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Autore: Musical    11/01/2022    0 recensioni
"Evelyn era così felice di poter passare il Natale con una vera famiglia. Mi ha detto più volte quanto invidiasse la mia situazione, con due genitori amorevoli che mi amano e che mi hanno sempre sostenuto. Non potevo dirle che siamo solo noi due in famiglia. Non è un problema! Saremo sempre una famiglia! Ma-"
"Non volevi rovinare le sue aspettative... Martin, ragazzo mio, forse non sono la persona giusta per dirti una cosa del genere. Se ami qualcuno, devi essere sempre sincero con lui.”
"Mi dispiace."
"Non preoccuparti. Troveremo una soluzione. Sono o non sono Oswald Chesterfield Cobblepot, il Pinguino, che riesce sempre a cavarsela in ogni situazione? Chiederò a Victor di collaborare per qualche giorno.”
"Non preoccuparti, ho un piano.”
"Non mi piace quando hai dei segreti.”
"Lo so, solo... fidati di me.”
Fu allora che Oswald Chesterfield Cobblepot cominciò ad avere paura.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Edward Nygma, Oswald Cobblepot
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattina del giorno dopo, Edward, appoggiato al suo bastone, osservava attentamente il ritratto di Elijah Van Dahl; erano trascorsi molti anni da quando aveva giocato quel macabro scherzo ad Oswald, dovuto al desiderio di vendetta. Accanto al ritratto, c’era la statua che Oswald aveva fatto realizzare in ricordo di sua madre, quando era diventato Sindaco di Gotham.

Il claudicante passo di Oswald, insieme al ticchettare del suo ombrello, si sentirono sempre più vicini, facendo tornare Edward al presente; con la coda dell’occhio, vide Oswald avvicinarsi a lui, per fermarsi al cospetto dei suoi genitori. Con movenze calcolate, Edward poggiò la mano sinistra in bella vista.

“È da molto che non vado a far loro visita.”

“Sei stato impegnato, capiranno.”

Oswald sbuffò divertito, inclinando la testa verso il basso. “M’ero ripromesso che, una volta fossi uscito dal penitenziario, sarei andato da loro, e invece sono andato alla ricerca del caro e buon vecchio Detective Gordon.”

La risata che seguì quella confessione avvolse il cuore di Edward e cominciò a stringere, come se fosse costituita da sottili fili di ferro che potevano recidere qualsiasi organo umano, se posta la giusta dose di forza.

“Jim Gordon ci ha tolto dieci anni di vita. È comprensibile e, se i tuoi genitori fossero ancora vivi, sono sicuro che capirebbero.”

Edward si voltò in quell’istante, ritrovandosi riflesso nel monocolo del suo amico, e quei fili serrarono ancor di più la loro morsa, portando Edward a prendere una grande quantità d’aria.

Oswald allungò una mano e gli prese la spalla, stringendola, ed Edward s’aggrappò a quel gesto come se fosse un’ancora.

“M’accompagneresti a porgere loro un saluto?”

Edward annuì leggermente. Avevano una mattina per parlare e organizzarsi.

Insieme, entrarono nella limousine e il viaggio fu silenzioso. Edward mise la mano sinistra sul proprio ginocchio. Nessuno dei due voleva rompere il silenzio che s’era venuto a creare, solo l’autista osò romperlo un paio di volte, prima per avvertire che erano arrivati di fronte al loro fioraio di fiducia e poi quando erano giunti finalmente a destinazione.

Edward fu il primo a scendere, facendo il giro della vettura per aprire la portiera ad Oswald, sostituendo così l’autista. Sapeva che quella mansione non era di sua competenza, ma gli piaceva l’idea di farlo. Oswald rimase ancora qualche secondo in macchina ad osservarlo, gli occhi spalancati e le labbra dischiuse.

“Vogliamo andare?” gli chiese porgendogli la mano sinistra, che Oswald decise di non afferrare e di scendere da solo dalla macchina.

Edward ritrasse la mano, le labbra serrate furono l’unico indizio della punta di stizza nata da quel rifiuto. Oltre a ciò, rimase lo stesso, diede un paio di minuti ad Oswald di solitudine con i suoi genitori, impegnò quel lasso di tempo a prendere i fiori che avevano comprato.

Il cimitero sembrava ancora più freddo e abbandonato con la leggera nebbia mattutina che l’avvolgeva, lo scricchiolare delle foglie secche sotto i suoi passi boicottarono il suo tentativo d’essere silenzioso, si fermò pochi passi lontano da Oswald, notando che si stava asciugando gli occhi con un gesto furtivo.

Oswald prese un profondo respiro e si voltò indietro, guardando Edward negli occhi; si rivolse poi nuovamente alle tombe e, con un triste sorriso, annunciò.

“È arrivato anche Ed.”

Quello fu l’invito silenzioso per avvicinarsi, Edward si diresse verso le tombe. In religioso silenzio, s’inginocchiò per posare i gigli bianchi su entrambe le tombe, non resistendo alla tentazione di sussurrare un saluto.

“Buongiorno, Signora Kapelput. Buongiorno, Signor Van Dahl.”

Un saluto che ormai gli usciva naturale, l’aveva sempre fatto, da quando aveva promesso ad Oswald d’occuparsi della tomba della Signora Kapelput mentre il figlio era rinchiuso ad Arkham. Edward avvertì lo sguardo di Oswald su di lui, e si girò per affrontarlo.

“Qualcosa non va?”

Il volto di Oswald era pallido come i petali dei gigli, gli occhi ancora arrossati per il precedente pianto. La sua bocca si aprì senza che uscisse alcuna parola. Vedendo che non riusciva a dire niente, distolse gli occhi da Edward, concentrandosi su qualche particolare alla sua sinistra.

Edward, però, sentì il bisogno d’attirare nuovamente la sua attenzione, così lo richiamò.

“Oswald?”

Oswald si girò verso Ed, la sua bocca si aprì di nuovo, ma ancora una volta non disse nulla, limitandosi a fissarlo con una strana luce negli occhi.

“Preferisci sederti?”

Oswald annuì. Sotto lo sguardo vigile di Edward, s’avvicinò a una delle panche di marmo lì vicino e vi si sedette. Edward lo seguì, replicando i suoi movimenti con meticolosa e calcolata calma, pronto per qualsiasi reazione. Tuttavia, vedendo che Oswald non voleva parlare, Edward pensò di farlo concentrare su altro.

“Quando verrà la ragazza di Martin?”

“Domani. Martin è andato a prenderla.”

La cosa sembrava strana, senza logica, agli occhi di Edward e, studiando le espressioni di Oswald, immaginò immediatamente ad una nuova tomba al fianco della Signora Kapelput e del Signor Van Dahl, e una brutta sensazione lo avvolse.

“Stanno bene?” s’apprestò a chiedere, infatti, con una prontezza nei movimenti e un senso d’inquietudine che gli colorò la voce.

Inspiegabilmente, Oswald lo guardò con la sua stessa espressione, gli occhi sbarrati tempestati dalla paura.

“Perché, è successo qualcosa?”

“Non che io sappia. È successo qualcosa di brutto?”

“Certo che no!”

Edward lasciò andare un sospiro di sollievo, non s’era reso conto d’aver trattenuto il fiato fin’a quel momento, cominciando a ridere, seguito poco dopo da Oswald.

“Diavolo! Chi l’avrebbe mai immaginato che mi sarei trovato, alla veneranda età di quarantasei anni, famigerato Re di Gotham, a preoccuparmi per un figlio.”

Edward puntò lo sguardo all’orizzonte, la nebbia stava lasciando posto ad una giornata nuvolosa.

“È questo il bello del destino, non sai mai quello che ha in serbo per te!”

La nota allegra della sua voce non gli fece notare l’ombra che attraversò lo sguardo di Oswald, il quale, dopo qualche secondo, sussurrò poche parole.

“Per poi strapparti via tutto.”

Edward si voltò, trovando Oswald col capo chino, gli occhi che fissavano il vuoto. Immediatamente, la mente di Edward corse a quando erano usciti dopo dieci anni di prigionia; Oswald aveva dovuto faticare a rimettere le mani sull’Iceberg Lounge, per non parlare dei problemi con la legge che aveva dovuto affrontare per poter adottare legalmente Martin, senza rischiare che qualcuno glielo potesse portare via un’altra volta. Oppure i traffici a cui partecipava che erano di solito compromessi dalla presenza di Batman. Per quest’ultimo problema, però, Oswald non doveva preoccuparsi più di tanto.

“Se ti stai preoccupando per Batman, sappi che non sarà un nostro problema, per ora.”

La bocca di Oswald si aprì, ma non disse nulla, malgrado il suo viso esprimesse curiosità.

Edward si sentì abbastanza generoso e si lasciò sfuggire qualche piccolo dettaglio, giusto per farlo incuriosire ulteriormente. “Infatti, credo che stia ancora cercando di risolvere il mio nuovo indovinello. Ho fatto in modo che fosse abbastanza difficile, così da dargli abbastanza filo da torcere mentre noi saremo liberi d’incontrare la ragazza di Martin.”

Le sopracciglia di Oswald s’aggrottarono. “Sei serio?”

“Dannatamente serio”, gli strizzò l’occhio con fare civettuolo.

“E quando l’avresti fatto?”

“Ieri sera, poco dopo essere tornato a casa”, fece spallucce, facendo finta che tutto ciò che aveva progettato e realizzato la sera prima fosse una sciocchezza. “E non è l’unica cosa che ho fatto.”

Gli occhi di Oswald si allargarono allarmati, tanto che l’uomo gli afferrò il ginocchio.

“Cos’altro hai fatto?”

Edward si beò di quel calore, di quella sensazione d’essere un passo avanti a tutti, s’avvicinò un po’ ad Oswald e con fare complice gli rispose: “Lo vedrai.”

Oswald lo guardò nervosamente, stringendo un po’ di più la presa.

“Dai, puoi fidarti di me”, gli disse Edward.

La mano di Oswald scivolò lentamente dalla gamba fino alla mano sinistra, gliela afferrò, ma senza guardarla. I suoi occhi brillavano con un sentimento che Edward aveva paura di decifrare.

“Lo sai che sei l’unico di cui mi fido davvero, Ed. Promettimi solo che non ti caccerai nei guai. Non potrei sopportarlo.”

“Non mi metterò nei guai, e semmai dovesse succedere, ci sarai sempre tu ad aiutarmi. Ho ragione?”

Oswald non replicò, inizialmente. Si guardò i piedi, poi decise di rispondere: “A cosa servono gli amici?”

Sollevato, Edward cambiò argomento.

“Dunque, hai qualche piano per ingannare la ragazza di Martin?”

Oswald alzò lo sguardo, prima di sorridere complice.

“Sempre, Ed. Ho un piano per tutto.”

“Perfetto, perché questo mio piano sarebbe un totale fallimento se tu non ne avessi uno.”

Oswald inclinò la testa, quell’aria di preoccupazione era completamente scomparsa e il suo sorriso s’ampliò.

“Adesso devi davvero dirmi qual è questo tuo piano, Ed.”

Edward ebbe abbastanza audacia da posare un dito sulla punta del naso di Oswald, sorridendo come se fosse già Natale. “Il mio piano a sorpresa.”

Dopo un attimo d’incredulità, Oswald scoppiò a ridere, e lo stesso fece Edward.

“Proprio come ai vecchi tempi, eh Ed?” gli disse, dando qualche altro colpo di risata.

“Vuoi che ti dica del mio fantastico piano che riguarda il nostro matrimonio di dieci anni fa?”

La risata gli morì in gola, il volto divenne cinereo per poi assumere un colorito rosato, soprattutto sulla punta delle orecchie, Edward lo trovò adorabile, e dovette sopprimere l’impulso d’avvicinarsi per mordergliene una.

“Matrimonio? Cosa... Di cosa stai parlando, Ed?”

“Di quella volta che mi hai chiesto di sposarti, dieci anni fa, in una di quelle notti mentre fuggivamo dal nostro amato detective Gordon.”

“Davvero?”

“Proprio così.”

Oswald sorrise, dalla luce nei suoi occhi si capiva che cominciava a piacergli questo piccolo gioco e, di ciò, Edward ne era fiero.

“Credo che sia tu a non ricordarti molto bene quel momento, mio vecchio amico. Sei stato tu a chiedermi di sposarti”, gli disse, infatti, pungolandogli il petto.

“Volevo farlo, ma eri sempre distratto.”

La presa alla sua mano s’indebolì, Edward notò che Oswald aveva smesso di respirare per qualche secondo. “Da cosa?”

Per quanto la sua confessione s’avvicinasse alla realtà, Edward non lo diede a vedere, decise invece di giocare.

“Dal tuo desiderio di riprendere il controllo e dai tuoi tentativi di essere di nuovo il re di Gotham.”

Non è proprio vero, sai? Non avevi mai trovato il coraggio di farlo.

Oswald rimase senza parole, gli occhi gli tornarono lucidi. Con un sorriso che Edward non era abituato a vedere sul volto di Oswald, quest’ultimo prese a parlare.

“Ok, fammi capire bene… Tu volevi chiedermi di sposarti, ma io ero troppo impegnato a riprendere il controllo di Gotham. Quindi non me l’hai mai chiesto e, alla fine, sono stato io a chiedertelo?”

Edward distolse lo sguardo, accavallando una gamba per smorzare una punta di fastidio che cominciava a prudergli dietro il collo, ma non lasciò andare la mano di Oswald.

“Sì, questa era l’idea generale.”

Oswald ridacchiò, guardando il punto che Edward stava osservando.

“Immagino che possa funzionare.”

Edward non poté far altro che annuire, iniziando a sfregare lentamente il pollice contro quello di Oswald. Anche se la mano di Oswald era protetta dal guanto, l’idea di poter sentire la consistenza della sua pelle lo stava uccidendo lentamente. Con calma, Edward portò la mano di Oswald vicino alle labbra, assicurandosi d’aver la sua completa attenzione. Se Oswald si fosse ritratto o avesse obiettato, Edward era pronto a ribattere che era tutto programmato per convincere la fidanzata di Martin. Dovevano essere pronti a mostrare un’intimità matrimoniale di ben dieci anni, quei piccoli gesti dovevano risultare la normalità.

“Sono sicuro che la ragazza ci cascherà senza il minimo problema”, sussurrò prima di posare definitivamente le labbra sul dorso della mano di Oswald.

Oswald rimase come rapito dal gesto, le sue gote si sono arrossate, le labbra leggermente dischiuse. Si guardò per qualche secondo intorno, quando i suoi occhi vennero catturati dalla mano sinistra di Edward, notando un particolare a cui prima non aveva fatto caso, s’avvicinò abbastanza da poterlo vedere meglio, ed Edward non riuscì a contenere un sorriso consapevole, nascondendosi dietro le loro mani intrecciate.

“È un anello quello, Ed?”

Dato che finalmente Oswald se n’era accorto, Edward poté abbassare le mani, notando come il suo amico seguì con lo sguardo il gioiello che indossava: una fascia dorata con uno smeraldo incastonato.

“Direi di sì”, disse con un sorriso fintamente colpevole, stringendosi nelle spalle.

Oswald non seppe più dove guardare, se Ed, le loro mani intrecciate, l’anello che indossava Ed, le sue labbra, le loro mani intrecciate.

“Ma… Insomma… Come-do-dove… Tu —”

“Ieri sera, insieme ad altri progetti che ho cominciato, o portato a termine, mi son domandato ‘Qual è il metodo migliore per dimostrare che due persone sono sposate?’ ed ecco la risposta!” si mosse entusiasta sulla panchina, non riuscendo a contenere l’euforia invase lo spazio personale di Oswald. “Non ti devi preoccupare, ne ho preso uno anche per te.”

E l’espressione di Oswald non fece altro che aumentare il vortice di emozioni che stava provando Edward, era come versare del combustibile su un incendio, facendolo divampare, semplicemente devastante e assolutamente eccitante.

“D-davvero?”

Con un gesto teatrale, Edward posò il suo inseparabile bastone sul proprio grembo e tirò fuori dalla tasca una scatolina di velluto blu, facendola volteggiare un po’ prima di fermarsi.

Voleva aprirla, ma trovò qualche fatica perché Oswald gli stava stringendo la mano. Avrebbe potuto aprire la scatolina avendo a disposizione anche una sola mano, ma la reazione che stava avendo Oswald era troppo deliziosa. In petto gli rimbombò una risata mentre s’avvicinava ad Oswald, facendogli l’occhiolino con fare complice.

“Devi lasciarmi, però, la mano, se vuoi vederlo.”

Oswald non riusciva a trovare le parole, s’allontanò con movenze agitate da Edward, rischiando di far cadere a terra il monocolo; sorrideva senza riuscire a guardarlo in volto, mormorando frasi di scuse, di quanto fosse stato sciocco da parte sua tenergli la mano, che non ne aveva alcuna intenzione… Tutte frasi che punsero come spine.

Appena Edward aprì la scatola, un anello dalla fascia dorata, con un’ametista al centro, fece la sua scomparsa, ed Oswald cominciò a mordersi il labbro.

“Ti sorrido davanti, ma ho un pugnale dietro la schiena. Sono affabile, ma solo per attrarti nella mia trappola. Cosa sono?”

A quelle parole, l’espressione di Oswald passò da uno stato di commozione, ad uno di realizzazione, per finire poi in un’altra emozione che Edward non riuscì a decifrare, ma che aveva già visto sul volto di Oswald, tanti anni prima, al molo, poco prima che un colpo di pistola venisse sparato, e un corpo ferito allo stomaco cadesse in fin di vita nel mare.

“Cosa?”

Fu con voce strozzata che Oswald sussurrò quella domanda, così Edward gliela ripeté senza problemi, con più calma, senza domandarsi del motivo dietro quel cambio d’umore nel suo amico.

“Ti sorrido davanti, ma ho un pugnale dietro la schiena. Sono affabile, ma solo per attrarti nella mia trappola. Cosa sono?”

Oswald abbassò lo sguardo, cominciando a pensare alla soluzione e più s’avvicinava alla soluzione, più il suo volto diventava cupo, e più quello di Edward s’illuminava. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che qualcuno aveva impiegato del vero tempo per risolvere i suoi indovinelli.

“Sei l’inganno.”

La voce di Oswald era diventata come atona, lo sguardo s’era raffreddato, la mano gli scivolò via, ma Edward gli prestò poca attenzione. Oswald aveva indovinato! Aveva indovinato ancora una volta uno dei suoi indovinelli!!!

“Vuoi farmi l’onore d’ingannare questa giovane donna con me, così da far felice Martin?”

Il sorriso di Oswald non era raggiante come sempre, era più contenuto, ma annuì lo stesso, facendo spallucce, provando a buttare l’intera situazione sullo scherzo.

“Potrei mai rinunciare?”

Edward si mise a ridere, prendendo l’anello e sfilando poi il guanto di Oswald. Con grande soddisfazione, l’anello entrò all’anulare di Oswald senz’alcuna fatica; Edward non riuscì a contenere un commento espresso con una dolcezza che riservava a pochissimi.

“Ti calza alla perfezione”, esalò un sospiro di commozione ed immediatamente si rilassò, osservando adorante l’anello.

Anche Oswald osservò l’anello, sorrise appena alle loro mani intrecciate, tirò appena su col naso, per poi grattarselo. Lanciò uno sguardo al cielo, poi si rivolse nuovamente ad Edward.

“Hai fame?”

“Muoio di fame.”

Al sorriso genuino di Edward rispose un cenno affermativo da parte di Oswald, che sfregò una mano contro il ginocchio di Edward.

“Andiamo, allora.”


Una volta scesi dalla limousine, entrarono in un ristorante italiano, uno di quelli rimasti sempre fedeli ad Oswald. Appena il padrone si rese conto dei suoi due nuovi ospiti, riservò loro il suo tavolo migliore, illuminato da una luce soffusa, situato al lato opposto dell’entrata, cosicché se ci fossero state visite indesiderate da parte della GCPD o di Batman, Oswald poteva tranquillamente fuggire senza farsi notare.

Il cameriere versò nei loro bicchieri un buon vino rosso, Edward notò subito che era il preferito di Oswald. Colto dal momento, alzò il proprio calice, pronto per fare un brindisi.

“A noi.”

Oswald ripeté i suoi gesti, alzando elegantemente il bicchiere per farlo tintinnare contro quello di Edward.

“Sono felice d’avere un amico così leale, uno che è pronto a rischiare così tanto per me.”

Gli si formò un nodo in gola, nell’udire quelle parole, il tono specialmente, sembrava come se Oswald stesse parlando con qualcuno che poteva essere una minaccia. Per farti passare la sensazione, Edward diede un colpo di tosse e bevve un sorso di vino, trovandolo immediatamente delizioso. Il suo sapore era delizioso, forte e speziato, e subito lo associò ad Oswald.

Il cameriere portò poco dopo gli antipasti, senza attendere i loro ordini, conoscevano benissimo come comportarsi con il loro Capo, ed ormai sapevano quali piatti erano i suoi preferiti.

“Mmm”, al primo boccone su un paio di manicaretti Edward ebbe l’istinto lontano di portarsi una mano davanti la bocca per fermarsi, ma pensò che non c’erano problemi a riguardo: era insieme a Oswald, l’aglio non era presente nel suo piatto, non mangiava così bene da molti anni… Inoltre, vedere gli anelli insieme in due mani diverse regalava un senso d’orgoglio che Edward non aveva mai provato, erano semplicemente perfetti.

“Ti piace?”

“Uhm— Ad Arkham, sai, non si mangiano simili cose.”

“Dieci anni trascorsi lì dentro non saranno stati facili.”

In parte, Oswald non aveva tutti i torti, ma potersi sfogare contro Jeremiah Valeska faceva passare i brutti momenti ad Edward, quando era rinchiuso.

“Ci sono stati momenti difficili, e momenti divertenti.”

Oswald, dopo averlo osservato, tornò a mangiare. Edward sentì l’urgenza di dire qualcosa, cercò quindi un pretesto per parlare, uno qualsiasi, finché i suoi occhi non si posarono su un volantino attaccato sulla bacheca del ristorante che invitava ad una serata particolare all’Iceberg Lounge.

“Allora, come vanno gli affari, Signor Nygma-Cobblepot?”

Oswald smise di tagliare la bistecca, alzò gli occhi in un’espressione interdetta, le labbra appena incurvate verso l’alto.

“È un cognome orribile, Ed.”

La sensazione strana scomparve, Edward infatti si sentì più sollevato, il fatto che Oswald l’avesse chiamato Ed significava nessun problema. Scrollò appena le spalle nel mentre pensò a controbattere.

“Preferisci Cobblepot-Nygma, allora?”

Oswald sbuffò divertito, posando con fare esausto le posate, alzando gli occhi al cielo. Edward seguì passo dopo passo le sue movenze, trovandolo semplicemente affascinante, ancora di più quando Oswald si leccò e morse il labbro inferiore, non riuscendo a staccare gli occhi da quella porzione di pelle, mordendosi lui stesso il labbro.

“E Cobblepot-Nygma sia.” si mise a ridere, non riuscendo a trattenersi, poi ci pensò un po’ ed aggiunse, riprendendo a mangiare. “Gli affari vanno bene, grazie. Sento, però che mi manca qualcosa, il pezzo forte per rendere perfetto il locale.”

“So che anni fa avevi un pezzo da collezione, uno dei migliori che ci fossero in circolazione.”

Oswald gli lanciò un’occhiata languida, portandosi alle labbra un boccone.

“Vero, era un meraviglioso pezzo… Ma penso che sia meglio averlo come marito, piuttosto che apprezzarlo solo quando mi trovo al lavoro. In casa si può rimanere soli.”

Edward trattenne il respiro quando Oswald mise in bocca la forchetta, fu costretto ad ingoiare, ma passò subito al contrattacco. Gli prese una mano, appoggiandola sul tavolo, ed iniziò ad accarezzare con lenta calma il palmo della mano, mentre si sistemò meglio sulla sedia, così da trovarsi più comodo.

“Anche fuori si può rimanere soli, la gente attorno tende a scomparire in particolari situazioni, anzi potrebbero aiutare a creare la giusta atmosfera.”

Lo sguardo di Oswald divenne interdetto, mentre la pigmentazione del suo viso assumeva una colorazione più rosata, accorgendosi solo in quel momento che Edward gli stava accarezzando anche la caviglia con un piede. Contrariamente a quanto s’aspettava Edward, Oswald si schiarì la voce, sfilando la mano dalla sua presa e riprendendo a parlare di questioni a suo avviso più importanti.

“Dobbiamo mettere a punto qualche altro dettaglio per la storia, con quella ragazza.”

“Tipo cosa? Non l’abbiamo già fatto?”

“Direi che mettersi d’accordo solo su come ci siamo fatti la proposta mi sembra poco, Ed.”

Edward ci ragionò un attimo.
Di solito, quando una nuova persona entrava in una famiglia, domandare in che modo i genitori avevano fatto la proposta era la cosa più frequente, era un modo per capire e conoscere in che tipo di famiglia si stava entrando, se in una romantica, una tendente allo scherzo, oppure una che decideva improvvisamente, senza programmare. Edward avrebbe programmato tutto, fin nei minimi particolari, per far risultare tutto perfetto: avrebbe comprato i giusti anelli con un significato particolare dietro, avrebbe preparato la cena perfetta, che sarebbe stata consumata tra un buon bicchiere di vino pregiato e tante risate… A fine serata, seduti sul divano, si sarebbe inginocchiato ed avrebbe tirato fuori l’anello alla fine di un indovinello, attendendo la risposta affermativa della persona fortunata.

Cominciò a sentire freddo.

“Quale sarebbe il problema?”

“Ti piacerebbe se le raccontassi di quando ho ucciso la tua amata Isabel?”

Il tono sarcastico usato da Oswald non aiutò a rispondere a quella domanda, no, non voleva che si raccontasse quella situazione, per quanto avesse contribuito a farlo rinascere come L’Enigmista. Edward prese un grande respiro, chiuse gli occhi e cominciò a parlare lentamente. Avrebbe voluto dire che poco gli importava ormai, che era nel passato, che non c’era bisogno di rivangare determinate cose, bastava semplicemente raccontare qualche aneddoto divertente, spiritoso, e basta.

“Era Isabella”, lo corresse, invece, riaprendo gli occhi per fissarlo intensamente.

No, non era questo quello che voleva dire! Edward provò a muovere una mano, ma quella rimase ferma, stretta in un pugno che lui non aveva chiuso. Avvertì distintamente che stava perdendo il controllo, i fili del suo corpo stavano lentamente diventando sempre più lenti e deboli. Iniziò a vedersi come se fosse uno spettatore, costretto ad assistere ad una scena che non aveva ideato. Provò ad urlare il nome di Oswald, ma dalla bocca di quel corpo uscirono tutt’altre parole, ben più fredde di quelle che voleva pronunciare.

“Il suo nome era Isabella.”

Edward cominciò ad avvertire un calore propagarsi nella sua mano, provò ad alzarla, ma ancora non ci riusciva. Allora, tentò di spostare gli occhi verso la mano, e si rese conto che poteva di nuovo farlo. Il suo pugno era ancora stretto, ma era avvolto dalla mano di Oswald. Spostò nuovamente lo sguardo verso l’alto, ed Oswald lo stava guardando implorante.

“Sono abbastanza sicuro di avere un’idea su cosa dovremmo fare. Vuoi ascoltarmi, Ed?”

Edward comandò alla sua testa di fare un cenno affermativo e alla bocca di esprimere a parole la risposta. Solo la testa collaborò.

Oswald non distolse lo sguardo e strinse ancora di più la mano, provando a sciogliere il pugno di Edward per intrecciare le loro dita. Edward provò a contribuire.

“Probabilmente sa chi siamo, quindi sarebbe inutile negarlo o nasconderlo. Tuttavia, non credo che potrebbe accettare che ci siamo fatti del male a vicenda, quindi suppongo che sia meglio evitare di dirle esattamente tutto. Non lo credi anche tu, Edward?”

Sì, avrebbe voluto rispondere, solo momenti belli, di quelli che avevano trascorso insieme, come quando avevano ucciso Leonard, oppure la campagna per far diventare Oswald il nuovo sindaco di Gotham, oppure i momenti trascorsi mentre costruiva, solo lui, il sottomarino, mentre Oswald pensava a fargli piacevolmente perdere le staffe.

“La storia di come abbiamo ucciso Leonard, ad esempio possiamo raccontargliela, no? Anzi, sarà proprio la prima cosa che le diremo, così capirà che non deve scherzare con il nostro ragazzo.”

Edward trovò divertente l’immagine, e la sua bocca s’aprì in un sorriso divertito, accolto da un Oswald che osservò con una commossa soddisfazione Edward che stava riprendendo il controllo del proprio corpo.

“Abbiamo entrambi le nostre colpe”, riuscì finalmente a dire.

Oswald annuì, ben consapevole a cosa si stesse riferendo Edward.

“Ma siamo andati avanti.”

Edward riuscì a ricambiare la stretta di mano, intrecciando le dita con quelle di Oswald, il calore s’era nuovamente propagato per tutto il suo corpo.

“Io… Mi sei mancato, Os.”

Edward abbozzò un sorriso e, come aveva predetto, anche se per ragioni diverse, rimasero solo loro nel ristorante. Tutto il resto era passato in secondo piano quando gli occhi di Oswald cominciarono a lacrimare.

“Anche tu mi sei mancato.”

“Ma siamo liberi.”

Oswald annuì, stringendogli la mano.

“Proprio così, e… Edward?”

Oswald attese qualche secondo, prima di continuare, come se stesse cercando qualcosa dentro gli occhi di Edward. Sembrò trovarla, difatti riprese a parlare.

“Sappi che, costi quel che costi, non permetterò che un altro nostro arresto avvenga nello stesso momento. Non lo permetterò mai più.”

Edward dovette costringersi ad ingoiare quel groppo in gola che gli si era formato, si concesse però il lusso d’alzarsi da tavola e raggiungere Oswald, che lo guardò con gli occhi sbarrati e la bocca dischiusa.

“Cos’è successo?”

In pochi secondi, le braccia di Edward circondarono Oswald, stringendolo a sé come non aveva mai osato fare. Avvertì le mani di Oswald poggiarsi sulla sua schiena e gli venne da sorridere, nonostante gli occhi umidi.

“Grazie.”

Oswald annuì contro il petto di Edward, per poi sciogliere l’abbraccio. Nel momento in cui alzò lo sguardo si mise a ridere, asciugandosi qualche lacrima che evidentemente gli era scesa.

“Perché stai piangendo?”

“Non sto piangendo”, si tolse il monocolo per asciugarsi meglio l’occhio. “Tu, piuttosto, stai piangendo.”

“Sai che le lacrime prodotte durante pianti emozionali presentano una composizione chimica diversa dagli altri tipi di lacrime?”

“Non mi dire.”

Edward annuì, mordendosi il labbro inferiore per contenere il sorriso per aver rilasciato una piccola chicca di conoscenza.

“Contengono, infatti, un quantitativo significativamente più alto di ormoni prolattina, ormoni adrenocorticotropo, leu-encefalina, potassio e manganese.”

Oswald si mise a ridere, scuotendo leggermente la testa, poi rialzò lo sguardo verso Edward e gli fece una domanda, con lo stesso sguardo di qualcuno che osservava una creatura meravigliosa.

“Cosa farei senza di te, Ed?”

Dopo aver pagato il conto, i due s’alzarono, Edward aiutò Oswald con la sedia e gli offrì il braccio, cosa che Oswald gradì molto. Uscirono dal ristorante per raggiungere la limousine. Rimasero in silenzio per tutto il viaggio, solo il rumore della pioggia faceva loro compagnia. Edward venne accompagnato in uno dei suoi nascondigli segreti, con la promessa che sarebbe tornato a villa Van Dahl la sera stessa: Oswald gli aveva offerto una stanza degli ospiti per dormire, così entrambi sarebbero stati pronti per accogliere la nuova ragazza di Martin.

Per tutto il tempo, Edward provò a dare una risposta alla domanda retorica di Oswald, senza successo. Gli scenari potevano essere vari, dai più rosei ai più macabri, se non si fossero conosciuti. Ma di una cosa Edward ne era certo.

Senza Oswald, sarebbe stato perso.

   
 
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