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Autore: Ode To Joy    07/01/2022    3 recensioni
[Past Odazai]
[One-side Soukoku]
“Puoi farmi una promessa?”
Chuuya s’imbronciò. “Tra noi non ci sono promesse, solo minacce.”
“Non è per me,” si affrettò a dire Dazai. “È per il bambino. So che gli vuoi bene.”
“Io non-“
“Volere bene a mio figlio, non implica volere bene a me.”
Chuuya lasciò andare un sospiro esasperato. “Che cosa vuoi, Dazai?”
“Per il mio compleanno, ti chiedo un regalo,” disse Dazai, senza guardarlo negli occhi. “Se mi accadesse qualcosa, dedicheresti la tua vita a proteggere mio figlio?”
“Questo posso promettertelo senza che tu vada da nessuna parte. Hai la mia parola.” Chuuya non avrebbe potuto rispondergli in nessun altro modo.

.
La morte di Odasaku ha posto fine alla guerra contro la Mimic, un modico prezzo per garantire alla Port Mafia l’ultimo tassello di potere di cui aveva bisogno.
Dazai non lo accetta, ma le persone a cui ha voltato le spalle - e da cui è stato ferito - sono le sole a cui può chiedere aiuto, ora che Odasaku lo ha condannato ad avere un futuro.
[Trans!Dazai] [Unplanned Pregancy]
- Fanfiction partecipante al Calendario dell’Avvento di Fanwriter.it -
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ango Sakaguchi, Chuuya Nakahara, Kouyou Ozaki, Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
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II

 

La posizione inviatagli da Dazai lo condusse in una zona residenziale di periferia, di quelle in cui il palazzo più alto raggiungeva i quattro piani e tutte le macchine parcheggiate erano ricoperte di bozze - quando andava bene - con gli specchietti tenuti insieme dal nastro adesivo. Chuuya lasciò la moto nel vicolo in cui Google Maps lo condusse. La scala antincendio accanto ai cassonetti stracolmi era l’unica cosa che assomigliasse vagamente all’ingresso di un’abitazione. “Dazai!” Chiamò, salendo i gradini due a due. “Dazai!” Due rampe e si ritrovò su un pianerottolo - una griglia di metallo incastrata contro il muro - con un portone d’ingresso che sembrava fatto di cartapesta. Non c’era alcun nome sul campanello - privo di pulsante, tra l’altro.

“Dazai!” Chuuya batté sulla porta. Nessuno gli rispose, ma era certo che quello fosse il posto giusto. “Dazai!” Sfondò l’ingresso con un calcio, non dovette nemmeno impegnarsi per riuscirci. “Dazai!” 

L’appartamento era buio e, nonostante fosse quasi maggio, si congelava. 

“Chuuya…”

Il malavitoso fece un passo in avanti e andò a sbattere contro lo spigolo di un tavolo da pranzo. “Ma chi diavolo l’ha messo in mezzo ai piedi?” Imprecò. “Dazai, dove cazzo sei?”

Una lampadina dalla luce cimiteriale si accese al centro del soffitto scrostato. Dazai era seduto sul pavimento, tra il divano e quella che doveva essere la porta del bagno, con la schiena premuta contro la parete e il braccio sollevato sull’interruttore.

“Ohi!” Chuuya lasciò cadere il casco a terra, correndo al suo fianco. “Che ti è successo?” Le domande gli uscirono di bocca una dopo l’altra. “Che diavolo ci fai qui? E perchè-”

Dazai gli premette la mano contro la bocca e lo zittì.

Chuuya si accorse solo allora che non aveva addosso alcun bendaggio, che era pallido in modo allarmante e tremava. “Hai preso qualche schifezza delle tue?” Domandò Chuuya, cercando con gli occhi tracce di qualche sostanza velenosa.

Dazai scosse la testa debolmente.

“Ehi!” Chuuya gli afferrò il mento. “Non provare a perdere i sensi adesso, prima devi-” Le parole gli morirono in gola come vide il sangue sui pantaloni dell’altro. “Che cazzo hai fatto?” Domandò orripilato, scuotendolo per mantenerlo cosciente. “Dazai, parlami!”

Il rumore di una sicura che veniva disinserita trasformò Chuuya in un nervo pronto a scattare. Lo stato di allerta durò poco, il tempo di accorgersi che il nuovo arrivato altri non era che Sakaguchi Ango. Chuuya non sapeva cosa fosse più stupido, se la sua espressione minacciosa o il modo in cui gli puntava quella pistola addosso. 

Sbuffò. “Rilassati, quattrocchi, sono io!” Esclamò, portandosi un braccio dell’ex partner intorno al collo. “Vieni qui, dammi una mano.”

Intuendo che stava per essere spostato, Dazai si animò di colpo, divincolandosi. “No!” Scosse la testa. “No, non posso!”

“Dazai, non fare lo stupido!” Chuuya lo costrinse a guardarlo negli occhi. “Stai perdendo sangue e se rimani qui, non posso aiutarti. Lo capisci?”

“Ma che cosa gli è successo?” Domandò Ango, in netto ritardo sugli eventi, riponendo la pistola.

“Dillo tu a me, quattrocchi!” Lo aggredì Chuuya. “È sotto la tua protezione o sbaglio?”

Ango appoggiò un ginocchio a terra e valutò velocemente la situazione. “Dazai, che hai combinato?”

Il diretto interessato si limitò a scuotere la testa e a delirare una serie di no, tra un singhiozzo e l’altro.

“Non può risponderti,” disse Chuuya. “È sotto shock, non lo vedi? Aiutami a sollevarlo.”

Nonostante le proteste di Dazai, riuscirono nell’impresa.

“Ho la macchina qui sotto, nel vicolo,” disse Ango. “Serve un medico. Lo portiamo in ospedale.”

“No,” obiettò debolmente Dazai. “Non in ospedale.”

“Puoi evitare di farlo agitare, prima di arrivare in macchina?” Chuuya ringhiò contro l’agente governativo. Era già faticoso tentare di scendere quelle scale senza scivolare e Dazai, che collaborava come un sacco di patate, non faceva nulla per rendere le cose più semplici.

Ango aprì la portiera del sedile posteriore. “Fallo stendere e stai con lui.”
Nelle manovre per mettere comodo Dazai, Chuuya trovò il modo di mostrare all’agente il dito medio. “Non darmi ordini!” Ribatté, poi aiutò il partner a poggiare la testa sulle sue gambe. “Al volante, quattrocchi. Veloce!”

Ango si morse la lingua, ben consapevole che cominciare una discussione con Nakahara Chuuya non li avrebbe portati da nessuna parte. “Dove andiamo?” Domandò, mettendo in moto il veicolo.

“Un ospedale pubblico è fuori discussione,” disse Chuuya, cercando d’ignorare la disperazione con cui Dazai si aggrappava al suo braccio.

“Questo lo so benissimo!” Esclamò Ango, immettendosi sulla strada. 

“Ehi, quattrocchi, sei addestrato per gestire situazioni da panico, no? Bene, non sei di alcun aiuto, se il panico prende a te!”

“Ci sono delle cliniche private che collaborano col Govern-”

“No!” Si oppose Dazai, con forza. “Non ci voglio andare!”

“Non ci vuole andare, quattrocchi,” lo appoggiò Chuuya.

Ango si chiese che cosa avesse l’universo contro di lui: Dazai era già difficile da gestire in una situazione normale, ferito e in stato di shock era una vera tragedia; e come se non bastasse, l’altra metà del Duo Nero aveva fatto il suo ingresso in scena appena in tempo per peggiorare la situazione. “Va bene!” Esclamò, esasperato. “Da questo momento in poi, sto agendo come un civile qualunque!”

Chuuya inarcò le sopracciglia. “E questo cosa vorrebbe dire?”

“Che farò qualsiasi cosa tu mi dica di fare,” disse Ango, con voce dolente. “Decidi tu come è meglio agire, ma decidilo in fretta perché Dazai ha bisogno di aiuto!”

Sul momento, Chuuya riuscì solo a pensare a quel calice di vino che non si era goduto fino in fondo e in cui aveva pensato di annegare tutti i suoi turbamenti da futuro Dirigente. Ora, con Dazai aggrappato a lui in preda al dolore, tutto il resto gli sembrava infinitamente superfluo. Prese il cellulare dalla tasca con la mancina e cercò in rubrica il numero dell’unica persona che poteva aiutarli. 

Dazai dovette intuire chi stava per chiamare, perché gli tirò il braccio per fermarlo. Ridotto com’era, Chuuya non trovò la forza di urlargli contro. “Non c’è altro modo,” disse, con voce inaspettatamente gentile. “E lo sai anche tu.”

Il giovane dai capelli rossi lesse la resa negli occhi scuri di Dazai e premette il tasto di chiamata. Seguirono tre squilli.

“Boss, sono io,” disse Chuuya. “Si tratta di Dazai…”





 

La clinica in cui Mori Ougai aveva cominciato la sua carriera da malavitoso si trovava nel cuore dei quartieri bassi di Yokohama. Per chi, come Chuuya, era cresciuto a faccia a faccia con la morte - in ogni sua forma - quella poteva quasi essere una ridente località in cui abitare - le case in cemento erano già un bel passo in avanti rispetto alla baraccopoli di Suribachi. 

Per la macchina perfetta di Ango era il posto peggiore in cui transitare. Se profilo basso era la parola chiave per uscire indenne da quelle strade, non stavano facendo un granché per la loro incolumità.

“Certo che recarsi nel rifugio di un pentito con un’auto del genere…” Commentò Chuuya, con una smorfia. Dazai era ancora sveglio ma calmo. Forse il dolore - da qualunque punto provenisse - si era un po’ quietato.

“Ero in ufficio,” si giustificò Ango. “Ho preso il primo mezzo di cui avevo le chiavi. Mi sono spaventato.”

“Oh, adesso ti spaventi!” Esclamò Chuuya. “Dovevi avere paura quando eri alla Port Mafia a fare la spia del cazzo!”

Nell’istante di pura esasperazione che seguì, Ango pensò di dirgli che Mori non era caduto nell’inganno per molto tempo, ma che lo aveva assecondato per arrivare a un guadagno maggiore del rischio. Non lo fece perché sapeva che Chuuya non lo avrebbe ascoltato: se la prendeva con lui perché elaborare il ritorno di Dazai nella sua vita era troppo difficile, specie quando quest’ultimo versava in uno stato delicato che nessuno dei due comprendeva.

“Chuuya, andrà tutto bene,” disse, un po’ per rassicurare anche se stesso e Dazai. 

Nessuno dei due diciottenni gli rispose.





 

Quando la macchina si fermò, Dazai sobbalzò come se fosse stato strappato dal sonno. Era certo di non aver perso i sensi. Si era aggrappato a Chuuya ed era stato attento a non chiudere gli occhi nemmeno per sbaglio. Per esperienza, sapeva che se non fosse rimasto vigile, sarebbero successe cose brutte e non poteva permetterlo. 

Quando Chuuya lo depositò sul sedile per scendere dall’auto, seppe di non essere pronto a quello che stava per succedere. La portiera si aprì di nuovo, la luce di un lampione gli ferì gli occhi e quando due mani estranee lo aiutarono a uscire dall’auto, le assecondò e basta. Una volta in piedi - anche se non sapeva se le gambe lo avrebbero retto a lungo - guardò in faccia chi aveva davanti. 

Sul viso di Mori non vi era nessuna espressione in particolare. Con quei capelli in disordine e i vestiti messi addosso alla male e peggio, non assomigliava al Boss che la Port Mafia conosceva, ma al medico che Dazai aveva incontrato a quattordici anni.

Fu l’uomo a spezzare il silenzio: “riesci a camminare?”

A Dazai servì un istante per riuscire a rispondere. “Non lo so.”

Il Boss della Port Mafia si rivolse a Chuuya. “Aiutami a portarlo dentro. Ango, ti facciamo strada.”

Quel teatrino aveva del ridicolo. Delle quattro persone coinvolte, tutte avevano una buona ragione per piantare una pallottola in testa ad almeno uno dei presenti. La condizione in cui versava Dazai aveva la precedenza su ogni rancore.

Una volta disteso sul lettino operatorio, il diciottenne non seppe decidere se il peggio era passato o stava per iniziare. Mori accese una luce bianca sopra la sua testa e fu impossibile non notare le macchie di sangue sui suoi pantaloni.

Si scambiarono uno sguardo.

No, si disse Dazai. La parte difficile comincia ora.

“Dove senti dolore?” Domandò Mori.

“Non lo sento più,” rispose Dazai. Gli venne il dubbio che non fosse affatto una buona cosa, ma non era nella posizione giusta per lasciarsi prendere dal panico.

“Ti sei fatto del male da solo, come tuo solito?” Ringhiò Chuuya. “Rispondi, stronzo!” Ora che nessuno sembrava in fin di vita, si sentiva giustificato a buttare fuori tutta la rabbia. Ango, da parte sua, si guardò bene dall'intervenire in alcun modo e si ritagliò un angolo buio da cui osservare la scena.

“Chuuya, rallenta,” disse Mori. Il tono era gentile ma ciò non cambiava la natura dell’ordine. “Dazai,” guardò il diretto interessato dritto negli occhi. “Posso andare per ipotesi e perdere tempo, oppure puoi cominciare a parlare. A te la scelta.”

Chuuya alzò gli occhi al cielo, certo che sarebbe arrivata l’alba, prima che una risposta uscisse dalla bocca dello stronzo.

Dazai lo sorprese. “Quattro settimane fa, ho fatto un test,” disse, abbastanza lentamente da non doversi ripetere. “Era positivo.”

Chuuya inarcò le sopracciglia: quelle parole non avevano alcun senso. Fece per dire qualcosa di poco cortese sull’incapacità di esprimersi di Dazai, poi notò che il viso del Boss si era turbato al punto da essere livido e le parole gli morirono in gola. Cercò gli occhi di Ango e lo trovò che versava nella medesima situazione. 

Chuuya era l’unico a non aver capito quello che stava succedendo. “Qualcuno mi vuole spiegare?”

“Tutti fuori,” ordinò Mori, come se non lo avesse udito.

Istintivamente, Chuuya si mosse verso la porta, ma Ango non lo seguì.

Mori non fu comprensivo di fronte a quell’esitazione. “Vogliamo dare a questo ragazzino un po’ di privacy o vogliamo restare a guardare mentre si dissangua?”

La situazione non era così grave, persino Chuuya poteva intuirlo. Ango non fece nulla per nascondere l’astio sul suo viso, ma fece come gli era stato detto. 

Una volta soli, Mori si rivolse a Dazai. “Tu non ti fidi di me.” Non era una domanda. “Non ti biasimo. Ma per il tuo bene e - sempre ammesso che t’interessi - non solo quello, devi dirmi che cosa vuoi che faccia.”

Dazai non esitò un istante. “Tutto quello che è in tuo potere…”




 

“Mi vuoi parlare?” 

Fuori dalla clinica, a Chuuya non importava nulla di essere sentito dall’intera Yokohama. Odiava quando i cervelloni intorno a lui intuivano una situazione, lasciandolo nel buio. Era quel genere di superiorità che poteva riconoscere nel Boss senza problema, ma se ci si mettevano anche Ango e Dazai, non poteva stare zitto a fare la figura dell’idiota.

Peccato che Ango, lungi dal poter godere della sua beata ignoranza, fosse precipitato in uno stato di shock peggiore di quello di Dazai. “Quattro settimane fa,” pensò ad alzata voce. “Era a casa mia, quattro settimane fa.”

Chuuya alzò gli occhi al cielo. “Se ti stai chiedendo come è riuscito a fartela sotto il naso, sappi che ha un talento naturale. Non starci a perdere troppo tempo.” 

L’agente governativo si appoggiò al muro ricoperto di graffiti. “Risale a prima della Mimic,” si disse, “ma chi-?”

“Quattrocchi, stai parlando da solo!” Gli fece notare Chuuya, a tanto così dal spaccargli il naso e gli occhiali che c’erano poggiati sopra. “Di che test stava parlando lo Sgombro?” Domandò. “Perché siete tutti andati nel panico nel momento in cui ha detto che era positivo?”

Ango lo guardò come se si fosse ricordato della sua presenza solo in quel momento. “Oh, sì, Chuuya…”

“Sei completamente scemo? Sono sempre stato qui!”

“Io… Io…” Ango fissava un punto nel vuoto. “Io non so come spiegartelo.”

La porta della clinica si aprì, Mori si affacciò e fece a entrambi cenno di entrare.





 

Dazai si era cambiato in una tuta grigia, con una felpa troppo grossa per lui.

In un remoto angolo del suo cuore, Chuuya era felice di vedere che sedeva su quel lettino con le ginocchia piegate e non giaceva inerme, sul punto di morte.

“Dazai…” Ango lo chiamò per nome e fece per toccarlo, ma uno sguardo tagliente da parte del diciottenne lo persuase a ritrarre la mano. Sconfitto, tornò a nascondersi nel suo angolo buio.

Chuuya si guardò bene dal commettere lo stesso errore. “Si può sapere che cos’ha?” Si rivolse direttamente a Mori, che trafficava in tranquillità con alcuni dispositivi medici sul carrello operatorio, quasi volesse tirarsi fuori dalla conversazione. 

In quel momento, Chuuya seppe che se fosse tornato a casa senza radere al suolo nulla, avrebbe segnato quella data sul calendario col promemoria: giorno miracolato.

Contò fino a dieci, prima di parlare di nuovo. “Boss, con tutto il rispetto-“

“Deve parlartene Dazai, se ne ha desiderio, non io,” lo interruppe Mori, cercando qualcosa in degli scatoloni gettati in un angolo. Il giovane dai capelli rossi ebbe la netta sensazione che lo stesse facendo apposta, ma non poteva scagliarsi contro il Boss della Port Mafia. Diversa era la posizione dello stronzetto, che si stava impegnando a evitare lo sguardo di tutti i presenti. Fosse stato per Chuuya, sarebbero andati avanti a suon di urla e pugni fino a che uno dei due non avesse dichiarato la resa - ma era sempre il rosso a fare un passo indietro, per paura di esagerare. 

Dazai però era l’ombra di se stesso e a Chuuya dava tremendamente fastidio.

“Ehi, Sgombro," lo chiamò, arrivando accanto al lettino. “Ho buttato via un buon calice di vino per colpa tua, puoi almeno dirmi se è stato per una buona ragione?”

Nessuno lo sapeva - forse solo Mori e Kouyou - ma il Duo Nero non era fatto solo di litigi e rancore reciproco. Su Yokohama non poteva tramontare il sole, prima che Dazai avesse fatto a Chuuya qualche dispetto - come fargli esplodere la macchina - ma lo stesso concetto di Duo Nero, che li aveva fatti finire sulla bocca di tutta la malavita - e non solo - non avrebbe avuto ragione di esistere se tra quei due non ci fosse stato qualcosa di più

Mori ci aveva visto lungo, o aveva giocato d’azzardo e aveva avuto fortuna - se sottoposto alla questione, non avrebbe saputo rispondere con certezza nemmeno lui. I cuccioli di cane imparano a diventare grandi giocando alla lotta. Era un po’ così anche per Chuuya e Dazai.

Forse perché non gli aveva urlato addosso, forse perché lo aveva chiamato col suo soprannome - scelto da Chuuya, usato solo da Chuuya - l’espressione di Dazai si ammorbidì e quegli occhi scuri smisero di essere due pozzi vuoti. “Aspetto un bambino,” confessò.

Chuuya sbatté le palpebre un paio di volte - forse anche quattro o cinque - prima di riuscire ad aprire bocca. Non disse assolutamente nulla, rimase così, come un pesce fuor d’acqua che boccheggia per respirare.

Alle sue spalle, Ango duellò con se stesso, indeciso se andare in soccorso del più giovane o aspettare che Dazai aggiungesse qualcosa.

Toccò a Mori coprire il silenzio per tutti. “Secondo quanto mi ha detto Dazai e i miei calcoli approssimativi, il feto dovrebbe essere di dieci o undici settimane.”

Era tanto, oppure poco? Chuuya non si era mai posto il problema d’imparare a contare l’età gestazionale. Non ne aveva mai trovato l’utilità. Come suo solito, Dazai lo stava facendo sentire in torto. “E quanti mesi sarebbero?” Domandò, curioso.

“Metà del terzo,” rispose Mori.

“Ah…” Chuuya annuì, come se quella storia avesse anche solo un briciolo di senso. Poi ricordò il motivo che li aveva condotti tutti lì. “Stava sanguinando!” Esclamò. 

Mori si portò dalla parte opposta del lettino. “Niente panico,” lo rassicurò con un sorriso. “Il collo dell’utero è chiuso e questo mi fan ben sperare, ma per avere delle risposte certe ho bisogno di un ecografo.”

“E dove sta?” Domandò Chuuya, con urgenza.

“Da qualche parte in questo casino,” rispose Mori, allargando le braccia per indicare tutto lo spazio intorno a sé. “Ma non abbiamo fretta.”

Chuuya strabuzzò gli occhi, come a chiedergli se fosse del tutto impazzito.

"L'emorragia si è fermata da sola,” disse Mori. “Se si trattasse di un aborto spontaneo, il quadro clinico sarebbe molto diverso. Certo, potrebbe esserci un distacco o potrei non trovare nulla.”

“Andiamo a cercare questo ecografo e verifichiamolo.” Chuuya era infastidito dalla tranquillità con cui il Boss affrontava la cosa, e il silenzio assoluto di Dazai non faceva che peggiorare le cose. Decise che più tardi si sarebbe sfogato sul quattrocchi.

“Ango,” chiamò Mori, reclinando la testa da un lato per vedere meglio l’agente governativo rintanato nell’angolo. “Permetti due parole?”

“Oh, sì!” Rispose Chuuya per lui. “Facciamo due parole. Ne abbiamo tutti un gran bisogno!” Passava il peso del corpo da un piede all’altro con nervosismo. 

Mori lo conosceva, sapeva che non avrebbe mantenuto la calma ancora a lungo. “Dazai, vai nella tua vecchia stanza. Sarà un tripudio di polvere, ma prova a stenderti a letto. Quando ti sveglierai, parleremo del da farsi.”





 

Non appena Mori chiuse la porta del suo studio, Chuuya esplose: “che cazzo sta succedendo qui?!”

Conscio della drammaticità della situazione, il Boss se la rise, sedendosi sulla sua vecchia poltrona. “Il tuo autocontrollo mi stava preoccupando più delle condizioni di Dazai. Vi farei sedere,” indicò la stanza ridotta peggio di un magazzino di oggetti abbandonati, “ma temo che siano passati i giorni in cui questo posto era accogliente.”

Non era un gran danno: Chuuya non la smetteva di camminare avanti e indietro e Ango sembrava non avere alcuna intenzione di allontanarsi dalla porta chiusa.

Confidando che fosse più ragionevole del diciottenne, Mori decise di occuparsi per primo dell’agente. “Ango, sul serio, smettila di comportarti come se fossi un ostaggio di guerra. Nessuno ti pianterà una pallottola in testa, non qui. Questa clinica è sempre stata zona franca e ci tengo che lo rimanga.”

Ango rimase un pezzo di marmo, ma almeno trovò il coraggio di parlare. “Come intende procedere?”

Mori scrollò le spalle. “Non spetta a me deciderlo,” rispose, “ma a Dazai. Piuttosto, tu che intenzioni hai?”

Chuuya smise di vagare come una trottola impazzita per fissare il quattrocchi. “Ha detto di star agendo come un civile qualunque.”

“Molto carino da parte sua,” commentò Mori, sarcastico. “Ma penso che Ango abbia intuito che la questione non si risolverà entro domani. Dovrà rendere conto ai suoi superiori, prima o poi.”

Ango non ebbe il tempo di replicare, che Chuuya lo usò di nuovo come capro espiatorio per il suo malanimo. “Non provare nemmeno a pensare di riportare Dazai in quel buco in cui l’ho trovato!” Lo aggredì. 

Ango provò a ribattere: “è sotto la mia-“

“Sei completamente incapace di gestirlo!” Lo zittì Chuuya. “Quello che è accaduto stanotte ne è la prova!”

“Non sapevo che aspettasse un bambino!”

“E questo non gioca affatto a tuo favore!”

Riflettendo a mente fredda, Mori non se la sentiva di biasimare Ango per la sua distrazione. Di recente, aveva imparato quanto Dazai fosse bravo a nascondere se stesso pur rimanendo sotto gli occhi di tutti. Chuuya era solo arrabbiato, travolto dal ritorno del suo partner e non poteva pretendere lucidità da lui. 

“Chi altri si occupa del caso di Dazai?” Domandò Mori, rivolgendosi all’agente.

“Solo io,” rispose Ango.

Il Boss della Port Mafia lo fissò molto attentamente. “Sei intelligente, Ango, mi auguro che tu abbia compreso che mentirmi non può portare nulla di buono.”

“Ci sono solo io,” ripeté Ango. “Nessuno voleva il caso.”

Chuuya fece una smorfia. “Chissà perché?”

“E cosa intendi fare?” Indagò Mori. “Prima che tu faccia qualche proposta: Dazai non si muove di qui.”

Chuuya sorrise soddisfatto.

Ango però voleva più garanzie. “Me lo sta dicendo da Boss o da medico?”

Mori sapeva essere paziente, ma Chuuya non era il solo a essere stato travolto dagli eventi e dover rendere conto a quel ragazzino del Governo cominciava a dargli sui nervi. “Dazai rimane qui,” ripeté. “Puoi cominciare una guerra - che combatterai da solo - oppure puoi provare a fidarti di noi.”

Ango ingoiò a vuoto. “Sono certo che lei capisca la mia difficoltà.”

“Allora abbi fiducia in Dazai,” disse Mori. "Immagino che il Governo abbia delle cliniche più presentabili di questa, eppure sento che non ci è voluto andare. Ha chiamato Chuuya per avere aiuto e sapeva benissimo come sarebbe andata a finire. Si è sentito più al sicuro a tornare da chi ha tradito, piuttosto che fidarsi dei suoi nuovi alleati.”

Ango strinse i pugni e prese atto di quella sconfitta in dignitoso silenzio. “Di fatto, sono con le spalle al muro.”

“Non ti ci ho messo io, ma Dazai,” sottolineò Mori. “Dunque, che cosa conti di fare?”

Ango fu veloce a formulare una risposta: “se Dazai collabora con me, posso insabbiare ogni cosa e stilare dei rapporti fittizi. Nessuno indagherà.”

Le labbra di Mori si piegarono in un sorriso sinistro. “Sfrutti la fiducia dei tuoi superiori a tuo comodo. Gli anni che hai passato alla Port Mafia ti hanno fatto bene.”

L’agente governativo ingoiò la vergogna che provava per se stesso e non rispose. 

“Molto bene!” Mori si alzò in piedi. “Ci sono un sacco di cose da fare. Chuuya, fatti aiutare da Ango a risolvere alcune questioni di tipo pratico: servono vestiti per Dazai, varie ed eventuali prodotti di pulizia per rendere vivibile questo posto e qualcosa di alcolico.”

Chuuya annuì distrattamente, poi si bloccò. “Qualcosa di alcolico?” 

Mori sorrise, serafico. “Dobbiamo festeggiare il lieto evento, no?” Era certo che nei mesi a venire avrebbero tutti avuto bisogno di una sbornia terapeutica - tranne Dazai. “Voi andate e, mi raccomando, non litigate. Io mi assicuro che Dazai si sia messo comodo e vedo di trovare questo ecografo.”

I due giovani ci misero cinque minuti buoni a uscire dallo studio - tra Chuuya che continuava a insultare Ango e l’agente che si sforzava di rimanere cortese. Non appena la porta si richiuse, il sorriso scivolò via dal viso di Mori. Era solo, poteva calare la maschera. Tornò a sedersi, si coprì gli occhi con una mano e lasciò andare un sospiro. Se qualcuno fosse entrato in quel momento, non avrebbe riconosciuto il Boss della Port Mafia, ma avrebbe visto solo un uomo curvo e stanco.

Invidiava Chuuya per la sua giovane età, che giustificava il modo impulsivo - forse distruttivo - in cui viveva le emozioni. Sperava che Dazai riuscisse a fare lo stesso, gli avrebbe fatto bene. 

Mori non poteva permetterselo. Serviva un adulto per gestire quella situazione e c’era solo lui lì. Diviso tra il prendere a pugni il muro e piantare una pallottola in testa a qualcuno - possibilmente con le fattezze di Oda Sakunosuke - Mori recuperò il cellulare e, incurante della tarda ora, chiamò l’unica persona che aveva la sua completa fiducia. 

Rispose dopo appena due squilli.

“Ciao, sono io. No, Chuuya sta bene… Più o meno…” Raccontare tutto al telefono non era fattibile, ma a Mori serviva che comprendesse al volo la gravità della situazione. “Dazai è tornato.”





 

Contro ogni aspettativa di Ango, Chuuya non disse una parola per tutto il tragitto in auto. Si fermarono a un 24h fuori zona - era meglio non vagare troppo nei quartieri della malavita - e l’agente riempì il cestino di prodotti per la pulizia con etichette che recitavano ”pulito e igienizzato in una sola passata” e varianti dello stesso concetto. Poteva anche svaligiare il reparto ma, a giudicare dallo stato di abbandonato in cui versava la clinica, sarebbero tornati a fare scorte in breve tempo.

Chuuya si occupò dei vestiti, prese quel che trovò - essenzialmente tute e felpe - seguendo come unico criterio estetico la sobrietà. Tutto ciò che lui non avrebbe mai indossato, nemmeno per vegetare in casa, era perfetto per lo Sgombro.

“Domani andrò a prendere anche la valigia di vestiti che gli avevo procurato io,” disse Ango, mentre si dirigevano verso la cassa. Se Chuuya lo udì, non si disturbò a rispondergli. Fu quest’ultimo a pagare - in contanti - e in meno di mezz’ora furono di nuovo in auto.

Il diciottenne non diede segni di squilibrio neanche allora. Ango si ritrovò a dare ragione a Mori: un Chuuya silenzioso era motivo di preoccupazione. L’agente era sicuro che si stesse scatenando l’inferno in quella testa di capelli rossi, ma non ne mostrava alcun segno. Certo che se ne sarebbe pentito nel giro di un paio di battute, Ango provò a intavolare un discorso. “Hai capito che cosa sta succedendo, Chuuya?”

Il diciottenne lo guardò come se fosse la forma di vita più bassa sul pianeta. “Hai capito che non mi devi rompere i coglioni?”

“Sento i tuoi pensieri fino a qui.” Ango tentò di essere cortese. Sapeva che Mori era inarrivabile. Chuuya era più simile a un suo pari e lo conosceva. Non c’era mai stata amicizia tra loro, ma collaborazione sì e, nonostante le loro personalità fossero completamente incompatibili, avevano sempre portato a termine il lavoro. 

Se c’era qualcuno che potesse essere alleato di Ango, quello era Chuuya.

“Oh, sei anche telepatico?” Domandò il rosso, con sarcasmo.

“Chuuya, parliamoci con onestà.” Ango aveva messo da parte la professionalità e tutto ciò che essa comportava. Quella storia lo toccava personalmente e poteva essere affrontata solo di petto. “A Dazai siamo rimasti solo io e te.”

“Dazai non ha me!” Esclamò Chuuya, incrociando le braccia contro il petto. “Tu fatti pure trattare da scendiletto, se vuoi!”

“Quando lo hai sentito piangere al telefono, sei corso da lui,” gli fece notare Ango.

“Non stava piangendo. Dazai non piange, stava solo singhiozzando."

“Chuuya…”

“Oh, Ango, che cazzo vuoi da me?” Chuuya era esasperato. I pensieri s’impilavano l’uno sull’altro senza sosta e tra poco la testa gli sarebbe esplosa. Dazai era tornato, lo stesso Dazai che aveva voltato le spalle a tutti per un certo Oda Sakunosuke. Dazai era un traditore ma, vinto dal terrore, aveva chiamato lui per chiedere aiuto. Dazai, che ora aspettava un bambino da quell’amante di cui nessuno si era accorto. Fu proprio su quel dettaglio che Chuuya decise di battere. “Visto che aveva cara la vita meno di Dazai, quel tuo amico, Oda, poteva risparmiarci il disturbo di lasciare un figlio in giro!”

La macchina inchiodò. Chuuya, che era senza cintura, si ritrovò con la faccia contro il cruscotto. Non si fece troppo male, ma rimase immobile, in attesa dell’urto. 

Ecco, benissimo, Dazai stava compiendo l’insano gesto di diventare genitore e Chuuya si sarebbe perso il disastro perché un quattrocchi - di merda - del Governo non sapeva guidare. 

Finite le imprecazioni, Chuuya realizzò che non era accaduto nulla. La prima cosa che fece fu guardare dietro, ma non vide nessuna auto nel lunotto posteriore. Ringraziò l’ora ingrata per la strada deserta. 

Quando sollevò gli occhi azzurri su Ango, lo trovò che stringeva spasmodicamente il volante, la sua mandibola sembrava stesse per sganciarsi dal resto della testa e il suo sguardo era fisso nel vuoto. Per un attimo, Chuuya pensò che gli fosse preso un embolo al cervello o qualcosa di simile. Meditò di tirargli un pugno per assicurarsi che fosse ancora vivo, poi realizzò con che tempismo l’agente aveva premuto il piede sul freno.

Toccò alla mandibola di Chuuya avere un episodio di quasi-distaccamento. “Non sapevi nulla di Oda e Dazai?!” Urlò.

Ango sobbalzò e tornò nel mondo reale. D’istinto, mise di nuovo in moto la macchina.

Chuuya gli afferrò il polso. “Accosta.”

“Ma-“

“Accosta, non resto in macchina con te, mentre hai quell’espressione sconvolta di merda!”

Ango lo accontentò. Una volta spento il motore, entrambi restarono in silenzio per un lungo minuto. 

Chuuya fissò il profilo dell’agente: per la prima volta dall’inizio di quel delirio, aveva la faccia di qualcuno che non stava bene per niente.

“Non sapevi di Dazai e Oda,” ripeté Chuuya. “Davvero?”

Ango lasciò andare il volante, appoggiando la nuca al poggiatesta. “No,” rispose con un filo di voce. “Non lo sapevo.”

Chuuya ebbe uno slancio di empatia nei suoi confronti: era passato per quella stessa fase alcune settimane prima, quando aveva realizzato che essere il partner di lavoro di Dazai non lo rendeva automaticamente il suo compagno nella vita. “Ero certo che tu lo sapessi,” disse, come per chiedergli scusa. “Oda era tuo amico, no?”

Ango annuì distrattamente. “Sì, Odasaku era mio amico.” Tornò indietro con la mente, rivide i momenti, cercò di ricordare le parole e gli sguardi. Li aveva avuti sotto gli occhi per tanto di quel tempo, eppure non aveva mai sospettato di nulla.

“Non me ne sono mai accorto,” aggiunse. Non fu una dichiarazione indolore.

Chuuya non infierì. “Nemmeno noi,” disse, con una scrollata di spalle.

Solo allora, Ango si decise a ricambiare il tuo sguardo. “Non è stato Dazai a dirtelo?”

Chuuya scosse la testa. “Dopo la Mimic, siamo stati costretti a riflettere su alcune cose e abbiamo tirato le nostre conclusioni.”

“Tu e chi altri?”

“Chi conosce bene Dazai.”

“Io pensavo di conoscerlo bene,” ammise Ango. “Meglio di molti, perlomeno. Ho sempre avuto l’impressione che nessuno lo conoscesse come Odasaku, ora capisco il perché.”

“Erano così insospettabili?” Domandò Chuuya, incredulo.

“Erano legati. Erano molto legati,” disse Ango. “Te l’ho detto, Odasaku sapeva come prendere Dazai, ma da qui a essere amanti ce ne passa.”

“Ce ne passa così tanto che per lui ha abbandonato la Port Mafia,” disse Chuuya, sarcastico.

“Quello ero certo che lo avesse fatto nel momento in cui ho visto Odasaku morto,” ribatté Ango. 

Chuuya alzò gli occhi al cielo. “E dici di non sapere che fossero amanti?”

Ango allargò le braccia. “Dalla mia prospettiva, aveva senso che Dazai mollasse tutto per Odasaku, ma non ho mai considerato il sesso. Che vuoi che ti dica?”

Il diciottenne dai capelli rossi contò fino a dieci. “Stai bene?” 

Ango credette di aver capito male. “Come?”

“Stai bene, idiota?”

“Non lo so,” ammise l’agente governativo. “Ho condannato a morte un amico e ho cercato di rimediare salvandone un altro. Ora, salta fuori che sta per nascere un bambino loro.” Il pensiero lo travolse come un fiume in piena. “Quel bambino è di Dazai e di Odasaku.” Si coprì gli occhi con la mano.

“Non metterti a piangere,” lo avvertì Chuuya. “Ricorda: non abbiamo avuto nessuna conferma da Dazai e sappiamo quanto è imprevedibile. È solo che, alla luce degli eventi, Oda è il candidato più probabile.”

Ango ingoiò a vuoto. “Mori lo sa?”

“Mori sa quello che so io, insieme ad altri due veterani della Port Mafia.”

“Nessun altro?”

Chuuya ci pensò. “Ricordi Akutagawa? Bene, diciamo che ho avuto l’insana idea di trascinarmelo dietro, mentre cercavo di capire la natura del legame tra Dazai e Oda. È innocuo, non penso abbia capito davvero.”

Ango non avrebbe mai accostato la parola innocuo al nome di Akutagawa, ma gli bastava sapere che non se lo sarebbe ritrovato sulla strada nel cuore della notte.

“Starai bene, quattrocchi” promise Chuuya, anche se nessuno glielo aveva chiesto. “Ci vorrà un po’ ma starai bene.”

Ango ebbe l’impressione che stesse cercando di convincere se stesso.




 

Dazai venne svegliato da un tonfo, seguito da un’imprecazione.

Lentamente, si sollevò su un gomito e valutò la situazione: qualcuno gli aveva messo addosso un cappotto nero a mo di coperta, la stessa persona che ora giaceva sul pavimento dopo un rovinoso inciampo. 

Non c’erano tende alla finestra e il sole di primavera illuminava la piccola camera da letto, eppure Mori era riuscito a inciampare sull’unico scatolone presente nella stanza. Mentre si tirava in piedi, dolorante come se avesse il doppio dei suoi anni, sperò che il giovane sul letto fosse ancora nel mondo dei sogni.

Gli andò male. Gli occhi scuri di Dazai lo trapassarono da parte a parte, impedendogli di fare quell’unico passo che lo separava dalla porta. 

“Ehi,” lo salutò, sedendosi in fondo al letto. Sapeva di non essere bene accetto, ma il diciottenne avrebbe dovuto sopportare la sua presenza per un po’ e tanto valeva che si abituasse - di nuovo. “Sei riuscito a dormire?”

Dazai si limitò ad annuire. La debolezza aveva preso il sopravvento nel momento in cui aveva toccato quel materasso spoglio. Non aveva avuto la forza di cercare delle lenzuola né una coperta. Afferrò la manica del cappotto in una muta richiesta.

“Pensavo avessi freddo,” rispose Mori.

Dazai avrebbe voluto solo gettarlo a terra ma, sì, aveva freddo e non era nella posizione di potersi ammalare.

“Dov‘è il tuo?” Domandò il Boss della Port Mafia. “Quello che ti ho regalato?”

Dazai gli lanciò un’occhiata eloquente. Me lo stai chiedendo davvero? dicevano quegli occhi scuri.

“Era un bel cappotto, non meritava il tuo rancore.” Mori sapeva di suonare ridicolo, ma dire sciocchezze era meglio che restare in silenzio. Dazai aveva smesso di essere difficile per lui a quattordici anni, quando si era squarciato i polsi nel bagno della clinica - sei mesi dopo l’omicidio del vecchio Boss - e Mori si era ritrovato a salvargli la vita perché, sì, lo voleva vivo. Da lì in poi era andato tutto in discesa - in una strada sdrucciolevole e piena di buche - Dazai aveva cominciato a parlargli, poi era arrivato Chuuya e le cose si erano fatte ancora più semplici. A dispetto delle apparenze, il caos creato da quei ragazzini lo aveva sempre rassicurato. 

“Odasaku non ha nulla da nascondere. Quello che vedi è esattamente quello che è. Ci vuole un po’ per abituarsi ma quando ci riesci, diviene un balsamo per l’anima.” Non era stata una confessione estorta. Mori non ricordava nemmeno se avessero mai parlato di Oda Sakunosuke, prima di allora. Quel ragazzino gli aveva fatto quella confidenza in modo del tutto naturale e lui non gli aveva dato il giusto peso.

Dazai non gli aveva mai nascosto nulla, come non lo aveva fatto con Chuuya. Nessuno dei due era stato in grado di vedere oltre l’immagine cristallizzata che avevano di lui, non si erano posti il problema che potesse essere altro.

Per Sakaguchi Ango, era stato un amico abbastanza importante da convincerlo a mettere da parte i suoi principi.

Per Oda Sakunosuke… Beh, Mori non aveva realmente voglia di pensarci.

“Starà bene?” Domandò Dazai, di colpo.

Lieto che avesse deciso di aprire bocca, Mori assecondò la piega che aveva dato alla conversazione, senza mentirgli. “Quando vedrò il battito del cuore e valuterò lo sviluppo del feto, saprò darti una risposta concreta.”

Dazai si sedette contro la testiera del letto. “Com’è stato possibile?”

A Mori sfuggì un sorriso. “Sei grande, lo sai come nascono i bambini.”

“Il mio corpo non ha mai funzionato bene in quel senso,” si giustificò Dazai.

“Vengono fatte diagnosi d’infertilità in situazioni all’apparenza normali,” spiegò Mori. “Non c‘è da sorprendersi se a diciotto anni il tuo corpo ti ha preso un po’ in giro. Hai solo avuto uno sviluppo tardivo, ma senza terapie ormonali non c’era modo di evitare qualcosa di possibile. Capisci?”

La prima volta che Dazai aveva avuto il ciclo mestruale, era andato a cercare aiuto da Chuuya. Era stata l’idea peggiore che avesse mai avuto. Si era creato un caos tale intorno alla questione, che ci erano voluti tre giorni per calmare le acque. Mori ricordava quell’evento come la prima volta in cui Dazai non si era voluto far toccare da lui. Era stata Kouyou a salvarli tutti e il Boss le era ancora grato per come aveva gestito la situazione.

“Non lo credevo possibile,” disse Dazai. Non stava cercando di difendersi, non aveva certo bisogno dell’approvazione di Mori Ougai. Si limitava a parlare dei fatti per quelli che erano: si era concesso a un uomo che lo aveva travolto completamente e lo aveva fatto senza pensare alle conseguenze.

Mori evitò il discorso paternalistico in cui lo rimproverava di non aver usato la testa - qualcosa gli diceva che Chuuya ne aveva già uno pronto e nessuno lo avrebbe dissuaso dall’usarlo - e approfittò di quel momento di calma per indagare su un altro punto: “ieri mi hai detto di fare tutto quello che potevo,” gli ricordò. “Eri spaventato e mi hai preso di sorpresa. È facile fraintendere in queste situazioni.”

“Non hai frainteso nulla,” rispose Dazai, fermo.

Mori non ne era sorpreso. “Hai diciotto anni e sei un latitante,” si sentì in dovere di dire. Non era lì in veste di Boss della Port Mafia, forse lo era da medico, ma quell’etichetta non riassumeva il suo ruolo in modo esauriente. 

“Lo so.” L’espressione di Dazai era vuota, così come i suoi occhi.

Non era la prima volta che Mori lo vedeva così, ma sperava di aver detto addio a quella creatura senz’anima molti anni prima. 

Sei tu che lo hai ridotto così, gli disse una voce nella testa che assomigliava a quella di Elise - o forse era Yosano. 

Dazai mise il cappotto da una parte e si alzò in piedi. “Devo vomitare.”




 

Chuuya li trovò in bagno così: Dazai che vomitava l’anima e Mori che gli liberava il viso dai capelli.

“Avevo portato la colazione,” disse il rosso. “Mi pare che non sia il momento giusto.”

Mori forzò un sorriso. “Però è un buon momento per darmi una mano.”

Dazai rifiutò l’aiuto di entrambi e si rimise in piedi da solo. Mentre faceva scorrere l’acqua nel lavandino per lavarsi la bocca, Mori si rivolse all’ultimo arrivato: “Ango?”

“L’ho mandato a prendere un materasso nuovo, uno di quelli ergonomici o come cazzo si dice,” rispose Chuuya. “Insieme a lenzuola, asciugamani e una lavatrice nuova.”

Mori inarcò le sopracciglia. “Una lavatrice nuova?”

“Ho messo insieme tutta la biancheria da camera e da bagno qui in giro per tirarne fuori qualcosa di utile. È andato tutto perduto, insieme alla tua vecchia lavatrice. In compenso, la lavanderia e la cucina si sono allegate al punto che adesso splendono.”

Mori lasciò andare un sospiro. “Ho sempre voluto ristrutturare questo posto, ma non credevo sarebbe mai arrivato il giorno.”

“Ho fame,” disse Dazai, col tono - e anche l’aspetto - di chi si è appena alzato da una tomba.

Già stufo, Chuuya sbuffò. “Hai appena vomitato, scemo, non puoi mangia-“

“In realtà, può,” intervenne Mori. “È normale che un minuto stia male e quello subito dopo abbia fame.”

“In breve: se prima era pazzo, adesso è d’abbattere,” concluse Chuuya.

“Quella parte è sospesa fino a data da destinarsi,” disse Dazai, uscendo dal bagno a passo di marcia.

Chuuya sbatté le palpebre un paio di volte. “Quale parte?”

Mori fissò il punto in cui il ragazzo dai capelli scuri era sparito: “quella che riguarda la sua morte.”




 

“Sono ufficialmente sospesi i tentativi di suicidio e le battute di merda a riguardo?” 

Mori sapeva che Chuuya era in grado di leggere la terribile atmosfera che aleggiava su di loro, ma parlava come se avesse deciso d’ignorarla deliberatamente. 

“Uhm…” Fu la sola risposta di Dazai, gli occhi scuri fissi sulla tazza fumante davanti ai suoi occhi. Tisana allo zenzero, aveva detto il suo improbabile medico, per le nausee.

I ragazzi sedevano ai capi opposti del tavolo. Mori stava cercando di far funzionare la vecchia macchinetta del caffè con delle cialde che, probabilmente, erano scadute da mesi. Non gli importava: nessuno di loro - tranne Dazai - aveva dormito e la caffeina - seppur non di prima qualità - era necessaria per impedire un collasso di massa nel pieno dell’emergenza. Dazai non sanguinava più, ma era lungi dallo stare bene. Chuuya era stato troppo calmo e collaborativo, rispetto al peso degli eventi che lo avevano travolto. Mori aveva ancora quel fastidioso prurito alle mani, causato dal desiderio di ridurre a pezzi un uomo che era già morto.

La buona notizia era che erano ancora tutti vivi. 

Chuuya prese a tamburellare le dita sul tavolo. “Non hai niente da dire, Sgombro?”

Dazai lo ignorò completamente, facendo girare la tazza sul tavolo in un gioco distratto, tanto per spezzare l’immobilità del momento. 

“Ehi!” Ruggì Chuuya. “Prima ci tradisci, poi torni strisciando per chiedere aiuto. Abbi almeno la decenza di aprire quella bocca di merda!”

La macchina del caffè continuava ostinatamente a non funzionare, ma Mori sapeva di non poterla usare come scusa per tagliarsi fuori da quella discussione. Quando si voltò, Dazai aveva alzato lo sguardo dalla tazza. Il medico era pronto a giurare che non avesse mai guardato il coetaneo con tanta cattiveria. “Non sono io che sono corso da un traditore, come un cagnolino fedele col suo padrone.”

Mori afferrò Chuuya prima che raggiungesse l’altro capo del tavolo. “Siediti,” ordinò, spingendolo verso il posto da cui si era alzato. Chuuya si guardò bene dall’aprire di nuovo la bocca. Il Boss della Port Mafia si rivolse al diciottenne dai capelli scuri: “e tu-“

“Cosa?” Lo incalzò Dazai, per nulla intimorito da chi era o cosa rappresentava. “Vuoi che ti sia grato?” C’era rabbia nella sua voce, eppure era tanto calmo da far paura. “Vuoi che implori il tuo perdono?”

Mori mantenne la calma. “Non ho bisogno della tua gratitudine e tu non sai cosa fartene del mio perdono. Finiamola subito con questi giochetti esasperanti, Dazai. Se siamo qui è per una ragione personale.”

“Tu puoi avere ragioni personali?” Domandò Dazai, beffardo. “Riesci davvero ad agire per qualcosa che non sia il tuo piano, qualsiasi cosa questo voglia dire.”

La calma con cui avevano parlato quella mattina era solo un ricordo. Mori non ne era sorpreso, ma aveva sperato di potersi fare una dormita di un paio d’ore, prima di dover contenere Dazai. Con Chuuya era più facile: i suoi momenti erano tutti uguali, passavano subito dopo aver raggiunto lo zenit. Dazai era imprevedibile: poteva durare pochi minuti, come giorni e il livello di distruttività della crisi era sempre diverso.

Ultimo ma non ultimo, non era mai capitato che Mori fosse colpevole dell’omicidio di qualcuno d’importante. Di certo, non giocava a suo favore.

“Chiariamo subito una cosa.” Mori poggiò entrambe le mani sul tavolo. “Non c’è nulla che tu possa dire o fare per indurmi a farti del male,” disse, rivolgendosi a Dazai. “Vuoi esasperarmi? Sai che novità, lo fai da sempre. Hai chiamato Chuuya perché Ango è tuo amico, ma non ti fa sentire al sicuro. Come biasimarti, il Governo ha tante zone d'ombra da non poterle contare e tu non le conosci, non puoi gestirle. Questa, invece, è casa tua. Puoi odiarla e volerla distruggere, ma rimane casa tua.”

Quel discorso non colpì Dazai neanche di striscio. “E chi ti dice che non sia tornato per vendervi tutti?”

“Primo, perché sarebbe una cosa stupida e tu non sei uno stupido.” Mori sorrise, quasi intenerito. “Secondo, tu odi me, non Chuuya. Come non odi molti altri membri della Port Mafia. Non la faresti pagare a loro per un crimine che ho commesso io. Inoltre, so come sei quando hai paura e ieri notte ne avevi tanta. Il Direttore Taneda non muoverebbe un dito per proteggere ciò che porti in grembo, io sì. E tu proprio non riesci a sopportarlo, vero?”

Se uno sguardo avesse potuto uccidere, quello di Dazai lo avrebbe seccato nel tempo di un respiro.

“Sì, Dazai, ti sei messo con le spalle al muro da solo,” concluse Mori, spettinandogli i capelli in un gesto paterno. Il diciottenne si ritrasse. “Ma guardando il quadro generale, hai scelto la via più sicura per avere questo bambino.”

Seduto al suo posto, Chuuya si rianimò di colpo. “Vuoi tenerlo?” Lui e Ango ne avevano discusso, ma nessuno dei due era arrivato a una conclusione soddisfacente.

“Sì,” rispose Dazai, senza allontanare gli occhi da quelli del Boss. “Non ho mai preso in considerazione l’altra opzione.”

Mori era soddisfatto così.

Chuuya neanche un po’. “E se non avessi avuto quell’emorragia, quale sarebbe stato il tuo grande piano?” Domandò, rabbioso. “Aspettare il giorno fatidico e poi partorire con l’aiuto del quattrocchi? Posso immaginare la scena!”

Mori intervenne, prima che Dazai buttasse benzina sul fuoco. “Tutto bene quel che finisce bene, non c’è bisogno di creare altro malanimo!” Ve ne era già abbastanza e prevedeva che li avrebbe travolti a ondate.

Sentirono la porta d’ingresso aprirsi, seguita da un rovinoso tonfo con le imprecazioni di Ango in coda. 

“Penso che quel materasso sia arrivato,” concluse Mori.




 

Il padrone di casa si assentò per cercare il famoso ecografo, lasciando ai tre giovani il compito di occuparsi della stanza di Dazai. 

“Il fatto che io ti stia facendo il letto, non significa che sarò il tuo servo fino al prossimo inverno,” si sentì in dovere di sottolineare Chuuya, mentre aiutava Ango a sistemare il nuovo materasso sulle doghe lasciate scoperte.

Dazai assisteva alla scena acciambellato sulla poltrona - nuova anche quella - vicino alla finestra spalancata. Se glielo avessero raccontato, non ci avrebbe mai creduto, ma Ango e Chuuya erano riusciti a rendere accogliente la sua vecchia camera in meno di mezza giornata. 

“Nell’armadio hai i vestiti di ricambio,” disse Chuuya, mentre Ango cercava di capire da quale angolo agganciare il coprimaterasso per primo. “Nei cassetti hai lenzuola e asciugamani. Sì, mi sento un idiota a parlarti così, quindi vedi di tenere la fogna chiusa.”

Dazai non aveva alcuna voglia di discutere con lui. Ora aveva premura che Mori trovasse quell’ecografo e gli confermasse che andava tutto bene. 

“Devo pulire il bagno?” Domandò Ango, indossando due guanti in lattice giallo limone. 

Chuuya lo guardò con estrema pietà. “Ci ho già pensato mentre lui dormiva e tu eri fuori.”

“Oh… E come facciamo con la lavatrice nuova?”

“Ci penserà Hirotsu a installarla, dice di essere capace.”

Dazai si rianimò di colpo. “Hirotsu sta venendo qui?”

“Hirotsu ti è venuto a cercare, quando sei scomparso e nessuno di noi sapeva che cosa ti fosse successo,” disse Chuuya. “Dovresti essergli grato.”

Dazai non mostrò alcuna emozione a quella rivelazione. “Mori sapeva benissimo cosa mi era successo.”

Chuuya prese un respiro profondo, poi guardò l’agente governativo. “Quattrocchi vatti a fare una sigaretta fuori.”

“Non fumo,” rispose Ango.

“Allora togliti dai coglioni e basta!” Sbottò Chuuya. “E non guardare lui! Non sei il suo cane e sa cavarsela benissimo da solo!” Nel dubbio che il messaggio non fosse abbastanza chiaro, spintonò l’agente fuori dalla camera e chiuse la porta sbattendola. “Come fai ad averlo per amico? Ci sono stato una notte e ora medito di assassinarlo nel sonno!”

“Ango non è più mio amico,” disse Dazai, con voce incolore. 

Fermo sulla porta, Chuuya si prese un attimo per guardarlo: era ancora pallido come un morto e dalla sua bocca non era uscita nessuna di quelle battutine di merda a cui, suo malgrado, era abituato. Quello che più gli dava sui nervi - perché mai avrebbe ammesso che lo preoccupava - era la totale assenza di espressioni sul viso di Dazai. Quegli occhi scuri passavano dall’essere due lame taglienti a due pozzi vuoti. La bocca era una linea dritta, nessun sorrisino sarcastico, nessuna smorfia derisoria.

Dazai Osamu era lì, proprio di fronte a lui. 

Eppure, Chuuya vedeva solo la sua ombra.

Pur sapendo che si sarebbe pentito di quello che stava per fare, si sedette in fondo al letto appena fatto e guardò fuori dalla finestra. Non vi era un gran panorama, solo una visione più ampia del quartiere, con gli alberi di un piccolo parco giochi a rallegrare il tutto. Sullo sfondo, i palazzi neri della Port Mafia vigilavano silenti anche sotto il sole di primavera.

“Hai freddo?” Domandò Chuuya.

Dazai scosse la testa. “L’aria fresca mi fa passare la nausea.”

“È così terribile?”

Dazai scrollò le spalle. “Non sono bravo a sopportare dolore e malessere, lo sai.”

“E continui a farti male,” commentò Chuuya.

Quelle parole gli fecero guadagnare l’attenzione di quegli occhi scuri. “No, questa volta non mi sono fatto male da solo.”

“Nessuno ha costretto Oda a-“

“No,” lo interruppe Dazai. “Anche se mi odi, ti prego di non pronunciare il suo nome.”

Chuuya non lo odiava. Era la verità contro cui aveva sbattuto la testa, fin dal giorno della sua scomparsa. “Ti ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?” Domandò.

“Quando mi hai quasi massacrato di botte?” La voce di Dazai era monocorde.

Non c’erano parole gentili per riassumere quello che era successo. Dazai era stato uno stronzo, ma Chuuya lo aveva aggredito con l’intento di fargli male davvero. Lo aveva fatto con tanta rabbia che erano serviti sia Mori che Hirotsu a dividerli. Se non fosse stato per il loro intervento, Chuuya stesso non sapeva come sarebbe andata a finire.

“Pensi che tu fossi già-?”

“Non lo so, Chuuya.” Dazai scosse la testa. “Posso dirti l’ultima volta che ho fatto l’amore con lui: il giorno prima che Mori lo convocasse.”

Quello era un altro dettaglio su cui Chuuya e Ango avevano dibattuto. “Quindi quell’O-“ Non doveva pronunciare il suo nome. “L’amico tuo e di Ango è il padre del bambino?”

Per la prima volta da quando si erano rivisti, Dazai accennò un sorriso divertito. “E chi altri potrebbe esserlo?”

Chuuya scrollò le spalle. “Vorrei poterti descrivere a parole lo shock che hai provocato a tutti, quando abbiamo capito che non eravate solo amici.”

“Non l’ho mai nascosto,” disse Dazai.

Era quello a fare più male. “Già… Ci siamo sentiti tanto stupidi per tanto tempo. Oh, e ti sei perso la faccia di Ango ieri notte!”

Dazai aggrottò la fronte. “Ango lo ha sempre saputo.”

Chuuya rise. “Ango non ha mai saputo un cazzo, Dazai. Mi è sfuggito mentre eravamo in macchina e ci ha quasi uccisi tutti e due per il trauma.”

Quella rivelazione prese il diciottenne dai capelli scuri in contropiede. “Ango era sempre con noi…”

“È quello che gli ho detto anche io.”

“Pensavo che non ne parlasse perché lo mettevamo in imbarazzo.”

“Invece, no, è solo deficiente.”

Dazai si coprì il viso con le mani e appoggiò la nuca allo schienale della poltrona. “Per questo, un istante fa, non riusciva a guardarmi in faccia.”

“Beh… Non è che tu sia molto amichevole con lui.” Chuuya non era nella posizione di criticarlo, ma lasciò che il discorso scivolasse come arrivava. Fin tanto che lo Sgombro non si chiudeva dietro un inassediabile muro di silenzio, c’era speranza per tutti.

Dazai guardò distrattamente fuori dalla finestra. “Lo considero responsabile di una cosa che non ha causato,” ammise. “So che non è lui il colpevole di tutto, ma non riesco a smettere di biasimarlo.”

Suo malgrado, Chuuya lo poteva capire: Ango era un buon amico, ma ciò non toglieva che fosse un doppiogiochista e che avesse avuto il suo ruolo nel caso Mimic. “Perché mi hai chiamato?” Domandò di colpo.

Dazai rispose al suo sguardo. “Perché hai cercato Ango, quando hai capito che non sarei tornato?” Ribatté.

Era ovvio che il quattrocchi lo avesse informato del loro incontro clandestino, ma questo non avrebbe impedito a Chuuya di dargli un pugno in più. “Volevo sapere se eri morto,” disse. Volevo sapere se stavi bene, intendeva.

Dazai si umettò le labbra. “Tengo una lista di persone per le emergenze. Lo so, detto da me fa ridere, dato che mi piace crearle di proposito.”

Chuuya si morse la lingua per non dare voce alla sua opinione a riguardo.

“Delle persone su quella lista, una è morta e due mi hanno tradito. C’eri rimasto solo tu.”

Chuuya poteva intuire facilmente l’identità delle altre tre. “Hai chiamato anche Ango,” gli ricordò.

“Sapevo che saresti venuto in moto,” disse Dazai. “E ci serviva una macchina.”

Chuuya non avrebbe dovuto ridere, eppure lo fece. “Ehi…” Allungò la gamba e toccò quella dell’altro con la punta del piede. “Aspetti un bambino.” 

Ora che era l’altro lato del Duo Nero a dirlo, a Dazai fece un effetto totalmente diverso. “Sono due linee blu su uno stick di plastica,” disse. 

“Pensavo t’importasse.”

“M’importa. Non mi sembra reale, tutto qui.”

“Beh… Per essere solo due linee su uno stick, il moccioso ne ha fatto di casino.”

Chuuya scosse la testa. “Ma come ti è saltato in mente?”

Finita la magia. Il Duo Nero aveva avuto il suo momento di sintonia e ora si poteva tornare alle vecchie abitudini.

Dazai alzò gli occhi al cielo. “Non cominciare.”

“E non hai idea di quanto andrò avanti!” Esclamò Chuuya. “Scopati chi ti pare, ma usa un cazzo di preservativo!”

“Fino alla parola cazzo, ti potevo dare ragione.”

“Quanto sei fortunato che non posso prenderti a pugni!”




 

La voce di Chuuya si udiva chiaramente anche dal corridoio.

Ango, che non aveva fatto un passo dalla porta chiusa, si lasciò sfuggire un sorriso. Gli andava bene essere quello con la macchina, se Chuuya poteva essere tutto il resto.

“Meravigliosi, vero?” 

L’agente sobbalzò. 

Mori Ougai gli sorrise dal fondo del corridoio semibuio. “Ti fanno ammattire per nove giorni su dieci, ma al decimo ti ripagano di ogni sforzo.”

Ango credeva di capire. “Chuuya è il solo a non aver avuto a che fare con la Mimic e tutta quella brutta storia.”

“E Dazai lo sa,” disse Mori. “Litigheranno ancora, lo stanno già facendo, ma Chuuya non andrà da nessuna parte e Dazai conta su questo.”

“Nemmeno io andrò da nessuna parte,” dichiarò Ango. “So di essere di poca utilità, ma ho un debito da ripagare.”

“Tu sei utile a mantenere stabile la posizione di Dazai,” gli ricordò il Boss della Port Mafia. “In quanto al tuo debito, non sono affari che mi riguardano. Sei libero di agire, fin tanto che è per il bene di questa causa. Mi sono spiegato?”

Mori Ougai ci teneva che la sua clinica rimanesse zona franca, ma questo non gli impediva di ricordare a un agente del Governo che era il Boss della Port Mafia.

“Ha la mia parola, non farò niente per arrecare danno a Dazai o a chiunque di voi,” giurò Ango.

L’espressione di Mori tornò a essere amichevole. “Puoi dire ai ragazzi che ho trovato l’ecografo?” Domandò. “Vediamo questo bambino!”

   
 
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