quello della transessualità. Il secondo, quello che richiede un pochino più di attenzione è capire che parla di tutti noi, ognuno di noi. Anche di te, donna bianca etero americana istruita e tutto... Tutti noi possiamo avere problemi ad accettarci ed essere accettati, persino ad accettare il nostro prossimo, sia anche un privilegiato uomo etero bianco istruito e tutto.

Apparenza e interiorità.

Ognuno di noi, a prescindere dal sesso, dall'etnia e dalla classe sociale, ha dovuto e deve lottare per trovare il suo posto nel mondo, nessuno escluso.”

Prese un sorso di caffè.

La guardò negli occhi e riprese: “Ma c'è ancora un sotto tema, forse il più importante di tutti, quello che può facilmente sfuggire: giusto e sbagliato. Giusto e sbagliato: cos'è uno e cos'è l'altro; esistono? E' giusto porsi la domanda? Questo è il vero cuore del tuo romanzo, a mio avviso.

E' giusto che una ragazza intervenga e modifichi il corpo che un presunto dio le ha dato? E' giusto impedirglielo? Si tratta di perbenismo o di libertà?” Sospirò. “Sono domande scomode che spesso suscitano polemiche; sono parole che vengono prese e viene dato loro il significato che fa più comodo al momento, per questo abbiamo così paura di dirle ad alta voce, peggio ancora: di scriverle. Ma è qualcosa che dobbiamo smettere di fingere che non esista: farsi delle domande non è sbagliato, non lo è neppure trovare una risposta. La nostra risposta... la nostra verità.

Modificare il proprio corpo non è la definizione esatta, fra le altre cose. Orecchini, piercing, tatuaggi... persino le cicatrici che ci procuriamo nel corso della vita. Il problema è che si parla di sesso; è sempre quello che ci fa ritrarre, che ci sconvolge, che evitiamo e che però cerchiamo in segreto, quasi fosse qualcosa di sporco, di orrido... qualcosa di innaturale. Assurdo.

Molly non vuole farsi un tatuaggio, Molly è una ragazza che si sente e vuole essere un uomo. E qui il punto, il giusto e il sbagliato che citavo prima: è giusto che lo faccia? E' sbagliato? C'è una risposta corretta? Non importa, a noi importa solo che la modifica riguardi il sesso, non metallo, non inchiostro... solo il buon vecchio sesso.

La mia domanda è: dato che ci hai dato diversi personaggi e conseguenti punti di vista, il tuo scopo era porre la domanda sperando che fosse il più silenziosa possibile? Avevi paura quando la componevi, diluendola per tutto il testo? O avevi più paura che nessuno la notasse, dato che l'hai messa consapevolmente? Tu volevi parlarne, forse cercavi la tua risposta anche se è una dinamica che non credo ti riguardi da vicino. E' però qualcosa che si può espandere a qualunque ambito, sempre di giusto e sbagliato si parla; per esempio: è giusto o sbagliato uccidere? Perché, se hai dato una risposta. E' giusto o sbagliato credere in Dio. Perché?”

La tazza di Wynonna era ferma a metà strada fra il tavolo e la sua bocca da ormai diversi minuti, praticamente dall'inizio della disamina di Nicole. Infine ci fu un movimento: la tazza che incontrava il tavolo.

“Risponderò alla tua domanda dopo che avrai risposto alla mia. Va bene?”

“Mi sta bene.”

“E' giusto o sbagliato, che una ragazza diventi un ragazzo?”

Nicole prese un sorso di caffè.

“La risposta più spontanea, è che non è affar mio. La seconda, è che sono per la libertà; sono un Aquario: libertà a tutti i costi, giusto? Decisamente. Inoltre sono una donna nata donna, mi sento donna: non posso capire, non capirò mai fino in fondo cosa vuol dire essere in un corpo che non mi appartiene. Potrei dire, per giocare, che mi sentirei più a mio agio in un corpo più corto... ma è appunto uno scherzo: non è la stessa cosa, questo lo so. Per concludere e tornare sulla libertà, non sono né perbenista né ipocrita: ciò che non mi sta bene lo dico a prescindere dal parere più popolare; però a me cosa cambia, se qualcuno sente il bisogno di cambiare sesso? Perdo o guadagno qualcosa? No. Ognuno è libero di fare quello che vuole, col suo corpo.” Alzò un dito e specificò: “Pongo un solo limite.”

“Quale?”

“Non fare del male a nessuno. Puoi farti mettere un pene, puoi farti mettere o togliere il seno, non m'interessa. Se ti installi una bomba nel corpo e ti fai esplodere coinvolgendo solo un'altra persona, solo una, allora sì, mi interessa. Ora risponderai?”

“Certo.” Wynonna versò dell'altra grappa nel caffè -ormai era grappa aromatizzata al caffè-. “La mia non era una domanda, quella del giusto e sbagliato, intendo, era un'affermazione. Gli esseri umani si fanno questo tipo di domande, si danno delle risposte e in base a quelle agiscono. E certo, certo che avevo paura mentre lo scrivevo. Avevo paura che venisse notato o ignorato, in egual misura. Avevo paura di essere fraintesa. Avevo paura che le mie parole fossero tergiversate, usate per accusarmi di transphobia o chissà che altro.” Sorrise. “Le persone trans, comunque, non mi creano alcun problema: la mia idea è uguale alla tua, rossa. Ho scritto quel libro anche per capirlo, per capire che non è mio diritto mettermi in mezzo ai diritti degli altri, soprattutto quando quei diritti non interferiscono negativamente con i miei.”

“Hai spesso paura, Wynonna? Quando scrivi, intendo.”

“Sempre.” Finì la tazza e la riempì nuovamente di grappa e caffè. “Ho sempre paura di dire la cosa sbagliata, di scrivere la scena sbagliata, di fare la scelta sbagliata. Non ho paura di far incazzare le persone – è capitato, ma non sono abbastanza famosa per trasformare la cosa in un grande problema-, ma la curiosità è più importante. La mia curiosità e quella dei miei lettori. Voglio fare domande, trovare risposte, vedere le loro reazioni, leggere le loro riflessioni. Anche la rabbia è qualcosa di affascinante: far incazzare qualcuno per una scelta, intendo, soprattutto quando quella persona ti spiega perché si è incazzata. La mia paura sta nel deludere, a volte, e spesso di non venir capita... peggio: fraintesa.”

“E con tutte queste paure, scrivere è un piacere?”

“La paura è solo una parte di ciò che accelera i battiti del mio cuore. C'è l'ansia nel vedere le reazioni dell'editore prima, del pubblico poi. Ma ancora prima, prima ancora della fine: la costruzione, la sensazione di star creando una nuova vita, esperienze che posso regalare al prossimo. Che si scriva o che si legga, ogni storia, ogni libro contiene una vita. Alla fine avremo vissuto almeno una vita in più.” La guardò negli occhi e le sorrise. “Grazie, Nicole. Grazie per aver letto con tanta attenzione e sensibilità un mio lavoro.”

“Mi stai simpatica, Wynonna. Peccato che la tua anima sia così agitata; ora, però, capisco perché.”

“Non so cosa tu voglia dire. Sono francamente troppo stanca per pensarci.” Prese un sorso generoso, probabilmente per farsi coraggio e chiedere qualcosa che la imbarazzava. “E' troppo patetico se due donne di trent'anni guardano... i cartoni animati?”

“Ci siamo solo noi due a giudicare. Penso inoltre che a nessuna di noi due importi cosa gli altri potrebbero ritenere patetico, persino stupido o infantile.”

“Vado a prendere il PC!”

  
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