Braci sotto la
cenere
A
Emi, che è una costante.
A
chi, dopo tanto tempo, è rimasto.
In your dearest
memories, do you remember loving me?
Was it the fate that
brought us close and now leaves me behind?
(Final Fantasy X
soundtrack)
Love is a burning thing
And it makes a fiery ring
Bound by wild desire
I fell into a ring of fire
I fell into a burning ring
of fire
I went down, down, down
And the flames went higher
And it burns, burns, burns
The ring of fire, the ring of fire
(Ring of fire, June Carter)
La notte
accoglie
sussurri, segreti, sospiri. È seta nera che copre ogni cosa
rendendola diversa,
oscura, stregata. È la testimone di incontri clandestini, di
promesse
irripetibili, di decisioni che lasciano con la testa leggera e il cuore
pesante. Si racconta che nelle sere senza luna o stelle non si debbano
pronunciare
incantesimi o giuramenti. Lo si sostiene per quello che accadde al
tempo in cui
Odino regnava su Asgard e gli uomini credevano ancora negli
dèi.
Alcuni dicono
che un
bianco irreale avvolgeva le dimore degli Æsir come fosse un
mantello, altri che
si trattava della pioggia che, incessante e furiosa, lavava i tetti
aguzzi del
palazzo dove dimorava il dio delle forche: quale che fosse lo
sconvolgimento capace
di oscurare la luna e le stelle, nonostante l’ora le ampie
stanze del dio
dell’inganno erano illuminate da un fuoco che ardeva nel
camino.
“Farei
di tutto per non
innamorarmi di te.”
“Mai
più,” la corresse
accarezzandole la schiena nuda, esposta, fino a risalire alla nuca
graziosamente lasciata scoperta. La treccia d’oro di lei,
ormai sfatta,
penzolava, assieme alle molte ciocche che erano sfuggite
all’acconciatura,
sulle spalle bianche, sulla pelle morbida e ancora calda
d’amore. A quel
contatto, ritenuto sfacciato e inopportuno, Sigyn represse un brivido e
lo
guardò da sotto le ciglia scure. Avrebbe potuto dirgli molte
cose. Che i rimpianti
non si addicevano a nessuno dei due, per esempio, oppure che cercarsi
con
l’urgenza che li aveva travolti solo pochi minuti prima
rappresentava un errore
che solo la consapevole decisione presa di comune accordo rendeva
tollerabile.
Invece non rispose, limitandosi a sostenere il suo sguardo freddo e
verde,
terribile.
Ci incontreremo
e non
succederà più niente.
Ce lo siamo promesso, si disse, tentando di ignorare un fatto
inoppugnabile:
l’effetto di quel tocco leggero sulla sua schiena, il modo in
cui il suo corpo
reagiva quando l’ingannatore la sfiorava, la toccava, la
baciava. Le tornò alla
mente qualcosa che avrebbe dovuto – voluto –
dimenticare. Un bacio che lei gli
aveva dato dopo avergli cinto il collo con le braccia ed essersi alzata
in
punta di piedi per sfiorargli quelle labbra insolenti e sottili,
splendide da
baciare, sempre pronte a piegarsi in un sorriso sardonico e beffardo.
Per
zittirlo, pur sapendo che dopo le avrebbe fatto notare
l’incongruenza di quel
gesto spontaneo e necessario. Ma affondare le dita nei capelli scuri di
Loki e
premere il proprio corpo sussultante contro quello di lui, mentre
nessuno
poteva vederli, era qualcosa a cui Sigyn non aveva saputo rinunciare
né quella
notte né in molte altre di quelle seguenti. Questa
era stata la sua colpa.
Si
rivestì senza fretta, di
fronte a lui, come se stesse sfidandolo. E Loki la guardava con quei
suoi occhi
chiari e quasi trasparenti, come se l’osservarla allacciare e
infilare quegli
abiti che le aveva tolto di dosso facesse parte del piacere appena
gustato.
Sigyn sapeva che, se si fosse voltata o affrettata, Loki avrebbe riso
della sua
improvvisa pudicizia. Esponendosi, in realtà, gli si negava,
perché privava
l’amore appena consumato con lui di ogni ombra scabrosa, di
qualsiasi tipo di
pentimento. Che la guardasse pure, suggeriva il suo atteggiamento
fiero. A lei
non importava – e, presto, non lo avrebbe ricordato nemmeno,
si consolò. Vide Loki
incurvare le labbra in un ghigno secco e breve, e in quel momento ebbe
la
certezza che lui non le credeva. Non era caduto nella sua trappola
intrisa di
esibita noncuranza. Era troppo bravo a scovare le menzogne nei visi
altrui, per
lasciarsi incantare da lei. Nei gesti misurati di Sigyn, nel suo modo
di sistemarsi
la gonna sulla vita stretta o allacciare il corsetto vietandogli la
vista della
sua pelle chiara e delicata, delle curve su cui lui aveva posato le
labbra e le
dita, lui aveva letto le sue vere intenzioni. Il tentativo di
proteggersi
esibendo un’indifferenza finta. L’aveva
contemplata mentre si rivestiva e,
nel farlo, era riuscito a scorgere, una volta di più, le
sfumature della sua
anima appassionata, con i suoi sussulti, le sue incertezze, i suoi
pensieri
nascosti. Gli occhi grigi di Sigyn sostenevano alteri il suo sguardo,
ma il dio
dell’inganno in essi leggeva l’amore disperato,
soffocato a stento sotto il
peso della ragione. Le labbra morbide di Sigyn erano serrate in
un’espressione
severa, ma le sue guance erano tinte di rosso. Come quelle di
una ragazza
che ha appena trascorso la notte con colui che ama.
Loki si
alzò dallo
scrittoio su cui si era seduto. Lo fece con un movimento rapido ed
elastico, deciso,
da generale di un’armata, da principe che scalpita per
ottenere un trono. Sigyn
si chiese se la sua ambizione fosse dettata dal mero desiderio,
assolutamente
egoistico, di spiccare rispetto al fratello, o nascesse da un reale
interesse
per le sorti della bella Asgard. Si rese conto di non averglielo mai
chiesto e l’occasione
per farlo era sfumata. Non le avrebbe risposto più
– ma sarebbe mai stato
sincero fino a quel punto, se anche glielo avesse domandato prima?
Loki le si
avvicinò,
sorridendole col suo sorriso sghembo e una luce indefinibile nello
sguardo. In
mano teneva due corni colmi quasi fino all’orlo. Al loro
interno, ribolliva una
pozione verdastra e fumante.
Lei
deglutì, ma allungò
la mano per prendere uno dei due. Di nuovo, ostentava una sicurezza che
non le
apparteneva, tesa com’era a fare in modo che
l’ingannatore non si accorgesse
della sua improvvisa titubanza. Ma era troppo tardi per tirarsi
indietro.
L’intruglio aveva un odore pungente, terribile come il suo
aspetto.
Assomigliava a certe pozioni velenose che popolavano le fiabe che Sigyn
ascoltava da bambina – veleni potentissimi in grado di
uccidere all’istante la
principessa protagonista del racconto, o di farla addormentare in un
sonno
privo di sonni incredibilmente somigliante alla morte. Ma non bere
avrebbe
portato verso un’unica strada. Una che sia Loki che Sigyn
conoscevano molto
bene, perché l’avevano percorsa molte volte.
C’era stata una notte d’inverno,
lontana nel tempo ma non nel cuore, in cui lei aveva lasciato che
qualcosa
accadesse[1].
Che la corazza fatta di ghiaccio che indossava si sciogliesse durante
l’unico
ballo in cui poteva lasciarsi andare – quello che celebrava
il solstizio
d’inverno, nella notte più corta
dell’anno, dove gli spiriti si confondevano
con i vivi. Perse il proprio cuore, quella notte – assieme a
una perla che
sfuggì dalla sua acconciatura per non essere ritrovata mai
più, ma questo,
Sigyn, non lo avrebbe saputo mai.
Ciò
di cui era
consapevole, invece, era che la follia a cui si era abbandonata per una
sera
soltanto l’aveva completamente travolta, tanto da scardinare
ogni certezza,
distruggere ogni progetto. Loki era caos – un caos sublime e
dannoso a cui
resistere era impossibile quanto arrendersi.
L’ultima
prova l’aveva
avuta poche ore prima e il suo ricordo le provocò un brivido
violento al
bassoventre: si erano amati di nuovo – sarebbe capitato
ancora e ancora.
Accostò la bocca al bordo del corno. Presto sarebbero stati
liberi, e lei non
avrebbe più schiuso le gambe per accoglierlo dentro di
sé, né gli avrebbe
offerto le labbra o i seni sensibili, accarezzandogli la schiena
scolpita dal
ferro e dalle battaglie. Lo avrebbero fatto altre donne – le
immaginò ansimanti
e stravolte dal desiderio, com’era stata lei: e allora il
rimpianto si mescolò
con la gelosia e col dubbio.
“Giurami
che lo berrai
fino all’ultima goccia: promettimi che dimenticherai e non ci
cercheremo più,” pretese,
sollevando le ciglia scure e bistrate verso l’Ase.
“Dovrei
chiederti la
stessa cosa,” osservò Loki aggrottando la fronte.
Le sue dita di mago strinsero
il recipiente con tanta forza da sbiancare e le sue labbra beffarde
sembrarono
congelarsi in un ghigno lupesco e terribile, mentre Sigyn, in piedi di
fronte a
lui, vuotava il corno con l’ostinazione per cui
l’aveva sempre presa in giro. Pensò
di non averla mai odiata con tanta forza.
Quando
finì, fu presa da
un attacco di tosse breve e violento, che la costrinse a piegarsi in
due. Loki
la sorresse con prontezza, rendendosi conto che quel contatto
imprevisto era
l’ultimo, tra di loro. Sigyn, riprendendosi, gli
mostrò il fondo del corno: non
aveva lasciato nemmeno una goccia.
“Bevi
la pozione, Loki.
Dimenticheremo ogni cosa – dimenticheremo noi.” I
suoi occhi erano lucidi, le
labbra livide, la voce colorata da una nota urgente.
L’Ase
avvicinò le labbra
al corno e pensò che non avrebbe dovuto dimenticare di
averla voluta, cercata,
baciata, spogliata. Era contro natura – eppure, allo stesso
tempo, perseverare
in quella relazione era irragionevole e folle e deleterio. No, doloroso.
Si
bagnò le labbra col liquido stregato e
sentì un sapore dolciastro in bocca – quello
dell’oblio – lambirgli il palato e
la gola, bruciando e cancellando. Avrebbe potuto mentirle e ricordarla
per
sempre, custodendo nella propria mente il vantaggio della conoscenza,
ma Sigyn
aveva bevuto fino all’ultima goccia e decise che doveva
cancellarla, estirparla
dal cuore, scacciare ogni ricordo di lei, di loro, delle notti passate
ad
amarsi e a cercarsi, delle liti estenuanti, degli sguardi infuocati che
si
erano scambiati. Quando il suo corno fu completamente vuoto, lo
gettò a terra
dando segno di aver gradito la bevuta. Sigyn scosse la testa e lo
fissò con
tristezza. Dopo, tutto divenne nebbia.
♥
La notte
accoglie
sussurri, segreti, sospiri. È seta nera che copre ogni cosa
rendendola diversa,
oscura, stregata. Assomiglia a sé stessa, eppure, ogni volta
che il sole si
inabissa nelle fredde acque dei fiordi volti a occidente, quella massa
buia
trapunta di stelle è differente. Il viaggio era stato
estenuante, il freddo
faceva condensare il respiro. Il cavallo del dio
dell’inganno, un roano scuro e
sbuffante dal pessimo carattere, rallentò il trotto
sostenuto che aveva
mantenuto fino a quel momento in favore di un passo che tradiva la sua
natura
nervosa. Loki alzò testa per osservare meglio il maniero che
avevano appena
raggiunto. Una fortezza di confine che aveva visto senza dubbio tempi
migliori.
Storse la bocca in una smorfia di disappunto. Lui e Balder non erano
attesi e
avrebbero ricevuto un’accoglienza poco calorosa e sicuramente
indegna del loro
rango, ma questo era il prezzo che occorreva pagare quando, per uno
sciocco
imprevisto, si era costretti, come in quel caso, a mutare il proprio
itinerario. Colpa di Thor, come sempre.
Smontò
da cavallo e bussò
con forza al portone, chiedendo con voce imperiosa che gli fosse
aperto. Non
ricevette alcuna risposta. Balder, spostando il peso da un piede
all’altro per
vincere il freddo pungente, gli domandò se conoscesse i
proprietari di quelle
terre.
L’ingannatore
rivolse al
fratello più giovane un’occhiata fredda e sbieca.
“Naturalmente,” ribatté tra i
denti, ma mentre lo diceva si rese conto di non avere presenti
né i volti né
tanto meno i nomi degli abitanti del maniero. E questo era strano,
perché era
assolutamente sicuro che avessero frequentato entrambi il palazzo di
Odino e
mangiato alla sua tavola. E Loki faceva caso a ogni volto e conosceva
tutte le
personalità di un certo interesse del grande regno di
Asgard. Non poté
soffermarsi altro tempo su questa curiosa dimenticanza,
perché il portone si socchiuse
emettendo un cigolio sinistro. Oltre lo spiraglio, si intravedeva un
domestico
anziano e dall’aria severa. All’ordine travestito
da richiesta di offrire loro
ospitalità, il vecchio replicò chinando la testa
dalla capigliatura rada e
canuta e aprendo la porta per lasciarli passare. Con ossequio li
informò che i
loro cavalli sarebbero stati sfamati e fatti riposare nelle stalle, ma
nel suo
modo di agire c’era una riluttanza indecifrabile che mise in
allerta Loki. La
sua natura sospettosa si legava a un intuito lupesco per le trappole:
si
sentiva come quei lupi che, spinti dalla fame, stanno per posare le
zampe
dentro la tagliola che li ferirà. Seguirono la figura alta e
dinoccolata del
domestico lungo un ampio atrio che conduceva a una sala più
grande,
fortunatamente riscaldata da un grande fuoco centrale, dove furono
invitati dal
vecchio ad attendere che portasse loro qualcosa per rifocillarli.
L’arredamento
era tanto sobrio da sembrare spoglio e molto antico: mostrava i segni
di un
fasto passato da almeno una generazione, ma tenuto orgogliosamente in
conto.
“Allora
saprai se quella
storia è vera,” lo incalzò Balder a
bassa voce. Loki, intento a studiare la
dimora che li avrebbe ospitati, inarcò un sopracciglio,
seccato da
quell’interruzione che si sommava alle molte altre con cui il
fratello più
giovane l’aveva tediato durante quella lunga missione da
incubo.
“Quale
storia?” sibilò,
accostandosi al fuoco e scaldando le sue dita agili e svelte, di mago.
Il ragazzo gli
venne
ancora più vicino, felice di poter condividere un segreto
con uno dei suoi
carismatici fratelli maggiori. Non capitava spesso che Loki ignorasse
dettagli
o racconti: doveva approfittare di questo insperato vantaggio.
“Il proprietario
di questo castello si è sposato non molto tempo fa per la
seconda volta. Dicono
che la sua nuova moglie sia già stata ripresa mentre tentava
di scappare.”
L’ingannatore
s’inumidì
le labbra, valutando il peso di quella che poteva essere una sciocca
chiacchiera o l’indizio di una storia più
interessante, i cui contorni
sfuggenti avrebbero anche potuto interessarlo. C’era qualcosa
d’intrigante
nell’idea che, forse, in quel palazzo austero e spoglio
vivesse una donna che
cercava la libertà. Esaminò nuovamente la sala
desolata e umida nonostante il
fuoco scoppiettante, cercando tracce della figura fantomatica evocata
da
Balder; un arazzo che avrebbe potuto essere di suo gusto, una sedia
intagliata in
uno stile più fresco, un dettaglio qualsiasi. Non
trovò niente di tutto questo,
e dedusse che il signore del castello non le aveva concesso di
apportare alcuna
miglioria – o forse, non aveva potuto.
Il vecchio
domestico entrò
con delle pietanze calde, seguendo ossequioso colei che,
presumibilmente,
doveva essere proprio la giovane castellana fuggitiva, venuta a porgere
gli
onori di casa. Il suo passo era svelto e deciso e portava i capelli
acconciati
in una treccia morbida che le scendeva fin oltre il seno, del colore
dell’oro
liquido. Contrastava col colore scuro del suo abito, che fasciava,
senza però
esaltarla, la sua figura snella e ben fatta. Era bella,
decise Loki
incrociando il suo sguardo grigio e attento incorniciato dalle ciglia
scure,
soffermandosi sulla bocca invitante, ma che non sorrideva, sul naso
dalla punta
graziosa.
“Perdonateci
per questa
accoglienza non all’altezza del vostro rango, principi di
Asgard. Non ci
attendevamo l’onore della vostra visita. Siamo persone
semplici, ma faremo del
tutto per cercare di farvi sentire a vostro agio. Io sono
Sigyn,” concluse.
Sigyn.
Loki
pronunciò
mentalmente il suo nome, come se stesse assaporando un tipo
d’idromele
particolarmente pregiato. Quelle due sillabe così musicali
gli fecero venire in
mente le foglie d’autunno e le danze frenetiche che si
organizzavano ad Asgard
per festeggiare il solstizio d’inverno. E poi, ancora, raggi
di luce che si
riflettevano nelle acque fredde e solenni di un fiordo e perle tra i
capelli,
sulla pelle. Le sorrise, ammirandola con un sorriso sfrontato sulle
labbra. Lui
e Sigyn non si erano mai incrociati, nemmeno per sbaglio.
L’avrebbe
immediatamente notata, pensò. S’ingannava, ma non
poteva saperlo, perché certi
incantesimi non sono meno violenti ed efficaci con chi li crea. Siamo
noi ad
avervi arrecato disturbo[2],
mia signora, rispose omaggiandola con un inchino breve e marziale.
L’aveva
chiamata col titolo che le spettava, ma pensò con una fitta
di rancore che era
quasi una ragazza. La sua compostezza celava un fuoco sotteso. Braci
sotto la
cenere, pronte a divampare con la giusta sollecitazione, che parevano
essersi
già alzate più di una volta. La storia raccontata
da Balder gliela confermarono
gli occhi grandi e rotondi di Sigyn, di un grigio avvolgente e
profondo, ma in
cui scintillava qualcosa che Loki riconobbe perché anche lui
l’aveva provata –
e, talvolta, la provava ancora.
Le chiese
informazioni
sui pochi arazzi, domandò se era mai stata ad Asgard.
Scoprì che l’aveva
frequentata a lungo, ma immaginò che la sua permanenza fosse
coincisa con qualcuna
delle lunghe campagne militari in cui era stato impegnato negli ultimi
anni.
Sigyn, però, ricordava di aver conosciuto Thor; ne aveva una
memoria vaga e
sbiadita, ma tanto bastò per trasformare il sorriso sbilenco
dell’ingannatore
in un ghigno gelido, tirato. La castellana forse si accorse di quella
malcelata
punta di dispetto sul volto affilato del principe e anche
l’espressione del suo
viso mutò, come se rimpiangesse l’occasione, ormai
perduta, di incontrare Loki
ad Asgard in un altro tempo, durante un’altra vita. Si
accomiatò dai suoi
ospiti senza nemmeno sforzarsi di nascondere un lieve imbarazzo. Suo
marito era
assente, sarebbe ritornato solo un paio di giorni dopo,
spiegò, e lo fece
torcendosi le mani bianche e delicate e accarezzando un ciondolo che le
scendeva
sul seno e indossava sempre – e questo Loki non poteva
più saperlo, ma un tempo
sì, conosceva fin troppo bene quel gioiello.
Balder, accanto
a lui,
assisteva alla scena senza capire appieno cosa stesse accadendo. Suo
fratello,
insofferente e stanco fino a qualche ora prima, adesso era affabile e
affascinante. Sfoderava sorrisi smaglianti e dimostrava di essere un
abile
conversatore, come se tutto il penoso viaggio in cui gli aveva rivolto
a
malapena un paio di monosillabi – insulti camuffati da
grugniti, perlopiù – ora
non gli pesasse più sulle spalle orgogliosamente dritte, da
soldato. Lo vide seguire
con uno sguardo audace la giovane donna che rientrava nelle sue stanze.
“Hai
detto che ha tentato di lasciare suo marito?”
mormorò quando furono di nuovo
soli. “Ripetimi tutta la storia,”
ordinò, leccandosi le labbra.
Il giovane
Balder, a
disagio, ripeté quanto sapeva, cercando di infarcire di
descrizioni e di
aggettivi il racconto.
Così,
quella notte, Loki
ascoltò di nuovo, parola per parola, la storia della sua
graziosa ospite e
ragionò sui motivi che dovevano averla spinta a fuggire,
evocando, prima di
addormentarsi, la sua figura snella, i capelli color dell’oro
in cui avrebbe
voluto affondare le dita, le labbra invitanti, senz’altro
dolci, fatte per
essere sfiorate, lambite, baciate.
Se
ci fosse stato Thor, al posto di Balder, le
cose avrebbero preso senz’altro una piega diversa –
meno tragica e
irrevocabile, sicuramente. Il primo figlio di Odino sarebbe riuscito a
convincere l’ingannatore a cambiare itinerario, tanto per
cominciare.
Consapevole di quanto era già capitato e desideroso di
evitare che Loki
ricadesse negli stessi, inevitabili, errori, l’avrebbe spinto
verso una meta
diversa, più sicura. E se, per qualche assurda ragione, si
fossero ritrovati a
trascorrere ugualmente la notte in quel maniero desolato, avrebbe messo
in
guardia il suo intemperante fratello dal mettere gli occhi addosso
all’enigmatica Sigyn. Di più, si sarebbe adoperato
affinché il loro soggiorno
fosse il più breve possibile, conscio di quanto divieti e
minacce, per quanto
brutali, non facessero altro che esacerbare gli impulsi e i desideri di
Loki.
Ma Thor non c’era e Balder era troppo giovane per ricordare
certe occhiate in
tralice che l’ingannatore aveva scoccato a una Sigyn ancora
nubile e meno
disillusa. Se anche la memoria fosse giunta in suo aiuto, poi, non
sarebbe
stato in grado di impedire, né con le parole né
con i fatti, al fratello di
avvicinarsi a quella donna.
All’inizio
furono domande
sul palazzo – curiosità incentrate
sull’architettura e qualche osservazione
sulla varietà di piante officinali che venivano coltivate
nell’orto posto sul
retro del maniero, poi si trasformarono in racconti e aneddoti su
viaggi e
avventure. Così Loki riuscì a instaurare un
dialogo con la sua bella ospite dai
capelli d’oro e lo sguardo mobile e sfuggente. Richieste
cortesi a cui lei non
poteva evitare di rispondere si trasformarono in racconti capaci di
dare il via
a una conversazione brillante e piacevole, ancora di più
perché lei, giovane e
intrappolata in un feudo posto ai confini di Asgard, non aveva altri
con cui
parlare se non una vecchia nutrice, che da diversi giorni si era dovuta
assentare per andare a cercare certe erbe medicinali. Sigyn non poteva
immaginare che c’era stato un tempo in cui quella valle
solitaria le era
sembrata l’unico rifugio possibile da una relazione che
l’aveva travolta
nonostante tutto. Il primo giorno passò senza che avvenisse
nulla di
irreparabile, ma entrambi erano consapevoli dell’attrazione
quasi dolorosa che
c’era tra di loro. Sembrava tangibile e reale, dotata di una
propria
consistenza. Lei si accorgeva di quando l’ingannatore la
fissava – e il come lo
faceva la turbava. Era come se, guardandola, lui
l’accarezzasse con quelle sue
dita di mago. Allo stesso modo se, per qualche motivo, la ragionevole
distanza
che c’era tra loro si assottigliava anche solo per un
momento, Sigyn
s’irrigidiva e smetteva di respirare –
perché l’odore di lui, di cuoio, legno e
qualche balsamo aromatico, acuiva l’impulso ad annullare
ancora di più lo
spazio tra di loro. Ed era certa che anche Loki, pur con quel suo
ghigno
beffardo perennemente stampato sul viso affilato, provasse qualcosa.
Altrimenti
non si sarebbe concesso ben due giorni di riposo, ripartendo,
com’era logico e
giusto che facesse, all’alba o poco dopo – il tempo
necessario per riposare e
rifocillarsi, niente di più.
♥
La notte
accoglie sussurri, segreti, sospiri.
È seta nera che copre ogni cosa rendendola diversa, oscura,
stregata. Solo che
alle volte non lascia spazio all’alba, con la sua luce rosata
fredda e
luminosa. Rimane nei nostri pensieri, avvolgendoci come un velo.
Così si era
sentita Sigyn quando aveva incrociato lo sguardo freddo e indagatore
del dio
dell’inganno, così continuava a sentirsi ora che,
trascorse due notti dal suo
arrivo, il principe degli Æsir si apprestava a partire, suo
marito a tornare.
Era come brancolare nel buio, pensò, eppure si sentiva
più viva che mai. Se la
sua vecchia nutrice fosse stata presente, avrebbe riconosciuto nei suoi
occhi
una luce già vista, ben nota. Ma a nulla sarebbero valse le
sue parole cariche
di buonsenso, perché Sigyn si era perduta
nell’istante in cui aveva accolto
Loki sotto il suo tetto. Tutto il resto era ineluttabile.
Loki di Asgard.
Sigyn
ripeté nel buio le poche
sillabe che formavano un nome semplice, perfettamente calzante con
l’uomo con
cui, solo poche ore prima, aveva finito per baciarsi. Si
sfiorò le labbra con i
polpastrelli, come se su di loro fosse rimasto il sapore di quelle di
lui,
sardoniche e sottili. Forse sarebbe venuto a farle visita, quella
notte. Prima
di partire per sempre e di gettare un doveroso velo sullo smarrimento
– perché
non poteva essere stato altro – che li aveva resi deboli,
probabilmente
l’avrebbe cercata di nuovo e Sigyn si sarebbe lasciata
trovare. Lo pensò come
se fosse qualcosa di assolutamente inevitabile, tessuto dalle Norne col
loro
filo più resistente. Le dita scivolarono sul ciondolo che
indossava tutti i
giorni, tanto da essere parte di lei. A suo marito di quel bacio non
sarebbe
importato, perché dell’ingannatore si diceva che
amasse più l’atto del conquistare
che coloro che stringeva tra le braccia. Era troppo preso da
sé stesso e dalla
sua bruciante ambizione per fermarsi in nome di una donna. Sigyn non
era
l’eccezione, non sarebbe stata diversa: il cedimento di una
notte fuori dal
tempo non avrebbe spinto Loki, figlio di Odino, a esporsi in alcun
modo. Lei,
d’altronde, tentando di fuggire aveva già
ampiamente dimostrato di non poter
essere fedele all’uomo con cui era sposata – non lo
amava né gli apparteneva in
alcun modo. E l’ingannatore lo sapeva, ne era cosciente. Di
più, la capiva,
perché anche lui nel corso della sua esistenza era fuggito
– da prigioni,
situazioni, incubi: il dove, in fondo, non aveva importanza. Non
avevano mai
parlato del perché Sigyn avesse tentato di scappare. In quel
silenzio denso
che, a volte, li accomunava, c’era più di quello
che erano disposti ad
ammettere.
Sigyn e Loki si
erano baciati al
tramonto, dopo un pomeriggio trascorso a cavallo. Lei gli aveva
mostrato un
cerchio perfetto composto da una serie di grosse pietre –
monoliti enormi,
conficcati nella terra come fossero le zanne di un drago mostruoso e
immenso.
Qui i nostri antenati compivano sacrifici e pregavano le Norne, aveva
detto e
Loki si era inginocchiato a terra sfiorando con le dita la terra e i
ciuffi
d’erba. “Lo sento,” era stata la sua
risposta. Dopo un momento, aveva iniziato
a raccontarle, con la sua voce arrochita e a tratti distante, di riti
dimenticati, di magie e di patti stretti col sangue. Sulla via del
ritorno, le
loro ombre avevano iniziato ad allungarsi, il sole a calare. Era il
momento
giusto per spronare i cavalli al galoppo e rincorrere la luce morente
–
rincorrersi, sfidarsi fino a che, smontati dai destrieri, si erano
ritrovati improvvisamente
troppo vicini, da soli. Sigyn aveva i capelli scarmigliati e il cuore
che
batteva troppo velocemente nel petto. Nei suoi occhi scintillava una
luce
traditrice e imprevista, traboccante di una gioia che non provava da un
tempo
immemorabile. Anche Loki aveva lo sguardo acceso e rideva, ma quando si
rese
conto che lo spazio tra loro si era assottigliato, anziché
ritrarsi si avvicinò
ancora di più, annullando ogni distanza. Era maledettamente
bravo a cogliere le
occasioni propizie, quando gli capitavano, e Sigyn era bella. Glielo
mormorò
sulle labbra, che trovò schiuse, ripetendoglielo mentre la
stringeva a sé,
scoprendo che il corpo sottile e snello di lei era stato creato per
aderire al
suo – e voleva farlo, perché se quel primo bacio
era nato da un gesto temerario
del dio dell’inganno, quelli che seguirono furono dati per
volontà di Sigyn.
Si era scostata
facendo violenza a sé
stessa e a tutto ciò che desiderava – Loki,
nient’altro. E quello che lui
rappresentava – una libertà sfrontata a cui era
dolorosamente possibile essere
fedeli fino alla morte e anche oltre.
Quella notte
Sigyn si sarebbe
lasciata trovare, ma non avrebbe atteso nel suo letto che la porta
delle sue
stanze si aprisse quel tanto che bastava per lasciar passare un amante
particolarmente audace. Voleva rivelarsi. Raccontare del
perché era fuggita,
quale oscuro malessere senza nome l’aveva convinta a tentare
di abbandonare la
propria casa. Fu lei a raggiungere la camera dove dormiva il dio
dell’inganno.
Lui fingeva di leggere – o leggeva nell’attesa di
lei, sdraiato sulle coltri
con la stessa rilassata sicurezza che avrebbe avuto se fosse stato ad
Asgard.
Un ghigno sfrontato l’avvertì che non lo aveva
colto di sorpresa, come se si
fossero dati un tacito appuntamento. Sigyn non chiedeva niente di
diverso.
Slacciò la pesante vestaglia in cui era avvolta e la
lasciò cadere a terra, affinché
lui la guardasse come aveva fatto fino a quel momento, come se potesse,
solo
così, accarezzare la sua pelle nuda e tesa. Loki si
alzò per venirle incontro,
e a entrambi sembrò di vivere un momento già
trascorso e che i loro corpi,
frementi e ansiosi, si fossero già uniti in quello stesso
modo – con urgenza, perché
il tempo e il mondo non erano dalla loro parte, stare lontani era
doloroso,
eppure amarsi, come fecero, contro lo stipite chiuso di fretta e poi
sul letto su
cui il dio dell’inganno aveva dormito pensando a lei, era
necessario,
indispensabile, perfetto, come il ritmo dei loro corpi, come le carezze
e i
baci dati con disperazione.
Ma ogni cosa
è destinata a finire,
anche le notti più oscure, quelle in cui i sospiri rotti si
trasformano finalmente
in ansiti di piacere; il desiderio di aversi, un impulso quasi doloroso
che si placò
solo quando Sigyn schiuse le gambe lasciando che Loki entrasse con una
spinta
dentro di lei, non accennò a scemare quando si ritrovarono
col respiro corto e
ansanti. In gola il dio dell’inganno aveva promesse che
sapeva non sarebbe riuscito
a mantenere e che, per qualche oscura ragione, non riusciva a
pronunciare. Sigyn,
invece, con una guancia poggiata sulla forte spalla del principe degli
Æsir, pensava
ai vincoli che aveva infranto e in cui non aveva mai creduto, alla
trappola da
cui non riusciva a scappare, a quanto si sentisse, finalmente,
sé stessa. E questo,
in qualche modo, la terrorizzava.
♥
L’alba
accoglie la verità, solleva la
tenebra, caccia via le ombre rivelando la natura di ogni cosa: anche di
un
amore sbagliato. Sigyn se n’era già andata,
scivolando via dal letto prima che
qualcuno si accorgesse della sua assenza. Era la moglie di un altro. Di
uno che
si stava apprestando a tornare, il cui cavallo, forse, stava
già galoppando
verso il maniero. Tornando, l’avrebbe stretta tra le braccia,
baciata sulle
labbra – quelle stesse di cui l’ingannatore sentiva
ancora su di sé il sapore. Poter
assaggiare ciò che si brama e doverlo perdere subito dopo
pareva essere una
dolorosa costante della sua esistenza. Avrebbe dovuto affrettarsi ad
andare via,
compiacendosi per la piacevolissima nottata appena trascorsa, invece
qualcosa
di indefinibile lo tratteneva dallo svegliare Balder e partire. Un
irragionevole
presentimento, un malessere che sembrava una punta affilata fatta di
rancore e
di desiderio – voleva che la bella Sigyn tornasse ancora da
lui, spogliandosi
con la stessa squisita grazia con cui lo aveva sorpreso e provocato.
Che fosse
sua e non dell’uomo che l’aveva sposata, gli
suggerì una voce malevola nella
sua testa.
Piegò
le labbra in una smorfia – certi
ragionamenti esaltano i desideri, ma sono inganni, illusioni, chimere.
Nient’altro.
Eppure sollevò un sopracciglio stupito, quando la porta
della sua camera si
aprì di nuovo per lasciare entrare lei. Ma Sigyn non era
più la donna di poche
ore prima, sebbene fosse ancora avvolta nella sua calda vestaglia, con
i
capelli d’oro sciolti sulle spalle. Aveva le guance rigate
dalle lacrime e lo
fissava con uno sguardo nuovo, mai visto. Consapevole.
In mano stringeva
un fascio di lettere. “La mia nutrice è appena
tornata da un viaggio. Me l’ha
date quando ha saputo che tu eri qui – troppo tardi,
evidentemente.”
Gli porse il
plico, cercando invano
di nascondere quanto le tremassero le dita. Loki afferrò i
fogli e li lesse
rapidamente, impallidendo via via che andava avanti con la lettura e
quello che,
all’inizio, sembrava un sinistro scherzo si rivelava essere
una verità perduta,
dimenticata, strappata via dalla testa, in cui la passione bruciante si
mescolava
al dolore e alle incomprensioni per sfociare in una decisione fatale.
“Ci
siamo incontrati ed è successo ancora,”
mormorò Sigyn osando sfiorargli il volto. “Siamo
condannati.”
Un sorriso
feroce, di sfida, attraversò
il volto di Loki. Le passioni non potevano essere controllate. Erano
caos. “Ci
siamo ritrovati.”
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori del
mio cuore ♥ ♥!
Avevo in programma di
postare questa shot a fine 2021, ma la vita è quella valanga
che ti prende tra
un progetto e l’altro ed eccoci qui, al 21 gennaio. E forse
è stato meglio
così, dato che il 2021 è stato un anno ricco di
molte cose, ma povero di
scrittura – bisogna stare tranquilli per scrivere, o almeno:
io devo stare
relativamente tranquilla.
Ma bando alle ciance, Braci
giaceva nel mio pc da un periodo di tempo lunghissimo e nasce
da una serie
di suggestioni a me molto care. Però non sentivo mai la
spinta a proseguirla. D’altro
canto, c’è una mia shot, La
danza degli
spiriti, che necessitava di un seguito che non
riuscivo a scrivere. Io
non lo so com’è successo, ve lo dico davvero, ma a
un certo punto Braci
è diventata il seguito ideale (ma sarebbe più
corretto definirlo prequel)
de La danza, sebbene le due possano essere lette in
maniera assolutamente
slegata l’una dall’altra.
L’altro aspetto
è sul finale
tranchant. Mi sono imposta, proprio per trovare la spinta per scrivere
e concludere,
un limite di parole per questa shot: 5000. Ma anche se non mi fossi
messa alcun
paletto, il finale sarebbe stato ugualmente così
perché il punto, per me, era
di arrivare al momento in cui Loki e Sigyn prendono coscienza
dell’inutilità
del loro sacrificio, del loro tentativo di ingannare i rispettivi
cuori. Di fronte
a questa rivelazione, tutto scompare. Nella mia testa, oltre al forte
desiderio di continuare e concludere TUTTE le mie storie (e
magari
scriverne di nuove) c’è anche il progetto di
scrivere una terza shot su questa
vicenda particolare. Non faccio promesse, però ecco, le
buone intenzioni ci
sono tutte – per sapere che fine ho fatto
c’è sempre fb. Cercatemi anche
lì, è l’unico social che riesco a
gestire. Spero che la lettura ti sia gradita,
o tu che sei giunt* fin qua ♥.
Ringrazio con tutto il cuore
chi listerà, recensirà o semplicemente
leggerà questa storia: sono piccole cose, ne
convengo, ma danno più di quanto crediate e so’
pure gratis XD. A parte gli
scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri
commenti
e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate
lo faccio
e sono molto alla mano, ecco.
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non
vi autorizzo a
ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui
né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo
stesso vale per gli
headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con
usi e
costumi non è uno scherzo.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
Shilyss