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Autore: Lacus Clyne    16/01/2022    2 recensioni
Pochi mesi sono trascorsi dalla conclusione del caso che, per efferatezza e implicazioni, ha sconvolto le vite degli agenti del V Dipartimento, cambiandole per sempre. Per Selina Clair, medico legale e "sorella maggiore" della squadra, una vacanza di gruppo è quanto mai necessaria per rilassare le menti e rinsaldare i legami. Può mai un'innocente vacanza portare con sé più sorprese, drammi e riflessioni di quanto si possa immaginare?
Attenzione: Dark Circus: the most precious treasure è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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◊I◊







– Dunque, alla fine… hai parlato o no con la prozia Portia? –

La domanda di Elizabeth mi ricordò del fatto che non avevo avuto letteralmente il tempo per raccontarle come fosse andata a finire. Nei giorni che erano seguiti, il lavoro ci aveva tenuti particolarmente impegnati, ma in quel momento, comodamente sdraiate su delle sdraio con vista piscina e drink di cui avevo praticamente dimenticato il sapore, mi sembrava di aver lasciato il mondo alle spalle. Mi voltai appena verso la mia migliore amica che sorseggiava un analcolico, dato il suo stato interessante, e abbassai appena gli occhiali da sole. Era praticamente metà settembre e si stava ancora divinamente.

–  Ovviamente no, altrimenti sarei stata ancora al telefono con lei. Ho parlato direttamente con il suo maggiordomo, però. Sembra che ultimamente la cariatide abbia qualche problema d’udito e pertanto ha delegato le udienze… finalmente. – spiegai, sorridendo.

Elizabeth fece altrimenti, ma con più sorpresa. Da quando il caso del Mago si era concluso e aveva parlato con Max della gravidanza, era nuovamente felice. Solo il cielo poteva sapere quanto mi fosse mancato il vederla così vitale. Portò la mano al ventre, sistemando il pareo fiorato che ne celava una lieve rotondità. – Meglio così, allora. Ed è bello, per una volta, trascorrere qualche giorno tutti insieme, in pace. –

Convenni, notando che osservava il bordo piscina. Mi voltai a guardare anch’io. Erano anni che non vedevo Marcus, Alexander e Maximilian sorridere così come stavano facendo e chiacchierare con tanta complicità. A distanza, non potevamo ascoltare, ma conoscendoli, il discorso doveva star vertendo su quali potessero essere i migliori passatempi per impiegare il tempo di una vacanza di cui probabilmente avevano cominciato a realizzare la necessità, al di là di quelli offerti dal resort. E, poco più in là, Kate, la sua amica Lucy e Jace, i tre più giovani, sguazzavano in piscina insieme a Nicholas, entusiasta come non mai. Fu lui che mi soffermai ad osservare. Il mio bambino che tanto aveva sofferto da piccino. Mi si strinse il cuore.

– Perché non li raggiungi? – mi chiese Elizabeth, all’improvviso.

– Eh? Ah, ecco… è che non mi va di bagnare i capelli… almeno non adesso. Magari più tardi ci farò un pensierino. – farfugliai, indicando il mio chignon. Avevo capelli piuttosto corposi, che generalmente erano un vanto per me dato che mi consentivano di acconciarli in più modi con facilità, ma quando li bagnavo, rischiavo il disastro. Elizabeth inarcò il sopracciglio, poi si puntellò sul fianco e le onde mosse castano chiaro le incorniciarono il viso.

– Se non ti conoscessi come le mie tasche ci crederei. Si può sapere cosa succede? –

Mi sfuggì un sospiro. – Non posso proprio nasconderti nulla, eh? –

– Non siamo amiche forse anche per questo? – mi fece eco, guardando verso la piscina e affilando gli occhi azzurri, poi si rivolse nuovamente a me. – Nicholas. –

Un ex marito e un attuale nuovamente fidanzato, nonché padre del suo secondo figlio, entrambi detective. Non c’era da meravigliarsi se avesse imparato qualche trucco. Elizabeth era sempre stata piuttosto recettiva e svelta ad imparare, sin dai tempi della scuola. Annuii.

– È tanto che desiderava poter passare del tempo con Kate, quindi non voglio mettermi in mezzo… –

Batté le lunghe ciglia. – E credi che non si divertirebbe se la sua mamma, formalmente nota come la Regina delle feste più esclusive e scandalose di Harvard, non giocasse a sua volta con lui? –

Sgranai gli occhi e mi venne da ridere. Erano anni che non sentivo quell’appellativo. Precisamente, da quando, ai tempi del Dark Circus, organizzavamo feste d’élite. Ovviamente, data la segretezza della confraternita, nessuno avrebbe mai potuto collegare la Regina alla brillante, ma riservata studentessa di Medicina, figlia del ben più noto professor André Clair. La dualità di mio padre, stimato e cordiale psichiatra in pubblico e totalmente privo d’amore e interesse per la sua famiglia in privato, in un certo senso mi aveva aiutato. E Alexander l’aveva notato, quando avevamo cominciato a frequentarci. All’epoca, era uno studente di Legge con, immaginavo allora, scarse ambizioni. Annoiato, ma sempre in cerca di qualcosa in più per capire se quella fosse realmente la sua strada. In qualche modo, simile a me, che cercavo in tutti i modi di allontanarmi dall’ombra paterna per trovare la mia.

Mi alzai. – Hai ragione. Vieni anche tu? –

Elizabeth sorrise e si alzò a sua volta. – Potrei mai perdermi il momento? –

Ridacchiammo e raggiungemmo i ragazzi a bordo piscina. Con l’eccezione di Alexander, che non si faceva problemi a mostrare il tatuaggio del Dark Circus sulla spalla e pertanto, era tranquillamente a dorso nudo, Maximilian aveva ancora indosso la camicia, così come Marcus, sebbene lui non avesse alcun simbolo addosso. Quando arrivammo, presi sottobraccio mio marito, che si voltò assieme agli altri e sorrise.

– C’erano una volta tre tritoni che giocavano a fare gli Adoni… – dissi, canzonandoli.

Maximilian tese la mano ad Elizabeth, mentre Alexander mi guardò di sottecchi e mi rivolse un sogghigno dei suoi. – Disse la sirena mancata. Vi stavamo aspettando. –

– Ma che cavalieri… –                            

– Non è vero. L’acqua è fredda e non hanno intenzione di entrarci. A una certa età, poi… – fece eco Kate, che si era avvicinata a nuoto. Nel sentirla, Alexander si voltò. – Devo ricordarti chi non voleva entrare in acqua a Sand Beach? –

Kate si mise a ridere, poi si tirò su e incrociò le braccia sul bordo della piscina. – Tu, ovviamente. –

– E nessuno dubita dell’onestà della dottoressa Hastings. – constatarono in coro Marcus e Maximilian.

Alexander rivolse un’occhiataccia a entrambi e si chinò, a poca distanza da Kate, che gli riservò un’espressione di sfida. Vederli finalmente insieme, dopo tutto ciò che avevano passato, era davvero rincuorante. Kate aveva perso il suo fidanzato la notte dell’operazione in incognito al Four Seasons Hotel. Per lungo tempo avevo cercato di darle supporto, affinché potesse tornare finalmente a sorridere alla vita. In lei, probabilmente, avevo finito col proiettare ciò che avevo sempre desiderato aver per me, quando nessuno si preoccupava di come stessi realmente. E Lex, che dopo il divorzio da Elizabeth aveva chiuso il suo cuore, aveva trovato in Kate la persona in grado di fargli credere di essere migliore di ciò che credeva… e di tornare ad amare e a fidarsi di qualcuno. E poi, dovevo ammettere che quei due stavano veramente bene insieme. Si dissero qualcosa sottovoce, poi Alexander si sporse per baciarla, ma Kate ne approfittò per attirarlo giù in acqua. Con buona pace degli schizzi e dei vari presenti che si ritrovarono ad assistere al siparietto, riemersero insieme poco dopo, fradici, con una trionfante Kate stretta tra le braccia di un mai così teneramente infuriato Alexander. Ci mettemmo tutti a ridere e Jace, che aveva Nicholas sulle spalle, si avvicinò a sua volta insieme a Lucy.

– Questo è quello che sarebbe accaduto a Ulisse se non si fosse fatto legare al palo. – disse.

– Chi è Ulisse, Jace? – domandò Nicholas, incuriosito.

– Un eroe antico che aveva viaggiato a lungo ed era conosciuto per la sua grande intelligenza e astuzia. – spiegò Marcus, che vantava una vera e propria predilezione per l’antichità classica e la letteratura, anticipando Jace, che sbuffò.

– Sei un guastafeste, Marcus. Capisco perché Laurie gira al largo ogni volta che ti vede. –

Alexander e Maximilian annuirono, sotto gli sguardi perplessi di Lucy, Kate e Nicholas, mentre Elizabeth si mise a ridere. – Non capita tutti i giorni di avere un fratello che non ne sbaglia una. –

Mi ritrovai a convenire, pensando a quante volte il povero Lawrence si era sentito messo in ombra. In realtà, se Marcus aveva sempre cercato di far del suo meglio, Laurie tendeva a patire un confronto involontario. Ad occhi estranei, la famiglia Howell era una delle più prestigiose famiglie di Boston, per signorilità e per ricchezza. E, in fin dei conti, lo era. Eppure, non potevo non pensare che, come ogni famiglia, anche la loro aveva i suoi problemi. Guardai Marcus, ripensando alla prima volta in cui l’avevo incontrato.

All’epoca, mancava poco alla fine dei nostri percorsi di studio e, senza che lo sapessi ancora, alla fine del Dark Circus. Avevo raggiunto Alexander nell’aula ad anfiteatro in cui era rimasto dopo aver seguito una lezione. Lo vedevo di rado studiare, ma sapevo molto bene quanto fosse portato, a dispetto dell’apatia. Era un attento osservatore, ma impulsivo. Sollevò lo sguardo nel vedermi arrivare e sorrise, nel comunicarmi di aver messo gli occhi su qualcuno che avrebbe potuto far parte della nostra cricca e che, a suo dire, sarebbe stato una sorta di punta di diamante. Quando mi comunicò che si trattava di Marcus, non potei non nascondere il mio disappunto. Avevo di recente scoperto, d’altronde, che la madre, Agnes Howell, era una paziente di mio padre, a causa di una profonda depressione subentrata in seguito alla morte per incidente del marito Albert, stimato chirurgo del MGH, quando Marcus era poco meno che sedicenne.

All’epoca, la pressione mediatica e della famiglia, unita all’avere due figli di undici e sei anni, oltre al primogenito, aveva finito col distruggerla. Lentamente, Agnes aveva finito col chiudersi al mondo, trascurando i suoi doveri di madre e obbligando, inconsciamente, Marcus ad occuparsi anche dei fratelli minori, senza contare la gestione del ramo finanziario Howell Holding, del cui consiglio d’amministrazione lei ed Albert erano soci di maggioranza. Nel tempo, la depressione l’aveva alienata, al punto da necessitare di un periodo di soggiorno nella clinica gestita da mio padre.

Era stato durante una delle visite di Marcus che l’avevo conosciuto. Aveva ventisei anni allora. Ricordavo ancora come fosse accaduto soltanto il giorno prima di averlo visto seduto nella sala d’aspetto, con le mani incrociate, l’anello di famiglia al dito, i capelli castano scuro mossi che gli adombravano viso, celando la sua espressione. Eppure, la postura la rivelava perfettamente. Quel che desideravo non ricordare era il motivo per cui mi trovavo lì, dato che aveva a che fare con qualche esame particolarmente ostico e la consultazione di manuali specifici che mio padre aveva con sé nel suo studio, luogo che non frequentavo che molto di rado. Mi affrettai ad attraversare il pavimento in parquet pregiato black cherry con i testi in mano, quando Marcus alzò lo sguardo, rivelando per la prima e unica volta, un lucido brillio di preoccupazione negli occhi scuri. Inciampai nei miei stessi passi e i libri mi caddero per terra, tanto più che mi dovetti piegare per riprenderli, non riuscendo a trattenere un Sacrebleu!. Generalmente non parlavo più in francese se non quando sentivo mia madre, ma alle volte, dei lapsus accadevano. E, in quel caso, con l’addio alla mia intenzione di sparire da lì il prima possibile senza dare nell’occhio. Marcus si alzò e mi raggiunse, per aiutarmi. Tutto bene? Si è fatta male?, mi aveva chiesto, cortesemente. N-No… solo… sono solo i libri…, avevo risposto, biascicando e affrettandomi a riprenderli. Lui aveva in mano un manuale di anatomia cerebrale e aggrottò le sopracciglia. Mi ritrovai a pensare che probabilmente mi aveva scambiato per qualche tirocinante del dottor Clair. Sospirai, mentre ci rialzavamo entrambi e mi passò il volume, che presi. Mi scusi per la figura… le auguro una buona giornata, dissi, congedandomi. A lei, miss Clair, rispose, con un cenno del capo che mi fece corrucciare. C-Come? Non mi sono nemmeno presentata…, protestai. Al che, sul suo viso spuntò un accennato sorriso. Non è difficile, quando si osserva. Somiglia a suo padre… e la sua imprecazione in perfetto francese… Battei le palpebre, arrossendo e vergognandomi come una ladra. Deglutii e mi sforzai di sorridere. In realtà avrei voluto prenderlo a schiaffi per avere osato paragonarmi a mio padre, ma d’altro canto, non poteva certo sapere i miei trascorsi. Arrivederci, signor Howell, ribattei, inarcando il sopracciglio e indicando il suo anello, per poi girare i tacchi e allontanarmi prima che potesse dire altro… dal mio primo e fatidico incontro con l’uomo di cui, senza nemmeno rendermene conto, mi sarei presto innamorata. E quel ricordo si sommò a quello di Alexander che sorrideva, sornione, nel chiedermi di pazientare. Già… avevo dovuto imparare ad essere paziente. Lo richiedeva la mia professione, così come lo richiedevano il mio ruolo di moglie di Marcus e soprattutto… di mamma di Nicholas.

– Selina? – la voce di Kate mi riportò alla realtà.

Battei le palpebre, ritrovandomi gli sguardi di tutti addosso.

– Tutto bene? – chiese Marcus, posandomi la mano sulla spalla. Prontamente, portai la mia sulla sua e annuii.

– Stavamo pensando di raggiungere la spiaggia. Da qui dista pochissimo, si gode una vista decisamente migliore e poi abbiamo spazio per giocare. – spiegò Alexander.

– Va bene, andiamo pure. – mi trovai a convenire, dato che tutti, Nicholas in primis, avevano già deciso. Felice, mi riservò un abbraccio fradicio.

– Grazie!! – esclamò, con un sorriso enorme, che ricambiai.

– Ti va di… –

– Papà, poi facciamo dei tuffi nell’oceano?? – domandò senza ascoltarmi, rivolgendosi a Marcus, speranzosissimo. Marcus mi rivolse uno sguardo prima di dargli risposta. Notai che aveva per un istante cambiato espressione, poi si voltò verso Nicholas e annuì. – Però a patto che si rimanga nelle vicinanze, eh? Non vogliamo certo far preoccupare la mamma, no? –

Nicholas assentì con gran serietà, poi ci prese entrambi per mano e tutti insieme ci recammo alla Children’s Beach, poco lontano.

Litorale lungo e ampio, poca gente nei dintorni e, a distanza, un faro storico dell’isola. Il sole rendeva tutto ancor più piacevole, anche se, in fondo al cuore, non riuscivo a bearmi del tutto di quel calore. Era quasi come se ci fosse una parte di me che fosse troppo lontana per essere riscaldata del tutto.

Osservavo i miei amici chiacchierare tra loro, con complicità e naturalezza e guardavo Marcus, il cui profilo restituiva l’immagine di chi conosceva i miei tormenti, ma sapeva bene di non poter far altro in quel momento. Semplicemente, mi rivolse uno sguardo comprensivo e un sorriso che mi ricordava di aver ancora pazienza. Da quando Nicholas era entrato a far parte della nostra famiglia, l’aveva chiamato papà sin da subito, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ero felice per entrambi.

D’altronde, a causa mia, e quella era e sapevo che sarebbe stata sempre fonte di dolore per me, Marcus non sarebbe mai diventato padre di un figlio realmente suo. Quando avevamo scoperto che la probabilità di diventare madre naturalmente per me era bassissima, ero sprofondata in un abisso di impotenza e depressione. Avevo cercato persino la rottura. Non volevo che gli fosse negata quella gioia. Eppure, davanti al ginecologo, non aveva battuto ciglio, né l’aveva fatto davanti alla mia irremovibilità, quando gli avevo urlato contro di voler chiudere la nostra relazione. Ero convinta che quel suo stoicismo fosse una sorta di corazza che aveva eretto per proteggersi dal dolore, a causa di tutto ciò che aveva vissuto nel passato. In realtà, era proprio parte del suo essere ma, diversamente da quanto avessi mai pensato, anche lui era in grado di sconvolgersi.

Era accaduto quando entrambi eravamo rimasti coinvolti in una rapina a mano armata presso la Central Bank accaduta quando lui era assistente del precedente Procuratore. Allora, dando prova di senso pratico, scaltrezza e un’inattesa faccia tosta, aveva contrattato con gli assalitori per far evacuare i presenti. A dire il vero, nel vederlo offrirsi spontaneamente facendo leva sul suo nome e sui benefici che essi avrebbero avuto da un ostaggio del suo calibro, mi aveva fatto venire un accidente, salvo poi dovermi far animo e tirare fuori il mio lato più sfacciato nel realizzare che ad una donna presente tra gli ostaggi, a causa della tensione e della paura, si erano rotte le acque. Lì era toccato a me far fronte comune contro un ostinato idiota in mitra, assieme ad un incredulo Marcus che, a quanto pareva, non si aspettava di aver a che fare con qualcuno che aveva ben altro carattere rispetto alla quieta apparenza. Ricordavo con una certa soddisfazione un certo battibecco che si era concluso con una convincente minaccia di trasformare la banca in una sala parto da parte della sottoscritta e con l’ordine da parte di Marcus di garantire una necessaria e provvidenziale privacy alla partoriente, elemento che aveva permesso a lui di continuare la contrattazione e, al tempo stesso, a me di contattare Alexander che, da quel che sapevo, aveva dei contatti stretti con qualcuno di importante in Polizia.

Nell’arco di un paio d’ore, Marcus aveva ottenuto di evacuare gli ostaggi e aveva preso tempo per far sì che Lex organizzasse il tutto e la Polizia agisse in segreto e io, tramite tra i due, avevo nel mentre aiutato una donna a far nascere la sua bambina. Il ricordo della SWAT che entrava dal caveau e metteva in sicurezza l’interno, Marcus che, conoscendo già il gruppo, faceva in modo di coordinare il tutto senza che gli assalitori sospettassero nulla e l’adrenalina dell’azione finale, mentre la piccola Josette veniva al mondo al sicuro… una folle giostra di emozioni, eppure una su tutte, quando Marcus, dopo la cattura dei criminali, ci raggiunse nell’archivio in cui ci eravamo nascoste. Per la prima volta, io sporca di sangue, sudore e con quella piccina stretta tra le braccia, lui stravolto, mentre ci guardavamo, lo vidi preda di emozioni indicibili. E, su tutte, mi chiesi se tra quelle, che anch’io provavo, vi fosse quella che più mi ritrovavo a desiderare. Mi rivolse un sorriso che mai avrei dimenticato e poi si lasciò andare a un sospiro di sollievo, prima di crollare sulle ginocchia, decisamente tanto esausto e sconvolto quanto lo ero io stessa.

Ricordavo che qualche ora dopo, quando tutto ormai si era concluso per il meglio, mi disse delle parole che non mi sarei mai aspettata. Dunque sei così davvero, eh? Non hai battuto ciglio quando hai visto quei balordi irrompere… hai mantenuto il sangue freddo come se per te fosse normale avere a che fare con eventi del genere. E, in mezzo a tutto quel delirio, hai fatto nascere persino una bambina. Avevo sorriso, a quelle parole. Non dimenticare che è grazie a me se il rampollo di una famiglia importante di Boston è sano e salvo. Fece spallucce. Non che solitamente faccia sfoggio di ciò… ma se si tratta di proteggere degli innocenti e ristabilire la giustizia, non ho paura di nulla. Sgranai gli occhi, nel sentirlo parlare con tanta determinazione. E mi sovvennero le parole di Alexander, quando mi disse che lui sarebbe stato la punta di diamante del Dark Circus. Da qualche tempo, era ciò che anche lo stesso Alexander stava cercando di fare, da quando aveva scoperto che Richard Kenner stava cospirando con alcuni corrotti, di cui ancora non aveva ancora scoperto tutte le identità, per ottenere dei conti ubicati in paradisi fiscali e farla franca, colpendo indistintamente coloro che avrebbero beneficiato di quel denaro e che, in quel modo, avrebbero subito gravi danni. Marcus Howell… chi sei davvero?, avevo domandato, ottenendo per risposta un’occhiata divertita. Dovrei essere io a chiedere a te chi sei, Céline Clair. Ma non lo farò. Quando sarai pronta a dirmelo, sappi che ci sarò. E… anzi, se dovessi pensare a cosa fare in futuro, sebbene l’immagine di te che hai quella neonata tra le braccia sia quanto di più bello e sacro abbia visto oggi e mi basterà a vita… mi farebbe molto piacere se considerassi l’idea di entrare in Polizia. Sto creando il mio team e averti nel mio entourage sarebbe alquanto gradito. Non seppi cosa rispondere. Aveva capito molto più di quanto cercava di darmi a bere e, al tempo stesso, mi aveva teso la mano, con quella proposta. Eppure, mi ritrovai a desiderare qualcosa di più personale. Quel qualcosa che, anni dopo, sarebbe stato fonte di dolore, nel rendermi conto di aver fatto molto di peggio che prendere la sua mano.

Mi era capitato spesso, nei momenti che erano seguiti alla diagnosi di endometriosi severa, di pensare a cosa sarebbe accaduto se non avessi mai accettato la sua offerta… alla fine, non avevo fatto altro che aggrapparmi a lui, in un certo senso, come avevo fatto con Alexander, ma senza quell’incoscienza che il passato aveva portato con sé.

Marcus non si era scomposto allora, ma aveva elaborato il tutto nel solo modo che conosceva: un’intima riflessione e, in quel silenzio, alla fine, davanti alla mia richiesta di rottura, mi aveva confessato che non aveva mai realmente desiderato diventare padre. La morte del suo e tutto il carico che ne era derivato l’avevano segnato in un modo che nemmeno potevo immaginare. Per la prima volta da quando lo conoscevo, aveva rivelato tutto ciò che davvero albergava realmente nel suo cuore… e mi ero resa conto di quanto anche lui, pur se per motivi differenti, fosse danneggiato. E, alla fine, entrambi ci eravamo fatti forza, trovando quella via di mezzo che avrebbe conciliato i nostri desideri. Almeno, fino a che Nicholas non aveva sconvolto ogni cosa, guarendo entrambi.

– Propongo una sfida a beach volley! Due contro due. A meno che non vogliate partecipare anche voi. – la voce di Alexander risuonò nell’aria distogliendomi dai pensieri, mentre indicava il posto perfetto, verso la riva, e poi noialtre.

Elizabeth fece cenno di no, Kate si accodò per gustare meglio il match, mentre Lucy si offrì di fare da arbitro. Personalmente, ero sempre stata più tipo da danza, motivo per cui mi limitai ad augurare loro buona fortuna. Alexander ci dette l’ok, poi si rivolse nuovamente ai ragazzi.

– Sul serio? Guarda che se rimani secco poi non devi lamentarti, eh? – rispose Maximilian, inarcando il sopracciglio con l’aria di chi sapeva con chi avesse a che fare.

– Non preoccuparti di questo… perché Jace e io facciamo squadra. Vero, Jace? – fece eco Alexander, rivolgendogli un’occhiataccia che non ammetteva opposizioni.

Jace guardò Marcus con fare pietoso, prima di accettare. – Scusa. Sarebbe capace di farmi lavorare anche in pausa. –

Marcus gli riservò uno sguardo perplesso.

A dire il vero, tutto si poteva dire di mio marito tranne che fosse interessato agli sport. Dal momento che la sua vita si alternava tra lo star seduto dietro a una scrivania e gli impegni istituzionali che non erano particolarmente d’aiuto, anche se avesse voluto, non avrebbe avuto nemmeno il tempo necessario.

– Perché Alexander vuole Jace in squadra con lui? Pensavo che facesse squadra col detective Wheeler… – osservò Kate.

Elizabeth sorrise divertita. – Perché, contrariamente a quanto possa essere pantofolaio ora, Jace è stato un asso della pallavolo ai tempi del college… almeno prima che fosse cacciato… e non tanto per forza fisica, quanto per capacità di previsione. E Alexander lo sa bene. Anche se Max sa come dare del filo da torcere… –

– Oh… allora… Alexander, cerca di darti da fare e non abbassare la guardia! – esclamò Kate, ottenendo in risposta un assenso compiaciuto da parte di Lex.

Sospirai, guardando Marcus che stava per recarsi da Max. Per quanto fossi affezionata alla nostra psicologa, c’era qualcosa di più importante in ballo e aveva a che vedere con Nicholas, che guardava sia Alexander che Marcus con aria combattuta. Mi chinai accanto a lui e gli accarezzai il visino. – Perché devono giocare separati? So che devo fare il tifo per papà… però così Alexander ci rimane male… –

Sorrisi. – Puoi fare il tifo per chi vuoi, tesoro mio, a prescindere dalla squadra in cui milita. E comunque è un match informale, giusto per divertirsi un po’. –

Nicholas annuì, ma non mi sembrò particolarmente convinto. – Però… –

– Mhh… vediamo cosa si può fare. – sussurrai, facendogli l’occhiolino e rialzandomi. – Posso chiedere un time out prima dell’inizio della partita? –

– Ovviamente no. – replicò seccamente Alexander e gli scoccai un’occhiataccia.

– Arbitro? – mi rivolsi a Lucy, ignorandolo.

– Accordato. – mi rispose la ragazza di Jace.

– Arbitro!! – protestò Alexander.

– Prima che faccia io le squadre e non credo che le convenga, detective Graham… è meglio che obbedisca. – rispose con tono solenne e minaccioso, per poi cambiare registro. – Ah, potere decisionale… che bella cosa! Potrei abituarmici! – esclamò saltellando, in un modo che fece ridere noi e sbottare Lex, che si voltò verso di me, con fare impaziente.

– Tu. Marcus. Io. Ora. – dissi, facendo cenno a entrambi di raggiungermi, poco più dietro. Entrambi si guardarono, poi ci appartammo per qualche istante, mentre i ragazzi finivano di predisporre il campo e le ragazze parlavano con Nicholas.

– Per quanto in passato fossi lusingato dall’idea di una cosa a tre, mi pare che comunque noi abbiamo superato da anni quella fa--   

Né Marcus né io permettemmo a Lex di terminare la frase, rispettivamente, con uno sguardo truce il primo e con una tirata d’orecchio la sottoscritta. – Adesso ascoltate, tutti e due. Non importa che perdiate o vinciate… Nicholas si aspetta che suo padre e il suo padrino facciano squadra insieme… e voi non volete deluderlo. Vero? – mi assicurai di far ben capire il messaggio al secondo tirandogli l’orecchio con più forza.

– Ahh! Perdere con Marcus… ne va della mia reputaz--  

– Non ho capito. – insistetti.

– Così gli stacchi l’orecchio però… – osservò Marcus.

– Non sarà la sola cosa se non farà come dico. Non è così, Lex? Con tutti i favori che mi devi, sei fortunato che ti chieda qualcosa di così innocente. – bisbigliai, mollando la presa e guardandolo di sottecchi. Lui massaggiò l’orecchio.

– Credevo di essermi sdebitato ampiamente facendovi da Cupido in passato, quindi… –

– Niente affatto. Semmai fu merito mio l’averti portato Marcus, dunque… –

– Oh certo. Ma se fui io ad organizzare tutto. –

– Senza il mio aiuto non ce l’avresti mai fatta. –

– Scusate… –

– Comunque non ho intenzione di perdere clamorosamente. –

– Ma lo farai lo stesso. Per Nicholas. –

– Voi due… –

– Non puoi chiedermi questo… che esempio daremmo a Nicholas così? Le difficoltà si affrontano. –

– Disse quello che voleva vincere facile con Jace accanto. –

– Selina, Alexander? –

Entrambi ci voltammo verso Marcus, che sospirò esasperato. – Davvero credete che io sia una tale causa persa? –

Lex e io ci guardammo di nuovo, poi annuimmo. – Amore, sappiamo che non sei bravo negli sport… –

– E non hai il quoziente intellettivo di Jace, dunque… –

Il mio solitamente imperturbabile marito si adombrò, per poi incrociare le braccia e inarcare entrambe le sopracciglia, torreggiando su di noi e rivolgendo a entrambi un’occhiata intimidatrice alquanto eloquente.

– M-Marcus? –

– Bene. Se è questo ciò che pensate… lasciate che vi informi che non si diventa capo del corpo di Polizia senza un’adeguata preparazione fisica e mentale. Dunque, non sia detto che Marcus Ryan Howell non sia in grado di sostenere e vincere un semplice match di beach volley. Alexander, in quanto tuo superiore, questo è un ordine: sei in squadra con me ed entrambi porteremo a casa la corona della vittoria. –

A quelle parole, dopo un iniziale stupore, seguì uno sbuffo di risate da parte di entrambi. Marcus si accigliò e non arretrò, mantenendo un tono saldo. – Dico davvero. –

– Detto in quella tenuta, per uno che è sempre in giacca e cravatta… beh, questo è l’ordine più informale che abbia mai ricevuto in vita mia. E se proprio devo farlo, allora… se perdiamo, voglio casa a Cambridge. – disse Alexander, affilando lo sguardo.

– Scordatelo. Faresti di tutto per perdere di proposito. –

– No, ma sono realista. –

Sospirai. – Per una volta… non potete comportarvi come persone normali? –

– Disse quella che aveva preteso un cambio nelle squadre. –

Colta in fallo, misi una mano in faccia. – Marcus, ti prego, di’ di sì e cominciate questa dannata partita! –

Marcus rimase a bocca aperta, poi si massaggiò la fronte, tra gli occhi, prima di voltarsi verso il gruppo in attesa. Probabilmente, aveva dovuto incrociare lo sguardo di Nicholas, perché tornò a guardarci e annuì. – Va bene. Ma se provi a perdere di proposito, ti spedisco a North Dorchester a mantenere l’ordine pubblico senza possibilità di appello. E cerca almeno di non intralciarmi. – sentenziò seccamente, prima di raggiungere gli altri.

Lex mi guardò. – Fa sul serio? –

Feci spallucce. – A quanto pare… –

– Che ce la mandi buona… – disse, alzando gli occhi al cielo e precedendomi.

Mi ritrovai ad annuire, prima di vederli disporsi in campo secondo ciò che era stato deciso. Quando raggiunsi anch’io il gruppo, mi sedetti accanto a Nicholas, che si appoggiò a me. – Giocano insieme! Ora posso fare il tifo per bene! –

Annuii. – Dobbiamo farlo sì. Vero Kate? –

Kate sorrise teneramente, sedendosi vicino a noi. – Certamente. Alexander, dottor Howell!! Siete i più forti!! –

Elizabeth, ridacchiando, si voltò verso Maximilian e Jace, accarezzando la sua pancia. – Due anche di qua! Forza papà e forza Jace! –

Max le rivolse il suo sguardo più dolce. – Vinceremo assolutamente! –

– Puoi dirlo forte! – si aggiunse Jace, prendendo la palla e preparandosi alla battuta.

Guardai Alexander, che era passato in retroguardia, lasciando Marcus davanti. Come minimo, aveva intenzione di fare backup nel caso, decisamente probabile considerando la postura del tutto sbagliata di Marcus, lui non avesse ribattuto.

 – Sarà una strage, vero? – mormorò Kate e io annuii, imbarazzata. – Però almeno ci provano… – sussurrai a mia volta.

– L’importante è che lui si diverta… – aggiunse, chinando gli occhi azzurri su Nicholas, che osservava con attenzione ogni cosa, e mi ritrovai a convenire.

Alla schiacciata di Jace, Alexander balzò in difesa e Marcus fece altrimenti, sollevando le braccia per prendere la palla. Tuttavia, dando prova di un tempismo fuori dal comune, Nicholas si alzò e si mise a urlare un incoraggiamento decisamente... singolare.

 – Papà, prendi quella palla altrimenti stanotte dormirai sulla chaise longue!! –

Ci voltammo tutti verso di lui, sconvolti. Ad essere sincera, oltre allo shock nel mio caso si era aggiunta una dose di imbarazzo al pensiero del dove avesse sentito quelle parole. Rammentai a mie spese di averle dette alla nostra governante soltanto pochi giorni prima… e Nicholas doveva aver ascoltato. Enfant terrible… non l’avevo partorito, era vero, ma era decisamente mio figlio.

– Nicholas… –

– La chaise longue? Avete una chaise longue in camera? – chiese Kate.

– Ehm… –

– A dire il vero credo intendesse altro… – rispose una serafica Elizabeth e Kate colse subito l’allusione, guardandomi allibita.

Arrossii, ma fu nulla rispetto a quando non sentimmo un tonfo e una mezza imprecazione. Ci voltammo di colpo… e, con buona pace, non fu Marcus a prendere la palla… ma la palla a prendere Marcus, in pieno.

– Marcus! – esclamammo in coro.

– Papà!! –

Marcus barcollò, ma la palla, in qualche modo, era ancora in gioco, tanto più che Alexander riuscì a rispedirla ai mittenti, dando inizio a una sequela di passaggi da un lato all’altro del campo. Grazie alle direttive di Jace, Maximilian non aveva alcun problema a ribattere, ma, contrariamente a quanto avevamo pensato di lui, Alexander non si arrendeva e combatteva con onore. Almeno avrebbe conquistato casa a Cambridge senza bisogno di perdere di proposito… Quanto a Marcus, dopo un iniziale sbigottimento, riuscì a riprendersi e, quantomeno, a non prendere troppe pallonate.

Noi ragazze, invece, tra tifo, preoccupazione e necessità di spiegare a Nicholas il modo corretto, che non contemplava il rivelare minacce, trascorremmo lungo tempo ad assistere a una Waterloo annunciata, ma, nonostante tutto, incredibilmente divertente. Sì, avevamo decisamente bisogno di staccare e, in fondo, se ne erano resi conto anche i ragazzi.

 


***



            Il pomeriggio, in attesa di ritrovarci tutti a cena e dietro insistenza di Nicholas, al quale avevamo promesso ufficialmente di poter trascorrere un po’ di tempo insieme a Kate ed Alexander, avevo approfittato del tempo a disposizione per rimettere in sesto un Marcus piuttosto dolorante. Nel massaggiargli le spalle arrossate dal sole e indolenzite, mentre eravamo entrambi seduti sul letto king size della nostra suite, ci ritrovammo a parlare un po’.

– La prossima volta che mi viene in mente di accettare, ricordami che non ho più l’età per fare certe cose… –

Spinsi i polpastrelli dei pollici alla base del suo collo e lo sentii irrigidirsi, per poi lamentarsi.

– Suvvia, un po’ di movimento fa bene. E comunque, Nicholas ha gradito. –

Scosse la testa e le onde castano scuro, ancora umide per la doccia, ballarono lasciando cadere delle goccioline d’acqua profumata sulle mie mani. – Almeno questo mi consola. Anche se la storia della chaise longue… –

Feci ruotare i polpastrelli, stavolta e chiusi gli occhi, sorridendo. – Ti immagini se avesse detto qualcosa di più compromettente? Quel bambino è un ottimo ascoltatore, sai? –

Percepii il suo sorriso di rimando. – Non lo metto in dubbio. Ma mi sarebbe andato bene un “Forza papà!”. In fondo, ho poche pretese. Puoi spostarti sulla spalla destra, per favore? La sento intorpidita. –

Riaprii un occhio. – Alla faccia delle poche pretese, eh? Comunque avete perso con onore, dovresti esserne soddisfatto. – aggiunsi, per poi fare come mi aveva chiesto, sollevando il suo braccio e ruotandolo con attenzione, ottenendo un mugugno in risposta.

– Ahh. E tu, invece? Sei soddisfatta, ora? –

Sapevo che si stava riferendo ai momenti trascorsi con Nicholas, ma sebbene fossi consapevole del fatto che la strada con il mio piccino fosse fatta di piccoli passi, non sarei stata mai soddisfatta completamente fino al momento in cui non mi avesse davvero considerato la sua mamma. Sapevo bene che la presenza di Karina nel suo cuore e nei suoi ricordi ci sarebbe stata per sempre e non osavo nemmeno pensare di far qualcosa per rimuoverla. Dovevo e potevo soltanto attendere che in quel suo cuoricino facesse un po’ di posto anche per me e che Selina diventasse mamma anche per lui.

Chiusi gli occhi per un attimo, riportando quel pensiero nel posto da cui aveva fatto capolino e poi sospirai profondamente, osservando le spalle larghe e definite di Marcus, prima che scostasse il braccio e si voltasse verso di me. Era così affascinante, con quel suo sguardo profondo e attento, incastonato nel volto dai lineamenti spigolosi e antichi, e sembrava leggere le mie intenzioni come fossi un libro aperto. Appoggiai le mani sulle lenzuola di candido lamé e inclinai appena il capo, lasciando che i capelli mi ricadessero lunghi su un lato.

– Mhh... dipende da cosa intendi. – ripresi, in tono sottintendente.

Lui non disse nulla, ma vidi chiaramente il fremito tra le sue sopracciglia scure, prima che prendesse una delle mie ciocche corvine e la lasciasse scorrere delicatamente tra le dita.

Attorno a noi, la piacevole brezza che entrava dalla porta-finestra aperta sul balcone si era mischiata al profumo di bagnoschiuma e a vederlo così, con soltanto l’asciugamano bianco attorno ai fianchi, le minuscole tracce d’acqua ancora addosso, i segni del sole sulla sua pelle, mi sentii bruciare e lasciai andare i pensieri, alla ricerca di un’altra soddisfazione. Mi tirai un po’ indietro, verso i cuscini, lasciando che l’accappatoio che avevo addosso mi scoprisse appena le gambe. A causa degli impegni di entrambi, era da un po’ che non stavamo insieme e a giudicare dalla sua espressione, stava pensando la stessa cosa.

Sorrisi ad invitarlo e non se lo fece ripetere una seconda volta, avvicinandosi in un lungo balzo e attirandomi a sé in un bacio che sapeva di desiderio. Non che per me fosse diverso e mi sdraiai sui cuscini, tirandolo giù con me senza staccarmi da lui e anzi, chiedendo di più, mordicchiando il suo labbro inferiore e passando le dita tra le onde scure. Sentii un ringhio risalirgli in gola, mentre si tirava su e allentava il nodo della cintura del mio accappatoio, senza distogliere lo sguardo dal mio.

– Marcus, per favore… – fiatai, con urgenza. Giuro, avrei preferito che mi prendesse vestita. Ma a quanto pareva, aveva altre idee in mente.

Inarcò il sopracciglio e sorrise malevolo, per poi sciogliere il nodo e sfilare la cintura. Poi, usando la mano libera, con movimenti lenti e squisitamente ignoranti la mia pelle in fiamme, aprì l’accappatoio, lasciandomi mezza nuda e impaziente sotto di lui.

– Pensavo… non è una cravatta, ma… –

Sgranai gli occhi e sollevai istintivamente le braccia con i polsi chiusi verso di lui.

– Ti prego… –

I suoi occhi scuri si accesero d’eccitazione e mi ritrovai in breve senza più l’accappatoio addosso, ma con i polsi legati insieme e le braccia sollevate ad altezza della testiera. Fissai il mio sguardo prima sul suo petto teso sopra di me, poi risalii sulla sua gola e infine, incontrai nuovamente il suo volto, prima che tornasse nella mia bocca, in una danza di lingue che ebbe l’effetto di ottenebrare del tutto quel poco che rimaneva delle mie facoltà mentali. E nel mentre, una mano tenne ben salda la presa sul mio viso e l’altra scese a stuzzicare con malizia e sicurezza prima i miei capezzoli turgidi, ottenendo in risposta una scarica di piacere che mi fece gemere in lui, per poi scendere e impedirmi di accomodare meglio le gambe sotto i suoi fianchi.

– Marcus, Sacrebleu, vuoi farmi impazzire? Ti prego… non ce la faccio più! – protestai.

Rise con voce roca, come non lo sentivo da tempo. – No. Hai più di qualcosa per cui fare ammenda, dunque… –

Mi ritrovai ad ansimare a bocca aperta quando le sue labbra scesero a prendere il posto delle sue dita, succhiando a lungo e mordicchiando, per poi scendere lungo il mio ventre e più in basso, con movimenti lenti e calcolati nella loro voracità, mai quanto il suo sguardo seducente ancora attento al mio. Mi spinsi più verso i cuscini e cercai di sollevarmi affinché si decidesse, ma mi rispose con un ghigno e mi ritrovai voltata all’indietro, con le braccia incrociate e urlai. Non che fosse dolore, ma non me l’aspettavo. Inarcai la schiena ritrovandomi spinta tra le lenzuola e sentii le sue labbra scendere lungo la mia colonna vertebrale, che ospitava, non visto ai più causa posizione poco sopra l’area sacrococcigea, il tatuaggio del Dark Circus.

Come un marchio d’appartenenza, ciò che aveva significato, in passato, un primo vero atto di ribellione a quel padre da cui desideravo attenzione e da cui ricevevo soltanto silenzi. Strinsi i pugni e gemetti nel sentire le sue dita muoversi su di me seguendo quelle linee artistiche. Diversamente dai tatuaggi di Alexander e Maximilian, il mio era più piccolo, ma molto più elaborato. Una lama avviluppata da un rovo d’oro e una rosa rossa alla base dell’elsa. Chiusi gli occhi nel sentire la punta rovente dell’indice destro di Marcus che ne seguiva i contorni, lasciando che il piacere del suo tocco sul mio corpo facesse il resto. Mi sentivo come una statua d’argilla nelle mani del suo creatore, per un tempo indefinibile.

Quando finalmente mi fece voltare di nuovo e i nostri sguardi si incontrarono ancora, stavolta senza più remore, non tergiversò e, splendidamente nudo, entrò in me, che non attendevo più altro, senza alcuno sforzo, ma rispondendo soltanto a un bisogno vitale per entrambi. E fu meraviglioso, eccitante come non ci succedeva da tempo, grazie anche all’aria marina che rinfrescava e offriva un brivido in più. Mi ritrovai presto con i polsi nuovamente liberi e lo strinsi a me, percorrendo a mia volta la sua schiena che si inarcava sul basso spingendosi in me e di tanto in tanto, istintivamente, lasciandogli dei graffi che l’avrebbero sicuramente costretto a tenere addosso la camicia, l’indomani. Non che lui fosse da meno, nel rendermi conto del fatto che, con tutta probabilità, mi sarei ritrovata a dover aver a che fare con dei segni a mia volta, ma in quel momento, non importava a nessuno dei due. Come fuoco gettato sui tizzoni ardenti, il ricordo della nostra prima volta si fece strada ad alimentare le sensazioni che già stavo provando.

Avevamo discusso, quella volta, perché avevo scoperto che Marcus aveva già preso contatti con Alexander a mia insaputa e, insieme, avevano stretto un accordo che avrebbe previsto un beneficio per entrambi: Lex avrebbe smascherato Richard e i suoi complici, consegnando le prove a Marcus, il quale avrebbe ottenuto una risonanza tale da raggiungere le cariche di suo interesse. In cambio, Alexander e Maximilian sarebbero entrati in Polizia e nessuna menzione del nostro passato nel Dark Circus sarebbe mai stata fatta. Il resto sarebbe diventato leggenda.

Essendomi sentita esclusa, avevo litigato con Lex, per di più scoprendo che il motivo che l’aveva spinto a riconsiderare tutta la sua stessa vita fino a quel momento e a intraprendere quella carriera era stato la gravidanza di Elizabeth, di cui nemmeno lei mi aveva parlato. Non mi ero mai sentita così tradita e, in un certo senso, quei segreti avevano finito col minare tutte le certezze che avevo faticosamente cercato di costruire in quegli anni. Pertanto, avevo deciso di chiudere con il Dark Circus e con lo stesso Marcus, non prima di averlo, però, messo davanti alle sue menzogne.

Avevo deciso di affrontarlo a viso aperto, ma quel giorno stesso, come se il destino non volesse saperne di smettere d’accanirsi contro il mio animo inquieto, mio padre mi convocò nel suo studio per informarmi di aver deciso di tornare in Francia, avendo accettato una cattedra alla Sorbona. Il problema, per quanto mi riguardava, era nel fatto che quella decisione non era legata soltanto a un discorso accademico, ma alla presenza della sua amante storica, la sola in grado di fargli considerare seriamente l’idea di un trasferimento.

Disperata e ormai esasperata, di fronte a quell’ennesima rivelazione e all’essere stata ancora una volta passiva destinataria di comunicazioni su argomenti ormai stabiliti, per la prima volta in vita mia, risposi con tutta la rabbia, con tutto il risentimento e con tutta la delusione che mi portavo dentro da troppo tempo e lo mandai all’inferno, sperando che, quantomeno, quella sarebbe stata l’ultima volta in cui ci avessi avuto a che fare. E, per la prima volta, sul volto di mio padre, in quegli occhi ambrati così simili ai miei, si aprì un’espressione di incredulità. Céline! Non ti permetto di parlarmi in questo modo! mi aveva urlato contro, quando gli avevo augurato persino di aver quei figli maschi che mia madre non era stata in grado di dargli, per renderli a sua immagine e somiglianza.

Selina! Siamo in America, è Selina qui. C’est tout, père., avevo risposto, girando i tacchi e lasciando quel luogo, ma portando con me la consapevolezza di quell’ennesimo fallimento.

Vagai a lungo senza meta, piangendo, tra gente a cui non importava nulla di me. Dovevo essere io stessa a raccogliere i pezzi del mio cuore e a rimetterli insieme. Ma, in quel momento, non ne avevo affatto la forza. Avevo soltanto un gran freddo, in un ormai inoltrato pomeriggio piovoso di fine novembre, e ad ogni passo in quel groviglio di strade e persone, così simile alla vita vuota e senza senso che avevo condotto tra Parigi e Boston in quegli anni, sentivo di essere sempre più sola e miserabile. D’improvviso, anche il Dark Circus era diventato causa di malessere, per me. Avevo disperatamente cercato in quella vita segreta e parallela una via di fuga, senza rendermi conto di quanto stessi sprofondando nel marcio. E, alla fine, non mi era rimasto nemmeno quello.

Mi strinsi nelle braccia, strofinando per far calore, dato che non mi ero nemmeno presa la briga di riprendere il mio blazer. La Regina ormai aveva perso la sua corona e di lei non rimaneva che l’aspetto dismesso, riflesso nella vetrina di un Café. E fu allora che sentii uno stridio di freni e, nel vetro che continuava a restituirmi una me persa nella vita che continuava imperterrita e disinteressata, l’immagine di Marcus, l’espressione sconvolta, sempre più vicina e più vivida. Sobbalzai al tocco che mi fece voltare e incontrai i suoi occhi. In essi, soltanto un muto conforto. Tolse il cappotto color cammello che aveva addosso e me lo mise addosso. Quel calore, assieme al suo profumo di colonia, servì a calmarmi e mi abbandonai al suo abbraccio, quando, ignorando sia la gente che si era fermata a osservare la scena che la coda che si stava formando dietro alla Volvo C30 nera da cui era sceso senza farsi troppi problemi, mi portò con sé in auto e chiedendo all’autista di ripartire, con destinazione la sua residenza.

Stretta tra le sue braccia, tutti i miei propositi di affrontare anche lui svanirono quando mi sentii cullare e scoppiai a piangere, facendomi piccola piccola. Marcus non disse nulla, ma continuò semplicemente a tenermi con sé, per tutto il tempo necessario.

Anche una volta arrivati a casa, accolti dalla signora Thompson, la governante, e da Laurie e Amanda, che non si aspettavano il rientro prima del tempo del fratello, Marcus non mi lasciò per un istante, chiedendo anzi che mi fosse preparato tutto il necessario per ospitarmi. Alla curiosità dei due giovani Howell e di Amanda, in particolare, che rispetto a Laurie era quella che più somigliava a Marcus, con i lunghi capelli castani ondulati e gli occhi scuri di un tono più chiaro, fece eco la professionalità della governante che, dopo averli rimandati prontamente a studiare, mi fece preparare un bagno caldo e una camera, nonché degli abiti puliti e un profumato vassoio con thè caldo e deliziose madeleine. Cosa avrei dovuto aspettarmi? Rigirai la madeleine tra le dita, quando sentii Marcus bussare alla porta. Avanti., dissi, lasciando il dolcetto nel piattino. Quando entrò, la sua espressione si fece sollevata. Si sedette accanto a me, sul morbido letto a baldacchino che troneggiava nella stanza dai toni caldi, e attese che fossi io a parlare.

Gli raccontai ogni cosa, partendo dall’inizio. Della mia famiglia inesistente. Dei miei patetici tentativi di ricevere amore da un padre che conosceva fin troppo bene i meccanismi del pensiero e per niente quelli del cuore, della mia vita a Parigi in una nicchia d’élite e poi a Boston, del Dark Circus. Della mia relazione con Alexander e di quel gioco di perdizione e potere alla Baudelaire… per me che tanto Madame Bovary mi sentivo. Del rendermi conto di quanto ogni mio tentativo di sentirmi viva fosse insulso e inutile, tanto più che la sola strada che avevo potuto percorrere, alla fine, era stata quella della medicina legale, in un altro patetico tentativo di aggrapparmi alla vita attraverso la morte. E alla fine, cos’avevo mai ottenuto da tutto ciò, se non piaceri effimeri e nulla di realmente costruttivo? E a cos’era servito creare dei legami, se questi avevano finito con l’infrangersi come onde sugli scogli? Forse, sarebbe stato più saggio e meno penoso se avessi evitato di lasciarmi andare. Sarebbe stato più semplice, sì. Ma se c’è qualcosa che non possiamo controllare è proprio il nostro cuore. E paradossalmente, è proprio ciò che dovrebbe essere tenuto maggiormente a bada, perché una volta lasciato andare… sei totalmente in balia degli eventi. È come un serpente che si morde la coda da solo. Sobbalzai nel sentire quelle parole. Dunque, non ho scelta? Vuoi dirmi questo?

Marcus sorrise. Avrai sempre una scelta. Se rimanere ostaggio di un cuore che non puoi controllare o se guardarla da un’altra prospettiva e di diventare tu stessa forte abbastanza da decidere realmente tu cosa sia meglio per la tua vita. Abbassai lo sguardo, fissandolo sulle mie mani strette nell’abito color foglia d’acero che certamente era di Amanda. La verità… è che io ho cercato di essere forte per tutta la mia vita… e alla fine, non ho fatto altro che ergere un castello di bugie intorno a me… perché in realtà, non lo sono per niente… risposi, sentendo la mia voce tremare e vedendo tutto attraverso un velo di lacrime.

Marcus si alzò e quella mancanza improvvisa mi provocò un vuoto d’aria. Mi morsi le labbra, al pensiero di aver finito col deluderlo. D’altronde, avevo finto anche con lui, dunque sarebbe stato del tutto logico se non avesse più voluto ascoltare altro. Ricacciai un singhiozzo indietro, cercando di raggranellare un minimo di compostezza, quando Marcus si chinò in ginocchio di fronte a me e mi sollevò il viso con entrambe le mani. Le lacrime vennero giù senza che potessi far nulla, quando incontrai nuovamente quel suo sguardo. Soltanto allora mi resi conto di come, fuori dalla finestra, stesse imperversando la tempesta. La pioggia battente, i tuoni… eppure, fino a quel momento non mi ero resa conto di niente, tanto la sua presenza era stata catalizzante.

Sono un disastro, scusami…, biascicai, in un maldestro tentativo di salvare il salvabile. E Marcus sospirò, prima di regalarmi il suo più tenero sorriso, poi sollevò il sopracciglio. Sei il più bel disastro che abbia mai visto in tutta la mia vita… e la verità è che non ci rinuncerei per nulla al mondo, Selina Clair…, mi disse, con voce gentile, tanto da farmi arrossire come una ragazzina a cui avevano appena confessato i propri sentimenti. C’erano così tanta sincerità e tanta purezza in quelle parole… così forti da toccare le corde piene di dolore del mio animo e guarirle, come fossero taumaturgiche. Non potei far altro che ricambiare quel sorriso, che a poco a poco si fece più intimo, più sentito, più vicino, fino a che non sentii le sue labbra sulle mie, in un bacio lento, delicato, diverso da tutto ciò che avevo sperimentato sino a quel momento. Ero finita sul fondo del pozzo, ferita e smarrita come una bambola rotta e abbandonata. Ma in quell’istante mi resi conto che avrei potuto scegliere tra il rimanere lì a raccogliere i cocci o il reagire. E scelsi di amare Marcus Howell, nel cui abbraccio mi sentivo viva. Allora, cominciai a guarire.

Il pleure dans mon coeur comme il pleut sur la ville, diceva Verlaine. Quella notte, tra le sue braccia, mentre la pioggia continuava a cadere sulla città, per la prima volta in vita mia, nel mio cuore non cadde più.

Spalancai gli occhi ansimando, prima di stringere Marcus con tutte le forze che avevo, tanto forte era stata l’intensità dell’orgasmo. Lo sentii spingersi ancora in me, prima di venire a sua volta e lasciare che ciò che stavamo provando entrambi andasse lentamente a perdersi, così come i nostri sguardi persi l’uno dell’altro, languidi e soddisfatti. Lasciandoci sfuggire un ultimo sospiro di piacere, ci ritrovammo abbracciati e prede di un più che piacevole affanno per diversi minuti.

 – Se questo è quello che mi aspetta per aver perso una partita sarò più che felice di perdere a vita… – ridacchiò Marcus, quando ebbe ripreso fiato, con quel pizzico di ironia che lo contraddistingueva.

Sorrisi, incrociando le braccia sul suo petto e appoggiandovici il viso. – Ah no. Dovrai far di tutto per vincere la prossima volta. Sai com’è… questo era il premio di consolazione… –

Roteò gli occhi, poi portò il braccio dietro la testa, sui cuscini, e fece per dire qualcosa, quando sentimmo il suo iPhone squillare. Ci guardammo entrambi, poi si voltò verso il comodino e tese nuovamente il braccio, prendendolo. Osservai le rughe farsi strada sulla sua fronte.

– Morris. –

Stavolta toccò a me roteare gli occhi. – Non rispondergli. Sei praticamente suo ogni giorno, quindi per un weekend può anche lasciarti in pace… –

Mi rivolse un’occhiata in tralice. – Deve essere urgente. Sa che siamo qui in vacanza, pertanto non avrebbe disturbato se non fosse stato importante. –

Sbuffai e mi scostai, mentre si tirava su. – Dammi qualche istante e torno. –

– Mmhhh. – bofonchiai. Almeno il lenzuolo lo tenni su io e dovette avvolgersi intorno l’asciugamano che era rimasto da qualche parte sul letto. Lo vidi alzarsi, scrollando le spalle su cui potevo intravedere delle linee rosse, con mio compiacimento, e andare sul balcone, per rispondere a quella chiamata.

Sospirai, notando soltanto allora che la temperatura era scesa e che c’era maggiore umidità, un po’ troppo per i miei gusti e per il periodo.

– Perfetto… i miei capelli ringraziano. – mormorai tra me e me, nel prendere una ciocca aggrovigliata. Non che fosse soltanto colpa del tempo, a dirla tutta.

Afferrai il mio iPhone sul mio comodino e vidi che Kate mi aveva mandato una foto che mi scaldò il cuore. Nicholas faceva segno di vittoria dopo una partita a scacchi contro Alexander. Sullo sfondo, quest’ultimo sorrideva con l’aria della compiacenza e sapevo bene quanto anche per lui fosse importante che Nicholas fosse sereno, a dispetto di tutto. In fondo, se non fosse stato per Lex e per Kate, il mio piccolino avrebbe avuto tutt’altra sorte. Mi affrettai a rispondere con un vocale.

– Ben fatto, tesoro mio! Sono davvero orgogliosa di te! –

Sospirai, stringendo l’iPhone tra le mani, poi mi voltai verso il balcone. Altro che pochi istanti… Marcus si era persino seduto sulla poltroncina, accanto al tavolino che ospitava i nostri drink, segno che la conversazione si sarebbe protratta. Guardai l’ora. L’orologio segnava le 17:42 e ci saremmo dovuti ritrovare tutti a cena per le 20:30. Mi alzai pigramente, ancora avvolta nel lenzuolo, e mi affacciai sul balcone.

– Saluta quel guastafeste di Frank. – sussurrai sadicamente, prendendo la flûte e riempiendola di delizioso Roederer Cristal.

Marcus increspò le labbra e ignorò volutamente le mie parole, continuando a conversare con Morris a proposito di una qualche operazione che avrebbe richiesto nuovamente le nostre forze congiunte. Aggrottai le sopracciglia e sollevai il calice verso di lui, poi mi voltai verso la distesa dell’oceano in lontananza e bevvi. Un’inattesa folata di vento mi fece rabbrividire e posai il bicchiere, indicando a Marcus il bagno e lui annuì, poi mi affrettai a rientrare e a rifugiarmi nuovamente nella doccia.

L’acqua calda fu una deliziosa benedizione e ne approfittai per rilassarmi, riaprendo gli occhi svariati minuti dopo, soltanto quando mio marito, dopo aver terminato il colloquio, mi raggiunse… e il relax dovette attendere ancora… e ancora... e ancora…


 ***


Finimmo di prepararci poco prima dell’ora di cena. Data l’informalità, non avevo ritenuto il caso di svaligiare tutto il guardaroba di pregio e così, mi ero decisa a indossare un semplice abito morbido in seta dai toni ramati. Avevo acconciato i capelli in una treccia laterale a spina di pesce che ricadeva sulla spalla sinistra. Mi mancavano soltanto gli accessori. Seduta davanti allo specchio della toeletta, stavo osservando i gioielli che avevo portato con me. Avrei sicuramente optato soltanto per una collana, ma non avevo ancora deciso per quale. Mi voltai verso Marcus e Nicholas. A Marcus, camicia bianca di lino, pantaloni color sabbia, giacca in tinta e stringate marroni, faceva eco Nicholas che, con grande impegno, stava finendo di allacciare le scarpe. Quando tirò su il visetto, le guance rosse per il sole e i capelli arruffati, batté gli occhioni azzurri e mi rivolse un sorriso candido.

– Ce l’ho fatta! Il fiocco è venuto bene! – esclamò.

Sorrisi anch’io. – Già. Sembra proprio che sia una giornata di successi oggi, eh? –

Lui annuì e mi raggiunse. – Anche se papà e Alexander hanno perso la partita… –

Marcus inarcò le sopracciglia, io ridacchiai. – Eh già. –

Lo vidi volgere lo sguardo sulle due pietre delle rispettive collane con filo in oro che avevo in mano. Una era un bellissimo topazio ambrato, l’altra un diamante a goccia ricavato dal Cullinan.

– Ti piacciono, tesoro? – chiesi, mostrandogliele.

I suoi occhi si accesero nel notare il brillio di entrambe.

Appartenevano a due momenti diversi della mia vita e le portavo sempre con me. La prima era un cimelio, essendo appartenuta alla mia bisnonna materna. Una reliquia, passata di generazione in generazione alle donne della famiglia. A dire il vero, per quanto trovassi quel topazio simile al colore dei miei occhi, il pensiero di essere l’ultima a poterlo indossare mi rendeva generalmente un po’ triste, tanto più che non lo portavo spesso. La seconda era stata il regalo di Marcus per l’arrivo di Nicholas nella nostra vita. Desiderava, con esso, simboleggiare davvero un nuovo inizio, come famiglia, e dunque, il nostro legame. Il mio piccolo tese la manina verso il topazio, salvo poi ritrarla subito, imbarazzato. Quel gesto fece scambiare un’occhiata perplessa a me e a Marcus.

– Che c’è, Nicholas? Puoi prenderle tranquillamente. –

Arrossì e poi scosse la testa. – Ricorda il colore dei tuoi occhi perché ha tante sfumature… dovresti metterla. – farfugliò.

Battei le palpebre, poi sollevai il topazio e sorrisi, sentendo il mio cuore scaldarsi di gioia.

– Sono d’accordo. Grazie del consiglio, piccolo mio. – risposi, accarezzandogli la guancia. Nicholas sollevò appena lo sguardo e mi sorrise nuovamente, con grande tenerezza, poi corse ad abbracciare Marcus, che sollevò gli occhi al cielo, come a non poterci far nulla. Mi beai di quell’immagine e mi voltai nuovamente per indossare la collana che mi aveva indicato il mio bambino, per poi alzarmi e fare un giro su me stessa.

– Come sto? –

Padre e figlio si guardarono, poi risposero insieme con un dieci e lode.

 

E così, ci apprestammo a raggiungere gli altri per la serata, che si aprì con una squisita e appetitosa cena a base di pesce, musica e conversazione… e si concluse con il progetto di esplorare i dintorni del faro il giorno seguente. Inoltre, mentre noi adulti ci ritrovammo a chiacchierare del più e del meno, non ci sfuggì come Nicholas, forte della presenza di tutti noi accanto a lui, aveva fatto amicizia con i bambini presenti. Era così bello vederlo chiacchierare con altri bimbi e assieme a loro aveva giocato durante il primo pomeriggio, in spiaggia.

Dato che avevamo preferito attendere ancora un po’ prima di iscriverlo a scuola, a causa della sua situazione, non aveva tante occasioni per socializzare a dovere. Era sempre stato abituato a stare in mezzo agli adulti, o meglio, purtroppo, a subirne, tanto più che i primi periodi a casa erano stati duri. Eppure, poco per volta, aveva preso confidenza con l’ambiente e con i cuginetti coetanei, Anthony e Albert, figli di Laurie, tanto più che, una delle ragioni per cui avevo accettato senza batter ciglio la sequela di favori dei miei cognati stava nel fatto che così, Nicholas avrebbe avuto ancora più occasioni per trascorrere del tempo con loro. Era bello vederli tutti e tre in azione. I gemelli l’avevano accettato senza remore e, in questo, non potevo non vedere lo stesso comportamento di Laurie nei miei confronti, dato che lui stesso, assieme ad Amanda, mi aveva fatto sentire parte della famiglia nell’istante stesso in cui Marcus aveva detto loro che avrei trascorso con loro un po’ di tempo… tempo che pensavo sarebbe stato breve, almeno fino a che non fossi stata forte abbastanza da affrontare mio padre una volta per tutte e voltare realmente pagina, ma che aveva simboleggiato l’inizio della nostra convivenza, alla fine.

Quando la piacevole serata fu conclusa, Jace e Lucy decisero di fare un salto a Nantucket Town insieme a Kate ed Alexander, mentre noi facemmo compagnia a Maximilian ed Elizabeth nella loro suite, prima di tornare nella nostra. Nicholas, nonostante l’evidente stanchezza per la giornata trascorsa, si era rifiutato di andare a dormire per primo e si era accomodato tra me ed Elizabeth, sul divanetto che dava sul porticato interno. Max e Marcus portarono da bere delle tisane e si sedettero con noi. La temperatura era scesa ancora, tanto più che avevamo optato per il mettere addosso delle coperte leggere.

– Comincia a far fresco, eh? – osservai, passando la tazza Nicholas, che mi sorrise grato.

– Le previsioni parlano di fare attenzione agli eventi avversi. Ci manca soltanto che d’improvviso ci sorprenda un uragano. – rispose Elizabeth, sorseggiando la profumata tisana di pesca e melograno.

– Considerando che Alexander non ha ancora combinato nulla di cui farci preoccupare, direi che l’uragano per ora è scongiurato. – rise Maximilian, stendendo le gambe e incrociando le caviglie scoperte e le Espadrillas nere.

Nicholas sorseggiò a sua volta, mentre Marcus fece spallucce. – Piuttosto… abbiamo un accordo. Vuole una casa a Cambridge. –

Elizabeth alzò lo sguardo. – Come mai? Credevo che stare a Beacon Hill gli piacesse. Del resto, ha sempre apprezzato lo stile vittoriano della zona. –

– Magari ha a che vedere con suo padre. Dopo tutto quello che è accaduto, credo che persino lui si sia reso conto di quanto sia importante stare accanto alle persone care… e lui ci ha messo un po’ per ritrovare la via di casa. – spiegò Maximilian.

Ne convenni e guardai il rosso scuro, reso nero dalla notte incipiente, della mia tisana. Anch’io, in un certo senso, avevo vissuto lo stesso.

– Oppure semplicemente vuol mettere la testa a posto. – incalzò Marcus.

Maximilian si mise a ridere. – Per quello è più probabile che ci travolga un uragano. –

Elizabeth dissentì, accigliandosi. – Potete smetterla con questo ritornello? Mi mette agitazione. Siamo qui per rilassarci e divertirci, non per parlare di uragani e delle decisioni di Alexander. E poi… comunque, finalmente riesco a vederlo nuovamente felice. Kate gli fa bene, più di quanto lui stesso possa comprendere, forse. –

Annuii e così fecero anche i nostri mariti. – Comunque è assurdo che monopolizzi le conversazioni anche quando non c’è. – aggiunse Marcus.

– Per questo motivo… che ne dite di parlare dell’escursione di domani? Mi è venuto in mente che potremmo anche noleggiare uno yatch nel pomeriggio. – propose Maximilian.

– O magari potremmo andarci di mattina e visitare il faro di Brant Point nel pomeriggio. – suggerii.

Nicholas rispose con un grande sbadiglio e si appoggiò a me. – Hai sonno tesoro, eh? –

Na… io sono… io… – farfugliò parole con la voce di chi era ormai più nel mondo dei sogni che della veglia, così, messe da parte entrambe le nostre tazze di tisana, lo presi in braccio e lo sedetti su di me, affinché potesse star più comodo. Elizabeth mi aiutò a coprirlo e Nicholas, accoccolatosi, sprofondò in breve nel sonno, ormai vinto. Fino a che non l’avevo avuto tra le mie braccia, non avevo mai capito a pieno cosa avesse provato Elizabeth con Lily. Potevo soltanto lasciar lavorare la mia immaginazione al pensiero che non avrei mai tenuto tra le braccia un bambino addormentato. Né capitava spesso che si abbandonasse così. Sicuramente, la ragione stava nel fatto che era esausto dalla giornata trascorsa, ma nonostante tutto, mi faceva piacere e mi riempiva il cuore di gioia. Il peso del suo corpicino addormentato, le guance rosse, il suo respiro sempre più profondo e regolare… tutto di lui era così vivo e perfetto che non avrei mai potuto sperare in nulla di più. Mi sarei persa nell’osservarlo, se non avessi sentito sottovoce Elizabeth chiamare il mio nome.

– Sì? –

La mia migliore amica mi sorrise gentilmente. – Sarà meglio che ci ritiriamo tutti. Mi sento stanca anch’io e abbiamo bisogno di riposare. Che ne dite? –

– Sono d’accordo. Andiamo, Marcus? –

Ci rialzammo tutti e mio marito annuì, prima di togliere la giacca e metterla addosso a Nicholas. – Allora, a domani e buonanotte a tutti. –

Prendemmo così congedo e di lì a poco ci ritrovammo a dirigerci nella nostra suite, al piano superiore. Ci giungemmo nel silenzio intervallato dai respiri di Nicholas.

–  Beato lui… vorrei aver avuto la possibilità di dormire così profondamente anch’io, oggi. –

– Marcus Howell! – protestai sottovoce, con compiaciuta indignazione, nel cogliere il suo tono sottintendente.

Alzò le sopracciglia e ridacchiò sotto ai baffi, poi aprì la porta e rientrammo nella nostra stanza, ponendo ufficialmente fine alla nostra lunga giornata, così decisamente piena di emozioni. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

**Angolo dell'autrice**


Buona domenica a tutti! Primo capitolo up! Ero indecisa se spezzarlo o meno, ma alla fine ho preferito tenere tutto attaccato (soprattutto considerato che le mie lettrici dell'originale erano abituate a certi tour de force... spero comunque che la lettura sia risultata agevole! Alla fine, son tornati in scena anche gli altri personaggi di Dark Circus... e, devo ammettere, sono molto contenta di poterli guardare da un altro punto di vista. Selina, rispetto a Kate, è più matura ed è la persona che conosce Alexander e compagnia da più tempo, quindi, grazie a lei ho avuto l'opportunità di raccontare qualcosa in più e andare a riempire certi vuoti che, nel tempo, mi sono resa conto di aver avuto bisogno di raccontare. E, ovviamente, non potevo non raccontare della sua storia con Marcus che, rispetto alle impressioni di Kate, si è rivelato davvero un personaggio molto più sfaccettato di quanto avessi potuto pianificare. Un ringraziamento ai miei lettori silenziosi e uno in particolare alla mia dolcissima Red Saintia... sei speciale, lo sai! <3
Un abbraccio a tutti e alla prossima!

  
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