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Autore: Morebooks    08/01/2022    1 recensioni
“Percy ha perduto tutti i ricordi, anche i pochi che gli erano rimasti per proteggerti” Annabeth sbuffó "È sempre stato il suo difetto fatale,” sospiró la ragazza “essere troppo fedele e iperprotettivo con le persone a cui tiene” "Beh, esistono difetti fatali peggiori dell’amore cieco e incondizionato non trovi?”
Per scrivere questa storia sono partita da uno dei miei momenti preferiti di tutti i libri di Rick Riordan: il bacio mozzafiato di Annabeth e Percy dopo i 7 mesi di lontananza. Solo che ho apportato una piccola modifica immaginando cosa sarebbe successo se, per un motivo che non spoilero, Percy non si ricordasse nulla della propria vita.
Spero tantissimo che la trama vi incuriosisca e che la storia vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Percy/Annabeth
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Spero veramente che questo secondo e ultimo capitolo vi piaccia, so che forse è un po’ sdolcinato e sbrigativo ma spero che lo leggiate comunque e che mi scriviate nei commenti cosa ne pensate. Grazie!!!

 

Le storie

 

Era successo tutto talmente in fretta che anche dopo, al sicuro nel suo letto sulla nave, Annabeth faticava a capire cosa fosse accaduto esattamente: un secondo prima Hazel la stava consolando e quello dopo stava correndo affiancata dalla ragazzina per raggiungere la scaletta della Argo II inseguita da un esercito di romani inferociti. E poi tutta quella storia di Leo, dell’attacco e delle riparazioni. Era stanchissima, ma anche troppo sveglia e piena di adrenalina per dormire. Decise quindi di andare nelle stalle dei pegasi, dove lo scorrere del paesaggio riusciva sempre a calmarla. 
Appena però aprí la porta si trovó davanti Percy, che disteso sopra una coperta a pancia in giú, ammirava l’oceano sotto di sé. Annabeth voleva andarsene, aveva passato la giornata a evitare il suo ragazzo e il suo ultimo desiderio era di rimanere in una stanza da sola con lui. Prima di tornare nella sua cabina peró si soffermó ad osservarlo, a guardare le sue braccia muscolose, i suoi bellissimi capelli neri, il riflesso del suo viso meraviglioso nel vetro… le uscí un gemito, un leggerissimo suono che peró portava con sé tutto il dolore della ragazza. Un leggerissimo suono che Percy sentì e lo fece girare di scatto. Annabeth ringrazió gli dei che la stanza fosse illuminata solo dalla luce della luna perché nel momento stesso in cui i loro sguardi si incrociarono, mare contro tempesta, lei divenne tutta rossa. Probabilmente era rimasta imbambolata a fissarlo perché Percy, visibilmente imbarazzato, si tiró su a sedere e le chiese “Ti va di sederti?”. Tutto il suo essere le diceva di andarsene consapevole di quanto sarebbe stato doloroso stargli vicino senza poterlo toccare, ma come se fossero guidate da Afrodite stessa, le sue gambe si mossero da sole facendola accomodare a fianco a lui. “Che giornata vero?" fece il ragazzo. La ragazza, forse nervosa per la loro vicinanza o forse semplicemente davvero troppo stanca, gli rispose molto bruscamente “No guarda Percy, sono qui per rilassarmi e non pensare al disastro che sono le nostre vite ok?” sbottó lei, lui la guardó interrogativo ma non disse niente. Rimasero quindi in silenzio alcuni minuti durante i quali Percy scrutó ogni centimetro del corpo della ragazza ritornando piú e piú volte ai suoi occhi come se fossero delle calamite “La smetti di guardarmi come se fossi un animale allo zoo Testa d’Alghe” gli chiese quindi lei, il povero ragazzo divenne tutto rosso e ritornó a guardare l’oceano. Poi si rigiró di scatto verso di lei come se fosse appena stato colpito da un fulmine “Perché mi chiami Testa d’Alghe” “Perché ti conosco abbastanza bene da sapere che hai solo alghe nella tua testa” Il ragazzo fece un piccolo ghigno “E tu che cos’hai nella tua testa?” “Tanta conoscenza, caro mio” “Buono a sapersi, Sapientona”. Il cuore di Annabeth perse un battito Sapientona. Voleva quasi chiedergli se sapesse che erano anni che la chiamava cosí ma aveva quasi troppa paura che lui le rispondesse che non ne aveva idea e che quel nome gli era appena venuto in mente casualmente, quindi lasciò correre. 
Tornando a fissare la distesa d’acqua sotto di loro Percy le chiese “Potresti per favore raccontarmi qualcosa della mia vecchia vita?” Annabeth sospiró “Cosa vuoi sapere?” “Tutto. Della mia famiglia, di questo famoso campo Mezzosangue, dei miei amici, delle mie imprese, della mia ragazza” Gli occhi della figlia di Atena si rabbuiarono ma, se Percy se ne rese conto non lo diede a vedere “E cosa ti dice di avere una ragazza?” Lui la guardó come per capire se potesse fidarsi di lei. Evidentemente credeva di sí perche le rispose “Beh, diciamo che all’inizio mi ricordavo di una ragazza, prima solo delle otto lettere del suo nome ma poi anche il suo viso e i suoi baci quando facevo qualcosa di stupido” Percy mi guardó di sottecchi imbarazzatissimo “Poi peró durante la nostra impresa ho avuto un colloquio con Era, sinceramente non mi ricordo nulla dell’incontro so solo che improvvisamente non mi ricordavo proprio nulla e avevo molti piú poteri. Tu la conoscevi la mia ragazza?” Una parte di Annabeth voleva dirgli la veritá ma non era cosí masochista. Aveva visto come Percy la guardava, come una sconosciuta, non voleva che di colpo iniziasse a comportarsi come un fidanzato solo perché pieno di sensi di colpa per essersi dimenticato cosa ci fosse tra loro. Così optó per un atteggiamento abbastanza aggressivo che di solito faceva lo faceva demordere “Senti Percy, non voglio che ne parliamo ok? Fai queste domande a qualcun’altro.” Percy la guardó infastidito “Ma se solo tu mi conoscevi prima di questo maledetto scambio” Annabeth sbuffó. “Eddai Sapientona. Senti facciamo un gioco, io ti dico una parola e tu mi racconti tutto quello che sai di me riguardo a quella parola” Annabeth lo guardó storto ma disse comunque “Una sola”. Il sorriso di Percy era smagliante “Va bene allora, famiglia”. Cosí la ragazza aveva iniziato a raccontargli di sua madre e di come fosse quasi morta, del primo patrigno e di Paul lo Stoccafisso, di Tyson e dei suoi incontri con Poseidone. Quando Annabeth finì di parlare non sapeva quanto a lungo fosse durato il racconto, le erano sembrati pochi minuti ma aveva la gola secca e le palpebre che si chiudevano. Quindi Percy, che per tutta la narrazione era rimasto zitto, si alzó, porgendole la mano per aiutarla a fare altrettanto e le sussurró all’orecchio “Grazie Sapientona” per poi ricondurla davanti alla sua cabina.
La notte dopo fu tutto uguale a quella precedente, la figlia di Atena, dopo una giornata fatta di combattimenti e fantasmi che si impossessavano dei suoi amici non riuscendo a dormire decise di tornare alla stalle, sperando in cuor suo di rivederci Percy. Desiderio avverato, la ragazza lo trovó nella stessa identica posizione della notte prima, stavolta peró era piú attento, non appena sentí i passi di Annabeth sul pavimento si giró a guardarla accogliendola con un sorriso talmente caldo da sciogliere il cuore della ragazza. Quella notte la parola fu Campo Mezzosangue, e la notte dopo Vello, e quella dopo ancora Cavalli, poi amici, labirinto, satiro, acqua e chi piú ne ha piú ne metta. Ogni notte la ascoltava rapito senza dire neanche una parola per tutta la durata dei racconti trasformando i dubbi nelle parole per giorni successivi in modo da averne una lista infinita. Annabeth vedeva che notte dopo notte il comportamento di Percy nei suoi confronti cambiava, era piú espansivo e protettivo, anche durante il giorno la cercava spesso, la abbracciava, le faceva domande, la divertiva, un po’ come ai vecchi tempi. Si giostravano tra lo stare insieme e i tanti combattimenti, di cui si erano tacitamente giurati di non parlare mai durante quelle loro notti speciali. Poi la notte prima del loro sbarco a Roma Percy le disse che la parola di quella notte era scuola. Lei quindi inizió a raccontargli, mentre lui giocava con uno dei suoi boccoli biondi, di tutte le scuole dalle quali era stato espulso, dei vari combattimenti contro i suoi compagni-mostri e della volta in cui erano andati alla scuola militare per salvare Bianca e Nico. Lei gli disse che loro due avevano ballato insieme, dato che era il ballo della scuola, come copertura per cercare i due ragazzi facendosi scappare che era un pessimo ballerino. Percy  aveva detto che non era possibile e con una faccia esageratamente offesa si era alzato porgendole la mano “Mi permette questo ballo, mia Sapientona? Le dimostreró che sono il miglior ballerino della storia.” Annabeth allora aveva sbuffato e con poca grazia si era issata in piedi. Pensava fosse una sciocchezza ma evidentemente il suo corpo non era d'accordo, appena la mano destra di lui si appoggiò alla sua schiena spingendola verso di sé e con quella sinistra le prendeva l'altra mano, tutto il suo corpo rabbrividí eccitato e il suo volto diventó porpora. Per una volta anche Percy notó questi chiari segnali del suo imbarazzo perché sogghignó soddisfatto prima di iniziare a ballare. Prima si mossero veloci, in un finto valzer davvero penoso, ma che tolse il fiato alla ragazza, per poi rallentare sempre di piú fino a fermarsi. Annabeth, che per tutta la danza aveva fissato la spalla di Percy, un po’ perché era concentrata sul non sbagliare i passi e un po’ perché era molto imbarazzata, alzó lo sguardo con fare interrogativo verso il ragazzo e si trovó il volto del ragazzo a due centimetri dal proprio. Incatenando il proprio sguardo a quello di lei, Percy le sussurró in faccia “ Mi stanno tornando alcuni ricordi Sapientona” il ragazzo le fece un sorriso sghembo “Dimmi se mi sbaglio, io ho una fidanzata?”  La ragazza lo guardó arrossendo “Sí” “E io la sto tradendo nell’essere qui con te?” “No” rispose lei, sempre piú imbarazzata “E io le piaccio ancora?” Dopo questa domanda anche Percy era tutto rosso  e piuttosto spaventato. La ragazza stava quasi per esplodere di gioia e di ansia ma gli rispose comunque con un sorriso di scherno “Non lo so proprio Testa d’Alghe” Lui la guardó storto e la strinse ancora di piú a sè "Stai ridendo di me Sapientona? Così non mi rendi le cose facili” I due ragazzi si guardarono sogghignando, mare contro tempesta, “Io non ti renderó mai le cose facili Testa d’Alghe” e detto questo lo bació, fu un bacio gentile e veloce. Percy rimase di stucco, forse voleva essere lui a baciarla per primo, ma Annabeth pensó che non facesse male al povero smemorato ricordare chi fosse il capo. Il ragazzo ripresosi dalla sorpresa sorrise e fece per baciarla di nuovo ma lei sgusció via dalla sua stretta sghignazzando “Vieni a prendermi se ci riesci” lui accettó ben volentieri la sfida e iniziò a rincorrerla per tutta la nave. 
Alla fine, sfiancati dalla corsa i due ragazzi tornarono alla stalla e parlarono, parlarono e parlarono, stretti l’uno tra le braccia dell’altra.
Annabeth non ricordava di aver mai passato una notte migliore di quella, lei, il suo Testa d’Alghe e l’oceano sotto di loro.

 
   
 
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