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Autore: ClodiaSpirit_    18/01/2022    3 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giù, sì proprio lì.

Sulla parete ci giocavano, quella sopra la sua testa, da lì scendevano tante piccole lucine. Queste gli sfioravano i pensieri, i ricci, si poggiavano e ricadevano proprio sulla punta del naso.
O erano lucine, oppure aveva sicuramente delle visioni curiose, quelle che ti fanno dubitare di essere sano. Forse poteva essere solo dovuto alla poca luce che entrava dalla finestra della sua camera, le imposte che si riflettevano e la fonte luminosa che ne disegnava strisce diseguali e strane.
Quando l'altro aveva accettato di dormire da lui, non aveva potuto fare a meno di sentirsi come se di colpo, la stanza si fosse accesa. La sua stessa stanza: disordinata, i vestiti ammucchiati sulla sedia, con le lenzuola colorate aggrovigliate, adesso, in un ammasso di gambe coperte da pantaloni da tuta e da una parte i calzini lunghi di Manuel ai piedi.
Il teppistello si stava interessando alla figura di Simone distesa a pancia in giù, il volto girato a destra verso di lui, accarezzato dalla luce notturna. Indossava una felpona grigia, ma che ora sembrava bluastra con tocchi di nero, a tratti evanescente e leggera. Se ci si concentrava meglio invece, sembrava pesante addosso a dei lineamenti fin troppo delicati, levigati.
Simone era rimasto a studiare con Manuel, fin quando non era arrivata l'ora di cena. In tutto quello sua madre sembrava contenta che per una volta suo figlio avesse portato qualcuno a casa sua, visto che non aveva mai visto nessuno dei suoi amici o conoscenti. Però dato che si trattava del figlio di Dante, Anita aveva immaginato che Simone potesse essere una persona davvero speciale per il figlio, solo che non ne faceva quasi mai parola, per non contraddire l'irascibilità di Manuel. E dopo, mentre Anita sparecchiava, i due erano ritornati nella stanza del figlio.
Avevano parlato un po', avevano finito per prendersi in giro. In realtà più Manuel che Simone, perché quello si lasciava comodamente ai commenti dell'altro, mentre gli sfiorava i capelli, la nuca. Si limitava ad annuire con la testa poco convinto solo per fagli piacere.
Se non fosse stato per la giornata pesante l'indomani a scuola, Manuel sicuramente avrebbe continuato a tirarlo a sé e soprattutto a prenderlo in giro.
Non amava dirlo, però la smorfia imbronciata del più alto gli dava tanta soddisfazione. Pensava di averci potuto scrivere anche un trattato esplicativo. Manuel avrebbe stretto ancora la presa su di lui e si sarebbe accertato di tenerla salda.
Poi l'altro - si era addormentato - e così dopo, Manuel aveva deciso di seguirlo, dato anche l'orario - anche se con scarsi risultati, svegliandosi poco dopo. Ma in fondo c'era ancora tempo, avevano ancora del tempo per tutto il resto.
Il volto di Simone era rilassato, nel sonno, con il braccio abbracciava il cuscino sotto di sé, l'altra mano era libera sul fianco a toccare il letto.
Gli occhi grandi erano chiusi, la mascella definita, la chioma scura sparpagliata sulla federa.
La mano di Manuel scivolò lungo il suo braccio, le dita tracciarono la sua linea fino al polso, dove il tessuto si alzava.
Sospirò leggermente, mentre pensava nella sua testa che una cosa così, non la aveva mai davvero avuta.
Che forse di tutte le cose che aveva fatto, quella fosse la migliore che si fosse riservato.
Aveva avuto Chicca, ma non ci aveva mai fatto caso, a come dormiva. Aveva avuto Alice, ma anche lì, non era stato tanto interesse quanto vincita, mettersi in mostra a una cosa più grande e acerba di lui.
Adesso, mentre guardava l'altro dormire, Manuel, avrebbe voluto davvero che l'altro continuasse a farlo e si svegliasse il più tardi possibile per non accorgersi che lo stava osservando.
Non sapeva nemmeno da quanto lo stesse fissando, ma non aveva minimamente sonno. Lui c'era abituato all'insonnia, o forse era l'insonnia stessa a portare il suo nome. Poco importava se l'indomani avrebbe indossato delle occhiaie evidenti, l'altro ragazzo dormiva così tranquillo come se fosse la rappresentazione di un sogno dell'inconscio.
Simone respirava, dormiva, nel suo letto, in mezzo a quel trambusto di cianfrusaglie, robaccia. In mezzo a tutto quel casino e frastuono della sua vita, Simone era l'eccezione. Il rimedio all'anomalia che Manuel sentiva e aveva sentito di essere dentro da troppi anni.
Il peso, l'impotenza, l'essere perso in partenza, il sentirsi definitivamente rotto ancora prima di fare capire che danno avesse.
E Simone lo aggiustava. Non voleva dirglielo e forse non lo avrebbe mai davvero fatto, ma Manuel sapeva di dovergli praticamente tutto.
E se sua madre, Anita, non sapeva ancora niente è perché aspettava soltanto le parole giuste per definirla, quella stessa persona che gli dormiva affianco. Perché lei, avrebbe capito. Non ne aveva dubbi.
Simone così, si lasciava illuminare da una luce fredda, mentre la mano di Manuel questa volta si spostava al palmo della mano, tracciandone le nocche, la lunghezza.
Se solo si fosse visto dall'esterno, mesi prima, si sarebbe dato dello stupido.
Adesso, si sarebbe chiamato sicuramente "stupido" ma secondo un'accezione positiva.
O forse "sentimentale" suonava meglio.
Quante volte aveva detto che i sentimenti erano per perderti, cose da femminucce e invece, vedi cosa aveva perso nel tragitto, di quell'idea pregiudicata. Manuel aveva valutato male quello, non ci aveva mai pensato davvero perché non pensava che le cose belle potessero accadergli.
Si sbagliava.
Sentimentale, stupido.
Manuel sorrise piano, fermandosi sulla schiena di Simone, coperta dalla felpa, ma di cui avrebbe voluto accarezzare e sentirne la pelle.
Mi piace, essere stupido.
Se l'etichettarsi in quel modo, significava stare a guardare Simone mentre dormiva, gli andava più che bene.



 
- - -



« Oh, Manuel » seduto com'era a rivedere gli appunti di storia, gli diede una gomitata. « La smetti e ti concentri per favore? Sei indietro di almeno tre paragrafi e non siamo nemmeno a metà del secondo » mormorò Simone.

Manuel scrollò le spalle, alzando le mani in sento di resa.

« Che è colpa mia se mi distrai così tanto? »

Simone socchiuse gli occhi ed esalò un sospiro, cercando di restare serio. Poi alzò gli occhi e trovò l'altro che lo guardava come una pecorella smarrita. Rise di colpo.

« Se vuoi mi metto un sacchetto in testa, » scherzò « ci faccio due buchi per gli occhi però, così magari riesco a leggere e spiegarti la rivoluzione di Ottobre » girò la pagina del libro, indicandogli l'introduzione, le lettere del titolo erano in grassetto nero, seguita da due immagini a fine di ogni pagina.

« Simò non c'è bisogno, anche se me piacerebbe finire quanto prima… ricordo vagamente che cos'è » disse tutto d'un fiato,

« Ti ascolto allora » lo esortò.

Simone sembrava un maestrino perfettone, mentre si metteva dritto contro l'albero del viale di casa sua. Aveva una maglia a maniche lunghe celestino e un giacchino grigio di sopra. Erano entrambi sull'erba. La giornata era fredda, ma non c'erano nuvole a far tenere un acquazzone. Avevano deciso di mettersi all'aperto, fuori da orecchie e sguardi troppo indiscreti.

« La rivoluzione d'ottobre è iniziata in Russia, a Febbraio nel 1917, ha segnato er crollo dell'impero russo e poi ha portato alla Russia sovietica socialista. In pratica è stata rovesciata la monarchia, il Re, ed è salito al potere il partito operaio dei bolscevichi russi » spiegò fluidamente, mentre si sbrigava a cambiare pagina. Simone lo fermò giusto in tempo, la mano si fermò sopra quella di Manuel.

« Continua, non hai finito » lo corresse.

Manuel annuì, pensandoci un attimo e poi riprendendo il filo del discorso.
« Fu una mossa strategica per fare assumere il potere in favore degli operai, soldati e contadini e dei loro diritti. Si parla dunque di democrazia e non più di un potere assolutistico. Il partito era guidato da Lenin e un altro, non ricordo chi era, c'ha un nome troppo difficile »

Simone annuì, accennando un segno di fierezza in volto. Tolse la mano e lasciò che l'altro andasse avanti.
« Giusto, bene »

Manuel sorrise tronfio e si inclinò leggermente spostando il peso su un fianco per lasciargli un bacio sulle labbra, molto rapido.

« Simò, sei bravo a fà er professore » mormorò.

L’altro scosse la testa, sospirando.

« Ma va, che queste cose non sono poi così difficili »

Simone gli stava praticamente morendo sulle labbra, a giudicare dal modo in cui i suoi occhi marroni e grandi erano fermi su quelle, anziché sulle piccole iridi furbe di Manuel.

« E poi, » si sbrigò a dire ritornando sul volume sotto di sé « questi argomenti sono passabili, ti voglio vedere sulle altre cose »

« Non c'è problema Simone, non ce spaventiamo qua, facciamo pure quelli » rispose convinto e spavaldo.
Simone posizionò meglio la schiena contro il tronco dell’albero, dietro di sé, mentre portandosi una mano pensosa sul mento, adocchiava il seguente capitolo del testo.

« Che mi sai dire della marcia su Roma del ‘22? »

« Venne organizzata dal Partito nazional fascista, guidata dal Duce anche se non era presente fisicamente, seguito da Bono e Balbo da lui nominati prima. Le camicie nere marciarono per prendere il potere del governo, minacciando anche violentemente se fosse stato il caso. Poi da lì in poi ce sta il casino delle leggi razziali che entrano in vigore nel ’38… » Manuel a quel punto si massaggiò le tempie, sospirando leggermente « Me mettono una tristezza assurda ‘sti argomenti, annamo avanti?»
Simone annuì ripetutamente.

« Non è colpa mia se ti sei lasciato dietro roba, che tra l’altro è stata spiegata settimane fa » accompagnò con un gesto della mano, sfiorando la carta liscia.

« Non c’avevo voglia de fa niente, ok? » Manuel si mise subito sulla difensiva, si grattò la testa, una smorfia gli corrugò gli angoli della bocca e le labbra sottili « E poi c’era tutto quel casino irrisolto con te, non ce la facevo a toccà libro, l’officina conciata come ‘na pezza… lasciamo stà »

Simone lo adocchiò fin troppo curioso.

« Che è successo al garage? »

« Simò non me va de parlarne » mormorò amareggiato, volendo cancellare quella giornata a rompere e buttare giù a terra bulloni, attrezzi, a rovesciare le sue convizioni.

« E’ per questo che non ci sei tornato? »

Aveva il tono premuroso, quella bella voce intrisa di calore ma anche tanta preoccupazione che a Manuel faceva sentire presente, importante. Mancavano solo i sottotitoli o le didascalie e sarebbe stato ridicolo quanto l'interesse di Simone oramai contasse per lui.

Mannaggia a te.

« Diciamo che c’è un mezzo casino che in parte ho sistemato, » si inumidì le labbra con la lingua « me so sfogato contro la roba che neanche Hulk » ridacchiò nervoso.

Simone annuì, osservando meglio come l’altro non lo guardava o evitava di farlo. Non pensava avesse potuto succedere chissà che cosa, ma l’idea che Manuel avesse rinunciato per un po’ di tempo al rifugio dei suoi motori, lo faceva sentire un po’ interdetto oltre che in colpa.

« Simò va tutto bene, » se ne accorse che lo stava squadrando, con le mani pronte sulle spalle del più alto « ho dovuto sfogà la rabbia in qualche modo, non me so fatto niente »

« Però un po’ mi dispiace… che tu non ci sia tornato per me » confessò, visibilmente rabbuiato. Manuel spostò le mani dalle spalle, portandogliele a sostenergli il visto.

« Ti dico che è passato, » gli occhi piccoli palpitavano « e poi non è vero che non ce so tornato, solo che non me và de perdere tempo con le moto, ora. Ho rimandato alcuni lavoretti, ma sono sempre in tempo per ritornarci » chiarì.
Simone sembrò sentirsi meglio, le mani dell’altro erano tiepide, anche se l’incarnato stonava con la maglia rossa spenta che portava, accollata su, fino al collo. Manuel si soffermò più del dovuto sulla figura dell’altro, mentre sembrava sfumare sempre più seriamente l’idea di continuare a studiare.

« Non l’ho sentito più sai? Cristian, intendo... »
D’un tratto Manuel si irrigidì giusto un po’, ma Simone sembrava parlargli col cuore in mano, arrovellandosi giusto un po’ e in quella situazione, lui non se la sentiva di rovinare tutto come suo solito. Era lì per ascoltarlo. « Mi sono detto che l’ha fatto perché preso dal momento, spinto dal rifiuto - non che sia stato giusto, anzi - ha sbagliato… però mi dispiace dover pensare che ci siamo staccati con questa immagine, di te a terra col naso che sanguina e lui che scappa via»
Manuel strinse la presa sul suo viso, stava poggiando la fronte contro la sua, adesso.

« Ecco perché sei un perfettone Balestra: tu sei esattamente l’ultima persona che dovrebbe sentirsi in colpa, in tutta ‘sta situazione »

Simone fece una smorfia di disapprovazione, le mani si andarono a poggiare dietro il collo di Manuel.

« La smetti di chiamarmi così? Lo sai che mi da fastidio »

« Non la dico come un’offesa, Simò, è la prova che sei ‘na brava persona, co’ tutti i valori e i sentimenti giusti, forse pure troppo giusta a volte »

« Ho capito, ma non mi chiamare più perfettone »

« Va bene allora continuo a chiamarti Simò, » fece scontrare i loro nasi e lo baciò veloce « Simone, Simo, » poi gliene diede una serie di altri dopo « Balestra, Balestra junior, in francese come po’ esse… Simonè, Simon ? » sentì l’altro ridere al suono di un inventato e deludente accento francese-romanesco e sorridergli subito contro, mentre Manuel continuava a stuzzicarlo in quel modo.
Simone si sentì accolto dalla vicinanza di dell’altro che adesso, si fermava a guardarlo furtivo, pieno di ingegno. Il gesto fu svelto: afferrava il libro e lo spostava a lato. Appena avvertì il contatto, Simone annaspò leggermente e in automatico smise di collegarsi al cervello. Entrambe le loro teste si mossero all’unisono, le bocche si confusero, mischiando i sapori, le sensazioni.

« Manu » mormorò il più alto ad occhi socchiusi, « così però se esce mio padre ci vede »

Manuel si girò di scatto verso la porta di casa, il viso si colorò un po’ d’ansia.
Erano a una decina di metri, ma aveva ragione. Se Dante fosse uscito la prima cosa che avrebbe visto sarebbe stato sicuramente quell’approccio “ancora non detto”. Non gliene faceva una colpa, d’altra parte era nuova a tutte e due quella situazione. Stavano da solo una decina di giorni effettivamente insieme.
Perciò, gli afferrò di scatto la mano, la presa salda e si portò Simone appresso, dalla parte posteriore, dietro l’albero. La visuale non era più decentrata, ma nemmeno così evidente. Nessuno li avrebbe visti, a meno che qualcuno non fosse arrivato all’improvviso dalla parte laterale della casa. Avrebbero dato meno nell’occhio. Quando Simone fu letteralmente disteso a terra sull’erba da Manuel, quello riprese da dove aveva lasciato. Gli riempì di nuovo la bocca, muovendosi piano, sentendosi completamente in controllo della situazione. Simone, dal canto suo, toccava con una mano qualche filo verde, mentre l’altra si agganciava al collo del più piccolo.
Sentì la mano di quello che frugava sotto la sua maglia, si poggiava ampiamente sul torace, ne sentiva la pelle liscia, appena sopra un po’ di peluria. Simone si sentì accaldare subito dopo, quando quello artigliò col lembo della sua maglia, cercando di togliergliela.
La frustrazione per quello – a quanto pare - era ai massimi della sopportazione.

« Manuel » lo interruppe Simone, portandogli la mano dietro la schiena.
L’altro si limitò a osservarlo dall’alto, le sue gambe erano a cavalcioni sulla sua figura lunga e costruita. Simone deglutì, cercando di ragionare con l’afflusso di sangue che ora era diretto in tutt’altra zona « Volevo chiederti una cosa… »

Manuel gli lasciò un bacio umido lungo la mascella, soffiandogli letteralmente sopra il viso.

« Spara »

Simone si fece forza, pensando che effettivamente, poteva suonare davvero all’antica come cosa, magari cliché, come quelle procedure di istruzioni all’uso prima di prendere una medicina o un farmaco. Però non poteva ammettere di non averci pensato o che la cosa non lo avesse sfiorato minimamente.

« Mi chiedevo se… uhm, noi due potessimo uscire, insomma » cominciò a girarci attorno, spaesato, quando stava con Laura, gli era venuto sempre semplice chiedere quel genere di cose « per un appuntamento o qualcosa così. Senza impegno ovviamente, è solo… un’uscita » si mangiò sbrigativo le parole. In realtà sapeva che non era così, una volta che aveva pronunciato la parola con la ‘A’, si era subito contraddetto miseramente con ciò che veniva dopo. Simone non credeva per davvero di averla scandita così rapidamente.
Manuel si alzò di scatto sopra di lui, inclinò il capo, lo sguardo vagamente confuso. Sulla maglia rossa si era formata una piega visibile, la spallina destra era stata tirata forse un po’ tanto da Simone, visto che gli ricadeva fuori, scoprendone la pelle più scura.

« Un appuntamento? Tipo a cena? »

Duh.

Simone si bagnò le labbra teso, ora, chiedendosi se forse non aveva spinto le cose troppo in avanti. In fondo era un’uscita, erano usciti tante di quelle volte prima, in sola amicizia. Certo, con lui che si struggeva il novanta per cento del tempo per quel piccolo stronzo, però erano dettagli futili.

« Vabbè, non… lascia stare- »
Simone si stava trascinando di nuovo giù Manuel, quando quello lo fermò.
Perché no?

« No, no » aveva due occhietti vispi, fattisi subito seri « va bene Simò, facciamolo »

Simone ricambiò seriamente lo sguardo, spostandolo di continuo. Pensò che l’altro lo stesse facendo per soddisfare un suo capriccio – cosa lontana dall’essere tale – e non per voglia.

« Non ti voglio forzare, se non ti va. Era solo un’idea »

Simone si vantava e pentiva un allo stesso tempo di quella pensata, pensando di stare chiedendo magari più sforzo all’altro, il pollice della mano accarezzava piano la guancia del piccoletto, la barba gli stava ricrescendo.

« Se fa felice te Simò, so felice pure io » concluse.

Simone si accese in un attimo. Si spinse a baciarlo, sollevato dal rumore che il cuore gli riproduceva in petto e dal sorriso che affiorava subito. Questa volta Simone si impegnò a dedicarsi a Manuel, le mani si aggrappavano entrambe al suo viso, le labbra sfioravano il naso, l’angolo della bocca, il naso gli solleticava il collo.

« Simò, » si staccò un attimo l’altro mormorando confuso « ma che me devo mette una camicia, cravatta, cose così, uh ? »

« Beh, in tuta sicuro non ci puoi uscire » rise prendendolo in giro.

« Me devo mette in tiro, quindi » azzardò un sorriso beffardo, quello sghembo che lo faceva sempre assomigliare a un delinquente troppo acerbo.

« Beh… »
Simone vagò con la probabile immagine dell’altro vestito bene, per una volta, in maniera un po’ più sistemata oltre le felpe, le maglie sportive e quel piumino verde militare che indossava quasi ogni giorno da quando lo conosceva.

« Per il giorno dovremo scegliere magari quando nun c’avemo troppi compiti o interrogazioni »

Simone annuì.

« Martedì e giovedì ho gli allenamenti coi ragazzi, a rugby, quindi esclusi… che ne pensi di venerdì? »

« Potrebbe annà bene »

Ritornò a baciarlo. Simone non si abituò presto perché l’altro si rialzò di nuovo di scatto, meno confuso ma agitato il giusto.

« Ma er locale, cioè, voglio dì, » Manuel si aggrappò ai ricci dell’altro, la mano ancorata sul fianco destro, incespicò ad articolare un discorso degno della grammatica italiana « ce ne stanno tanti, ugh, dove annamo, per carità me va bene tutto, ma insomma manco ad avecce tutti ‘sti spicci- »

« Mi va bene anche una pizza e una birretta, » lo tranquillizzò « non ho tutte queste grandi pretese »
Manuel annuì rapido, per tuffarsi nuovamente sull’altro.






Manuel si guardò al piccolo specchietto del bagno, girandosi di profilo, di tre quarti, di fronte. Aveva osservato ogni punto di vista possibile, anche di schiena girando la testa. Non si era mai davvero visto con una camicia addosso, gli sembrava strano. Forse l'ultima volta era stato tempo fa, da bambino.
Si sentiva un po' Narciso, lo specchio era il lago, in cui si specchia solo che forse quello sarebbe stato più sicuro con l'indumento addosso.
Diciamo che non faceva proprio parte della sua abitudine essere "ordinato", si sentiva leggermente ridicolo. Però non poteva certo presentarsi in tuta.
Fai la persona normale per una volta.
Il ragazzo si spostò nel piccolo soggiorno attaccato alla cucina, mentre Anita si affacciava da dietro il tavolino e posava un libro che teneva in mano.

« Serata speciale? » aguzzò lo sguardo incuriosita. Manuel si grattò la testa, cercando di non sembrare un cretino, annuì emettendo un sospiro un po' agitato. Sua madre si alzò e dalla cucina passò accanto alla figura del figlio. « Ricordo ancora quando te l'ho comprata un annetto fa, » mormorò soddisfatta « non te la sei mai voluta mette »

« Perché non c'ho avuto mai occasione, mà » borbottò, vedendo che sua madre gli aggiustava il colletto ai lati, attenta. La donna gli sistemò la piega sulle spalle, nonostante quella fosse rimasta Immacolata dopo tutto quel tempo dentro l'armadio e osservò la piccola catenina che portava al collo.

« Non ci credo, hai tirato fuori pure il regalo della comunione! » sua madre si coprì la bocca per lo stupore. Manuel roteò gli occhi, un po' scocciato da tutto quel teatrino.

« Sì, che faccio, la tengo sempre chiusa nel cassetto? »

« Quindi è una cosa seria »

Manuel si fece subito serio, come se da quella affermazione dipendessero le prossime sue possibili risposte.

« Mà... ce provo, spero lo sia » si mordicchiò il palato interno, mentre si toccava piano il tessuto che aveva addosso.

« Sono troppo sfacciata se ti chiedo chi è? »

Anita sembrò curiosa, ma con quella giusta punta di amore nello sguardo. La coperta le cadeva addosso, sopra la maglietta vecchia per stare a casa, i capelli erano sciolti lunghi a segnare il viso però ancora avvenente.

« Te posso dì che non è una ragazza »

Oh, ce l'ho fatta.

Sua madre disegnò un 'o' con la bocca, ma poi non risultò molto sorpresa: suo figlio ormai la aveva abituata a tutto. Non che ci fosse qualcosa di male, Manuel sapeva amare e glielo aveva sempre dimostrato. E anche se con gli altri lo camuffava, sapeva esprimere affetto a suo modo. Dopo la corazza, veniva la sua vera forma e quella era riservata a pochi. Anita lo sapeva: era la famosa scintilla che aveva visto il suo prof di filosofia.
« Ho faticato per sbrogliare la matassa, ma credo di esserci riuscito »

« C'ha l'età tua almeno? Questo lo posso chiedere o vengo linciata? » il tono di Anita era amichevole e scherzoso.

« Non te preoccupare, non vado contro il codice penale o minorile, mà, sta tranquilla »

Anita sospirò di sollievo, la mano andò subito al petto, almeno era un adolescente come lui e non una trentenne, com'era già successo quella volta.

« E poi non c'ho voglia, Alice è una storia bella e morta »

Manuel si strinse nelle spalle, totalmente tranquillo. Si guardò le mani, notando che il solito sporco che circondava le unghie non c'era più. Non toccava un attrezzo in garage da almeno tre giorni e non aveva avuto voglia di farlo. Quel posto gli ricordava ancora la sfuriata, la rabbia, i tormenti delle settimane scorse. In quel momento voleva lasciare spazio solo a quel sentimento denso, nuovo, a tratti spaventoso, che però lo faceva sentire vivo.

« Ti piace per davvero quindi »

« Mà capitan ovvio, » allargò le braccia in modo teatrale « sai che non so' mai andato a un appuntamento, non sono proprio il tipo, però, » mormorò sempre più fedele a se stesso, annuì sorridendo appena « questa volta è diverso » Anita lo stava ancora ammirando, le braccia contro il petto, la consapevolezza che anche se aveva diciassette anni, suo figlio stava crescendo. « Che c'è? »

« C'è che ti vedo bene, meglio, come se fossi rinato...stai benissimo, » lo strinse in un abbraccio, scoccandogli un bacio sulla testa e poi spostandosi sulla guancia « il mio bambino è diventato un uomo »
Manuel rise, cercando di staccarsi rapidamente da quella morsa di smancerie sonore, visto che Anita lo stava sbaciucchiando di nuovo.

« Va bene mà, prima che me stropicci tutto, » esordì, questa volta sorridendole ampio « me devo move tra qualche minuto sennò faccio ritardo »

« Vuoi che ti do uno strappo? »

Manuel fece di no con la testa, afferrò lo zaino (immancabile) e vide il giubbotto colore rame che ormai usava più per le occasioni che per tutti i giorni, per paura di rovinarlo, poggiato sul bracciolo del divano. « Dai, ti aiuto a metterlo » e così Anita lo prese e lo infilò a Manuel, glielo sistemò davanti e lo guardò un'ultima volta.

« Sì lo so, tuo figlio è un pezzo de manzo de prima qualità, » ironizzò, soppesando l'occhiata convinta di Anita « adesso posso andare? »

« Scusami se non vedo mai mio figlio tirato così a lucido » sospirò, incrociando le braccia « Vai su »

Vide Manuel avviarsi verso la porta, lo zaino in spalla, i riccetti ribelli, l'abbigliamento cambiato di poco ma curato.

« Buona fortuna » mormorò.

Manuel si girò, si sentì leggermente tremolare il fiato, unì le mani giungendole, le chiavi in una di quelle. Sussurrò un 'grazie' leggero, prima di vederlo uscire da casa.






Nervoso continuava a ritirarsi i pollici, era entrato in pizzerie e aveva deciso di aspettarlo lì. Forse però, Simone sarebbe dovuto ritornare fuori, visto che alcune persone sembravano troppo incuriosite dalla sua lunga figura. Alzò lo sguardo sopra di lui, mentre l'odore di pomodoro e di forno si levava sopra il suo naso. Niente, uscì fuori dal locale.
È ancora presto.
Si era fatto una lunga doccia, aveva fatto attenzione a cosa mettere, per poi buttarsi su una camicia classica bianca, con dei bottoncini dorati di metallo ai polsi. Il paio di jeans che indossava era nero, le scarpe di ginnastica, il suo solito giubbotto di pelle morbida imbottita. Se ne stava lì a ciondolare, avvertendo un po' il fresco pungente delle nove di sera, in una Roma che si svegliava per via della mondanità giovanile.
Cercò di rilassarsi, ripetendosi che era un'uscita banale, come tante altre volte. Solo che non si trattava dell'officina, o di una canna nel loro solito posto, e nemmeno del parchetto dove andavano sempre. Era un locale, fuori dal centro. Era arrivato con il motorino, lo aveva parcheggiato sul retro, come gli era stato indicato.
Sentì il telefono vibrate nella tasca del giubbotto, lo uscì. Lesse ciò che c'era scritto e alzò gli occhi.
La figura di Manuel scendeva dal veicolo, si slacciava il casco, lo infilava nel cruscotto. Simone lo vide avanzare verso di lui, un cenno della mano aperta in alto, a cui rispose. Vedendolo avvicinarsi sempre di più, notò che portava una camicia nera, che gli cadeva a pennello, portava dei semplici jeans più chiari e un giubbotto che gli aveva visto di recente a scuola. Simone pensò che non c'era altro modo per crederlo più bello e invece di sbagliava. Manuel si muoveva come al solito, quello era inevitabile, però sembrava più grande, meno bambinesco.

« Ehi »

« Sera Simò »

Entrambi si guardavano tremendamente impacciati come se fosse la prima volta che si vedevano. Simone si fissò la punta delle scarpe, pregando di riuscire a spezzare quell'imbarazzo assurdo.

« Te la sei messa alla fine, » indicò « quella »

Manuel si guardò a sua volta.

« Sì, me sento un po' ridicolo in realtà-»

« Stai davvero bene, invece »

Il più basso schioccò la lingua, osservando Simone più del dovuto mentre si avvicinava alla porta del locale, la mano sulla maniglia. Simone era Simone che doveva dirgli. Sarebbe stato bene anche con un mantello addosso. L'altezza, le spalle larghe, la postura decisa. Volendo, anche se fosse andato in giro con solo un pezzo di vestiario addosso. Manuel sentì di colpo una scossa arrivargli al ventre. Non interruppe mai il contatto visivo con l'altro, prima di aprirla ed entrare.

« Anche tu non sei male, Balestra »

 
- - -


 

La serata trascorse bene, nonostante l'imbarazzo iniziale. Simone sembrò sciogliersi nel momento in cui vide l'altro più in ansia di lui, si era rilassato visibilmente cercando di tirare fuori l'altro dal disagio. L'idea che ne uscì fuori fu di un'uscita normale forse solo un po' più accentuata, per via della serie di coppie nel locale vicino a loro. Manuel aveva sorseggiato la birra tra una parola e l'altra, mentre Simone tirava fuori degli aneddoti di classe, per smorzare la tensione. In tutto quello, il teppistello non smetteva di pensare a come Simone, gomiti poggiati sul tavolo, mani giunte sotto il mento, potesse sembrare l'unico lì dentro degno di essere guardato. Indossava quel cerchio piccolo al lobo destro e ogni tanto, se lo sfiorava. Risero ripensando a qualche tipica figura di merda fatta da Matteo o anche solo a qualche scena istrionica di Lombardi. Dopo aver finito l'argomento "scuola", si concentrarono su altro. Più che altro venne fuori l'intenzione di Manuel di proseguire gli studi. Simone non aveva fatto a meno di interessarsi di quella novità: avrebbe avuto un altro conoscente filosofo, oltre suo padre. La prospettiva poteva sembrare un tantino di troppo, però pensandoci, Manuel aveva sempre avuto dei bei pensieri, intelligenti, centrati se solo si sforzava e la smetteva di cazzeggiare. Sapeva tirare fuori da quell'aria sprezzante, arrogante, un vero e nuovo sé. Finita la cena, l'ennesimo scoglio era stato pagare, dopo una grande girata di occhi di Simone e un accentuato dibattito, decisero di dividere in metà evitando altre discussioni. Quando uscirono, si guardarono entrambi, meditabondi sul da farsi.

« Te va se annamo da te? Vicino la piscinetta? »


Le mani dentro che cercavano rifugio nelle tasche della giacchetta, l'aria pungente. Simone annuì ed entrambi si divisero soltanto per andare a recuperare i motori.



 

Gambe a penzoloni sopra quella piscina, Manuel passava una birra a Simone, presa dalla piccola refurtiva che teneva nel cruscotto dello scooter. Erano solo tre bottiglie, ma comunque un buon tesoro. Le fecero tintinnare avvicinandole a mo' di augurio. Il cielo sopra le loro teste, assomigliava vagamente a quella stessa sera dove Manuel gli aveva citato la citazione kantiana, solo con più puntini vaporosi bianchi sparsi, come se fossero sotto un quadro famoso. Simone guardava su, il naso gli si era fatto un po' rosso, per via del freddo. Se solo pensava che erano appena usciti, insieme, senza tanti problemi e che adesso, erano di nuovo lì, con una nuova consapevolezza addosso, gli veniva genuinamente da sorridere. Ed è quello che fece.

« Sai, pensavo, l'ultima volta che eravamo qua, c'era un tempo come questo, solo che avrei davvero voluto durasse di più »


Manuel gli prese la mano, poggiandogliela sopra, la birra che restava a mezz'aria nell'altra.


« Io sto a pensà ancora a quando te stavi a soffocà con la canna in officina »


Simone rise abbassando il volto sul becco della bottiglia. Manuel lo accompagnò. Il liquido biondo oscillò dentro il vetro contro la sera.


« Beh facevi tanto il fighetto, volevo provare anch'io » sottolineò.


« Simò, io so figo anche senza aver bisogno di fumare » la faccetta da bulletto ritornava prepotente.


« Già, » mormorò « anche se io ti avevo battezzato con un altro nome » restò vago.


Manuel lo perforò con lo sguardo, la birra ormai era finita.


« Cioè? »


Simone si voltò a guardarlo, si mangiò le labbra, forse era troppo pure per lui.


« Non è qualcosa tipo stronzo o er lupo cattivo, vero? » scherzò.


« No, tu eri "il più bello" di tutta la scuola » concluse, ammettendo quanto fosse imbarazzante e palese ripensandoci ora « lo so, molto banale »

Manuel deglutì appena, la bottiglia venne abbandonata al lato. Si girò completamente verso l'altro, la presa era libera, quindi si decise senza nemmeno darsi il tempo di frenarsi. Scoccò le labbra contro quelle di Simone, sentendosi pieno di poterlo fare. A cena gli aveva solo tenuto la mano, che ora, si poggiava dietro la sua nuca, alla base dei capelli, mentre con l'altra mano gli sosteneva ancora la presa.


« Tutte ste cose sentimentali non me sò mai piaciute, però Simone me fai una tenerezza che me lo scordo... » inspirò forte « voglio dire, ce so tante cose che non me piacciono, però 'co te... me dispiace pure dirti quale era il mio di appellativo, perché rovinerei tutto »


« Non è mica un mistero, guarda » sbuffò Simone, facendo quasi l'offeso.


« Me sa che me meritavo lupo cattivo come nomignolo » sospirò, mentre Simone si rilassava al tocco dell'altro, non avvertiva più il suo naso per la temperatura, ma non aveva voglia di assecondare i brividi. Voleva stare lì.


« Te sei mai chiesto cosa c'è in quella casetta de legno? » indicò con la testa che si spostava a indicarla. Simone la seguì e fece cenno di no.


« Boh, sarà abbandonata » scrollò le spalle.


« Io so curioso, te no? »


Detto questo Manuel si alzò facendo forza sulle gambe piccole e di scatto si avvicinò alla piccola costruzione.


« E se poi viene qualcuno? » Simone si guardò attorno, in cerca di qualche passante o figura che lo riprendesse o reclamasse la proprietà di quel pezzo di legno.


« Ah Simò, sta tranquillo, diamo solo un occhiata »

 
- - -




La casetta aveva una lampada che penzolava dal soffitto, con una piccola leva che ricadeva giù. Manuel alzò il braccio per tirarla e la stanza si illuminò di colpo.

« Non ci sono mai entrato, ma c'era già prima che prendessimo a casa, » indicò alcune ragnatele agli angoli del soffitto in legno chiaro « a giudicare da quelle »

Simone si mosse appena, le scarpe si mossero e il legno scricchiolò subito a peso. Manuel si guardò attorno: le poche pareti ospitavano degli attrezzi di vario tipo, seghe, delle pinze da giardiniere, chiavi, un piccolo cestino intrecciato su uno scaffale a mezza altezza conteneva dei pezzi di carta dai bordi smangiati, consunti e qualche altro cimelio. C'erano poi due cuscini in un angolo, abbandonati. poi un piccolo vaso, la foto delle dimensioni di un santino dentro una cornice. C'erano due figure ritratte, solo non si capiva bene chi rappresentassero per la vecchiaia della carta. Manuel indagò la foto tenendola tra le mani.

« Beh de sicuro qualcuno ce stava, questo è poco ma sicuro » agitò la piccola cornice e la rimise apposto, sollevando della polvere.

A sinistra, c'era un vecchio attaccapanni in ferro, un mobiletto con un’anta priva di chiave aperta e più in là una finestra rotonda sbarrata da delle persiane a croce, che sovrastava una brandina con una testiera della stessa fattura di quegli attrezzi. Il lettino portava però come incorniciato sopra, una coperta a scacchi, pulita. Simone storse il naso, all'istante.

« O qualcuno di recente c'è venuto »

Manuel si voltò, osservando la stessa identica cosa. Contrasse le labbra.

« Vabbè se viene qualcuno come siamo entrati, usciamo, » si mise le mani sui fianchi, mentre la voce si abbassava « non c'è problema »

Simone annuì, grattandosi la nuca, girandosi di poco e notando una piccola insenatura nel legno di fronte a sé, un buco forse o un’ammaccatura.
Poggiò le dita e la sfiorò piano con una leggera pressione. Quel varco non oppose resistenza e la fessura, si aprì.

« Oh, mi sa che ho trovato qualcosa! » suonò con l'entusiasmo di un bambino.

Manuel gli fu subito dietro le spalle, mentre Simone infilava la mano ed estraeva un paio di chiavi. Quelle gli tintinnarono tra le l'indice e l'anulare.

« Simò, non ce credo, so le chiavi de qua? »

« Non lo so, ma se è così, la visita non è stata fatta tempo fa, » borbottò ora ansioso « siamo entrati con la porta aperta ti ricordo »

Manuel gli prese le chiavi dalle mani e le poggiò sul mobiletto dietro l'altro.

« Tranquillo Simone, non abbiamo fatto niente de male, eravamo solo curiosi e poi, » si grattò la nuca « noi stiamo pe’ toglie er disturbo »

Un rumore istantaneo e inaspettato fece sobbalzare il più piccolo, che fissò subito la finestra, priva ovviamente di qualcosa per chiuderla. Stava diluviando e anche forte. L'acqua scrosciava e scendeva rapida contro il legno ticchettando freneticamente, mentre la porta oscillò fino a chiudersi di botto. L'aria lasciò subito entrare la prima umidità serale.

« Cazzo » corse verso la porta e cercò subito di aprirla. La maniglia però non rispondeva, ci riprovò più di una volta ma quella non voleva saperne « Non ci voleva »
Guardò Simone leggermente ansioso, mentre quello si piegava in una calma apparente. Portò le braccia dietro le testa, respirò piano aprendo poi le mani davanti a sè.

« Vabbè dai, quanto potrà durare? Sicuramente presto scampa »

Tutto quello che però disse venne subito contraddetto da un rombo in lontananza, e no, non era il rumore di una motocicletta cromata o macchina. Simone e Manuel si guardarono nello stesso momento.

« Aspetta, provo a vedere magari se c'è campo » Simone uscì il cellulare dalla tasca e provò ad aprire la schermata delle chiamate. Alzò gli occhi al cielo. « Solo chiamate d'emergenza » Manuel, che ora si stava tastando la giacca, stava per fare la stessa identica cosa, ma l'altro lo fermò riluttante. « Non ha senso, non prenderà nemmeno il tuo qua dentro »

Manuel annuì veloce, mentre capiva consapevole che erano davvero bloccati lì. Senza nessuno a interromperli, senza nessuno a controllarli. Erano in quel piccolo spazio e l'idea non lo dispiaceva proprio per niente, anzi.
Simone era lì che fissava nervosamente la finestra, poi si mordeva il palato, serrando la mascella. Il più piccolo non ci pensò due volte e quando vide che Simone finalmente lo guardava, lo attirò a sé. Fu calmo, studiato, mentre si insinuava dietro la sua nuca, mentre si spingeva contro la sua bocca. Poi però non capì più niente quando Simone gli strinse i fianchi e lo avvolse completamente lungo la schiena.
Il contatto si fece umido, sporco, come per l'urgenza di ciò che non doveva più essere rimandato. Simone gli sfilò la giacca, che ricadde a terra, le mani vagarono ancora sui fianchi di Manuel. Manuel invece si occupò prima del suo giubbotto e poi posò le labbra sulla sua mascella, sul collo, il suo respiro caldo arrivò alle orecchie dell'altro, che con le mani gli sfilava i bottoni dalla camicia con fin troppa attenzione. Simone si mosse di colpo sentendo i baci dell'altro sul suo petto, adesso libero, completamente alla mercé dell'altro.
Le mani artigliarono con la camicia nera - stupenda per carità, ma inutile in quel momento - la sfilarono dalle spalle mentre con un movimento rapido, Manuel lo aiutava e anche lui rimaneva a petto nudo.
Simone si staccò solo un istante, per togliersi la sua ancora aperta sul petto. Poi arpionò con il bottone dei jeans di Manuel, mentre quello lo tirava di nuovo per baciarlo, afferrandogli il viso, incasinandogli i capelli. Lo aveva così vicino, che Simone per un attimo pensò che il tuono che esplodeva fuori avesse preso le sembianze del suo battito cardiaco. Gli tremò la presa. Stava succedendo davvero.
Quando anche i jeans di Manuel furono tolti, Simone si sorprese a vedere che l'altro fu più svelto e meno metodico di lui.
Non stiamo andando troppo veloci? Si chiese di getto.
Manuel gli portava le mani sulla schiena, curiose, disegnandogli la spina dorsale. In un colpo, Simone azzerò quei pensieri e portò Manuel sulla brandina, lo spinse leggermente indietro e le mani gli cascarono sul petto, quel petto magro segnato intriso di inchiostro e figure. La sua erezione sfiorò quella del più piccolo in un minimo movimento quando gli fu completamente addosso. Simone lo vide disteso sotto di sé, staccandosi un attimo dalle sue labbra per osservarlo meglio. Manuel aveva un’espressione beata, non imbronciata, non perplessa. No, forse beata non era l'aggettivo giusto. Quello lo stava guardando come se fosse un'apparizione. La sua espressione era indescrivibile per Simone.

« Simò » mormorò piano, schiacciò il naso con quello dell'altro, il petto che si alzava in un fremito, Simone che gli sfiorava la pelle sul ventre piatto.

« Non so come, » esitò, mordendosi le labbra nervoso « come preferisci, se vuoi posso, possiamo invertire i ruoli » si colorò di rosso subito dopo averlo detto. Le due pupille more si accesero, come se ci fosse del fuocherello che stava divampando dentro. Fece di no con la testa.


« No, no » la mano si strinse forte dietro il suo collo « Simò io voglio te »

Oh.
Simone si accese in un sorriso ampio, mentre il cuore sembrò vibrare a una pulsazione più veloce di colpo, come se gli avessero dato una scossa. « E poi, » Manuel assunse un sorrisetto beffardo « qualcuno dei due dovrà pur sapere cosa fare, no? »

« Non che cambi poi molto »

« Simone, » gli fissò le labbra « un’idea ce l’ho, ma non so mai stato co’ uomini prima »

Simone tamburellò con le dita lungo l’addome di Manuel, un sorriso gli contornò le pieghe del viso, non potendo nascondere un velo di consapevolezza. Da quel punto di vista, si sentiva sicuramente preparato, non perché lo avesse fatto prima, ma perché si era documentato dopo aver abbracciato pienamente la propria sessualità. Era comunque piacevole, in ogni caso, sentirsi informato. Giocò con l’elastico delle mutande di Manuel sotto di sé, soppesando quella sensazione nuova che era sentirsi in controllo, forse una delle poche volte che gli era capitato.
L’attesa di Manuel finì poco dopo, con Simone che si prendeva la libertà di esplorargli completamente il palato. Si sentì afferrare qualche riccio, mentre le sue mani si aiutavano a sfilargli il cotone che bloccava l’erezione del più piccolo. Manuel mugolò, inarcandosi contro la brandina, il cuscino si piegò leggermente quando il tessuto sfilò via dalla sua pelle.
Lo sguardo gli cadde sulla figura di Simone, purtroppo ancora semi vestita. Le mani gli frugarono lungo la schiena, scesero sul sedere dell’altro e cominciarono a liberarlo completamente. La bocca che si riuniva in un vortice di lingue, in modo cadenzato, ritmato. Simone scalciò via l’indumento con un movimento rapido dei piedi. Adesso, non c’era nessuna frizione a fermarli. Manuel si ancorò all’altro, osservandolo come faceva sempre, un guizzo gli attraversava gli occhi ora seri, attenti.

« Manuel, » il respiro gli circondò il viso premuroso « dimmi quando sei pronto » mormorò, gli baciava la punta del naso, le labbra, il mento come se volesse infondergli sicurezza.

Accompagnando quelle parole con i gesti, le sue mani dai palmi aperti, scesero lungo le cosce di Manuel, le sfiorò con due semplici tocchi.
Manuel divaricò le gambe, respirando, annuendo lentamente, vide Simone portarsele lungo i fianchi, aveva l’aria concentrata, la mascella serrata. Si alzò di poco, così che la sua figura dominasse la sua intera visuale e Manuel pensò all’istante a tutte quelle volte che Simone si era sentito di meno, sottovalutato o che aveva pensato di non meritare uno sguardo. La pelle nuda di Simone era candida, intoccata, se non per quel tatuaggio sul braccio sinistro che lui gli aveva fatto.
Le spalle si piazzavano larghe, il ventre si stringeva ma non di troppo. Tutto si poteva dire, eccetto che non fosse bello, che desse quella sensazione di familiarità, di sicurezza. Quegli occhi grandi erano aperti, curiosi. Manuel si sentì il fiato mancare, quando il suo corpo si premette di nuovo sopra il suo, in attesa.

E’ così che voglio che sia. Con te.

« Vai, Simò »

Il più alto si posizionò tra le cosce di Manuel, facendo attenzione come se il più piccolo potesse rompersi. Quell’aspetto non lo intimoriva, ma l’impressione di fargli male la teneva sempre ben salda in mente. Si immaginò dovesse far male, soprattutto per uno come Manuel.
Entrò piano e accorto, catturando subito con la coda dell’occhio l’espressione accartocciata di Manuel.
Gli accarezzò dolcemente la guancia, mentre l’altra mano reggeva la presa sul suo fianco per non vacillare. Il gioco di sguardi fu appena percettibile, perché Simone lo baciò cautamente, mentre continuava a muoversi dentro di lui.
A ogni spinta, Manuel si aggrappava a Simone, torturandogli i ricci, stringendo la presa sul suo collo, le mani si aprivano sulle scapole e la fronte si trovava appiccicata a quella dell’altro.
I corpi erano premuti in una morsa, appiccicati, agganciati come due calamite.
Simone si staccò un attimo per guardare il ragazzo sotto di lui: goccioline di sudore gli imperlavano la fronte e qualche riccio si era completamente stirato, qualche altro resisteva ancora andando in direzioni diverse, la bocca era semi aperta mentre gli occhi si sforzavano di rimanere aperti. Simone si sentì pieno di quell’immagine.
Se c’era una cosa che non si sarebbe mai aspettato, era di star facendo l’amore con il ragazzo che amava. Il cuore ormai era ridotto a una valvola impazzita contro il petto, non distinguendola col rumore di fondo della pioggia, il respiro che gli si mozzava in gola.
Era la sua prima volta in assoluto e forse l’altro non ne aveva assolutamente idea, ma aveva comunque voglia di farlo stare bene. Di farlo sentire vivo. La paura era finita nel momento in cui i grandi occhi si erano fermati a vedere la testa di Manuel buttata all’indietro sulla trama del cuscino. Quando Simone sentì l’ennesimo gemito di quello alla sorgente del suo orecchio, pensò davvero di stare impazzendo e non in maniera negativa, anzi.
Le gambe del più piccolo gli si avvinghiarono ancora di più attorno alla vita e Simone venne spinto giù. Le lingue si scontravano malamente, in modo disordinato, convulso, desiderato, così come i denti. Si cercarono disperate o almeno Manuel cercò di farlo capire, forse perché l’altro era tutto concentrato a provocargli piacere e farlo ricadere contro il materasso più e più volte. Inarcò la schiena, la sua gamba sfiorò la natica dell'altro.
Simone aumentò la velocità delle spinte e Manuel per tutta risposta gli morì sulle labbra dicendo qualcosa di sconnesso, privo di logica. Un mormorio, un suono gutturale, non lo capiva sinceramente, ma Simone ridacchiò appena, gustandosi la visione del ragazzo che apriva la bocca, se la mordeva e si spingeva ancora – come se fosse stato praticamente bronzo fuso – contro di lui.

« Simò, cazzo » sussurrò.

Manuel arpionò la presa sul sedere di Simone, concedendosi il privilegio di esplorare la sua figura, lunga, che lo stava prendendo.
Avvertì la scossa invaderlo all’altezza del ventre, mentre Simone si dedicava a lasciargli baci umidi sul mento, laddove si presentava la barbetta incolta, il pomo d’adamo, la spalla. Si ritrovò a ripetere il suo nome, una, due, tre volte. Come se dovesse recitarlo a memoria come un mantra, Manuel conosceva soltanto quell’unica parola di sei lettere in tutta la storia dell’etimologia della grammatica italiana.
Signore, se devo morì me va bene così. Te so’ grato.

« Simone » sembrò supplicare quasi, gli afferrò il viso, Manuel si forzò a spalancare gli occhi e a guardarlo.

Il viso di Simone era rosso, se non per definirlo “paonazzo”, riscuoteva però un controllo che cozzava col suo aspetto: i ricci gli ricadevano sulla fronte, le labbra erano gonfie e piene, gli occhi imperiosi. Sorrise in modo sghembo, tra la stanchezza e il sentimento di appagamento che stava provando. « Sembri un angioletto » soffiò fuori.

Forse era una presa in giro, ma il tono non lo testimoniava, non si era colorato come al solito.
Il più piccolo si sbrigò a baciarlo esausto, ma sempre con decisione, mentre nel frattempo Simone capiva che di stare arrivando all’apice, che entrambi completamente avvolti dal sudore, lo avrebbero raggiunto insieme. Il suo corpo si mosse insieme all’altro, negli ultimi secondi. Poi in un rumore sordo e presente, le loro voci si mischiarono, Simone uscì da Manuel e non avendo letteralmente spazio di copertura sulla vecchia brandina, gli si accasciò addosso. L’aria della casetta era ora intrisa di sudore, misto a terra bagnata, al loro sapore, i respiri affannati.
Manuel accarezzò la testa di Simone, adesso abbarbicato esausto su di lui, il viso contro la sua spalla sinistra. Quando questo si girò appena, portò le braccia piegando i gomiti all’esterno, distendendole su tutta la lunghezza del petto del teppistello, le mani l’una sopra l’altra e la testa che si poggiava sopra. L’espressione era beata.

« Alla fine non è stato poi male rimanere bloccati » si schiarì la voce, non sapendo cosa dire.
Manuel lo guardò con una leggera smorfia.

« E chi se lamenta Simò, mica so scemo » alzò le mani in difesa.

Simone scoppiò a ridere, mentre l’altro spostava lo sguardo su quel sorriso, il naso dritto, gli occhi scuri. « E’ stato bellissimo »

Oh.

Per abitudine, perché si conosceva fin troppo bene, sicuramente sarebbe stato Simone tra i due a dirlo, conoscendo la sua indole e il suo attaccamento alle cose preziose, rare, alle cose significative. E invece era stato proprio Manuel. Simone si morse le labbra, quello lo ammirava in religioso silenzio.

« Se ti ho fatto male, puoi dirmelo, non mi offendo »

« Simone sta tranquillo, sto bene, » si indicò nonostante ci fosse l’altro ancora come peso morto su di lui, ma non gli dava fastidio « anzi, sto ‘na favola. Viè qua » lo invitò con un gesto della mano e Simone puntellò i gomiti su quel poco spazio esterno che il materasso gli permetteva « Per un momento, ho pensato me sarebbe uscito il cuore fuori dal petto » prese il viso di Simone per il mento « tanto stavo bene »

« Sai che era la prima volta? »

Manuel strabuzzò gli occhi, oscillò con la testa, incredulo.

« Non riconoscere i propri talenti è grave, Simò » suonò offeso.

« Non sto scherzando, » disse ancora sincero « lo era. Avevo paura all’inizio, ma ho capito non saresti scappato, non questa volta - porta bloccata a parte - si intende »

Simone si rilassò visibilmente, sfiorando il braccio di Manuel con le dita, avanti e indietro. Il più piccolo fece scontrare i loro nasi, il pensiero fisso di avere tante volte a cui rimediare – e lo avrebbe fatto - per l’essersi fatto spazio solo come una lama, che come una carezza.

« Allora sei proprio speciale, Simò »








Clo's: E L'AMOREEEEEEEEEEEEEE  avvolgerààà i sogni e la realtà

ok, abbiamo capito, adesso la smetto.
Ritorno tra un breakdown e l'altro della s*ssione
a lasciarvi questa chicca.
Eh sì, Simone è all'antica, almeno come me lo
immagino io, i due hanno un'uscita normale prima di
consumare le voglie.
Spero sia stata una lettura di vostro gradimento
e sì, nella mia testa Simone è anche TOP *smirk*
Apprestoavederci
   
 
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