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Autore: erydia    11/01/2022    0 recensioni
“Avete mai vissuto una guerra dalla parte dei cattivi?
Avete mai bramato il potere così tanto da condannare voi stessi per l’eternità?
Noi lo abbiamo fatto”
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ciò che più aggradava gli studenti di Hogwarts, erano i pasti abbondanti che venivano loro offerti. Dalla colazione, alla cena, passando per il pranzo, ogni prelibatezza cucinata dagli elfi domestici era a disposizione dello stomaco degli allievi.
“Lo mangi quello, Lunastorta?!”
“E quello?”
“Ma dai, questo è davvero ottimo come puoi non assaggiarlo!”
Remus sospirò rumorosamente. La luna piena si stava avvicinando e lui ne sentiva ogni fremito. La prima parte della luna – era la più difficile per lui. Si stiracchiò sentendo la sua schiena protestare, si lasciò sfuggire un mugolio di sofferenza mentre i muscoli si rifiutavano di collaborare.
“Come va Remus?” chiese James mentre giocava distrattamente con un pezzo di bacon ancora presente nel piatto. Non era lo stesso James di sempre – pensò Remus – da quando suo padre era stato portato al San Mungo. Era distratto, pensieroso e più incupito. I Malandrini cercavano di farlo sentire a suo agio, di non fargli mancare mai il sostegno ma nessuno di loro avrebbe potuto in qualche modo sopperire all’assenza di suo padre.
“Sopporterò…” sussurrò.
“Scie-fa-fai?” sbiascicò Sirius con – a detta di tutti – troppo cibo in bocca. Prima o poi si sarebbe strozzato. Deglutì rumorosamente, aprendo la bocca per incamerare nuova aria. “Dicevo …” si schiarì la voce “Ce la fai?!”.
“Si, riuscirò ad esserci a lezione almeno stamattina…” sorrise il biondo.
“Dove andiamo stasera?” bisbigliò Peter, stando bene attento a non farsi sentire da qualche compagno di casa.
“Intanto pensiamo ad arrivarci a stasera!” rise il ragazzo alzandosi dal tavolo, e raggiungendo la prima aula della mattina.
Prime tre ore: Pozioni!
James avrebbe volentieri saltato quella lezione, anche perché non aveva svolto il tema che Lumacone aveva assegnato loro. Ma, se da una parte c’era la sua voglia innata di andarsene da quei sotterranei che – a detta di Sirius – puzzavano sempre di purosangue e gente morta. Dall’altra parte, la voglia di vedere la sua rossa preferita, di fissare i suoi meravigliosi capelli rossi ed i suoi favolosi tic quando era pensierosa, era talmente tanta che in poche falcate aveva già preso posto – infondo all’aula – con al suo fianco l’immancabile Sirius Black.
“Ah, non ci capisco nulla!” esclamò esasperato James vicino a Sirius. “E lo dici a me? A me che neanche so quale tra questi è il libro di testo di Pozioni?”
Lily Evans, due banchi più avanti, sbuffò nel sentire quel ronzio nelle sue orecchie. Possibile che quei due dovessero sempre infastidire le lezioni? Si girò giusto in tempo per vedere i suoi compagni di casata nel bel mezzo di una crisi esistenziale. Non c’era niente da fare, pensò, i disastri si accoppiavano. E come volevasi dimostrare, la pozione che stavano mischiando nel loro calderone esplose facendo non solo un pasticcio incredibile, ma anche un rumore assordante.
Lily stava ancora con le orecchie coperte quando il professore si alzò in piedi, rivolgendo ai due un’occhiata poco gentile. “Signor Potter e Signor Black è mai possibile che in sei anni non abbiate imparato proprio nulla di questa materia?”
“Ci dispiace signore…” azzardò James “…ma proprio non ci capiamo nulla!” continuò Black con un tono fintamente mortificato, che chissà perché, ogni volta che veniva utilizzato, faceva sciogliere anche i cuori di ghiaccio. E infatti, il professor Lumacorno sorrise comprensivo.
“E va bene, facciamo così. Oggi vi aiuteranno due compagni che in questa materia se la cavano egregiamente…” ci pensò qualche secondo e poi “Black, tu rifarai la pozione con il Signor Lupin mentre Potter, tu ti farai aiutare da mmm...”
E intanto, in un punto preciso della stanza, Lily Evans pensava solo una cosa: fa che non sia io, fa che non sia io, fa che non sia io. Ti prego, ti prego, ti prego.
“Evans”
Merlino Santo!
In quel momento accaddero diverse cose contemporaneamente. Potter sgranò gli occhi in un modo così intenso che a Peter sembrava stessero per uscire fuori dalle orbite. Sirius, si lasciò andare nella sua solita risata che chissà perché – ogni volta che Lily l’ascoltava – le ricordava il latrato di un cane.
Potter si alzò in piedi raggiante e puntò gli occhi nocciola nei verdi della ragazza. “Ma buongiorno, Evans!”
“Sarà un buongiorno Potter, quando potrò schiantarti senza finire in punizione” sbottò irritata la rossa mentre James usciva fuori dall’aula che ancora rideva.
Stupido Potter!
 
La professoressa McGrannitt non si stupì molto quando Horace Lumacorno la fermò nei corridoi per parlare dei Malandrini. Ormai era una cosa alquanto nota che quei quattro erano la sua spina nel fianco. Scherzi, fughe notturne, malandrinate ad ogni ora del giorno e della notte. Ad ogni angolo del castello. Per quanto la professoressa cercasse di riportarli sulla retta via era consapevole che non avrebbe potuto cambiarli. Eppure, per quanto si impegnasse a dare loro punizioni esemplari non riusciva ad ignorare quella sensazione interiore che faceva dei Malandrini, i suoi studenti preferiti. Erano veri, puri, intelligenti. Incarnavano tutti i valori dei Grifondoro e Minerva non poteva ignorarlo.
Dopo la pausa pranzo, aveva fermato James per l’ennesima ramanzina.
"Se si impegnasse nello studio come si impegna a non studiare, signor Potter, sarebbe il primo della classe." Gli disse facendolo scoppiare a ridere. Aveva alzato gli occhi al cielo e passato una mano tra i capelli cercando di non ridere troppo sguaiatamente.
"Se mi impegnassi nello studio come mi impegno a non studiare, professoressa, Lei perderebbe l'opportunità di passare i pomeriggi a intrattenersi con me. E sappiamo entrambe che è una cosa che adora fare." Aveva risposto, aveva sfidato troppo la sorte perché la donna avrebbe potuto peggiorare la sua situazione ma gli era andata bene, come al solito. E dopo un’occhiataccia esasperata dalla sua professoressa preferita, si dileguò per dirigersi verso i Sotterranei. Aveva una lezione da recuperare e una certa rossa da far arrabbiare.
Tuttavia far saltare per aria la Pozione non era l'ennesimo dei suoi metodi per evitare di rivolgere gli occhi verso Lily Evans. Odiava Pozioni e Sirius non era da meno, il motivo per cui continuassero a fare coppia durante le lezioni era pressoché un mistero tuttavia nessuno si sarebbe aspettato nulla di diverso e quindi loro, semplicemente, continuavano a fare quello che tutti si aspettavano, stranamente, per una volta, Potter e Black sottostavano alle aspettative altrui.
Piacevole cambio di programma. O per lo meno sarebbe stato piacevole se non avessero attentato alla vita di ogni singolo occupante dell'aula di Pozioni. Non l'avevano fatto apposta, quella era forse la vera novità. Certo, solitamente non facevano saltare per aria le aule per diletto ma la maggior parte delle volte i loro scherzi si concludevano con il botto e con qualche ora di punizione. Era divertente come loro due finissero sempre separati e come, sistematicamente, passassero tutto il tempo a chiacchierare l'un l'altro. In realtà quel giorno non gli era andata per niente bene. Avrebbe preferito in realtà che fosse Remus ad aiutare sia lui che Sirius: sapeva come sarebbe finita, avrebbe fatto finta di ascoltare per qualche minuto poi avrebbe chiesto a Remus di fare per lui il compito e sarebbe andato al campo di Quidditch invece, evidentemente, il professore doveva aver fiutato che era quello che accadeva ogni volta che incaricava Remus di dargli delle ripetizioni e gli aveva affibbiato Lily. In realtà James nutriva nei confronti del modo in cui avrebbe dovuto passare quel pomeriggio sentimenti contrastanti: avrebbe fatto qualsiasi cosa per passare del tempo con la Evans ma non di certo dietro ad ingredienti e a calderoni. No, Pozioni non faceva decisamente per lui e non capiva l'utilità di quel pomeriggio in quell'aula.
Sbuffò incamminandosi per il corridoio dei sotterranei e, conscio del fatto che fosse in ritardo, non si preoccupò minimamente di accelerare l'andatura e, se possibile, rallentò ancora di più finché non si decise che l'aveva fatta aspettare abbastanza e che se non se ne era ancora andata significava solo che voleva vederlo e che non gliene fotteva nulla delle ripetizioni. Insomma aveva più di mezz'ora di ritardo, nessuno che non fosse interessato a lui avrebbe atteso così a lungo. Si appoggiò svogliatamente allo stipite della porta semiaperta e la fissò per un attimo, attendendo che lei si rendesse conto del suo sguardo chiaro sulla schiena. Non disse nulla e rimase così a guardarla, desiderando di immergere le sue mani tra i capelli scomposti di lei sollevati sopra alla nuca.
Rimase lì, a fissarla, guardandola e accarezzando con il suo sguardo la schiena di lei, la riga dura della sua colonna vertebrale, le sue spalle, rigide. Era arrabbiata, arrabbiata perché lui era in ritardo. Ridacchiò appena tra sé e sé senza fare rumore, semplicemente continuando a studiare con gli occhi ogni singolo movimento di Lily. Sarebbe potuto rimanere così per sempre. Erano da soli, erano lì, da soli, senza nessuno che li vedesse, senza bisogno di negare, senza bisogno di nascondere quei sentimenti, senza neppure fingere di provarne, erano lì, erano solo loro due e non importava quello che sarebbe accaduto, non importava che alla luce del sole non potessero stare insieme, non importava che cosa dicessero gli altri -come se a James fosse mai importato più di tanto- erano lì, erano loro. E il semplice fatto che lei non se ne fosse andata, significava che non lo avrebbe fatto, finché lui non fosse arrivato.
Per quanto lei lo negasse, per quanto anche lui continuasse a nasconderlo, si amavano, si amavano in un modo che nessuno avrebbe mai potuto comprendere, forse. La amava dal primo momento, aveva sempre pensato che lei sarebbe stata la donna che voleva, nella sua vita, la amava dal primo istante in cui l'aveva conosciuta, sul treno per Hogwarts e quello era il motivo per cui disprezzava tanto Mocciosus. Lui cercava di portargliela via, lui non le permetteva di conoscere i suoi veri sentimenti per James. Lo sapeva, sapeva che cosa diceva Piton su di lui. E quello non faceva altro che far odiare ancora di più a James quel Serpeverde. Quello era il motivo per cui lo torchiava a quel modo, quello era il motivo per cui lo aveva appeso a testa in giù davanti a tutti, in giardino, l'anno precedente, quello era il motivo per cui aveva goduto quando Piton l'aveva chiamata a quel modo, quando Piton aveva pronunciato quell'insulto perché lei lo stava difendendo.
Sapeva che quello sarebbe stato l'unico errore che Lily non gli avrebbe mai perdonato e, nonostante lei fosse stata ferita, aveva goduto dell'errore di Mocciosus: lei non lo avrebbe mai perdonato, lei avrebbe smesso di ascoltarlo e quello gli dava una possibilità in più.
 
 
Lily sentì scagliare nello spazio a quelle parole che aveva appena udito.
“Non ho bisogno dell’aiuto di una schifosa Mezzosangue”
Aveva degnato Severus Piton, ora suo ex migliore amico, di poche fredde parole; e quando Potter aveva urlato al Serpeverde: “Chiedi scusa a Evans, subito!”, lei non ci aveva visto più e, dopo aver detto che lui e Piton erano praticamente uguali, si era messa a elencare i motivi per cui odiava James Potter, concludendo con una frase che fece impallidire il ragazzo:
- Sei così pieno di te stesso che non so come faccia la tua scopa a sorreggerti. Mi dai la nausea!
Dopo quella frase, si era voltata indietro ed era corsa verso il castello, fregandosene sia di Potter che di Piton, fregandosene di lui che la chiamava.
- Evans! EHI, EVANS!
Ma lei non si voltò, non voleva vedere nessuno dei due.

 
 
“Maledizione” la vide sbattere violentemente una mano sul tavolo e una provetta frantumarsi sotto di essa.
Le sue labbra si chinarono leggermente verso l'alto, mentre guardava la boccetta infrangersi e intuì, il dito di lei tagliarsi. Fece un passo in avanti, silenziosamente, in modo che lei non si accorgesse della sua presenza, rapidamente, cercando di farsi scomparire dal volto quel sorrisetto supponente che sapeva che lei odiava. In realtà, su quell'ultima cosa, non si impegnò più di tanto. Lui adorava farsi odiare da lei. Perché non era odio, lo sapeva bene. Era qualcosa di diverso, (era quello che aveva sempre voluto, il modo in cui avrebbe sempre voluto essere guardato da lei) era qualcosa che non sapeva definire ma a cui l'amore andava molto vicino.
Quando lei si voltò, il sorriso non era sparito dalle labbra di Potter; i suoi occhi però, erano passati da fissare la sua schiena e il suo collo candido su cui avrebbe voluto far scivolare le mani e le labbra a fissare il suo volto non per questo meno amabile. Si immobilizzò, come se stessero facendo qualche gioco e se lui si fosse mosso avrebbe perso. Era strano, lui aveva già perso. Per la prima volta nella sua vita, James Potter aveva perso in partenza, e aveva vinto, vinto il premio più grande che avrebbe sempre desiderato.
“Potter, ti sei per caso pietrificato da solo? Questa, non si fa da sola. Muoviti!”
Scosse una sola volta la testa, facendo un passo avanti e abbandonando quella posizione sulla porta lasciando che le braccia cadessero lungo i suoi fianchi. Sorrise ancora, fissando nuovamente i suoi occhi marroni in quelli verdi della ragazza. Quanto era bella, anche in quel momento, mentre arrabbiata lo aspettava? A quel solo pensiero, le labbra gli si chinarono di più verso l'alto e una risposta ironica spinse sulle sue labbra: “Ci ha pensato il tuo volto, Evans.” disse indicando un attimo dopo il dito ferito di lei come se fosse un chiaro segno di quello che aveva detto fino a un attimo prima. Superò la ragazza dopo aver detto quella frase e si sedette con nonchalance su uno degli sgabelli di fronte al tavolo che lei aveva preparato. Poteva quasi sentirla, la sua ira, scaldare la fredda aula nei sotterranei. Aveva perso in partenza, ma lei non lo sapeva, avrebbe continuato a giocare.
“Fortuna che c'è gente che ti reputa bello, Potter. Perché in quanto a simpatia sei penoso” ringhiò la rossa, andandosi a sedere sullo sgabello accanto al suo.
Come se tu non fossi una di quelle persone, Evans. Pensò, sicuro di sé come molti gli
avevano sempre rimproverato, forse anche troppo, perché in fondo anche se era
convinto di aver ragione, anche se era completamente convinto che lei avesse un
debole per lui per il semplice fatto che... Beh era impossibile non avere un debole per lui, probabilmente il fatto di essere così sicuro di sé avrebbe potuto avere effetti negativi sul suo ego nel caso in cui si fosse reso conto che si stava sbagliando. Ma lui non sbagliava mai o, per lo meno, non sbagliava mai per quello che riguardava le ragazze Aveva una sorta di capacità sovrannaturale nel saper riconoscere quando una ragazza aveva un debole per lui anche se, solitamente, non è che queste poi cercassero in qualche modo di essere discrete. Ne ridevano spesso, lui e Sirius, delle ragazze che ridacchiavano nei corridoi al loro passaggio e lui a volte era uscito con qualcuna di queste, non come il
migliore amico che lo faceva per divertirsi ma con un intento diverso, ovvero quello di far ingelosire la Evans. E ci era riuscito, ci riusciva ogni singola volta anche se lei non lo avrebbe mai ammesso. Questa era solo l'ennesima prova che lui le piaceva e che Lily combattesse contro sé stessa per non ammetterlo. Sorrise di sbieco e fece un altro passo in avanti lasciando correre il dorso della mano lungo la guancia di lei così come se fosse un gesto da poco. “Sono conscio di essere bello, Evans. Ma quando si è belli, a cosa serve la simpatia?!” chiese, lasciando ricadere un attimo dopo la mano dalla sua
guancia. Lui credeva che lei fosse bella ma quello non lo avrebbe mai ammesso, non importava che nessuno potesse sentirlo. Dirlo ad alta voce avrebbe significato che era
fottuto sul serio.
La pozione che dovevano preparare non era altro che l’Amortentia. Che patetico scherzo del destino. Lily cominciò a leggere ad alta voce ciò che c’era scritto sul libro di Pozioni. Ovviamente, sapeva già come preparare quella pozione. Era pur sempre Lily Evans. Leggeva perché Potter, uhm … non era certo famoso per spiccare di buona
volontà. Probabilmente non aveva letto niente di quella pozione, ecco perché – alla fine – era esplosa come un Bombarda Maxima. "L'Amortentia è il filtro d'amore più potente del mondo..." cominciò la rossa, scostandosi dal viso una ciocca ribelle che era sfuggita a quella coda disordinata. “Crea una potente infatuazione o ossessione per una persona, ma non il vero amore, che non si può creare artificialmente” guardò Potter sperando che capisse ciò che stava leggendo. Ma, se ci fosse stato Xeno Lovegood, avrebbe
sicuramente asserito che sulla testa di James ci fossero tanti gorgosprizzi che gli stavano entrando nel cervello. Beh, purché stessero lontani da lei, le andava bene qualsiasi cosa. “Mi stai seguendo Potter?”. Non aspettò risposta e riprese la lettura “L’Amortentia ha un odore diverso per ogni persona che lo sente, secondo le fragranze che gli piacciono di più, anche se la persona non si rende conto che la fragranza gli piace”.
 
 
"Ehi, Lils. Tu cosa sentivi?"
"Come?"
"Andiamo non fare la stralunata. Voglio sapere che odore emanava la tua Pozione?"
"Ah. Oh beh. Fammi pensare: Erba tagliata, pergamena nuova e il sapore del vento. Oddio, il sapore del vento?" chiese Lils abbastanza confusa alla sua amica Alice.
"Ah, allora era la fragranza James Potter!"

 
 
James – come volevasi dimostrare – non ascoltò una singola parola di quelle pronunciate da lei, non ascoltò assolutamente nulla di quello che avrebbe potuto interessarlo su quella Pozione come non avrebbe ascoltato alcuna cosa che venisse da un libro ma in quel momento quello che gli interessava sul serio era il fatto che quel filtro d'amore fosse il più potente del mondo. Quante possibilità aveva che lei potesse finalmente ammettere quello che provava nei suoi confronti se l'avesse bevuto? Certo, bisognava fare in modo che non se ne rendesse conto ma in quello James era piuttosto bravo. Sorrise appena allungandosi sopra al corpo di lei e posando le mani più esterne rispetto a quelle di lei
mentre lei si allungava sul tavolo assaporando il suo profumo floreale. Quando lei si
raddrizzò con la schiena, James non si allontanò, restando così, bloccandola tra il tavolo e il suo corpo, un sorriso di sbieco e supponente sulle labbra sapendo che,
probabilmente, lei lo avrebbe preso a schiaffi di lì a poco. La guardò, uno sguardo
interrogativo e luminoso negli occhi, qualcosa che poteva essere definito solo malandrino prima di dirle “Pronto”. Non aveva idea di che cosa avrebbe dovuto fare, non aveva ascoltato una singola parola, ma non gli interessava, la stava provocando. Quella era l’unico motivo per cui si trovava lì quel pomeriggio.  Forse se ne rese conto comunque, forse no, fatto sta che lasciò scorrere gli occhi lungo il suo collo notando nel punto in cui quello si congiungeva con lo sterno di lei notando il suo battito accelerato ma non disse assolutamente nulla. L'aveva fatto apposta per osservare la sua reazione e la sua
reazione era stata esattamente quella che lui si aspettava, non aveva altro da fare.
Sorrise, fino a quando non si allungò sopra al corpo di Lily e anche in quel caso il sorriso non scomparve dalle sue labbra.
“Fa poco lo spiritoso, Potter e toccami un'altra volta con quelle mani messe chissà dove e su chi e giuro che ti schianto”
Non replicò perché la frase di lei gli aveva dato nuovamente, per l'ennesima volta, la
risposta che lui voleva, che aveva sempre voluto. Erano soli e l'unico desiderio di James era quello di baciarla, ardentemente, intrappolarla contro il tavolo, gettare da un lato tutto quello che si era ammassato su quello, pronto per una Pozione che lui non avrebbe mai voluto fare, e baciarla. Non lo fece. Non perché non ne avesse l'opportunità o
perché non fosse convinto del fatto che lei lo volesse. Quello lo sapeva, quello era così lampante. Il motivo per cui non lo fece era un altro. Avrebbe atteso che fosse lei a baciarlo, non avrebbe fatto vedere a Lily che aveva perso, che lei era la vincitrice di quello stupido gioco.
 
 
Sentiva lo sguardo di Lily Evans su di lui, lo guardava attraverso quelle lunghe ciglia con le sue iridi chiari, se lo sentiva addosso mentre con un braccio intorno alle spalle di una ragazza di cui non ricordava il nome si incamminava verso l'uscita di Hogwarts, diretto verso Hogsmeade. Si ricordava di aver voltato la testa indietro per rispondere a una battuta di Remus e aver visto gli occhi di lei distogliersi rapidamente. Aveva deciso di approfittarne e aveva detto ai suoi amici di iniziare ad andare avanti, che lui e quella ragazza li
avrebbero raggiunti dopo e poi aveva fatto voltare lei, immergendo entrambe le mani nelle tasche posteriori dei jeans della ragazza e poi, sicuro che Lily continuasse a fissarla, l'aveva baciata. Così, davanti a tutti, salvo abbandonare quella ragazza qualche istante dopo per passare il pomeriggio con gli amici. Aveva sorriso appena, mentre la baciava, ma lo aveva fatto solo perché aveva visto il mostro verde della gelosia nelle iridi di Lily.
Questo è quello che ti stai perdendo, Evans. aveva pensato, guardandola voltarsi.

 
 
Sorrise appena, quando vide lo sguardo di lei, vagare dal suo volto a sopra di loro, a qualcosa che non riusciva a vedere dalla posizione in cui si trovava ma che se solo avesse
alzato gli occhi avrebbe notato e avrebbe usato come pretesto per fare sue quelle
labbra che lo chiamavano, che lo invitavano.
“Potter, lasciami andare subito!” scandì la rossa “Se non hai voglia di apprendere, allora non farmi perdere tempo!”
Ridacchiò appena, alzando le braccia in segno di scusa. “Non ti sto toccando, Evans.” disse, come se fosse la cosa più normale del mondo da dire in quella situazione ma, in fondo, lei gli aveva detto che non voleva che la toccasse, non che non la costringesse a quel modo. Erano soli, perché semplicemente non parlava con il cuore, quello James non lo sapeva. Sapeva semplicemente, o lo avrebbe saputo dopo, che in quel momento era troppo orgoglioso per dirle quella verità che anni dopo li avrebbe portati a un destino
triste e felice allo stesso tempo. Alzò la schiena senza spostarsi ulteriormente ma
smettendo di stare così addosso alla compagna di Casata.
“Dimmi cosa devo fare, allora!” disse il moro, con il suo solito modo di fare – dai più –
definito arrogante.
C'era qualcosa nell'essere giocatore di Quidditch che lo spingeva a comprendere
perfettamente ogni singolo movimento dei propri interlocutori. Era qualcosa che non aveva mai guardato con attenzione, era un qualcosa talmente naturale per lui che non ci aveva mai fatto caso ma, semplicemente, si rendeva conto del modo in cui i
muscoli si tendevano e i nervi e le ossa si muovevano quando qualcuno stava per fare qualcosa che non voleva fare o quando stava per compiere un movimento che
richiedesse l'uso di muscoli e di nervi. Per cui si rese conto, con sguardo critico, da osservatore, del momento esatto in cui lei decise di spingerlo lontano e si alzò, delicatamente, raddrizzando la schiena per posare poi il sedere sullo sgabello e chinarla con un arco
opposto rispetto a quello che aveva compiuto poco prima sul corpo di lei. Aveva visto la pelle del suo collo arrossarsi quando vi aveva sentito il suo respiro anche se non lo avrebbe potuto dire con certezza. Tanto gli bastava.
Quando si era accorto di amarla? Non lo avrebbe saputo dire, era come se, semplicemente, nell'esatto istante in cui l'aveva vista per la prima volta, avesse deciso che lei era quella giusta. Il tempo aveva semplicemente aumentato la sua idea che quella fosse la persona perfetta per la sua vita. E il fatto che lei lo allontanasse non faceva altro che
aumentare quell'idea. Non amava le vittorie semplici, non lo aveva mai fatto. Gli davano dell'arrogante perché era convinto di vincere le sfide difficili ma nel novanta per cento delle volte, alla fine, gli davano ragione perché le vinceva sempre. Lily non era l'ennesimo trofeo, lei era forse l'unica vittoria che avrebbe mai voluto e averla per sé sarebbe stato il premio più dolce. Allontanandosi da lei, lasciò scorrere la punta delle dita lungo il collo di lei, guardandola e ascoltando le sue parole. Non aveva voglia di fare quella Pozione, non aveva voglia di essere lì, quel pomeriggio, e l'unica cosa che avrebbe mantenuto
invariata, sarebbe stata la presenza della ragazza in quell'aula. Per quanto lo negasse, tutte le persone che lo conoscevano sapevano che cosa provava James Potter per Lily Evans e la maggior parte delle persone, per lo meno degli amici di James, riteneva che quella ragazza avrebbe potuto in qualche modo migliorare il comportamento di James. O per lo meno era quello che gli aveva detto Remus una volta facendolo ridere.
"prima di tutto, smettila di distrarti e stammi a sentire." Finse di non essere stata
– minimamente – toccata dalle parole del ragazzo. Ritornò a guardare il calderone
ancora intatto, mentre cercava invano di fermare i battiti del suo cuore troppo
accelerati. “Prima di cominciare…” continuò “c’è qualcos’altro che ti piacerebbe fare? Così la fai, cominciamo questa stupida pozione per finirla presto, in modo da essere
finalmente libera di tornare a farmi i fatti miei!”
Sostenne lo sguardo di lei per un solo istante e poi si sporse in avanti senza replicare;
avvolse con le mani i polsi di lei e la tirò verso di sé facendo scorrere una delle mani sulla nuca della ragazza carezzandole dolcemente i capelli, prima di avvicinare le sue labbra a quelle della compagna di Casata; nel giro di un battere di ciglia premette le sue labbra contro quelle della Evans avvicinandosi a lei ancora di più, desiderando che anche la Evans si lasciasse perdere in quel bacio. Durò qualche secondo, poi la lasciò andare, un sorriso di sbieco sulle labbra, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoseli
ancora di più; per una volta con un valido motivo per farlo. “Bene, possiamo anche
iniziare, Evans.”
 
 
“Lily tu sai quanto io voglia bene a James…” lo guardò in silenzio “E so anche che lui è cambiato. Lily lo so io, lo sai tu, lo sa praticamente tutta Hogwarts che quel malandrino è cambiato e ancora non riesco a capire perché tu non gli dia una possibilità”.
“Remus … vorrei poterti credere. Ma non ci riesco. Non quando si tratta di lui!”
 
 
Di una cosa Lily era sicura in quella esistenza che ormai non sembrava più la sua.
Guardando James Potter negli occhi capì che loro due erano destinati. Destinati ad
incontrarsi di nuovo, e cercarsi di nuovo, ad amarsi di nuovo. Erano destinati, perché le persone come loro due, non finivano mai. Quella situazione, l’essere lì con lui, la stava
portando al limite. Stava crollando sotto i suoi sguardi senza avere la forza di riprendersi. Che poi lei rideva, non era una di quelle persone che faceva intravedere la sua tristezza. Lei rideva tanto e anche rumorosamente, parlava ad alta voce, faceva delle facce buffe, scherzava. Non era la classica ragazza che faceva notare la sua tristezza. Quando era in compagnia anche se aveva il cuore distrutto, era delusa dalla vita, da sé stessa,
fingeva e rideva, scherzava, faceva battute stupide, poi con una scusa si chiudeva in
bagno e allora lì crollava come un castello di corta spazzato via dal vento. Quante notti, nel suo letto a fingere di dormire, aveva pensato a lui? Quante notti le sarebbe piaciuto averlo vicino e stringerlo a sé al posto del cuscino? Quante volte le sarebbe piaciuto
respirare il suo profumo che sapeva di pulito, che odorava di buono. Quante notti le
sarebbe piaciuto amarlo intensamente – una notte intera – e forse per sempre. Tutto aveva perso la consistenza in quel momento. Lei guardava lui, lui guardava lei e il tempo era semplicemente scomparso diventando spettatore esterno. Avrebbe dovuto creare una soluzione o meglio una via di fuga, perché quella situazione stava degenerando. L’aria si era fatta pesante, la sua testa si trovava in tranche mentre il suo cuore non
riusciva a darsi pace. Lei doveva andare via! Ma non sapeva come. Non ci riusciva mai. Aveva quel maledetto vizio di restare a farsi consumare dal suo sguardo, e senza fiatare, di lasciarsi abbandonare. Perché lei era così, lui la faceva sentire così. James Potter
arrivava e lei, lei lo voleva più forte.
Avrebbe voluto dire a Marlene, quando le chiese se era interessata Potter, che da un po' di tempo a quella parte, lo vedeva in ogni cosa bella che le colpisse gli occhi. Che era diventato un brivido che la percorreva da mattina a sera. Che era il desiderio di vedere il mondo, solo per poterglielo raccontare. Era bastato un giorno per farli odiare e una vita intera per farli innamorare. Probabilmente accadeva sempre così e lei non lo sapeva, ignara di un destino stupendo e credule che l’aspettava. Il mondo aveva smesso di girare vorticosamente fermandosi di colpo come a volersi godere appieno anche lui la
sofferenza che quella storia avrebbe portato loro. Perché quella storia, non poteva essere reale. Perché era una cosa ripugnante, perché semplicemente quell’amore – o
qualunque cosa fosse – non doveva sbocciare, non tra loro due. Perché James e Lily non sarebbero mai stati in grado di amarsi alla luce del sole! Ma l’amore era qualcosa di
imprevedibile e l’avrebbe portata inevitabilmente alla pazzia. Quel sentimento, quei
sentimenti contrastanti che provava per lui, erano nati proprio tra le mura di quel castello, che li guardava, da spettatore esterno, mentre cresceva diventando sempre più forte. Quel sentimento che difficilmente sarebbe svanito anche dopo che loro strade si
sarebbero divise. E alla fine ogni paura, ogni presentimento, ogni cosa che aveva tanto temuto era accaduta. Uno dei due aveva mollato, non aveva retto quel gioco di sguardi, quei sentimenti. Avrebbe preferito fuggire via, lontano da quello che stava diventando per lei, l’essenza della vita stessa. La loro! Perché lei era così, lui la faceva sentire così.
James Potter arrivava e lei, lei lo amava più forte. Quando avvicinò le sue labbra a quelle della rossa, il corpo di Lily semplicemente si bloccò, non sapeva cosa fare. Voleva
allontanarlo ed avvicinarlo allo stesso tempo. Il suo primo bacio! In pochi secondi, senza darle modo di capire cosa stesse realmente accadendo, premette le sue labbra contro le sue avvicinandosi a lei ancora e ancora. E fu allora che lo sentì. Un ammorbidirsi delle labbra, una risposta tanto lieve che la fece smettere di respirare. Poi James Potter la
baciò, con tanta delicatezza che temette di averlo immaginato. Labbra calde e dolci sfiorarono le sue, le assaporarono. Fu un bacio così bello che quasi le fece dimenticare il suo voler andar via da quell’aula. Poi ad un tratto la magia svanì. Si staccò da lui,
passandosi le mani sul volto, sulla bocca, cercando di cancellare qualcosa che
somigliava tanto ad un amore contraccambiato, quando non era altro che una risposta condizionata. Barcollò verso l’altro lato della stanza e posò le mani contro il muro. Le
serviva spazio per respirare, spazio per pensare, spazio per non crollare. “Perché…” dalla sua voce uscì un sussurro impercettibile “Perché lo hai fatto…!” e non era una domanda. Il capo chino faceva sì che i suoi capelli coprissero il suo volto. Quegli stessi occhi in cui, sapeva bene, era sceso un velo di tristezza. Voleva solo andare via, il più lontano possibile da lui, ma non riusciva a muovere un passo. Era come se fosse stata pietrificata in quella posizione e adesso aspettava un contro-incantesimo che sapeva non sarebbe arrivata senza conseguenze letali, Ma il suo cuore si era già sbriciolato in mille pezzi che si erano sparpagliati per la stanza. Non sarebbe più riuscita a recuperarli, diventando così la ragazza che tutti immaginavano lei fosse: Lily Evans senza cuore.
 
 
“Remus cosa stai cercando di dirmi?”
“Lui ha detto una cosa!”
“Lui chi?” ma lei conosceva già la risposta e Remus parve capirlo perché non si
preoccupò di risponderle.
“Lui mi disse: Remus, quando ti innamori è un po' come volare per la prima volta, non sai cosa ti aspetta, hai paura di cadere ma nonostante tutto vuoi provare a sfidare tutte le tue paure e trovare la felicità che cerchi in volo! E’ così che io mi sento con lei, non
importa il perché, il come e il quando ma io mi sono innamorato di lei e questo non
cambierà. Lei che è la mia isola di salvezza in questo mare di uniformità”.
 
 
Quante volte facciamo qualcosa che sul momento ci sembra giusto, che ci sembra quello che dobbiamo fare e poco dopo ci rendiamo conto che abbiamo solo fatto un casino più grande di quello che stavamo evitando? C’è un’espressione inglese che a
James piaceva un sacco e che rendeva bene l’idea: I messed up! Quello fu il pensiero di James in quel momento. Ho fatto un casino! è la più classica delle traduzioni ma trovava ancora che in inglese rendesse di più, rendeva perfettamente l’idea di qualcosa che
veniva completamente messa in disordine e quello era il modo in cui si sentiva James in quel momento. L'aveva baciata perché era esattamente quello che voleva fare in quel momento, era tutto quello che avrebbe semplicemente voluto fare. Perché lei era così bella, perché lui le vedeva quella tristezza in fondo ai suoi occhi e voleva ancora di più farla sparire. Non si sarebbe mai perdonato, nel sapere che era colpa sua ma non lo avrebbe mai ammesso. La baciò, fintanto che lei glielo concesse, desiderando stringerla tra le sue braccia al di fuori di quelle mura, voleva tenerle la mano, condurla lungo il parco, passare del tempo con lei. La Amava. Si sentiva in un certo modo di appartenere a lei e tutto quello che aveva fatto, l'aveva fatto per arrivare a quel punto. A baciarla, a stringerla tra le braccia. Era qualcosa che aveva sempre fatto: agire di impulso, fare quello che gli passava per la mente senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Lo
faceva sempre. Anche quel caso non fece eccezione anche se la reazione di lei lo
sorprese, costringendolo a voltarsi, fingendo di essere molto più interessato agli ingredienti disposti sul tavolo che non alla ragazza che aveva appena Baciato, alla ragazza che Amava. Le sue spalle diventarono una riga dura, quello era l'unico modo in cui chiunque avrebbe potuto capire che non stava bene, che c'era qualcosa che lei aveva fatto che lo aveva scosso ma solo un bravo osservatore se ne sarebbe reso conto. Dubitava che Lily, scossa com'era, potesse notarlo. Voltò gli occhi verso di lei anche se si era imposto di non guardarla. Per fortuna non incrociò le sue iridi chiare o non avrebbe saputo
risponderle. Voltò nuovamente la testa, guardarla, faceva male. Passò ancora una mano tra i capelli lasciando scorrere gli occhi nuovamente lungo le rocce grigie e fredde del muro dell'aula nei Sotterranei. “Non ci arrivi da sola, Lily?” Pronunciò il suo nome. Era una delle poche volte in cui non la chiamava per cognome, lo disse in un sussurro prima di
rivolgere nuovamente gli occhi verso di lei. Fece un passo in avanti, verso di lei e con due dita le alzò il mento, immergendo gli occhi in quelli verdi della ragazza. Vedere quella
tristezza nelle iridi gli fece male. Si odiava, perché ne era la causa. Durò un istante poi
lasciò cadere il mento di lei, tornando ad indossare la maschera di ragazzo arrogante. 
 
Il tempo era come se si fosse arrestato di colpo, ancora una volta. O forse era lei che non riusciva più a trovare una spiegazione a quell’assurda situazione e semplicemente
annullava i suoi sensi pensando che in realtà fosse il tempo a fermarsi per lei. In realtà, lo sapeva bene, era lei che si stava annullando sotto il suo sguardo. Sotto il suo tocco lieve e caldo. Deciso, potente e carico di quello stesso amore che si stava ritrovando a provare per lui. Dannazione Lily, sei una stupida! Probabilmente lo era. Perché nessun amore avrebbe potuto vivere in eterno eccetto il loro, eppure lei stava mandando all’aria ogni cosa. Ma era difficile fidarsi di lui, difficile credere che tra tante lui volesse proprio lei. Lei che era quel brivido che gli percorreva da mattina a sera. Che era il desiderio di vedere il mondo solo per poterglielo raccontare. Si passò entrambe le mani tra i capelli rosso fuoco, chiudendo gli occhi e assaporando un po' di quiete apparente. Avrebbe voluto annullare entrambi, fidarsi e trovare riparo tra quelle sue forti braccia. Ma tutto le
sembrava una barzelletta mal raccontata. Perché Lily Evans e James Potter insieme erano questo: una barzelletta. Mille emozioni contrastanti in lei ed una sola cosa aleggiava nella mia testa: tutto quello le sembrava un carnevale di fiducia.
Oh Lils!
Quante volte il suo cuore aveva sussurrato il nome del suo salvatore nel momento del
bisogno? Quante volte, pensando a James, aveva assaporato il peccato, ricordandosi il desiderio dell’implicazione, dell’insinuazione della malevolenza? Quante volte, in silenzio, lo aveva amato? E in quel momento – davanti a lui – non poteva più giacere tranquilla in tutto quel caos, prima che il suo cavaliere armato, stringesse d’assedio il suo cuore per ucciderlo.
“Se dobbiamo fare questa cosa, sbrigati. Ho gli allenamenti, dopo.” Sbottò James
interrompendo i pensieri della ragazza. Voleva che si avvicinasse di nuovo, non gli
piaceva quella distanza tra loro. Voleva che nutrisse il suo cuore, perché era assetato dal suo amore mentre la sua Dea interiore danzava sotto i colpi del suo cuore. Si, voleva che
nutrisse il suo amore perché senza il suo amore, il cuore di James non sarebbe stato nulla. Solo un organo privo di vita.
Lily voleva andarsene via. Allontanarsi il più possibile da quella situazione ed evitare ogni contatto con lui. Sarebbe stato un gioco da ragazzi evitare il fallimento nel momento in cui i veri sentimenti si sarebbero svelati. Sarebbe stato tutto in nome di un atteggiamento sbagliato e di cose di cui non avevano bisogno. Perché loro due non avevano bisogno di stare insieme. Non era quello che il destino aveva riservato loro. Lo guardava, il suo cuore batteva, e l’unica cosa che aveva in mente era il desiderio incontrastato di non avere nessun disastro che alla fine li avrebbe toccati entrambi – nel profondo. Avrebbe lacerato le loro anime, i loro cuori, la loro carne. Li avrebbe solo disintegrati. Il suo amore per lui era disintegrazione pura. Non voleva cedere, mai. Perché semplicemente non voleva
rovinare tutto. Lei inevitabilmente rovinava tutto ciò che toccava. Ne erano la prova
lampante, Petunia e Severus. Se entrambi la odiavano, forse il male era lei. Ma aveva un così disperato bisogno di lui che si sarebbe fatta bastare tutto.
All’affermazione del ragazzo lo fulminò con lo sguardo mentre uno schiaffo riempì l’aria gelida circostante. Resasi conto del gesto fatto, si portò la mano rossa e pulsante – chiusa a pugno – alla bocca. Che diavolo aveva fatto?!
“Non ti azzardare mai più a baciarmi, perché ti giuro su Silente potrebbe essere l’ultima cosa che farai!”.
 
James la guardò, così piccola sotto ai suoi occhi e in un certo senso anche indifesa che avrebbe semplicemente voluto stringerla a sé e dirle che andava tutto bene, che avrebbe sistemato tutto, che avrebbe... Già ma che cosa poteva fare? In fondo era colpa sua, era sempre stata colpa sua. Tutto quello che avveniva tra di loro era colpa sua anche se non lo avrebbe mai ammesso. Passò una mano tra i capelli, facendo un passo indietro come se lei, immergendo le mani tra i suoi di capelli, di fronte al gesto di lui e alle sue parole, lo avesse colpito. Lo aveva colpito come se lei gli avesse dato uno schiaffo
facendolo sentire colpevole. E stupido. Ma, in fondo, l'unico modo che aveva sempre per trattare con le ragazze ero quello che usava con lei. Era sbagliato, lo sapeva, trattarla come trattava tutte le altre persone perché lei era diversa da tutte le altre ragazze con le quali avrebbe mai voluto uscire. Lo sapevano tutti, tutte le persone che, per lo meno, per lui contavano.


 
Fissava il fuoco che giocava nel caminetto della sala comune di Grifondoro con quegli occhi persi nel vuoto come se stesse cercando di comprendere qualche segreto che gli sfuggiva ogni volta. In realtà stava cercando semplicemente di seguire con lo sguardo i capelli rossi di Lily che erano appena spariti su dalle scale. Avrebbe semplicemente voluto seguirla, immergere le mani tra i suoi capelli, sotto la sua maglietta, sollevarla e stringerla a sé, baciarla come se non ci fosse un domani e invece avevano appena litigato.
"Che cosa c'è che non va, Romeo?" Non si era neppure reso conto che Sirius era entrato in sala comune e la sua voce lo aveva scosso leggermente spingendolo a scuotere la testa e a passare una mano tra i capelli.
"Niente"
"Non è vero"
"Niente" Passò una mano tra i capelli voltando gli occhi verso quelli del migliore amico.
"Lily" quella di Sirius non era una domanda. "Cosa hai fatto?"
"Perché deve sempre essere colpa mia?"

 

Perché era colpa sua, perché ogni singola volta era colpa sua, perché la amava ma
faceva di tutto per ferirla perché, forse, dicendole la verità si sarebbe ferito a sua volta. Continuò a fissarla attendendo che Lily dicesse o facesse qualcosa ma anche lei rimase immobile e anche se James non lo poteva sapere, rimase ad inseguire dei ricordi come quelli che stavano massacrando e
divorando la sua memoria. E poi un rumore sordo si propagò per la stanza. Fu quello, ciò che sentì prima di ogni altra cosa: non il dolore, non la reazione di lei, non la
consapevolezza che lei gli aveva appena tirato uno schiaffo, no, solo il rumore sordo e pieno della mano di Lily contro la sua pelle e poi arrivarono il dolore -più che altro quello psicologico della consapevolezza che lei non provava per lui la stessa cosa- e le parole dell'altra Grifondoro. Alzò le mani in segno di resa, allontanandosi ancora da lei anche se quello che avrebbe voluto fare era l'esatto opposto. “Va bene, hai ragione. Ora
muoviti.” Concesse. Non ci credeva davvero ma di colpo la presenza di Lily era diventata qualcosa di troppo e quella stanza troppo piccola e vuota per entrambe.
 
Sapete cos'è l'amore vero? Avete mai amato così profondamente, da condannare voi stessi per l'eternità? - Io l'ho fatto!
 
Per tutte le volte che aveva visto Potter in compagnia di ragazza, pensava di essersi
spezzata. Di aver spezzato il suo cuore, la sua mente e la sua anima. Ma solo in quel
momento – con lui davanti – capì che lui non l’aveva spezzata. Stava ancora
combattendo per la pace tra mente e cuore. Tra ragione e sentimento.
“Sai James…” azzardò mentre il suo cuore faceva tante capriole e la sua mente urlava a caratteri cubitali che no, non doveva parlare perché avrebbe finito per fare un casino. lo aveva pure chiamato per nome, era così stupida. Si sentiva una stupida. “Tu puoi farmi tutto quello che vuoi. Tutto quello che ti possa dare modo di vantarti con i tuoi amici, o i tuoi fan o quello che vuoi okay? Puoi fare tutto!” sputò avvicinando a lui così tanto da sentire il suo respiro sulla pelle. Faticò a continuare ma lei era Lily Evans ed era orgoglio puro. “Non mi tocca, non mi toccherà mai. Perché io ho la pelle dura e un cuore elastico. Sono come un elastico fino a quando tiri troppo. Potrei spezzarmi e muovermi veloce ma sappi, che non mi vedrai mai cedere. Non vedrai mai cedere il mio cuore, perché quello è elastico!”
Voleva solo andar via da quell’aula. Andare nel suo dormitorio ed infilarsi a letto anche solo per restare sveglia attraverso quella notte buia. Non avrebbe chiuso occhio.
Guardava James e l’unica cosa che pensava era che poteva sopravvivere anche senza di lui. Camminare attraverso il fuoco pur di salvare la sua vita. Ma voleva James! Lo
voleva così tanto nella sua vita. Stava facendo tutto quello che poteva, perché era difficile perdere qualcuno che in teoria aveva già scelto. Perché lei, James lo aveva scelto. Lo avrebbe sempre scelto. “Vattene Potter, finirò io la tua pozione per Lumacorno!”. Ed era sincera. A quel punto lo voleva solo più lontano possibile da lei e dal suo cuore elastico.
James scosse la testa solo una volta quindi sollevò ancora gli occhi sul volto tanto amato di Lily ammirando le sue labbra carnose e desiderando di baciarla nuovamente con
passione. “No, non posso... C'è una cosa che non posso fare.” rispose, alzandosi e voltandosi, dirigendosi verso la porta. L'unica cosa che avrebbe davvero voluto fare, amarla, non era possibile perché lei non lo amava. Eppure era convinto che fossero fatti per stare insieme, nonostante tutto. “Ci vediamo, Evans” Commentò recuperando la sua tracolla e lasciandola passare intorno al collo. Non voleva davvero andarsene ma che cosa poteva fare, in fondo? Non voleva lasciarla lì sola, voleva restare con lei ma non voleva neppure ferirla e non voleva neppure essere ferito. Andarsene era l'unica opzione ma non per questa era la meno dolorosa.
Fu solo quando James voltandosi uscì dalla stanza che Lily sentì come se lui fosse andato via portandosi con sé il peso dell’abbandono. Alla fine era riuscita nel suo intento,
allontanarsi da lui. Perché allontanarsi da lui, da quel sentimento troppo forte per entrambi era il suo unico scopo in quella – ormai misera – esistenza. Ma quando i suoi occhi non incrociarono più la sua sagoma in quella stanza buia capì che non poteva più perdere tempo. Aveva bisogno di lui ancora più vicino. Non riusciva a spiegarsi ma un giorno senza James al suo fianco stava diventando frustrante come un anno senza pioggia. Quando non c’era le mancava tanto, e quando lui era con lei, aveva bisogno di aiuto per uscire da quel suo sguardo che la incatenava a lui – ancora e ancora. L’unico modo per vivere a stretto contatto con i sentimenti che provava per lui era quello di
allontanarlo, non conosceva altri modi. Quell’amore li avrebbe distrutti, sapeva solo questo. Il suo cuore già sentiva la nostalgia, divenne arido come un oceano secco o come le sue gambe che stavano cedendo. Aveva bisogno che qualcuno la prendesse, la
sorreggesse. E mentre lui si allontanava, lei lottava contro la voglia di raggiungerlo.
C’erano stati giorni, in cui sia James che Lily, si erano voltati indietro malinconici, stanchi di sentire il rumore delle loro stesse lacrime. Nervosi perché i loro migliori anni se ne stavano andando lasciandoli vuoti, terrorizzati senza potersi specchiare l’uno negli occhi dell’altra. E alla fine, cadevano a pezzi, indifesi e arrabbiati. I loro cuori, si erano disintegrati senza che loro potessero fare niente.
 
 
 
 
 
La prima volta che i malandrini furono messi a conoscenza del piccolo problema peloso di Remus cercarono un modo per stargli vicino. Durante una delle primissime lune piene, Remus dovette sforzarsi molto per far sì che quei matti non lo seguissero. Una notte di luna piena, Sirius, James e Peter – sotto il mantello dell’invisibilità di James – si accucciarono
sopra la botola del passaggio segreto per la stamberga strillante, presente nel platano picchiatore. Fu la notte più brutta della loro vita. Fu questo che spinse tre studenti del quinto del secondo anno a diventare Animagi. Il primo a riuscirci fu James, seguito a ruota da Sirius. Peter ci mise un po' più tempo ma adesso ad ogni luna piena, nella foresta
proibita, un lupo – un cervo – un cane e un topo giocano felici. Fu il loro regalo alla
nomina di Prefetto di Remus.
Felpato gli afferrò l’orecchio trascinandolo più in basso. Il lupo ringhiò cercando di
divincolarsi. Il lupo sapeva che era un gioco: il cane lo mordeva delicatamente, lo
lasciava andare, correva un po' per la stanza e lo guardava scodinzolando. Il lupo però non sapeva perché lo facesse. L’umano che lo imprigionava sembrava lasciarlo uscire tranquillamente quando c’era quel cane, e stava lì a guardarlo sorridente. Odioso. Lui
poteva vivere ogni giorno mentre lui usciva una volta al mese. Eppure quando c’erano quegli animali lui stava lì tranquillo, non gli diceva di calmarsi, era seduto in un angolo della sua anima attendendo di tornare in sé stesso, perché il lupo sapeva che aveva poco tempo: una notte, una notte appena e poi sarebbe stato lui quello rinchiuso in un angolo.
Il suo odiato umano… sì, suo eppure odiato: suo perché suo era il corpo che lo lasciava uscire, odiato perché lo rinchiudeva da sempre. Il suo odiato umano doveva conoscere quel cane, perché a volte lo sentiva sussurrare un nome: “Felpato”. Era strano quando c’erano il cane, il cervo e il topo si dimenticava della fame e si sentiva bene. Forse era quello il suo branco? E i lupi che ululavano lì fuori? Forse loro non c’entravano nulla con “Il” branco.
Il lupo ricordava ancora quando aveva cercato di mangiare quel piccolo topo, l’odioso umano, lui l’aveva supplicato. “Codaliscia è qui per farti compagnia, non mangiarlo, è qui per noi, per aiutarci…” era stata la prima volta che l’umano aveva parlato al lupo come se fossero la stessa cosa, ed era cominciato a diventare meno odioso…
Il cane continuava ad istigarlo al gioco, il lupo stava per accettare: si era alzato e si stava sgranchendo le zampe, quando il cervo morse la coda al cane. Se un lupo avesse potuto ridere, lo avrebbe fatto. Il topolino sgusciò da sotto un mobile arrampicandosi sulla testa del cervo, il cane ringhiava arrabbiato ma divertito.
Il lupo sentì l’umano parlargli, la nella sua testa.
“Loro sono nostri amici…”
Era ciò che gli ripeteva ogni notte e il lupo sapeva che quei tre avrebbero giocato con lui, senza paura dei denti, come in un branco.
 
 
 
 
SPOILER PROSSIMO CAPITOLO:
Li aveva osservati Tom, li aveva osservati bene, tanto e senza perdersi nessuna
sfaccettatura di quella gente. Era stato addestrato bene. Era questo ciò che pensava mentre attendeva – camminando avanti e indietro – i suoi nuovi ospiti, in quella che era diventata la sua dimora. Non aveva bisogno di comodità, non aveva bisogno di niente che potesse servirgli. Voleva vendetta, voleva potere. Voleva il mondo magico e non, su un piatto d’argento. Il piano era semplice, aspettare finché non fosse stato annunciato dai grandi esponenti del bene mentre perdevano le loro grazie. Voleva che tutti
conoscessero le sue imprese, che tutti assaggiassero la sete di potere che bramava da anni. Da quando Silente – togliendolo da quell’orfanotrofio – aveva dato vita al suo istinto omicida.
 
 
 
 
 
  
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