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Autore: petre frumos    08/01/2022    0 recensioni
La storia di un Templare fuggito. Arrivato in Hadramaut con l'aiuto di un mercante cerca il Graal in Etiopia.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Hadramaut - Il templare
Edessa, Siria  1320 AD. 719 dall’Egira
  Mathieu il giovane templare, capì subito che era  stupido nascondersi.  Meglio, seguire il consiglio del mercante armeno di Edessa a cui si era rivolto,  appena arrivato nella città, su consiglio del monaco  Thoros. Avram Georginian  chiaramente e bruscamente parlò .“Se sei cristiano, non ha senso nascondersi per viaggiare nei paesi dei maomettani. Potrebbe costarti la testa o la conversione, e un pezzetto del tuo prezioso gingillo, o magari un pezzettone, se l’imam ci vede male.” Poi, aveva riso invitandolo a pranzo.  Aveva presentato un  lombo di montone alle spezie e lo aveva offerto, tagliato  a pezzetti su un tagliere  al giovane templare  perché si saziasse. Non mi inganni, aveva pensato Il mercante. Avram Georginian sa riconoscere le persone, e sotto l’aspetto di giovane debosciato vestito di sete si intuiva il corpo di un guerriero. E, se poi lui si fosse sbagliato le figlie, sbirciato l’ospite forestiero da dietro le tende, avrebbero con cenni  allertato il padre. A metà pranzo, l’armeno bestemmiò  fra sé e sé. Che senso aveva sprecare il prezioso ghiaccio che faceva venire dai monti del Libano per questo franco che non raccontava niente... Aveva capito che cercava qualcosa, ma cosa? sicuramente di prezioso, ma cosa? Vedendo sfumare un affare, decise di ricavarne almeno un guadagno, questo sì, sicuro e senza rischi.
Avram Georginian, come voleva la tradizione, prima di parlare attese che l’ospite si lavasse le mani e le asciugasse nel tovagliolo di cotone portogli dal servo.
Il mercante si rivolse al giovane “ Dunque Mio signore ascolta bene .Se proprio vuoi recarti in Hadramaut come mi hai detto , compra un diploma di segretario del califfo. Numerosi sono i suoi segretari cristiani e spesso vengono usati per missioni. Grazie al Cielo, Maometto ha permesso anche a noi cristiani di vivere. Certo che dovrai pagare, ma di questo mi occupo io, e se non hai soldi  mi basta la tua firma. I miei soci possono incassare fin nel regno di Francia. Due sono le vie per l’Hadramaut, dipende dal tempo  che vuoi impiegare.” Si fermò temendo di aver parlato troppo, ma un cenno del capo del giovane lo incoraggiò a continuare: “La più veloce è scendere con una nave genovese in Egitto.  Da lì a dorso di cammello sino al Mar Rosso. Quindi per nave sino a Hadramaut. Non attraversare il deserto, te lo sconsiglio. Un’altra, più lunga ma più sicura e  certamente più istruttiva, è prendere il fiume Eufrate, scendere sino al Mare di Persia, costeggiare sino ad Oman  e fanno due mesi di viaggio.  Da qui, con i venti in favore, arrivare dopo un  un mese a Hadramaut. Lungo la navigazione troverai città bellissime  dove potrai riposarti. Naturalmente oltre al diploma avrai bisogno di attrezzature, animali e una zattera per navigare il fiume . Questa potrai rivenderla, [ma] il resto  ti costerà e dovrai abbandonarlo”. Fece una pausa  in attesa di una risposta.
 Mathieu, deluso, sospirò. Frugò nella tasca interna del giubbotto e ne estrasse un sacchetto e una piccola lettera gravata da una ceralacca blu. Il sacchetto rivelò una cinquantina di perle perfette. La lettera era del Patriarca Armeno che ordinava ad ogni vero credente di fornire ogni aiuto richiesto dal latore della lettera. Egli, dichiarava lo scritto era alla ricerca di una reliquia così preziosa che, D-o perdoni, non poteva essere menzionata neppure al più fidato fratello. Avram sospirò. Di nuovo un’operazione a guadagno nullo... Il Patriarca aveva stufato con le sue richieste, nessuna meraviglia, che molti pensassero di farsi maomettani, sicuramente costava meno e permetteva maggior libertà. Ma lui  Avram, era un buon cristiano, e si rassegnò. Si sarebbe rifatto con la vendita delle perle.
“Mio signore, avrai tutto il necessario, e a prezzi onesti, lo giuro, ma perché Hadramaut, quell’ano del mondo?”
La risposta lo stupì: Là è vissuto il fratello e forse qualcuno sa”. “Questi franchi devono sempre parlare per indovinelli?” pensò Avram. “Ma gli affari sono affari”, decise. Il mercante si lisciò la barba e sorrise.
 
Hadramauth, la meta di Mathieu  si estendeva lungo la costa yemenita dell’oceano Indiano. I suoi porti rifornivano le navi dirette alla terra dei mori  e ridistribuivano le merci che le navi riportavano.
Così aveva  raccontato il captano della nave del Cocin che imbarcato Mathieu e il bagaglio a Oman in un mese lo aveva portato aAL Mukalla , il porto e capitale del regno di Hadramauth. Mathieu , impaziente appena la nave ormeggiò, scese a terra.
 
 
Era un tempo infinito quello che Mosè ben Bessalom perdeva ogni mattina sul molo del piccolo porto di Al Mukalla in attesa delle navi che manovravano per attraccare. Giusto di fianco al palazzo reale bruciato, si era costruito una abitazione con annesso come ufficio un piccolo chiosco. Sulla  targa posta all’entrata del chiosco, aveva, come voleva la legge , scritto il suo nome e la sua professione : “Mosè ben Bessalom[”] traduttore e scrivano” con indicate tutte le lingue che sapeva. Arabo, farsi, armeno, greco, latino, e naturalmente ebraico, visto che era ebreo  – o mosaico, come si compiacevano di dire i maggiorenti quando non volevano umiliarlo.   Non si sentiva umiliato dalle parole degli arabi, visto che la sua famiglia era arrivata molto prima che quattro predoni puzzolenti usciti dal deserto imponessero la loro legge. Tutti sapevano che gli ebrei abitavano la città almeno da quando era stato distrutto il secondo tempio. Qualcosa come mille anni prima.
Come ogni giorno Mosè tornava dalle preghiere del mattino, ma quello gli sembrò un giorno particolarmente  fortunato: una bella nave dal Cocin tonda e panciuta era ormeggiata al molo inferiore. [Posso dire?] Si leccò i baffi al pensiero di un buon lavoro. Le notizie delle lotte fra Franchi e Arabi per Gerusalemme avevano paralizzato i commerci.
Poche navi passavano, e quelle poche erano dirette ai paesi dei neri che non avevano soldi.
La voce stridula del muezzin gelò la scena. Tutti si fermarono prostrandosi, rapiti dalla preghiera. Fu allora che Mosè lo vide. Lo straniero aveva un bastone in mano,  sembra va sperduto e sorpreso da quel subitaneo fervore religioso che lo lasciava nudo agli sguardi malevoli dei veri credenti. Fu decisione immediata per Mosè  prenderlo per la manica e ficcarlo nel chiosco. Chi fosse non importava,  poteva anche essere un dhimmi, un  miscredente, ma almeno la testa era ancora ben attaccata al collo. Gli chiuse la bocca aperta con un dito e lo fece sedere sul tappeto. Un Franco pensò, visto che non sapeva incrociare le gambe. I guardiani della fede occhieggiarono intorno per vedere dove fosse quel tipo che non si era prostrato con prontezza. Non vedendolo più, lo catalogarono fra i miraggi mattutini.
“Mi era stato detto che il paese era tollerante, ma a quanto pare si sono sbagliati.” Dunque, parlava arabo, corretto, forse troppo, l’accento era siriano o libanese. Un franco sicuramente, per essere così incosciente da non prostrarsi, visto che era vestito da arabo.
“Tu non sei musulmano, e allora perché non ti vesti da nazareno o giudeo, lo sai cosa hai rischiato?” gli chiese Mosè in greco e ripeté la domanda in latino. Lo straniero tirò fuori dalla scarsella  un bisante d’oro e glielo porse. “Stupido, mettilo via!” gridò in latino Mosè offeso. “Non ti ho mica salvato per avere una mancia!”
“Non è per l’aiuto, D-o  per quello te ne  renderà merito, ma per le informazioni che mi darai, e se sono buone, altri bisanti seguiranno. Il mio nome è Mathieu, e Avram Georginian di Edessa mi ha suggerito di cercarti,  rispose in arabo lo straniero. “Bravo! Questo è parlare da uomini[”, rispose Mosè, e, fattolo sedere sul cuscino, spazzò il tavolo dalle briciole della colazione.
“Cosa vuoi sapere, Franco?” chiese Mosè “Sì, Franco che sei ! Vuoi sapere di schiavi e mercati o vuoi una vergine o  dell’incenso? O vuoi forse che ti sveli le strade del commercio, e  che magari ti procuri dei cammelli per percorrerle?”
“Niente di tutto questo” fu la risposta. l’uomo sembrava imbarazzato. Mosè ipotizzò che fosse un pervertito in cerca (D-o guardi) di abominevoli incontri... Nel qual caso avrebbe chiamato i guardiani della moschea perché lo accorciassero di una testa...
Ma no! Dalle parole di Mathieu, si capì che voleva solo sapere dove trovare chi potesse confermargli una vecchia storia. Mosè non capiva di che parlasse, così, visto che il sole era ancora alto, gli offrì l’alcova per fare una dormita. Avrebbero parlato dopo, intanto, mentre il traduttore si occupava dei clienti, il franco poteva dormire un po’. A portare a casa i  beni dalla nave al chiosco, ci avrebbe pensato il servo nero di Mosè.
Mathieu doveva avere molto sonno, visto che si svegliò  giusto in tempo per  l’invito del   muezzin  alla preghiera pomeridiana Asr.
 Appena sveglio, il primo gesto fu di cercare il suo bastone. Lo trovò e sorrise. Bah, pensò il traduttore, avrà nascosto dell’oro lì dentro, ma certo, se lo guarda così, se ne accorgeranno tutti.
 I negri del porto, incaricati di sbarcare il carico della nave del Conci  avevano, come istruiti dal servo nero di Mosè, già portato  tutto il  bagaglio del giovane al chiosco di Mosè. Non molta roba, per lo più abiti da viaggio conservati in sacche di morbido cuoio e due selle turche complete di finimenti . Indicazione  della intenzione di proseguire il viaggio a cavallo.
“Esistono in questo paese taverne o almeno ostelli per i viandanti?”, chiese Mathieu mentre apriva le sacche per verificarne il contenuto. “Come se i miei negri rubassero!”, pensò Mosè, che irritato per il sospetto, rispose: “Abbiamo solo un han per i marinai, ma penso che tu non voglia giacerti nelle lenzuola sporche di fetido scolo di sudici marinai!”.
 La violenza delle sue parole lasciò l’altro stupito.  Mosè allora lo invitò: “ Franco, puoi venire a stare qui ed essere mio ospite! Così potremo parlare, e se ti interessa, strada facendo ti indicherò dove trovare dei cavalli.”
Si avviarono fuori, ed i primi passi di Mathieu confermarono il sospetto di Mosè: non si appoggiava al bastone come chi avesse una gamba debole o malata, sembrava, piuttosto, che tenesse in mano una lancia. Un ricordo attraversò la mente del traduttore: quando  giovane si era arruolato, scappando di casa con una banda di mercenari, per andare a combattere nella terra degli Etiopi. Un piccolo sultano della costa aveva chiesto il loro aiuto contro i negussiti. Che buffo, aveva pensato allora, cristiani e musulmani che si uccidono per stabilire chi dovrà vendere gli schiavi. Quanto a lui, la paga era buona e soprattutto era lontano dai suoi parenti.
Immerso nei suoi pensieri, non notò che la strada era chiusa a sinistra dalle ultime case del villaggio, una unita all’altra, e sulla destra da fitti cespugli di rovi , Lo distolsero dai suoi ricordi[ quattro uomini improvvisamente apparsi che si buttarono su loro. Beduini pronti a derubarti e  tagliarti la gola.
Mentre Mosè si malediceva per non aver preso la scorta, il franco si parò di fronte a lui.
I beduini avevano già sfoderato i coltellacci curvi quando il franco, allontanato con una spinta Mosè, si era girato su sé stesso presentando il viso ai banditi. Puntò il bastone contro quello che sembrava il capo e gridò: “Attenti, non osate derubarci!”.
“Oh Dio! Oh Dio!”, rispose ridendo il capo. “Guarda un franco che ci sfida, dai, prendiamolo, che poi inchioderemo i suoi teneri coglioncini alla porta del minareto”. Mosè non fece in tempo a raccapezzarsi, ma le cose andarono così: il bandito afferrò con la sinistra il bastone che gli era puntato contro, e abbassò il braccio destro armato per sbudellare il franco.  Questi fece un passo indietro. Il bandito guardò stupito il bastone che gli restava in mano, capì che si trattava di un fodero ma non poté evitare la lama che gli squarciò la gola. Il secondo bandito si ritrovò un coltello nel ventre, il terzo venne inchiodato da un affondo nel fianco ed il quarto pensò di scappare, ma venne fermato da una coltellata alla schiena.
Il franco riprese il bastone e prima di rinfoderare la lama, con calma e precisione, tagliò la gola ai quattro banditi. Mosè non aveva mai visto una lama come quella. “Posso vedere?”, chiese, “Bella, vero?”, rispose il franco mentre raccoglieva i coltelli. Una volta ripulita, la lama aveva il colore e l’elasticità delle lame di Damasco, ma era molto più leggera e flessibile. Lunga e dritta, non più larga due dita e spessa al centro come un mignolo, finiva in un bordo tagliente come un rasoio. Anche i coltelli erano simili.
“Chiama i tuoi servi perché dicano di aver ucciso questi banditi, non è bene che un franco faccia da boia.” Dunque, questo Mathieu oltre al coraggio, ha cervello, si disse Mosè.
Entrarono in casa di Mosè, una villetta circondata da un giardino di fiori e cespugli e anche il franco baciò la mesusah.
Gli fu lasciato tempo per raggiungere la camera degli ospiti e lavarsi prima di cena.
Per onorare l’ospite, Mosè aveva avvisato la moglie di preparare il suo piatto migliore, agnello con datteri, e visto che l’ospite non era musulmano che si portasse anche una fiaschetta di vino vero, non di datteri ma di uva, per onorarlo.
Mosè si era illuso  che il pranzo avrebbe sciolto la lingua al franco, ed in effetti così era stato, ma solo per rispondere alle domande della moglie e delle figlie.  Cose di donne, domande di femminile curiosità: Chi aveva sposato chi, come si vestivano in Francia, se era sposato ed altro.
Per fortuna suo figlio Aronne, per quanto piccolo, si era comportato decentemente senza disturbare l’ospite, ma aveva con orgoglio registrato nella mente ogni parola, come gli aveva detto il padre: “Figliolo, ascolta sempre bene tutto, è nella memoria il tuo tesoro.”
La notte portava il vento salmastro dal mare. Al calore del giorno si era sostituito un piacevole fresco addolcito dal tepore del braciere su cui rami di ulivo incenerendosi profumavano l’aria.
“Ma insomma, che cerchi?” chiese infine Mosè. “O, piuttosto, dimmi chi sei?”
“A quanto mi venderesti, vecchio? Ti basterebbero trenta denari?” ribatté Mathieu. “E per farne che?”, ribatté Mosè  seccato. “Stupido di un franco, vuoi paragonarti al   tuo dio, tradito e finito in croce? Guarda che qui sei in un paese musulmano, al massimo finisci impalato. Cosa vieni a cercare qui? Per quanto mi riguarda, ti ho offerto ospitalità e ti sono debitore per la vita, ma se pensi così, abbandona domani stesso questa casa!”
“Mosè, ma tu mi aiuteresti?” chiese il franco fissandolo con poca educazione negli occhi.
“A fare che? A farti tagliare la testa?”
“No, devo trovare una traccia, una prova, una conferma.”
“Ma di che? Mi parli per enigmi. Va bene, se non vuoi parlare ti dirò cosa so di te e poi vedremo, se starai ancora zitto... Devi essere un nobile, visto che sai comportarti a tavola, e vicino ai grandi, per come hai soddisfatto la curiosità delle mie donne. Sei ricco, perché sai riconoscere le stoffe, ma sei anche un guerriero. Come hai combattuto non è da tutti, sei un abile spadaccino. Sei stato o ti hanno portato da terre lontane quella spada, non ne ho mai viste di simili, salvo una che era stata presa a un beg oguzo. Parli l’arabo come un cristiano del Libano, però corretto come un muftì di Damasco. I tuoi vestiti sono consumati sulle cosce,  ciò significa che sei stato molto a cavallo. Hai preso la nave a Bassora e in Oman ti sei fermato a Tanuf per visitare la chiesa di San Saba. Questo non lo vedo, me lo hanno detto i marinai. Dici di essere cristiano, ma non  reciti preghiere, né ti fai segni prima dei pasti. I marinai hanno anche detto che ti intendi di navi. Ora ti ripeto la domanda, cosa cerchi?”
Mathieu decise che era ora di parlare, tanto aveva capito che quel giudeo a poco a poco gli avrebbe cavato la verità di bocca:
“Sono un Templare francese, e da quando Il Re di Francia ha sciolto l’Ordine vado in giro come polvere nel vento. Esausto, alzò gli occhi al cielo e tacque, ma lo sguardo indagatore di Mosè lo costrinse a non tergiversare:
Poi, un giorno che avevo dimenticato me stesso nel vino e nella dissoluzione, un sant’uomo mi curò e mi impose di ristabilire l’armonia. “Quale?” gli chiesi, ‘Quella che hai violato”, mi rispose. Pensavo parlasse dell’omicidio. ‘No, no”, mi ammonì, “sei fuori strada”. Passai i giorni della guarigione a cercare di capire. Quando mi ero quasi convinto che il vecchio dovesse essere un’allucinazione dovuta al troppo bere, come i topi rosa o i lupi a due teste, vidi in sogno una caverna oscura, nel cui fondo, su un gradino scavato nella roccia, sedeva un uomo risplendente di luce. Lo riconobbi per la corona di spine e le mani insanguinate. Teneva fra queste una coppa verde da cui beveva sorsi di un liquido rosso come sangue, e che del sangue aveva la forza vitale.
“Ecco”, disse guardandomi: “Io bevo di Me stesso. Di Me in Me mi do la salvezza. Come questa coppa dona la vita, così Io me la dono, poiché, per riportare l’armonia, è necessario che la fonte si generi nell’armonia stessa”, e aggiunse: “ A te affido il compito di ritrovare la coppa”. Così capii che era tutto vero, esisteva il Sacro Graal e io dovevo trovarlo.
Allora, rinsavito, mi preparai. rinunciai alla vita mondana e per quattro lunghi anni studiai l’arabo. Nei momenti liberi, raccoglievo informazioni sul Graal.
In verità, per la gran parte mi sembravano false o assurde. Usi che non esistevano all’epoca, luoghi e animali fantastici usciti dalla mente fervida di imbroglioni, percorsi impossibili. La vicinanza di saggi arabi e ancor più la guida dei sapienti di Safed, maestri del Talmud, affinarono il mio senso critico, aiutandomi a separare il vero dal falso.
La fortuna mi fece trovare ad Aleppo durante una visita a Nicholas ora diventato imam un manoscritto che mi fu venduto come una raccolta di storie, ma quando mi misi a leggere il vecchio rotolo consunto dal tempo, trovai i fatti che mi portarono qui.>
Mosè, era fin troppo curioso, versò all’ospite un altro bicchiere di vino e lo sollecitò, “dai, racconta!”
“Non è necessario. Puoi leggerli tu stesso!”
Mathieu prese il grosso bastone che faceva da fodero alla spada. Tolse il puntale di metallo e la ghiera d’entrata. Aprì i cinturini che serravano un rotolo di cuoio e cominciò a svolgerlo. Il rotolo stesso aveva le dimensioni del bastone, ovvero un’altezza di cinque piedi. All’interno il cuoio era coperto da un tessuto di seta bianca, su cui risaltava una scrittura minuta. Completamente svolto il documento misurava cinque piedi di altezza per almeno altrettanti di larghezza. Era perfetto, salvo là dove era stato piegato per fare posto alla lama.
“Ecco, puoi leggere tu stesso!” In verità, Mosè non era particolarmente entusiasta. Era un arabo diverso da quello che parlava ogni giorno, quasi poesia, e poi la scrittura era troppo piccola, e, anche se lui odiava ammetterlo, la vista non era più quella della gioventù.
Il templare capì l’imbarazzo. “Aspetta, te lo leggo io. Guarda però che sarà una cosa lunga”, disse, e iniziò a leggere con voce ben modulata.
Mosè si mise comodo per ascoltare il racconto. Con stupore udì storie che pensava fossero leggende locali, come quella della principessa Zaira o del pescatore ed il fantasma della principessa, o  storie di pirati che portavano schiavi dall’Africa.
Ma si stupì maggiormente quando Mathieu lesse le storie dei Nazareni. Di come il loro Messia non fosse morto ma si fosse salvato e fosse stato grazie ai discepoli , fatto fuggire attraverso il deserto sino a Hadramaut. Lo avevano rivestito per nasconderlo delle  vesti della sua donna, quella di Magdala. Come i discepoli avessero imbrogliato tutti raccontando che era morto, e  per precauzione avessero rinchiuso in una camera della casa paterna [?] un povero pazzo che si credeva il Messia, così da evitare per sempre che si sapesse dove si era rifugiato. Come il Messia tramite  suo fratello Giacomo avesse dato ordine ai suoi discepoli di distruggere la casa di Sion che lo aveva tradito.
 Altre storie raccontavano che avesse avuto dei figli i quali avrebbero retto dei regni, ma che, ignoti ai più, sarebbero stati riconosciuti (loro o la loro discendenza), da chi avrebbe ritrovato il Graal. E del Graal gli scritti raccontavano meraviglie, e anche dove si pensava fosse.
Si raccontava come il nazareno e la donna, visto che gli abitanti del Hadramaut li irridevano, avessero abbandonato il paese su un caicco diretto al paese degli Etiopi, non senza aver prima maledetto la costa. Là, nel paese degli Etiopi, avrebbero dovuto incontrato altri fedeli del nazareno provenienti dall’Egitto dove erano fuggiti.
Il luogo dell’incontro avrebbe dovuto essere sulle rive del lago da cui nasce il Nilo Blu, ma, arrivati sul posto dopo una marcia di giorni attraverso i deserti della Nubia, i fedeli avrebbero trovato solo alcuni  indigeni, i quali avrebbero raccontato di un uomo dalle sembianze divine che avrebbe detto loro di aspettare i suoi fedeli, e di dar loro una cassa di odoroso cedro. Poi avrebbe raccontato loro la storia della sua crocifissione e della sua miracolosa sopravvivenza.
 Quindi avrebbe raccomandato agli indigeni di raccontare la storia del Graal e di come il puro di cuore che lo avesse rinvenuto avrebbe potuto riconoscere i figli del nazareno destinati a guidare il mondo. Poi, con la sua sposa sarebbe volato via in un carro di fuoco.[PH1] 
I fedeli, arrivati troppo tardi dall’Egitto, sarebbero caduti in una depressione profonda lasciandosi morire, se una visione notturna non avesse riconfermato la storia per bocca della donna di Magdala, che avrebbe detto di parlare in nome del suo sposo. Che i fedeli ponessero l’arca di cedro sull’isola del lago, e rimanessero di guardia in attesa che arrivasse il predestinato ad aprirla. Quelli che  non fossero riusciti ad aprirla, che fossero portati nel deserto dei dancali a perdersi.  Dio nella sua misericordia avrebbe indicato loro la strada del ritorno.
Il predestinato sarebbe diventato il progenitore dei difensori dei figli del nazareno.
Mosè, alzò gli occhi al cielo “se sono balle, sono ben raccontate, ma se non lo sono, tu Mathieu finisci al rogo.”
“Appunto per questo non posso tornare nella terra dei Romani e voglio andare in Etiopia. Devo trovare delle guide, e magari una mappa...” rispose il templare.
“Ma a che servirebbe scoprire questo Graal?” chiese Mosè perplesso.
“Non hai capito, vecchio? chi lo trova diventerà il protettore dei discendenti del nazareno, e quando questi saranno incoronati re allora regnerà la giustizia, e finalmente il mondo potrà essere pronto per il giudizio finale.”
Mosè rabbrividì. Certe cose era meglio succedessero in un futuro molto lontano. Per il momento lui era grato a Dio per la vita che faceva, e ciò bastava.
“Vedi”, continuò Mathieu. “Quando fummo perseguitati, non ne capii subito le ragioni profonde, pensai che il Re di Francia rivolesse il suo oro o che i Templari avessero ordito una congiura...
Ma, negli anni in cui mi nascosi, ho capito che gli accenni, le parole, gli atti, le cerimonie che noi semplici cavalieri avevamo frainteso, erano la preparazione alla ricerca del Graal, il nostro nuovo compito dopo la perdita di Gerusalemme. Non avremmo atteso il Messia, lo avremmo cercato. Sicuramente il Gran Maestro sapeva dove cercare. Ma, se avessimo trovato il Graal e i discendenti del Nazareno, tutti i re del mondo sarebbero stati cacciati e avrebbero perso tutto”.
Mosè capì: “Vuoi dire che questa è la causa della vostra persecuzione?”
“Precisamente,” rispose Mathieu, “e dopo averci massacrati, il Re di Francia, per coprire il segreto, ha fatto diffondere la storia che il Nazareno e la donna di Magdala fossero fuggiti in Francia, e che la loro discendenza avesse dato origine alla casa del Re.
Secondo me hanno anche complottato con il Papa perché permettesse a questa storia di girare. In fondo, anche lui avrebbe avuto tutto da perdere.”
Mathieu esausto tacque. Chiuse gli occhi per la fatica e l’incanto si ruppe. Dal mondo della fiaba emerse il russare di un sonno pesante, che lo ricondusse alla realtà.
“Dio, Dio, Dio”, mormorò Mosè, “e per queste storie ci hanno cacciato da Gerusalemme e ci perseguitano come gli assassini del Nazareno, per queste storie senza costrutto noi siamo diventati gli agnelli del sacrificio. Dio! cosa dobbiamo ancora sopportare perché la menzogna non prevalga?”
Ma, come si sa, il silenzio è d’oro, così Mosè serrò le labbra pensando solo a come liberarsi da quell’ invasato.
Pensò che quelle notizie non avrebbero portato niente di buono, e sarebbe stato meglio allontanarlo.
Così il mattino seguente iniziarono i preparativi per il viaggio in Etiopia. Non fecero cenno ai discorsi della serata, un po’ come se li avessero fatti due djinn, spiriti malvagi che avevano preso  i loro sembianti...
Per nascondere il vero scopo del viaggio, parlarono  di una spedizione commerciale nel paese degli Etiopi, rischiosa ma con grandi ricavi in oro e avorio. Mathieu comprò da Mosè il necessario, incluso le perline di vetro veneziano necessarie per gli scambi. Venne istruito sul valore di scambio, quante collane per schiavo, quante per zanna di avorio, quante per oncia d’oro. Mosè aggiunse altre mercanzie, tessuti, coltelli, profumi. Le donne di casa portarono ceste di datteri e confettura di cedro, le figlie legarono al polso destro di Mathieu un filo rosso contro il malocchio.
Mosè gli trovò marinai e imbarcazioni.  Come ultimo regalo, gli portò un vecchio che in gioventù era arrivato sino al lago da cui nasce il Nilo.
“È vero”, confermò il vecchio,” il lago ha un’isola con sopra una grande costruzione di pietra. Viene custodita da una gente che dice di essere arrivata lì dal mare dei Romani.
Sono adoratori di idoli, e, se ti catturano, ti uccidono.
  Il giudeo  vide imbarcarsi il giovane Mathieu ed ebbe pietà di lui. Recitò una benedizione e gli versò un dinaro d’oro per essere suo socio.  “Un augurio perché tu torni presto”, disse.
E fu l’ultima volta che Mosè lo vide.
Circa dieci anni dopo questi avvenimenti nel 1330 AD o 5090 dalla Creazione, molto lontano dalle aride coste dell’ Hadramauth, a Colonia, nella umida Vestfalia vicino al fiume Reno, avvenne un fatto disdicevole. [
A causa di questo, io Ascher ben Mordechai, preso il bastone del viandante e la misera sporta, mi misi in cammino. Non che lo volessi. La mia bella Colonia, la città che i romani chiamavano ancora Colonia Agrippina, mi piaceva, ma ancora di più mi era piaciuta Adela la figlia del nobile Elfried, ed io a lei. La nascita di un bastardino non avrebbe portato niente di buono, e se poi il bastardino invece che gli occhi lavanda e capelli biondi della mamma avesse avuto i ricci corvini e l’occhio di ghiaietto del padre, sarebbe stato orfano prima di vagire.
In ogni caso mio zio provvide a far abortire la ragazza, e una pesante borsa di denaro venne consegnata al nobile Elfried a indennizzo dello spulzellamento della figlia.
Mio zio, l’eminente rabbino Ezra ben Jochai, sia benedetta la sua memoria, mi fece scegliere la punizione. Decisi per l’esilio, perché ero di natura curiosa e avevo letto il resoconto del riverito rabbino Binyamin da Tudela.
Così me ne arrivai, paese dopo paese, in Hadramaut.
Qui incontrai Mosè lo scrivano che mi  raccontò la  storia di Mathieu il templare andato in Etiopia.
 Arrivato ad Aleppo fine del suo viaggio  in Oriente, grazie ad una lettera di presentazione scritta da Mosè ben Bessalom traduttore in Hadramauth,  io Asher fui inviato ad una lussuosa cena presso l’Imam Jacub  del Zakub.
Dopo aver mangiato, rinfrancati dalla brezza notturna, e con la bocca addolcita dal sorbetto al pistacchio  iniziammo a conversare
“Ma tu ci credi?” chiese il mio anfitrione]  
“Non proprio” risposi. “Magari ha esagerato, ma chi può saperlo?”
“E del templare che avvenne?” chiese l’Imam.
“Ecco quanto so” rispose Asher.
“Secondo il racconto di Mosè, Mathieu, una volta sbarcato sulla costa del golfo egiziano, si dette da fare per organizzare una carovana. Non aveva rivelato le sue intenzioni, e chiedeva a gran voce avorio e schiavi. La risposta era sempre la stessa: doveva recarsi più avanti, più vicino al lago.
Così riuscì ad avvicinarsi a quell’ acqua infida. Sembrava che finalmente la vita stesse acquistando senso.
Non si sentiva così felice da quando, fuggendo dalla Francia, una ragazzina aveva indicato a lui e al suo compagno Nicolas la strada per l’Italia ed una nuova vita. Forse anche questo era l’inizio di una nuova vita.
Benché gli scambi fossero fruttiferi, non era lì per commerciare, quindi decise di affrettare i tempi per arrivare al lago prima delle grandi piogge.
Il sesto giorno del terzo mese di viaggio vide il lago. Aveva appena varcato un alto passo quando lo scintillio dell’acqua fece impennare il cavallo. Lo calmò con uno strattone di redini e, imposto alla carovana di attenderlo sul passo, che peraltro era più fresco della valle, discese da solo verso il lago.
Arrivato sulla riva, capì che dal folto del bosco occhi sospettosi lo guardavano.
Lentamente scese da cavallo, lo dissellò e lo  impastoiò lasciandolo brucare l’erba. Da una bisaccia tirò fuori un indumento lacero. Era una tunica bianca con la croce templare.
Mormorò una preghiera e ringraziò la fortuna per aver trovato una piroga lì vicino. Pensò che se i guardiani fossero stati cristiani la croce avrebbe segnalato un amico.
Arrivò sull’isoletta.
Cinque uomini, ignudi salvo una pelle di leone annodata ai fianchi, gli si pararono davanti.
Depose la sua spada e indicò il tempietto. I cinque si consultarono con gli occhi, poi il più anziano indicò col dito la croce sulla tunica e gli fece cenno di proseguire.
La costruzione era rozza, praticamente una grossa camera con al centro un gradino di pietra. La luce entrava obliqua da alcune aperture sotto il tetto. Ma quello che la rendeva bella era un’arca di legno posata sul gradino.
Mathieu si segnò, e, respirando affannosamente per l’emozione , si avvicinò all’arca. Provò ad aprirla, e quando sentì la porticina muoversi si coprì gli occhi perché non venissero feriti dalla luce mistica del Graal l.
Non successe niente. Conservata nell’arca era una comune coppa di vetro verdino, pulita, senza tracce di sangue o altro.
 Il Templare la guardò e deluso la rimise a posto. Improvvisamente sentì un dolore lancinante alla coscia e la testa scoppiargli. Cadde in avanti giusto per vedere, prima che tutto diventasse buio, il grosso cobra che lo aveva morsicato strisciare via tutto soddisfatto.
Non vedendolo uscire, i guardiani lo cercarono. Lo trovarono morto e riverso sul gradino di pietra. Una mano stringeva la croce della tunica .
 Riposero il serpente nella sacca di cuoio ed ebbero pietà di Mathieu seppellendolo in una tomba scavata lì vicino. Come viatico per l’aldilà incisero sulla pietra  quella croce di forma strana che aveva sulla tunica.
La carovana ritornò al porto, e da qui a Hadramaut. Il fedele servitore di Mosè, che era stato incaricato di controllare discretamente il tutto, riportò le merci. Il profitto venne diviso per sei, una parte a Mosè per l’investimento fatto, una a Dio in elemosine, una di premio agli uomini e per le altre tre Mosè preparò, come istruito da Mathieu, una lettera di cambio da consegnare ad un certo Jacub el Zacub   Imam in Aleppo”.
 
“Bene mio signore, questa è tutta la storia. Poi, dopo aver speso due anni a Hadramauth aiutando Mosè nel commercio con la Renania, mi sono congedato e ho voluto provare il brivido di attraversare il deserto, il terribile Nafud, e poi, attraversato il Giordano e visitata la città santa di Gerusalemme, eccomi arrivato ad Aleppo.
 Ora dopo cinque anni passati in esilio tornerò, se Dio vuole, a Colonia.”
La gola di Ascher doveva essere inumidita. A questo provvide la coppa di bianco vino libanese di Chateau Musar,
Bevuto Ascher proseguì
 “Ecco, ho visto i segni che Mathieu il franco aveva indicato per riconoscerti. Il cavallo con due cavalieri sul medaglione, il nome di Guendalina Ignazi, l’anello con la croce templare. Tu mi hai risposto su Guendalina Ignazi ed esibito anello e medaglione. Quindi ti rimetto la lettera di cambio per il valore di 800 dinari d’oro.
Che Mosè ben Bessalom  mi ha incaricato di consegnarti.
Firmami la ricevuta che devo rimandarla, grazie.
Mi rimane però un’ultima curiosità: che relazione può avere un imam con un franco per di più templare? Scusa se chiedo, eravate amici o magari amanti? Guarda che non mi scandalizzo. Ben altro ho visto.
 L’imam Jacub el Zakub volse la testa verso Ascher e fissò l’alto del muretto che chiudeva quel giardino mentre l’ultimo raggio di sole prima della sera illuminava i suoi capelli bianchi una volta biondi. “No”, rispose. “Eravamo entrambi cavalieri Templari, e  il mio nome allora era Nicholas”.
 
 
 

   
 
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