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Autore: moira78    07/01/2022    5 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vivere
Per amare
Amare
Quasi da morire
Morire
Dalla voglia di vivere

Amare
Dare l'anima alla vita
Morire
Dalla voglia di vivere
Con la voglia di vivere


(Vivere per amare - Cocciante-Plamondon-Panella)
 
 
 
In fuga d'amore

Albert correva su per la Collina di Pony stringendo per mano Candy, mentre nell'altra aveva la cornamusa. Lei, invece, stava tenendo le sue scarpe e al contempo il lembo del vestito per non inciampare.

"Non dirmi che non riesci a starmi dietro!", le gridò ridendo.

"Prova tu a correre con una gonna che ti arriva fin sotto i piedi e delle scarpe in mano!", ribatté ridendo a sua volta.

Come due ragazzini, con le mani intrecciate e il volto arrossato, giunsero fino in cima, ansimando e appoggiandosi a papà albero. Albert ne toccò il tronco ringraziando la vita perché, nonostante avesse pianto e conosciuto la disperazione proprio sotto alle sue fronde, oggi poteva dire di essere diventato infinitamente felice in quello stesso luogo.
Si volse a guardare Candy e vide il volto di lei rovesciato verso l'alto, mentre si mordeva il labbro inferiore in un gesto infantile e sensuale al contempo. Cercò di non concentrarsi sul nervosismo che lo stava attanagliando, misto al desiderio, al pensiero che entro poche ore l'avrebbe tenuta fra le sue braccia come moglie. Invece le chiese: "Non lo stai pensando davvero...", disse, divertito.

Candy fece un gesto di frustrazione: "Se non fosse che mi dispiace rovinare l'abito giuro che lo farei. Ci credi che da quando ho recuperato la memoria sarò salita su un albero sì e no tre volte?", disse con tono così serio che Albert si sforzò di non ridere.

"Se non fosse che ci troviamo così vicini alla Casa di Pony e a un centinaio di invitati, tra cui dei bambini, ti suggerirei di toglierlo e arrampicarti fin dove desideri", ribatté con voce un po' roca.

Forse aveva osato troppo, perché lei lo fissò con il volto in fiamme, ma un sorriso che le curvava in su le labbra: "Albert, da quando in qua fai proposte così... così...". Mosse una mano, non sapendo bene che aggettivo usare. 

"Ardite? Indecenti?", concluse per lei inarcando un sopracciglio. "Da quando sei mia moglie, Candy. E comunque a Lakewood avrai vestiti comodi e tanti alberi su cui arrampicarti... e anche in Scozia, quando ci arriveremo".

Lei gli si avvicinò di qualche passo: "Non voglio stare tutto il giorno a salire sugli alberi, anche se stai certo che lo farò. Voglio godermi ogni momento come tua moglie, Albert, starti accanto ogni minuto possibile".

Gli occhi erano colmi di un'emozione intensa e quelle parole avevano mille significati diversi che la sua testa non riusciva ad elaborare: si immaginava solo con Candy fra le braccia per molto, molto tempo. E fu senza perderne altro che le mise le mani sulle guance e la attirò in un bacio ardente, esigente, che lei ricambiò intrecciandogli le sue dietro la nuca.

Doveva ancora suonare per lei. Dovevano arrivare a Lakewood. Se così non fosse stato, l'avrebbe semplicemente amata lì, sotto a papà albero, dopo averle sfilato il vestito da sposa. L'attesa era una delizia e un tormento, un piacere che aumentava e un dolore che pulsava.

Con il viso nell'incavo del collo niveo e profumato di lei, riprese fiato e sussurrò: "Facciamo strisciare di nuovo le lumache?".

Candy rise: "Hai detto qualcosa di simile al ballo di beneficenza, quando mi hai confessato che mi vedevi con occhi diversi".

Lui risalì con piccoli baci dal collo alla mandibola di lei e rispose: "Vedo che ha recuperato in pieno la memoria, signora Ardlay".

"Ne dubitava, zio William?", rispose guardandolo con aria maliziosa.

Albert ebbe per un attimo il flash di Candy senza memoria che lo chiamava in quel modo e deglutì: "Saresti così gentile da non chiamarmi più così? Mi fai sentire vecchio", le chiese cercando di assumere un tono scherzoso.

"Come desideri, maritino mio", rispose ridendo.

"Va già molto meglio!", commentò scoccandole un sonoro bacio sulle labbra e chinandosi per riprendere la cornamusa.

Candy fece qualche passo indietro, poggiò le mani sul petto e chiuse gli occhi. Albert portò la canna alla bocca e soffiò, dando vita alla loro melodia. Quella che li aveva fatti conoscere. Quella con la quale sperava di riaverla al suo fianco, fallendo miseramente. Quella che Archie aveva intonato per loro mentre la baciava dopo aver detto "sì". Quella che ora stava suonando solo per lei, sua moglie.

L'emozione lo avvolse, lo cullò, gli strinse la gola come se la stesse sposando di nuovo nel giro di poche ore: era come se quella fosse la loro cerimonia, intima e privata, che nessuno avrebbe mai interrotto.

Quando terminò aveva la vista appannata e vide Candy asciugarsi gli occhi, altrettanto commossa. Il destino tornava da loro, luminoso e sempre identico, e fu con voce incrinata che le disse ancora: "Sei più carina quando ridi che quando piangi", accogliendola ridente e piangente fra le braccia, stringendola a sé e redimendo finalmente quel momento delle loro vite che solo una volta lo aveva deluso.

Quando rialzò il volto su di lui, le asciugò gli occhi con i pollici: "E ora...", cominciò, enigmatico.

"E ora?", chiese lei, sorridendogli.

"E ora, come al solito, arriva George. Ma stavolta è venuto a prendere entrambi", disse voltandosi in una direzione ben precisa.

"Signori Ardlay", fece lui con un profondo inchino, apparendo puntualmente, "la macchina è pronta per portarvi a Lakewood".

Albert scoppiò a ridere: "Credo che questa sia la prima volta che vieni qui senza interrompere nulla".

"Ho seguito alla lettera le sue istruzioni di presentarmi circa cinque minuti dopo il cessare del suono della cornamusa", ribatté in tono compìto.

Sul volto di Candy si dipinse il panico: "Ma non salutiamo gli altri? Siamo scappati quassù senza dire nulla e...".

"Stai tranquilla, gli invitati sanno benissimo che gli sposi fuggono senza preavviso per andare in luna di miele", spiegò prendendola di nuovo per mano e guidandola verso l'auto.

Lei si rimise le scarpe, appoggiandosi al suo braccio: "Beh, se pensi che non faremo torto a nessuno...".

"Ho avvisato che sarei andato via per portarvi a Lakewood, se questo la fa stare più tranquilla, signora Ardlay", spiegò George.

"Oh no, ti prego, George, continua a chiamarmi con il mio nome... voglio dire, sono felice di essere la signora Ardlay, ma non servono tutti questi formalismi se siamo soli", lo pregò Candy raccogliendo lo strascico per camminare meglio.

"È la stessa cosa che gli ripeto anche io da anni", disse a bassa voce, chinandosi verso di lei con aria cospiratrice, venendo inondato dal profumo di fiori.

Inebriato da Candy, col cuore traboccante di gioia e aspettativa, Albert salì in macchina con lei mentre George guidava a velocità costante.

Non troppo veloce, per godersi il panorama della natura che scorreva intorno a loro.

E non troppo piano, per raggiungere il Paradiso le cui porte già spalancate erano quelle del giardino delle rose di Lakewood.
 
- § -
 
Candy era appoggiata al petto di Albert e poteva sentire il battito regolare del suo cuore. Il suo braccio destro l'avvolgeva intorno alla vita e la mano le poggiava sulla gamba, mentre la macchina procedeva tranquilla per la campagna, verso Lakewood.

Non erano mai stati in una posizione così intima tanto a lungo, né in presenza di altri, anche se George era concentrato sulla strada. E quelle scosse elettriche che avvertiva diramarsi dalla gamba fin negli angoli più lontani del proprio corpo erano molto simili a quelle che aveva provato tante volte mentre si baciavano e si accarezzavano, anche se non stavano facendo nessuna delle due cose.

Una parte di lei voleva godere di quel calore e addormentarsi fino all'arrivo, complice la stanchezza di aver dormito poco la notte precedente, ma l'altra era così presa dall'adrenalina che era sveglia e vigile.

Durante il ricevimento aveva incontrato gli occhi di Karen un paio di volte, ma non c'erano stati né il tempo, né il modo di fare quella famosa chiacchierata che le aveva promesso la sera della festa di fidanzamento. Candy capì che forse non ce n'era bisogno: non aveva forse deciso, la mattina stessa grazie alle parole rassicuranti di Miss Pony e Suor Lane, che si sarebbe semplicemente fidata di Albert?

Capì che le sarebbe bastato assecondare i loro desideri, il loro istinto, parlargli dei suoi timori e tutto sarebbe andato bene. Ma i buoni propositi erano una cosa, la realtà era diversa: sentiva i nervi a fior di pelle e aveva voglia di fuggire e di restare così fra le sue braccia nello stesso tempo.

Sospirò, cercando di riprendere il controllo e sentì il mento di lui muoversi sulla cima della sua testa, mentre si voltava per guardarla: "Tutto bene?", le domandò.

"Sì", rispose rannicchiandosi contro di lui.

Incredibilmente, la coscienza l'abbandonò e sonnecchiò davvero come aveva immaginato di fare ma, come se il suo cuore e il suo corpo riconoscessero la strada, aprì gli occhi proprio mentre George fermava l'auto vicino all'entrata.

Il sonno e la stanchezza le scivolarono di dosso come una seconda pelle e Candy sentì le mani fredde e sudate, le gambe tremare. Si diede della stupida e si predispose a scendere appoggiandosi alla mano che Albert le porgeva. Mise il piede in fallo e inciampò, cadendogli di nuovo sul petto. Per la prima volta in vita sua si ritrasse, come scottata, ma lui non diede segno di accorgersi della sua reazione esagerata e le domandò, ancora una volta, se andasse tutto bene.

"Sono solo inciampata", si schernì con un risolino nervoso.

Lo sguardo di Albert divenne interrogativo ma, ancora prima che potesse parlare, intervenne George: "Tutto è stato predisposto secondo le sue indicazioni, signor William. Avete scorte di cibo a sufficienza e una macchina vicino all'entrata per quando vorrete recarvi a Chicago. Se avete bisogno di qualsiasi cosa prima che vi accompagni al porto per prendere la nave non dovete far altro che avvisare".

Candy guardò il suo Cavaliere Bianco, così elegante e gentile e, di slancio, lo abbracciò come le era già capitato di fare. Dopo il primo momento di imbarazzo, lui si rilassò. "Grazie", gli mormorò in un orecchio prima di dargli un bacio sulla guancia, facendolo arrossire.

"Di... di nulla signora... Candy", concluse rendendola felice.

"A-ehm... vuoi che ti baci anche io, George, o ti accontenti di mia moglie e di un grazie di cuore?", intervenne Albert schiarendosi la voce e facendola scoppiare a ridere.
"Direi che i ringraziamenti sono più che sufficienti... o forse no", terminò con aria misteriosa, facendo qualche passo verso suo marito.

Sotto i loro occhi stupefatti, George passò un braccio dietro la schiena di Albert, battendovi un po' la mano, in un mezzo abbraccio in cui sembrò riversare tutto l'affetto per il suo protetto. Candy ne fu commossa e anche suo marito rimase piacevolmente sorpreso.

"Sono davvero lieto per voi, vi meritate questa felicità", disse con voce incrinata.

"Grazie, George, davvero di tutto cuore. Sei parte della famiglia, lo sai", ribatté Albert.

I due uomini si guardarono con devozione e complicità e lei capì quanto il loro rapporto andasse al di là del lavoro o della semplice amicizia. Erano come fratelli, come padre e figlio. Sapeva quanto il loro legame fosse forte, ma non aveva mai avuto modo di vederli così affiatati.

Con un ultimo cenno del capo, George risalì in macchina e partì per tornare a Chicago.

Ora erano soli.   
 
- § -
 
Archie sentiva la testa ronzare.

La musica e lo champagne erano stati gradevoli e non era mai stato così felice per Candy e Albert: si meritavano quella gioia immensa e aveva partecipato con tutto il proprio cuore alla cerimonia.

Ma ora era il momento del dolore, della debolezza, del rimpianto.

Aveva visto Annie solo da lontano e, ormai, al pari di lei si era convinto che i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di avvicinarlo. Forse perché era stato in prigione, nonostante avesse ampiamente dimostrato la sua innocenza agli occhi della legge. Forse perché non volevano scandali. O, forse, perché avevano trovato un partito persino migliore di lui.

"Dirò a tua madre che non abbiamo mai rotto pubblicamente il fidanzamento, che quella notizia uscita sul giornale è opera dei Lagan come tutto il resto!", le aveva detto, disperato, in un raro e breve momento in cui erano riusciti a scambiare due parole.

"E pensi che io non lo abbia fatto?", gli aveva risposto con gli occhi pieni di tristezza. Doveva aver pianto di recente e lui voleva solo prenderla fra le braccia e consolarla a suon di baci e carezze, dirle che tutto sarebbe andato bene, al suo ritorno.

Ma ora sapeva che nulla sarebbe andato bene, e che sua madre aveva fatto solo credere loro che avrebbe preso in considerazione un nuovo fidanzamento dopo la sua laurea.

Archie era ormai convinto di averla persa per sempre.

Con un braccio sugli occhi, steso sul letto, sapeva che avrebbe dovuto occuparsi della valigia che lo aspettava su una sedia ma mai, come ora, era stato tanto riluttante ad allontanarsi da Chicago.

Da lei.

Pensava di aver visto in Albert un uomo distrutto che cercava con tutte le sue forze di andare avanti, dopo aver quasi certamente perso la donna della sua vita. E credeva di essere stato molto più fortunato di lui per essere potuto uscire prima di galera e riavvicinare Annie.

Ora sapeva che il destino si era appena rovesciato e ad essere caduto in rovina era lui.

In quel preciso momento, Albert era un uomo rinato e forse stava già tenendo fra le braccia sua moglie, prodigandole amore, carezze, passione.

Archie non aveva potuto fare nulla di tutto ciò per la sua Annie, ma non era lei la colpevole. A fare un grave errore di valutazione era stato lui, e la cosa peggiore era che glielo aveva persino confessato, sperando che lei lo capisse.

Era stato un ragazzino ingenuo e immaturo e ora era un uomo solo.

Si alzò a sedere, gettando le gambe di lato e mettendosi a frugare nel comodino. Dal cassetto tirò fuori il fazzoletto che Annie gli aveva porto di nascosto quel pomeriggio: sopra c'era ancora il suo odore e, forse, c'erano anche le sue lacrime.

Era tutto ciò che gli sarebbe rimasto, ne era certo.

Lo strinse tra le mani, avvicinandolo alle narici e aspirandone il profumo con il respiro tremante.

"Annie", mormorò nel silenzio della stanza, la musica che gli rimbombava nella testa assieme alle risate di gioia.

E la morte che gli scendeva, lenta e inesorabile, nel cuore.
 
- § -
 
Quando Albert infilò le chiavi nella toppa, dovette girare gli occhi per assicurarsi che Candy fosse davvero lì, vicino a lui: l'ultima volta che aveva aperto quella porta era solo e disperato.

Con un palmo sul solido legno diede una spinta perché si spalancasse e, prima che sua moglie potesse accennare a entrare, la prese in braccio con un gesto fluido, strappandole un gridolino e una risata.

Seguendo la tradizione, entrò in casa con lei e la baciò prima di metterla a terra, stringendola a sé più a lungo possibile.

"Albert, dovevo pesare una tonnellata con questo vestito addosso! È un vero miracolo che tu non sia inciampato sullo strascico!", rise con le mani ancora sulle sue spalle.
"Non sarai mai un peso per me, amore mio", le disse serio, sfiorandole una guancia con le nocche.

Lei si lasciò andare al suo tocco e per un attimo gli sembrò che tremasse. Tra i due, pensò che Candy dovesse essere quella più nervosa. Eppure, fu con una certa disinvoltura che le propose: "Vuoi vedere la nostra stanza?".

Gli sorrise e, nella penombra delle luci a parete, riuscì comunque a percepire la sua tensione: "Se preferisci andiamo prima in cucina. Scommetto che la mia golosona ha ancora fame!", propose facendole l'occhiolino, sperando di metterla a suo agio.

Candy scosse la testa: "No, a dire il vero non vedo l'ora di togliermi queste scarpe... il momento in cui abbiamo corso sulla collina è stato l'unico in cui i miei poveri piedi mi hanno ringraziata", ammise.

"Bene, signora Ardlay, vuole che la prenda di nuovo in braccio o preferisce appoggiarsi a me per fare le scale?", chiese.

Lei apparve più rilassata: "Mi porga solo il braccio, sir Ardlay, sono pronta a inerpicarmi per la rampa!", esclamò indicando pomposamente davanti a loro.

Risero insieme e, passo dopo passo, raggiunsero l'ultimo piano. Albert la condusse oltre una porta dietro la quale c'era una delle ali più belle della casa: il salottino era stato, per sua precisa richiesta, arredato in maniera piuttosto rustica e davanti al grande caminetto c'era un tavolo di legno. Il resto della mobilia, che consisteva solo in un armadio portavivande e in qualche sedia, era dello stesso materiale grezzo della sua casetta del bosco.

"Albert, ma sembra... sembra proprio la tua capanna qui vicino!", disse infatti Candy, entrando e guardandosi attorno meravigliata.

"È esattamente così che volevo che fosse. Ti piace?", chiese richiudendo la porta alle sue spalle.

"Tantissimo, Albert, è davvero bellissima, la adoro!".

Lieto che Candy fosse rilassata ed allegra, si predispose ad accendere il fuoco e, mentre era chinato, disse con tono casuale: "La nostra camera da letto è dietro quell'altra porta. Puoi vederla, se lo desideri".

Concentrato sul suo compito, sentì i suoi passi esitanti, il rumore della porta che veniva aperta e il suo ansito di stupore: "È stupenda", mormorò con voce morbida, tornando accanto a lui.

Aveva optato per una stanza semplice, con un grande letto a baldacchino con lenzuola di raso, un armadio, un paio di comodini e un comò fronte letto di fattura più elegante rispetto al salottino. Nella sua semplicità, era certo che l'avrebbe apprezzato.

Albert si alzò per guardarla e si accorse che lei invece si stava fissando le scarpe: "Credo proprio che ora le toglierò", disse scendendo dai tacchi e calciandole via.

Nel caminetto, il fuoco crepitava ma tra di loro il calore era già acceso da tempo.
   
 
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