Serie TV > Gotham
Segui la storia  |       
Autore: Musical    25/12/2021    0 recensioni
"Evelyn era così felice di poter passare il Natale con una vera famiglia. Mi ha detto più volte quanto invidiasse la mia situazione, con due genitori amorevoli che mi amano e che mi hanno sempre sostenuto. Non potevo dirle che siamo solo noi due in famiglia. Non è un problema! Saremo sempre una famiglia! Ma-"
"Non volevi rovinare le sue aspettative... Martin, ragazzo mio, forse non sono la persona giusta per dirti una cosa del genere. Se ami qualcuno, devi essere sempre sincero con lui.”
"Mi dispiace."
"Non preoccuparti. Troveremo una soluzione. Sono o non sono Oswald Chesterfield Cobblepot, il Pinguino, che riesce sempre a cavarsela in ogni situazione? Chiederò a Victor di collaborare per qualche giorno.”
"Non preoccuparti, ho un piano.”
"Non mi piace quando hai dei segreti.”
"Lo so, solo... fidati di me.”
Fu allora che Oswald Chesterfield Cobblepot cominciò ad avere paura.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Edward Nygma, Oswald Cobblepot
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il surreale silenzio delle strade bagnate di Gotham veniva interrotto dai rumori ritmici di una figura che si muoveva nell’ombra, illuminata solo dalle luci flebili dei lampioni. La figura sapeva benissimo che nessuno l’avrebbe mai toccata, perché sarebbero stati guai per chiunque osava torcerle un singolo capello.
Fu con sicurezza, ereditata dalla figura paterna, che la figura aprì la porta ed entrò nella costruzione. Una musica ad alto volume l’accolse, e la figura si fece strada tra la folla urlante. Con estrema disinvoltura, come se fosse il padrone di casa — attitudine ereditata da un’altra figura familiare, si diresse verso un tavolo in particolare, dove erano sedute due donne che si scambiavano sguardi languidi e risate filtranti.
La sagoma stava per compiere gli ultimi passi, quando una mano gli afferrò la spalla e la trascinò due passi indietro.
“Hey, tu” — gli disse un uomo alle sue spalle, stropicciando la preziosa camicia di seta, la figura era già pronta a tirare fuori il pugnale che gli era stato regalato anni prima — “non è posto per quelli te, ragazzino.”
Il ragazzo, che aveva poco più di vent’anni, afferrò la mano di quell’uomo e, con agile mossa, lo stese su un tavolino lì vicino, posizionando il pugnale sotto la giugulare, impedendogli così di fare mosse azzardate. Consapevole d’avere la situazione in pugno, sorrise, dimostrando che quello era un posto adatto a quelli come lui.
“Tesoro,” disse una delle due donne, attirata dal rumore dei bicchieri rovesciati a terra, alzandosi dalla sedia mentre si ravvivava i folti capelli rossi, “abbiamo visite.”
“Quale onore ricevere il pulcino di casa?” rispose l’altra, saltando giù dal tavolino con una risata, prendendo la sua fidata mazza da baseball. "Aww! Ma guardalo! Assomiglia tanto al suo papà!”
“Il sorriso, però, non è suo. Cosa possiamo fare per te, Martin?”
“Prima, però, dovresti lasciare andare George. È così difficile trovare degli ottimi buttafuori, oggigiorno.”
Senza troppi problemi, Martin lasciò andare l’uomo e salutò Ivy e Harley, domandando loro di poter parlare in un luogo più appartato.
Le due donne si guardarono per qualche istante negli occhi, Martin vide chiaramente il sorriso di Harley espandersi mentre Ivy faceva un profondo respiro ed accettava la sconfitta con un sorriso colmo d’amore.
“Seguici, pulcino!” gli disse Harley saltando sul posto mentre prendeva una determinata decisione. Martin la seguì e, dietro di lui, Ivy chiudeva la fila, non prima d’aver dato una lezione al buttafuori. In fondo, non aveva fatto bene il suo lavoro.


“Dicci tutto, qui nessuno ci potrà disturbare.”
Martin diede un’occhiata intorno guardingo: Harley Quinn, pur essendosi seduta su una poltrona di pelle, non aveva ancora posato la mazza da baseball, mentre Poison Ivy era ancora dietro di lui, con le spalle appoggiate alla porta.
Il ragazzo, completamente a suo agio, si voltò indietro per dare un’occhiata ovvia ad Ivy; quest'ultima decise di spostarsi da un’altra parte, vicino ad Harley.
“Ti manda Pengy?”
“Non che mi dispiaccia, tu mi piaci, pulcino. Solo che con Zsasz è più divertente!”
Martin fece un cenno negativo con la testa, poi iniziò a parlare. Harley, conoscendo personalmente il linguaggio dei segni, l’aveva insegnato tempo prima ad Ivy, ed entrambe poterono ascoltare quello che Martin aveva da dire.
“Mi serve il vostro aiuto per creare la trappola perfetta.”
“Vuoi fare la tua prima rapina in banca? AAAAAHHHHHHH!!! CI STO!”
Martin scosse nuovamente la testa, riprendendo parlare. Disse che non era nessuna rapina in banca, ma era una… Faccenda personale, molto personale.
“Di che tipo?” domandò Ivy.
A Martin bastò fare con le mani due semplici gesti, e le due donne capirono al volo.
“Oh, sì, ci sarà da ridere!”
“Cosa ci guadagnamo?”
“L’espressione furiosa di papà Pinguino sicuramente!” Harley si mise a ridere. “Ci sarà da divertirsi!”
Martin assicurò che Oswald non avrebbe sospettato nulla, sarebbe risultato lui il solo ed unico artefice della trappola e, se tutto fosse andato per il verso giusto, Ivy e Harley sarebbero state ricompensate profumatamente.
“Un piccolo anticipo?”
Il ragazzo prese dalla tasca una busta e la lanciò ad Harley, che la prese al volo e guardò dentro, per poi richiuderla immediatamente e correre ad abbracciare Martin, scoccandogli anche un sonoro bacio sulla guancia.
“Consideralo fatto, pulcino della casa!”


Il giorno della vigilia di Natale era abbastanza tranquillo, i criminali non erano soliti architettare rapine, assassini, visite alla Centrale di Polizia in quel periodo dell’anno, erano tutti un po’ più buoni. Infatti, si poteva vedere ladri professionisti come Selina Kyle rubare del cibo e del denaro per dare una mano agli orfanelli, famigerati criminali come Harvey Dent aiutare i ragazzi ad uscire di prigione — se lo faceva tramite la conoscenza della legge oppure tramite le minacce di morte, poi, dipendeva dalla sua preziosa moneta — pericolosi scienziati come Victor Fries utilizzare i propri congegni per creare piste di ghiaccio o neve immediata, sorridendo flebilmente alla probabile famiglia che avrebbe potuto avere con sua moglie, ed esperti assassini come Victor Zsasz che entravano nelle case dei loro obiettivi per augurare loro l’ultimo buon natale della loro vita, promettendo loro di tornare una volta terminate le feste.
Per Oswald non era diverso. Il Natale, l’inverno in generale, lo metteva di buon umore, decidendo d’uccidere i diversi malcapitati con colpi secchi e precisi, senz’alcuna tortura.
Aveva da poco terminato l’esecuzione di uno sprovveduto, seduto in limousine, si stava dirigendo verso un ristorante, dove aveva un appuntamento importante.
La limousine si fermò e Pinguino scese, aspettando che qualcuno gli aprisse la porta del ristorante e venisse accolto dal proprietario.
“Buongiorno, Signore. Il suo ospite la sta aspettando.” l’uomo fece un piccolo inchino e indicò una ragazza. “Se vuole, può lasciare il soprabito alla nostra Amanda.”
Dopodiché, Oswald seguì l’uomo fino ad un tavolo rotondo, posto in un angolo appartato, dove un ragazzo sulla ventina d’anni lo stava aspettando con gli occhi colmi di gioia e amore. Oswald compì ancora qualche passo ed aprì le braccia, accogliendo il ragazzo in un abbraccio paterno. L’uomo sentì l’occhio sano pizzicargli per le lacrime che stava trattenendo, ma si diede un contegno, e pose fine all’abbraccio.
“Sei cresciuto così tanto,” notò mordendosi il labbro per non farlo tremare, studiando la figura davanti a sé.
Martin alzò gli occhi, sbuffando rassegnato, ma sorrise ugualmente, rispondendogli con pochi gesti della mano.
“Oh, lo so, Martin. Lo so.” si mise a ridere, tirando poi su col naso. “Ma non posso farci niente. Dopo dieci anni di forzata separazione, e senz’alcun contatto, anche i tuoi cinque mesi trascorsi in Europa sono tanti.”
Martin lo abbracciò ancora una volta, con più forza questa volta, e Oswald ricevette il messaggio: anche se fossero stati lontani, sarebbero sempre stati insieme. L’uomo strinse le spalle di suo figlio, fece un profondo respiro e s’allontanò definitivamente, con un sorriso diabolicamente complice e orgoglioso.
“Adesso, però, mi devo raccontare tutto. E, mi raccomando, non tralasciare alcun dettaglio.”
Martin annuì con vigore, e il pranzo poté cominciare.


L’Europa era bellissima, a detta di Martin, i musei erano meravigliosi, ricchi di favolose opere d’arte, ma era negli archivi che si nascondeva il vero tesoro di ciascun museo. Oswald prestò molta attenzione a ciò che gli stava raccontando Martin, pur sapendo che non avrebbe mai abbandonato Gotham, ma ascoltare Martin era come trovarsi lì, per le strade di Parigi, Londra, Praga, Venezia… Con Martin e il suo attento spirito d’osservazione, non era necessario viaggiare per conoscere il mondo al di fuori della sua città.
“Allora” — Oswald prese un bicchiere di vino rosso e l’alzò, pronto per un brindisi — “al tuo ritorno. In tempo per festeggiare Natale insieme.”
In quel momento, l’atmosfera sembrò cambiare, l’aria si fece rarefatta, come se il Dott. Freeze avesse deciso in quel momento di fare irruzione per un qualsiasi motivo. Oswald diede un’occhiata a destra e sinistra per accertarsi che tutto era tranquillo e, una volta appurato ciò, tornò a studiare Martin, il quale aveva assunto un’espressione contrita.
“Cos’è successo, Martin? Chi ha osato far DEL MALE A MIO FIGLIO?!”
Il resto dei commensali si voltarono verso la figura di Pinguino, ma a lui non importava. Nessuno doveva permettersi di toccare suo figlio!
Il viso di Martin s’allarmò, e subito il ragazzo gli prese le mani e fece numerosi cenni di diniego con la testa, tentando in tutti i modi di calmare Oswald.
“Martin, si può sapere quello che è successo? Se non mi spieghi immediatamente quello che è successo in Europa, giuro sulla tomba di tua nonna e tuo nonno che —”
La veloce risposta di Martin pose una brusca fine al discorso di Oswald, il quale s’ammutolì, ripeté a mente quello che aveva detto Martin, e poi aprì bocca, gli occhi sbarrati a dimostrare il suo stupore.
“P-puoi ripetere?”
Il ragazzo prese un enorme respiro e mosse le mani ancora una volta, con un po’ più di calma.
Vorrei invitare la mia ragazza per le feste.
Martin non ebbe il coraggio di guardare suo padre negli occhi, mentre Oswald non riusciva a reagire. Suo figlio stava per portare in casa una nuova persona, per lui importante, per farle conoscere colui che l’aveva cresciuto? Il cuore di Oswald iniziò a riprodurre alla perfezione il rumore di una mitragliatrice, la bocca completamente asciutta, le mani cominciarono a sudare… Sapeva, questa ragazza, chi aveva cresciuto Martin? Chi era davvero?
“M… Martin, i-io…”
Lo sguardo implorante di Martin lo fece desistere dal continuare; cosa non si fa per amore dei propri figli, si disse mentalmente Oswald, mentre cominciava a prepararsi psicologicamente nel vedere la reazione orripilata di questa ragazza, quel terrore misto a disgusto.
“Va bene.” accettò con un flebile sorriso. “Non vedo l’ora di conoscerla.”
Appurato che era d’accordo di trascorrere le feste natalizie con questa nuova persona che, Oswald ne era convinto, se piaceva a Martin sarebbe piaciuta anche a lui, Oswald credeva che si poteva ricominciare a trascorrere una bella serata, ricordando i bei momenti ed escogitando anche qualche piccola tortura per chi aveva osato alzare troppo la voce. Invece, sembrava che era solo l’inizio e l’espressione di Martin si fece ancora più preoccupata.
“D’accordo, adesso basta! Mi stai facendo preoccupare sul serio!”
Vedendo come Oswald stava perdendo la pazienza, Martin decise di raccontargli tutto.
Evelyn era così contenta di poter trascorrere un Natale con una vera famiglia. Mi ha detto più volte quanto invidiava la mia situazione, con due genitori amorevoli che mi vogliono bene e che mi hanno sempre sostenuto. Non sono riuscito a dirle che in famiglia siamo solo noi due. Non è un problema! Noi due siamo sempre una famiglia! Ma —” il ragazzo smise di parlare, portandosi le mani tra i capelli, rendendosi conto solo in quel momento in quale guaio aveva messo il padre.
“Non hai voluto rovinare le sue aspettative.” finì la frase per lui Oswald, annuendo comprensivo, nonostante la situazione gli stava lacerando il petto. “Martin, ragazzo mio, forse non sono la persona adatta per dirti una cosa del genere, l’ho scoperto a mie spese. In una qualsiasi relazione, se vuoi bene a quella persona, devi essere sempre sincero.”
I riccioli castani di Martin si mossero appena mentre il ragazzo annuiva, poi rialzò la testa e riprese a parlare.
Mi dispiace. Mi ha raccontato la sua infanzia. Un padre alcolista, una madre assente, e altre cose brutte. Non ce l’ho fatta.
Oswald sorrise, allungando un braccio per stringere la mano a suo figlio, tentando di rassicurarlo, in qualche modo. “Non ti preoccupare. Troveremo una soluzione. Sono o non sono Oswald Chesterfield Cobblepot, il Pinguino, che riesce sempre a cavarsela in qualsiasi situazione?”
Il tentativo d’alleggerire l’atmosfera andò a buon fine, Martin sorrise mentre ricambiò la stretta di mano. Se l’animo del ragazzo s’era rasserenato, quello di Oswald cominciò ad agitarsi ed andare nella malinconia.
Perché, per quanto il suo cuore non desiderava altro che quella persona, al suo fianco, con cui dividere il resto della propria vita, a fargli male era l’idea d’avere una famiglia in cui Lui non ne faceva parte.
Ma era un prezzo che Oswald sarebbe stato disposto a pagare, pur di vedere felice Martin.
“Chiederò a Victor di collaborare per qualche giorno.”
Martin, però, alzò la mano, fermando i suoi ragionamenti, per tirare poi fuori dalla tasca un taccuino; l’aprì e mostrò un foglio su cui c’era una frase scritta con la calligrafia di Martin… Strano, da quando conosceva il linguaggio dei segni, Martin l’aveva sempre preferito al taccuino.
Non ti preoccupare,” c’era scritto, “ho un piano.
Oswald tornò a guardare suo figlio, cominciando a temere cos’avesse in mente.
“Non mi piace quando mi tieni all’oscuro di certe cose.”
Lo so, solo… Fidati di me.
E fu in quel momento che Oswald Chesterfield Cobblepot cominciò a non essere tranquillo.


Il più delle volte, Oswald preferiva dormire nell’appartamento che si trovava sopra all’Iceberg Lounge, per una questione d’efficienza e di logistica, e perché non desiderava rimettere piede in un luogo così pieno di ricordi che, come rovi, cominciavano ad aggrovigliarsi intorno al suo cuore, stringendolo sempre di più fino a farlo gemere, fino a farlo urlare, fino a farlo sanguinare.
La Villa Van Dahl era rimasta chiusa per anni per questo, perciò fu un po’ restio a scendere dalla limousine, ma qualche preghiera di Martin era servita per fargli compiere almeno i primi passi fino all’ingresso. Oswald riprese a fare un po’ di resistenza nell’entrare, temendo che la polvere e la mancata manutenzione avessero rovinato irrimediabilmente ciò che ricordava, ma la mano di Martin lo guidò dentro, facendolo entrare in una villa che non sembrava abbandonata, anzi: non c’era odore di muffa o polvere, le tende erano state pulite, i cristalli dei lampadari lucidati alla perfezione, il camino era acceso, il parquet tirato a lucido, c’era persino un albero di Natale finemente decorato con tanti altri addobbi natalizi sparsi per la casa… Era… Era come se —
“Vado sempre avanti, mai indietro. Posso volare come fermarmi, sono paziente, spregevole e immune a qualsiasi delle tue armi. Chi sono?”
La bocca di Oswald sussurrò la risposta, mentre il cuore aveva accelerato il proprio battito.
“Il tempo.”
Con passi cadenzati, Edward s’avvicinò ad Oswald, fin’a trovarsi al suo fianco. Oswald l’osservò con la coda dell’occhio che stava ammirando gli interni della casa completamente messi a nuovo.
“Non è opera tua, vero, Ed?”
Edward si portò la mano al petto, mentre il viso gli si contorceva in una smorfia di sdegno.
“Mio Dio, Oswald, davvero mi vedi con così poco senso estetico? Magari i primi tempi,” concesse con un’alzata di spalle, “ma col tempo sono decisamente migliorato!”
“Dipende dai punti di vista.” non potè fare a meno di stuzzicarlo, nascondendo un sorriso e una veloce occhiata all’outfit che l’altro indossava: sempre appariscente, sempre pronto per i riflettori, sempre verde… In una parola, straordinario!
Edward si mise a ridere, con immensa gioia di Oswald, facendo volteggiare un bastone d’oro, che catturò la sua attenzione.
“Quello è nuovo, non ce l’avevi l’ultima volta che ci siamo visti.”
“Ti piace?” Edward fece qualche piroetta, passandosi il bastone da una mano all’altra come se stesse facendo qualche esercizio di ginnastica ritmica. “Avevo in mente questo progetto sin da quando ero ad Arkham, e adesso posso finalmente utilizzarlo. Posso realizzartene uno, ovviamente con qualche modifica, magari un ombrello invece che un bastone da passeggio.”
Oswald alzò una mano per fermare sul nascere i progetti di Edward.
“Sto bene così.” gli disse, prima d'accorgersi che l’entusiasmo stava svanendo negli occhi di Edward, così tentò di rimediare in qualche modo. “Ma se dovessi cambiare idea, non esiterò a chiamarti.”
A Edward tornò il sorriso, e un vecchio quanto antico calore si sparse nel petto di Oswald.
Martin, all’insaputa degli altri due, sorrideva soddisfatto alla scena che aveva di fronte; con un leggero picchiettare allo stipite della porta, fu costretto a rompere quell’idilliaca riunione per cominciarne una più seria. Appena Oswald e Edward si girarono nella sua direzione, Martin indicò il salotto, facendo capire che desiderava parlare lì con le due persone a lui più vicine.
Una volta che tutti e tre erano comodi, Martin prese a parlare, raccontò loro come aveva trascorso gli ultimi cinque mesi in Europa, delle numerose opere d’arte che potevano essere rubate e, proprio mentre tentava un furto al museo D’Orsay, incontrò la ragazza con cui si stava frequentando ma che era divenuta importante in poco tempo, Evelyn Crawford. Gli occhi gli brillavano dall'emozione e, sebbene avesse già sentito la storia, Oswald non poteva che essere fiero di suo figlio: se Evelyn era quella giusta, Martin non doveva far altro che seguire il proprio cuore. Anche se cominciava ad avere un brutto presentimento.
Qui entrate in gioco voi,” li indicò, riprendendo a spiegare, “aiutatemi a farle vivere l’esperienza di festeggiare Natale con una vera famiglia per qualche giorno, vi prego.
Dopo qualche minuto di silenziosa tensione, Edward prese la parola.
“Le probabilità che questo rapporto possa funzionare, dopo solo cinque mesi di frequentazione, raggiungono il dieci per cento al massimo. Potresti pentirti d’aver fatto entrare così tanto questa ragazza nella tua vita.”
Martin s’impietrì di colpo, sbiancando all’istante ma, prima che potesse rispondere, Oswald intervenne in sua difesa.
“Può essere quella giusta, invece. Anzi, ne sono più che certo!”
“Oswald, non puoi dare speranza se non l’hai mai incontrata. Sei sicuro che questa ragazza abbia buone intenzioni?”
“Dubiti dell’istinto di Martin?”
“Certo che no! Ma deve sapere a cosa potrebbe andare incontro.”
“Martin è un Cobblepot. Il nostro istinto non sbaglia mai.”
Trascorsero alcuni secondi in cui Oswald ed Edward si fissarono, inizialmente combattendo una sorta di battaglia mentale, dove il primo che avrebbe abbassato lo sguardo avrebbe perso; poi, le parole di Oswald centrarono entrambi i bersagli, e due dei criminali più temuti di Gotham si ritrovarono ad arrossire. Martin pensò che quello era il momento giusto per parlare, dopo aver un secondo bussato sul tavolo, attirando l’attenzione d’entrambi.
Potreste fare finta che, nell’ultimo anno da quando siete usciti di prigione, abbiamo vissuto come una famiglia?” Probabilmente non era il momento adatto, pensò il ragazzo il secondo successivo, perché Oswald divenne cadaverico, mentre Edward si trasformò in una statua.
“È uno scherzo, vero Martin?”
“Non puoi dire sul serio.”
Invece sì. Insomma, è uno dei vostri vanti conoscere cose l’uno dell’altro che nessun altro sa. Non pensate che, se Evelyn chiedesse qualcosa, sarebbe perfetto rispondere mostrando quanto siete in sintonia?
Altri momenti di silenzio seguirono la domanda del ragazzo, il quale si vide costretto a tirare fuori un colpo basso.
Siete partner.
“Soci”, corresse immediatamente Edward, e Oswald avvertì il proprio cuore incrinarsi. Chiuse un secondo gli occhi per prendere un profondo respiro, doveva rimanere calmo il più possibile, per il bene di tutti.
“Martin.” riaprì gli occhi e notò che Martin lo stava guardando con gli occhi pieni di lacrime, come una preda consapevole della propria dipartita e gli fece ancora più male il cuore. “Anche se il tuo ragionamento è valido, non significa che possiamo far finta di-di essere… Insomma, già sapere che tuo padre è il Pinguino non dev'essere stato facile, ma sapere che anche il tuo secondo padre è l’Enigmista… Non sarebbe un po’ troppo da sopportare?”
“Cosa vorresti dire con questo?”
“Intendo dire, Edward, che non è detto che la ragazza accetti di buon cuore avere, non uno, ma ben due suoceri criminali.”
“Può accettare te come il Pinguino, ma non può accettare me come l’Enigmista?”
“Non intendo questo, lo sai benissimo, Ed, però —”
“Allora non ci saranno problemi.” Edward si rivolse a Martin, non dando la possibilità a Oswald d’intervenire. “Accetto!”
Martin sorrise, annuendo con gioia, anche se era già pronto ad intervenire per sedare gli animi. D’altra parte, Oswald rimase senza parole per qualche istante, l’idea che Edward avesse accettato di far finta d’essere una coppia gli riscaldava il cuore e lo terrorizzava allo stesso momento. Vedere quanto ci tenesse a Martin, tanto da essere disposto ad essere legato per qualche giorno alla Villa, era qualcosa che lo rincuorava: qualsiasi cosa fosse successa a lui, sapere che Martin aveva un’altra persona su cui poter contare era meraviglioso. Tuttavia, l’idea di trascorrere dei giorni, in compagnia di Ed, facendo finta d’aver creato una famiglia con lui, non lo rendeva entusiasta.
“Ed.” lo chiamò, questa volta con più calma, lanciando un’occhiata supplichevole a Martin. Il ragazzo sembrò capire e s’alzò dalla poltrona, lasciandoli soli. “Sei sicuro?”
Edward, a capo chino, sussurrò poche parole che presero in contropiede Oswald.
“Avevi sempre detto che non avresti nascosto la tua natura.”
Oswald s’avvicinò impercettibilmente al suo migliore amico.
“E mai lo farò!”
Edward si voltò verso Oswald, la mandibola serrata e gli occhi pieni di repulsione alla sola idea di dover rinunciare a sé stesso, non dopo tutto quello che gli era costato.
“Beh, neanch’io voglio nascondere quello che sono!”
Oswald chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, poggiando delicatamente una mano sulla spalla di Edward.
“Non ti chiederei mai di farlo! Io…” senza rendersene conto, Oswald strinse leggermente la presa, non accorgendosi della veloce occhiata che Edward lanciò alla sua mano, sapeva solo che non poteva raccontare degli anni trascorsi a desiderarlo avere al suo fianco come suo pari. “Ed, ho paura di come possa reagire questa ragazza conoscendomi. Voglio solo che Martin sia felice, e non me lo perdonerei se dovesse trovarsi col cuore spezzato a causa mia! Tu no?”
E fu quando Oswald alzò gli occhi lucidi che notò lo sguardo di Edward addolcirsi.
“Anch’io lo voglio felice, ma sono certo che quella ragazza non si scandalizzerà se Martin ha come padre il Re di Gotham, anzi…” sorrise complice, contando mentalmente qualche secondo per creare la giusta suspense. “Dovrà temere di fare qualcosa di sbagliato se vorrà rimanere in vita.” s’avvicinò al viso di Oswald, sussurrando con un sorriso diabolico ad illuminargli il viso. “Sono disponibile ad aiutarti, se fosse necessario.”
Oswald si ritrovò a sorridere, chinò la testa e scosse la testa, Ed era splendidamente incorreggibile, in grado di ricordargli perché, nonostante gli anni trascorsi, provasse ancora qualcosa per lui.
“Ovviamente,” Edward s’allontanò appena, la voce perse quel tono diabolico, ma gli occhi rimasero allegri all’idea di compiere una qualche vendetta, “spero che non accada nulla. Un giovane amore merita d’essere vissuto.”
Oswald tornò a guardarlo, incredulo. “Non sei stato tu a dire che le probabilità, che un rapporto di cinque mesi continui nel tempo, sono basse?”
Edward inclinò la testa, facendo spallucce.
“La sua reazione è stata meravigliosa, sarò felice d’aiutarlo a convincere questa ragazza che lui è il ragazzo perfetto!” guardò fuori dalla finestra, immaginando i vari scenari, le varie possibilità, i perfetti tranelli per dimostrare che Martin era un ragazzo d’oro, ma valutare anche se quella ragazza era giusta per Martin.
“Ed?”
“Mh?”
“Non l’hai fatto apposta a dire quella cosa, vero?”
“Quale cosa?” domandò con un sorriso fintamente innocente.
“Ed.”
“Volevo vedere come reagiva.”
“Non… Martin vuole che ci mostriamo una coppia di fronte a questa ragazza, sei” — si schiarì la voce, non sapendo come porre la domanda ad Edward… Che cosa doveva chiedere, poi? Edward aveva già accettato, evidentemente l’idea gli stava bene, e la cosa lo terrorizzava.
Insomma, Martin s’era spiegato bene, non c’era alcun motivo di rivangare quello che già era stato precisato. Perché, poi, doveva essere agitato? Non c’era niente di cui agitarsi, Oswald aveva trascorso ben dieci anni a fare i conti con i suoi sentimenti per Edward, era giunto alla conclusione che non poteva sopprimerli, tantomeno forzarli sul destinatario nella speranza d’esser ricambiato, un giorno, no, c’avrebbe convissuto finché il corpo avrebbe resistito, come un male lento e incurabile che lo si poteva solo accettare. Eppure, l’idea di vivere quei pochi giorni nella sua fantasia più intima lo terrorizzava, convinto che non sarebbe stato capace di resistere, convinto che avrebbe scambiato la finzione con la realtà, mettendo in gioco una parte del suo cuore troppo delicata.
Edward interruppe il flusso dei suoi pensieri, togliendo una mano dalla gamba di Oswald che, immerso nei suoi pensieri, non s’era accorto del gesto.
“Siamo sempre stati bravi a mentire alla gente, questa volta non sarà diverso.”
Ed ecco la stillata più dolorosa, quella che non sarebbe mai cambiata: la consapevolezza che, per quanto ci sperava, Edward avrebbe solo mentito, solo fatto finta d’essere follemente innamorato di Oswald, e quel ch’era peggio era che Oswald l’avrebbe accettato. Avrebbe fatto qualunque cosa per Edward.
“Abbiamo un accordo?” domandò allungando una mano.
Edward la guardò per qualche istante, poi la strinse forte.
“È un accordo.”
Oswald intuì che la situazione non sarebbe finita bene.
“Chiamiamo Martin?”
Per niente.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Gotham / Vai alla pagina dell'autore: Musical