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Autore: HellWill    08/01/2022    0 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla. L'ho iniziata nel 2015, ma era l'anno della maturità e mi sono fermato al prompt n°23.)
"La meraviglia, pensò, era che si ritrovavano sempre, in qualche modo. Che nonostante le miglia e i chilometri a separarli, nonostante i Curb dei mondi diversi fra di loro, si cercavano e si ritrovavano sempre. Tempo vent’anni, tempo trent’anni forse, loro si ricongiungevano fino a che la morte sopraggiungeva, e da lì in poi di nuovo dovevano ritrovarsi."
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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8 gennaio 2022
Wonder
 
Le sue mani erano fredde, e il suo sorriso le rivoltava lo stomaco in maniera così subdola che non sapeva dire se fosse piacevole o meno. Sapeva che non era umano, in qualche modo… ma cosa poteva essere, allora?
«Guardati: ti sacrifichi costantemente per gli altri. Hai ricevuto un cuore, e un’anima. Pensavo che avessi perso la bussola, che non avessi più una memoria sin dai tempi antichi» mormorò, sfiorandole il viso con le dita gelide.
Ma lei non aveva la più pallida idea di cosa l’uomo stesse parlando.
Il suo aspetto era… non sapeva descriverlo. Era giovane, ma suggeriva un’età al di fuori del tempo. I suoi riccioli erano biondi, ma rilucevano nell’oscurità come fili d’oro baciati dal sole. E i suoi occhi – terribili e meravigliosi – erano come formati di acqua pura, anche quelli risplendenti d’azzurro nell’oscurità.
Sembrava una divinità. Era così che si immaginava una divinità: oscura e splendente, misteriosa e sfuggente nel buio della notte; e il fatto che fosse vestito come un comune abitante di metropoli, in qualche modo le sembrava ridicolo. Quell’uomo avrebbe dovuto essere nudo, e non l’avrebbe messa minimamente a disagio – pur mettendola a disagio contemporaneamente.
Un miscuglio di emozioni le si agitavano nel petto.
«Non so di cosa parli» mormorò infine, e l’uomo sorrise ancora, facendole torcere le budella.
«Lo saprai presto» e la sua voce era così possente che sembrava quasi un controsenso che potesse sussurrare in quel modo.
E in quel momento la baciò.
Non le era stato chiesto permesso, ma in qualche modo non le importava; riusciva solo a pensare al fatto che quella creatura aveva scelto lei, quella divinità che lei finora aveva identificato come “uomo” non era in realtà maschile, né femminile.
E si rese conto di essere come lui.
Tutto quel tempo a sentirsi diversa, sbagliata, troppo buona, fuori posto in mezzo agli esseri umani… quando non era altro che, anche lei, una divinità.
Quando il bacio si interruppe, lui la guardò con occhi che risplendevano di felicità; e infine tutta quell’oscurità che aveva percepito in lui svanì, come nebbia in una giornata di sole: risplendevano appena le sue mani, improvvisamente calde; e il suo aspetto era meraviglioso, il suo viso punteggiato di efelidi brillava di gioia, e chiuse gli occhi.
«Finalmente ti ho ritrovata, Uilìn» mormorò, chiamandola con un nome che non conosceva ancora, ma che le era fin troppo familiare.
«Inizio a ricordare» mormorò allora lei, rapita dal suo sguardo. «Raph. Raphael. È questo il tuo nome».
E lui rise. Rise pieno di contentezza, in modo sincero ed appassionato, e lei sorrise appena, condividendo quella gioia ma con l’animo pieno di confusione: vite passate si mescolavano nella sua mente, vite senza di lui, vite passate con lui, la ricerca ogni volta l’un dell’altro…
Un senso di piena meraviglia la colse, e si strinse a lui più forte che poteva; un tuono squarciò l’aria, e goccia dopo goccia iniziò a piovere per le strade di New York.
La meraviglia, pensò, era che si ritrovavano sempre, in qualche modo. Che nonostante le miglia e i chilometri a separarli, nonostante i Curb dei mondi diversi fra di loro, si cercavano e si ritrovavano sempre. Tempo vent’anni, tempo trent’anni forse, loro si ricongiungevano fino a che la morte sopraggiungeva, e da lì in poi di nuovo dovevano ritrovarsi.
Tutto ciò l’assalì come uno tsunami: ricordò lacrime, ricordò dolore, ricordò ferite che aveva ormai dimenticato, seppellite dalla sua mente perché non facessero più male. E ricordò l’amore, un amore così pieno e vero da farle dimenticare tutto il resto.
Raphael la guardò con compassione: sembrava sapere esattamente tutto ciò che pensava, e ciò non la spaventò come avrebbe dovuto: invece ciò la riempì di serenità, perché con lui non servivano parole.
E di nuovo quel senso di meraviglia: come aveva potuto scordare tutto ciò? Tutto il dolore, tutto l’amore che aveva condiviso con lui? Tutti i figli… i figli! avuti con lui?
«Dove sono i nostri figli?» chiese piano, spaventata, e Raphael sorrise teneramente.
«Cresciuti, andati, fanno le loro vite. Non ti devi preoccupare di loro. Ora, riposa» mormorò, baciandole la fronte; e Uilìn precipitò in quel senso di meraviglia, pulsante come un cuore alla base dell’universo, finché non si fece tutto buio e Morfeo la guidò nei sogni dei ricordi.
 
   
 
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