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Autore: settembre17    21/01/2022    17 recensioni
“Nessuno mai sulla terra
ha scoperto da parte d’un dio
un segno certo di ciò che sarà;
la cognizione del futuro è cieca.
Molte cose succedono agli uomini
contro il piacere; altri s’imbattono
in un vortice di pene
e mutano in breve il male
in un bene profondo”
(Pindaro, Olimpica XII)
Il temutissimo (per chi scrive) finale dell’episodio 28 e l’inizio dell’episodio 29. Da qui parte questa piccola storia. Nei primi capitoli il tempo scorre molto lentamente, più all’indietro che in avanti, poi la vicenda procederà secondo una strada diversa da quella originale.
Come sempre nei miei racconti, più introspezione che avventura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAP. 7 Il giorno del ritorno di André
 
Matin
 
Prima ancora di vederlo, sentì che era arrivato. Le parole di Girodelle sempre più lontane, lo sguardo puntato verso la grande finestra del salottino verde al pianoterra, nell’ala sud di palazzo Jarjayes: da lì scorgeva chiaramente un tratto del viale che a destra finiva verso le scuderie, a sinistra conduceva fino alla facciata del palazzo.
E all’improvviso, dopo quasi un mese, lei rivide André: conduceva il suo cavallo al passo e aveva una sacca a tracolla sulle spalle, una sacca di documenti pensò osservandone la forma, e poi c’era un’altra sacca, quella con i suoi effetti personali naturalmente, legata sulla parte posteriore della sella; poi André, di profilo, incorniciato nel legno chiaro della vetrata, fermò il cavallo.
“Posso leggervi ora, madamigella, le disposizioni per il servizio d’ordine programmato in occasione della Santa Messa Pasquale? Un vostro parere mi sarebbe di grande aiuto”, Girodelle, seduto di spalle alla finestra, non si accorse di niente; del resto, i rumori da fuori giungevano attutiti e alle sue orecchie il tramestio mattutino di casa Jarjayes non aveva nulla di strano né di interessante. Certo lei aveva l’aria assorta, ma quella vaghezza di lei era uno dei tratti che Girodelle più amava e rubò avidamente lo sguardo sottile, le ciglia che quasi coprivano l’azzurro dell’iride, rinunciando a interpretare i motivi di quella perfetta, statuaria fissità.
Lei, avvertendo dal silenzio che improvvisamente era calato che forse Girodelle stava aspettando che lei dicesse qualcosa e sapendo che qualunque cosa avesse detto sarebbe andata bene, se ne uscì con un incolore:
“Ma certo, Girodelle”, una frase passe-partout, si disse.
Lui allora fece un mezzo sorriso, fissò lei senza sapere che lei stava fissando un altro uomo e iniziò a leggere scandendo ad alta voce:
“Il 23 marzo dell’anno del Signore 1788, in occasione della Santa Pasqua, la Famiglia Reale assisterà alla Santa Messa nella Cappella…”
Ma già lei non lo sentiva più.
Guardò André scendere da cavallo: la gamba nascosta dal fianco dell’animale che scavalcava la sella e il piede che raggiungeva terra, subito seguito dall’altro, un movimento veloce della mano per ravviare i capelli. L’aveva visto compiere quei gesti ogni giorno, per anni. Eppure…
Poi vide la figurina svelta della nonna uscire dalla porta a vetri dell’androne, le mani giunte al petto e un sorriso felice sul volto. Lui le andò incontro, ora era di spalle: continuando a tenere le redini del cavallo, le fece una carezza sul capo e le disse qualcosa che lei non poteva sentire.
“… la scorta che aprirà il corteo sarà comandata dal Colonnello Victor Clément…” la voce di Girodelle si perdeva in un punto lontano alle sue spalle mentre lei continuava a fissare il ritorno di André.
Lo vide consegnare alla nonna la borsa con i documenti e poi lo vide togliersi la giacca di fustagno dopo aver messo nella tasca il fazzoletto del collo. Con quel fagotto tra le mani, la nonna fece energicamente segno di no con la testa: di sicuro lui le aveva chiesto se riusciva a portare tutto dentro da sola o se la doveva aiutare.
Poi lui rimase da solo, si rimboccò le maniche della camicia, si slacciò i bottoni del gilet e si voltò verso il suo cavallo: il profilo di lui contro il muso dell’animale. Gli sussurrò qualcosa mentre lo accarezzava vicino alla cavezza; il cavallo gli rispose con un colpo del muso sulla spalla e allora lei, anche se era lontana, intuì il sorriso di André. E sorrise senza nemmeno accorgersene.
Ma Girodelle se ne accorse e interruppe la lettura:
“Qualcosa vi fa sorridere, madamigella?”
“… cosa? oh, no, Girodelle, vi prego, continuate. Sono molto colpita dalla vostra capacità organizzativa…”
E Girodelle, lusingato, allungò sul piano del tavolo le braccia che reggevano i fogli e così facendo si curvò un po’ in avanti, verso di lei, non accorgendosi che con quella flessione del busto le aveva sgombrato ulteriormente la visuale e che ora lei poteva non solo vedere distintamente la figura intera di André ma anche seguirla mentre con la sua consueta eleganza si avviava verso le scuderie.
“… dopodiché si procederà al ricovero dei cavalli nelle scuderie, al rientro in caserma e all’ultima rivista prima del congedo serale.” La conclusione della frase aveva avuto un crescendo che, fortunatamente, non le era sfuggito e che l’aveva riportata lì, nel salotto verde con Girodelle. Lui alzò lo sguardo dal foglio:
“Che dite, madamigella? Il vostro parere conta molto per me.”
“Non avete bisogno del mio parere, Girodelle. Mi pare che voi ve la caviate egregiamente…”
Lui sorrise di compiacimento.
“… ma ora scusatemi, la mia giornata prevede altre incombenze che non posso rimandare. Vi devo congedare.”
“Ma certo. E scusatemi se vi ho disturbato e se ho approfittato del vostro tempo.”
“Nessun disturbo. Conoscete la strada, vero?”
Intravide André di ritorno dalle scuderie che si dirigeva verso la porta della cucina.
“Certo. Grazie ancora, madamigella… e… a proposito di Jacques… siete proprio sicura che non vi serva il suo aiuto?”
“Ne sono sicurissima, Girodelle.”
Immaginò André addentare il pane dolce che la nonna aveva infornato quella mattina, sicura del suo arrivo.
“Come volete. Arrivederci, madamigella Oscar”, la guardò ancora un istante, il tempo di un altro piccolo e innocente furto, il tempo di fissare nella memoria quello sguardo azzurro che mai gli era apparso così liquido, così… languido?, non osò sperarlo, il povero Girodelle.
 
Intanto André, dopo aver portato la sacca da viaggio nella sua camera ed essersi velocemente rinfrescato, era tornato in cucina dalla nonna.
Aveva deciso, mentre galoppava verso casa lasciandosi alle spalle il mare e il vento della Normandia, che una volta arrivato si sarebbe scrupolosamente dedicato a qualunque incombenza pratica, perché sapeva che, varcati i cancelli di palazzo Jarjayes, le emozioni l’avrebbero sopraffatto e che sarebbe stato difficile resistere all’urto dei ricordi, specialmente degli ultimi ricordi legati a quelle mura.
E naturalmente, mentre le basse coste diventavano paludi, praterie, campagne solcate da corsi d’acqua silenziosi e poi mentre via via i boschi si infittivano, i fiumi gorgogliavano per le recenti piogge e per la prima acqua del disgelo e ancora mentre le colline si susseguivano con un ondeggiamento familiare e l’infittirsi di carri sulle strade rivelava i maggiori centri abitati e infine mentre il chiarore delle luci all’orizzonte annunciava la vicinanza a Parigi e a lei, André aveva anche pensato che tornare a casa significava rivederla.
Ma non avrebbe dovuto cercarla, lui ormai non aveva più il diritto di cercare la sua compagnia, era chiaro:
Non ho più bisogno di te, André
Questo lei aveva detto, ben prima che lui, con il suo gesto folle, avesse reso ancora più definitiva quella frase
Preferisco dimenticare
Questo aveva detto l’ultima volta che gli aveva rivolto la parola. E poi se ne era andata
Non seguirmi
Questo aveva detto.
 
Per tutte queste ragioni, una volta arrivato a palazzo, André aveva deciso di mettersi subito al servizio di sua nonna:
“Nonna, ti posso aiutare?”
“Oh, qui c’è sempre da fare, caro. Ma non sei stanco per il viaggio?”
“No, nonna, ieri sera mi sono fermato a un paio d’ore di strada da qui e ora sono riposato e scattante come un giovanotto!”
Le abbracciò le spalle e le scoccò un bacio sulla guancia, ricacciando in fondo al cuore il motivo vero per cui aveva deciso di tornare a casa di mattina quando tutta la servitù sarebbe stata in movimento, la casa sveglia e investita dalla luce piena e… lei, lei… sicuramente impegnata, magari fuori. L’ultima sera che aveva passato a palazzo era ancora un ricordo talmente doloroso… tornare con il buio avrebbe significato immergersi di nuovo in quell’atmosfera di sofferenza, tornare a quella sera… e poi lei sarebbe sicuramente stata in casa e lui non si sentiva pronto ad incrociare il suo sguardo alla luce delle candele, un attimo prima di andare a dormire… no! Aveva preso la decisione giusta la sera prima, quando a quel bivio, indeciso se fermarsi o proseguire, aveva chiesto una camera in una locanda; le ore del mattino sono le ore della servitù!, si era detto.
“Allora fammi il favore, André, dai un’occhiata al calesse: Pierre dice che la ruota posteriore cigola tremendamente ma da solo non riesce a sistemarla. Dagli una mano, che oggi deve andare a Parigi a ritirare della merce.”
“Ma certo nonna, vado subito.”
E si avviò dopo aver allungato la mano sul cestino del pane dolce che lei gli aveva preparato.
“…mmmhh, è buonissimo!!” e sparì a passo svelto.
Quando dopo circa un’ora rientrò in casa, la forza dell’abitudine lo condusse all’ingresso principale anziché alla porta sul retro della cucina e fu così che, in modo assolutamente fortuito e imprevisto, alzò lo sguardo verso lo scalone d’onore e la vide.
 
 
Una volta congedato Girodelle, lei era stata ancora un po’ nel salottino verde con la scusa che doveva studiare alcune parti del Regolamento della Caserma dei soldati della Guardia che d’Agoult le aveva fatto recapitare. Aveva sfogliato distrattamente le pagine, poi aveva ripreso il segno che aveva lasciato il giorno prima e si era costretta a proseguire nella lettura. Ma la concentrazione non arrivava, il pensiero era tutto immerso nel fragrante calore della cucina, dove immaginava Nanny che, tutta contenta, trotterellava intorno a una figura di uomo di spalle, un uomo in camicia bianca e pantaloni di fustagno marroni, un uomo con i capelli scurissimi che gesticola nell’aria facendola ridere e arrossire.
E senza accorgersene era arrossita anche lei, circondata da quella carta da parati verde, un libro sul tavolo, due antenati alle pareti, il fuoco nel camino che si stava spegnendo. Aveva provato a riprendere la lettura da dove l’aveva interrotta, ma si era accorta di non aver trattenuto niente di quello che aveva letto, così aveva deciso di salire in camera sua. A fare che? Non lo sapeva nemmeno lei. Ma doveva uscire da lì. Così, come se avesse chissà quale importantissimo affare da sbrigare, aveva salito le scale ed era arrivata alla sua stanza.
Senza incontrare nessuno, aveva constatato con rammarico.
Una volta in camera aveva gironzolato in cerca di un’ispirazione, poi, spazientita e irritata con sé stessa per quel suo stupido modo di fare, aveva preso in mano la situazione: afferrata la prima giacca che aveva trovato nell’armadio, era uscita.
Ma non era arrivata nemmeno a metà scala che aveva dovuto fermarsi di colpo.
 
Vide André entrare dalla porta: era in camicia, le maniche arrotolate sopra i gomiti, si stava asciugando le mani appena lavate con un telo bianco.
Le sembrò di non averlo mai visto prima e restò lì a fissarlo, con la mano appoggiata al corrimano, un piede su un gradino l’altro su quello più basso.
Lui, chiamato da quello sguardo muto, alzò la testa e, ricordando una sera in cui si trovava ai piedi di quella scala di fronte a lei, a lei che amava un altro uomo, abbassò subito lo sguardo.
Lei, ricordando la medesima sera, quella in cui l’aveva visto ai piedi della scala di fronte a lei, si toccò istintivamente la testa, dietro, appena sopra la nuca, come se stesse cercando qualcosa.
Ma lui non la vedeva, perché il suo sguardo era basso e, in effetti, anche se avesse visto quel gesto non l’avrebbe capito.
E lei sapeva che spettava a lei dire qualcosa, che lui non l’avrebbe fatto, ma non le uscivano le parole che voleva e allora il silenzio si prolungò.
 
Finché non arrivò la nonna, trafelata, le gonne leggermente sollevate:
“André…, oh, vi siete incontrati!, avete visto madamigella? Il nostro André finalmente è tornato!,… André, presto il generale ti cerca, non devi farlo aspettare! Vai subito!”
 
Allora lui alzò lo sguardo e sorrise alla nonna lasciandole il telo di cotone tra le mani:
“Vado subito, nonna.”
Fece un piccolo inchino con la testa verso di lei, aspettò che lei scendesse e poi, dopo averla superata con un leggero indugio che lei colse e che la fece rabbrividire, salì le scale, sparendo in fondo al corridoio.
 
 
 “Quindi mi stai dicendo che da anni quei registri sono falsificati???”
Lei era arrivata dietro alla porta accostata dello studio in tempo per sentire l’indignazione di suo padre esplodere. Non era la prima volta che si nascondeva per origliare una conversazione tra suo padre e André; vide lui di schiena e suo padre, stizzito, che sferrava un pugno su una pila di documenti.
“Da due anni soli, signore. E, se permettete, i registri sono falsificati nella grafia, ma non sono affatto falsificate le cifre, né i capitoli di spesa, né le entrate. Honorine Mabeuf ha dovuto sostituire suo padre quando ormai lui a causa della malattia non riusciva più né a scrivere né a tenere i conti…” lui spiegava con pazienza, ma venne bruscamente interrotto:
“Ah, quindi la giovane mademoiselle si è inventata contabile negli ultimi due anni? Suvvia, André, come puoi pensare che si possa imparare un mestiere in così poco tempo!”
“Signore, - lui era esattamente come lei l’aveva sempre visto, deferente ma tenace – Mademoiselle Mabeuf ha aiutato suo padre ad amministrare la proprietà da quando ha compiuto i quattordici anni. Il padre l’ha istruita anno dopo anno proprio nel timore di ammalarsi o di morire improvvisamente…”
“Avrebbe fatto bene a parlarne con me, di questa sua bella iniziativa! Ah! Sua figlia!”
Lei vide che André aveva abbassato la testa e che restava in silenzio. Ma poi André aveva stretto un po’ il pugno e aveva proseguito coraggiosamente:
“Signore, con tutto il rispetto a voi dovuto, Monsieur Mabeuf aveva ricevuto da parte vostra la più ampia libertà d’azione e la figlia si è dimostrata non solo capace, ma anche appassionata del lavoro di amministratore e…”
“Ma certo! Che sciocchezze, André! È una donna: pensi forse che lascerei gestire le mie proprietà a una…”
Un silenzio irreale era calato nella stanza: il generale, a cui le parole erano morte sulle labbra, tratteneva il respiro con gli occhi sbarrati nella consapevolezza delle implicazioni di quello che stava per dire. Lei, nascosta dietro il battente della porta, tratteneva il fiato e osservava le spalle di André che si alzavano e si abbassavano. Poi capì che avrebbe parlato lui per primo. E che suo padre l’avrebbe ascoltato:
“Signore, se permettete, nessuno meglio di voi sa che esistono donne capaci, determinate e in grado di svolgere compiti maschili meglio di molti uomini. – lei arrossì e si coprì la bocca con le dita - Per quanto ho potuto vedere, Honorine Mabeuf è una di queste donne. Ha un grande senso dell’onore, una straordinaria inclinazione per i conti e per gli affari, conosce perfettamente la proprietà e non recherebbe mai, mai, disonore alla memoria di suo padre – era un’impressione o André aveva calcato su quelle ultime parole? -. Io capisco le vostre resistenze, ma considerate quanto sarebbe vantaggioso per voi, signore, non dover cercare un altro amministratore e avere anche al vostro servizio una mente brillante come quella di mademoiselle Mabeuf.”
Mentre parlava muoveva piano nell’aria la mano destra e lei guardava quelle dita che le sembravano accarezzare l’aria, accompagnate da quella voce così gentile ma così ferma.
Il generale, che mai aveva visto Honorine Mabeuf ma che ormai la immaginava bionda, con gli occhi azzurri e la vedeva misurare in lungo e in largo il parco della villa in Normandia in groppa a un destriero bianco, abbassò il tono della voce e scandì come se stesse sottolineando l’ovvio:
“Una donna, per quanto dotata delle migliori qualità, non può firmare registri contabili, né figurare come amministratore di una proprietà…”
“Ho parlato di questo con mademoiselle e con il suo futuro marito, Monsieur Durand, apprendista avvocato a Bayeux. Si sposeranno il mese prossimo. Monsieur Durand firmerà tutti i documenti e risulterà ufficialmente amministratore. Non c’è alternativa, purtroppo…”
“Che vuol dire purtroppo?” la voce di suo padre si era alzata di nuovo.
“Non vuol dire niente, scusate signore.” André aveva di nuovo chinato il capo.
“Va bene, André. Ci penserò. Ti aspetto dopo cena per dettarti la lettera con le mie decisioni che farai recapitare a mademoiselle Mabeuf.”
Lei si allontanò prima che André rispondesse e poi di corsa arrivò alla scuderia, si infilò stivali e giacca ed uscì al galoppo. Voleva stare sola e ripetersi mille e mille volte nella mente le parole di André.
 
Midi
 
André, poco dopo aver parlato con il generale, scese in cortile. Aveva bisogno di schiarirsi le idee.
Ma appena fuori lo accolse una voce familiare:
“Ehi, non si saluta?”
“Léonie! Come stai?”
“Ma fatti un po’ vedere… che cosa ti è successo?”
“Mh…?”
“Sì, dico, sei… diverso… Oddio, l’aria tormentata ce l’hai sempre eh… ma… cos’è, hai per caso fatto un giro fino alla fontana dell’eterna giovinezza?”
“Ma che dici, Léonie?”
“Ma hai sempre avuto le spalle così larghe? E poi hai un colorito… fa’ un po’ vedere questo braccio…” lo prese per il polso e tirò su la manica ben oltre il gomito “caspita…”
“Léonie, mi sembra che tu stia esaminando un cavallo al mercato…” lui riprese possesso del suo braccio “piuttosto dimmi, che stai facendo?”
“Ho finito adesso di scaricare il calesse del mugnaio, ora mi tocca l’argenteria, caro. Eh, che vuoi, c’è chi va al mare e c’è chi resta qui a lavorare…”
“Dai, smettila, ti accompagno: hai molto da lucidare oggi?”
“Oggi l’argenteria del piano nobile, non so se mi spiego! Comunque, volente o dolente mi tocca…”
“Volente o nolente…”
“Dio, come mi sei mancato!” gli diede un pizzicotto sulla guancia “ma questa volta ho ragione io, caro, perché nolente è una parola che non esiste, mentre dolente significa “che duole” e lo so io quanto duole pulire tutto quell’ammasso di roba!”
“Mi sei mancata anche tu, Léonie”, rise lui.
Poi lui prese la pentola riempita di cenere e le pezze di cotone e l’accompagnò al piano di sopra: mentre percorrevano scale e corridoi fino al locale di servizio del primo piano, lui rimase silenzioso perché avrebbe voluto farle una domanda, ma lui e lei non avevano mai parlato di…
“Sai che mentre eri via è comparso un altro attendente per madamigella Oscar?” Léonie parve avergli letto nel pensiero.
“Cosa…?”
“Non è durato nemmeno un giorno, ahahah!”
Lui abbozzò un sorriso, ma sentì che qualcosa lo disturbava. Profondamente.
“Quindi… sta cercando un altro attendente…?”
“Mah, a quanto ho capito lei non lo vuole per niente. Gliel’ha appioppato il suo amico capellone una mattina e lei l’ha rimandato indietro nel pomeriggio. Gran donna, se posso permettermi!”
Lui fu sollevato, ma qualcosa ancora lo disturbava. L’accenno a Girodelle, per la precisione.
“Eccoci arrivati! E ora all’opera! Mi mescoli la cenere con un po’ d’acqua per favore?”
“Sì subito. Senti… l’amico capellone è il capitano Girodelle?”
“E chi se no?” lei cominciò a disporre i primi oggetti da pulire su una sedia che aveva posizionato davanti a quella su cui stava seduta “si fa vedere spesso quello lì, con una scusa o con un’altra. A me, comunque, uno così non mi fa sangue, te lo dico…”
“Non avevo dubbi, Léonie…” lo disse quasi sovrappensiero, attratto da un piccolo oggetto che aveva visto tra una coppia di candelieri e una zuccheriera decorata.
“Ma sì, quel Girodelle, per me, è uno di quelli che si mette gli specchi in camera da letto… sissignore, uno di quelli che vuol essere parfait e che vuole ammirarsi anche quando ha intorno alla schiena le cosce sudate di una… ehi, non mi interrompi?”
“Chi ti ha dato questo oggetto da pulire?” teneva tra le mani una forcina.
“Nessuno, mi fanno trovare l’argento da lucidare e io lo lucido. Non faccio mica domande, io! Bello quel deo greco, comunque…”
“Dio, non deo, Léonie…” le parole gli uscivano dalla bocca ma lui non avrebbe saputo dire che cosa aveva appena detto, perché una dolcezza senza fine si era impadronita di lui e si chiedeva che cosa avesse spinto lei, la sua Oscar, a volere che quella forcina fosse lucidata.
“Dio, deo, come vuoi tu, sapientone. Ma ti sei incantato? Mi aiuti o no?”
“Certo, certo, scusa. Dicevi?” lui appoggiò la forcina e procedette a mescolare la cenere.
“Dicevo che quel Girodelle…”
Ma improvvisamente di Girodelle non gli importava più niente: “Senti, lasciamo perdere Girodelle. Raccontami di te, piuttosto: che hai fatto in quest’ultimo mese?”
Questa volta fu lei a tacere: finse grande concentrazione nel lucidare un doppiere, ma in realtà stava morendo dalla voglia di dirgli una cosa. Così sputò fuori tutto d’un fiato:
“Ho conosciuto un uomo e credo di aver perso la testa per lui.”
Lui ebbe un brillio malizioso negli occhi:
“Non mi dire! Ma non volevi essere libera tu?”
“Ecco, lo sapevo, linguaccia mia statti zitta!”
“E dai, sono felice per te! Mi racconti, per piacere?”
Lei allora si sedette in punta di sedia, continuò a lucidare e intanto con un profluvio di parole raccontò:
“Hai presente la mia amica Diane? No, non l’hai presente. Allora, c’è questa ragazza, Diane appunto, che è mia amica, ogni tanto lavora alla sartoria dove tua nonna mi manda a prendere i nostri abiti e la biancheria per il palazzo. Siccome alla sartoria ci vado sempre io, ho fatto amicizia con questa ragazza che ti dico André, se tu la vedrest…” – lui ebbe come un brivido e la guardò supplichevole – “vedessi, ti piacerebbe un sacco. Comunque tu penserai che io e Diane ci assomigliamo, e invece no: lei è proprio all’opposto di me, dolce, riservata, introversa, silenziosa, verg…” – lui la guardò di nuovo con aria di rimprovero – “vabbè, hai capito, no? Che poi, scusa, perché uno dovrebbe avere come amici solo quelli che gli somigliano io non so! A me Diane piace proprio perché vede le cose così diversamente da me! E a volte ha pure ragione!”
“Sei unica, Léonie!”
“Insomma, per fartela breve, Diane ha un fratello…” sospirò un po’ gemebonda e lui la fissò stranito “dovresti vedere che pezzo di…”
“Léonie, passiamo oltre, vuoi?”
“Ti giuro, André, quando l’ho visto la prima volta… Aveva la camicia talmente slacciata che pareva a dorso nudo…”
“Torso…”
“E che vuol dire torso? Dorso, dorso, come il dorso della mano no?”
Lui alzò gli occhi al cielo.
“Comunque, ci siamo già visti un paio di volte e credo che oggi pomeriggio lo rivedrò…”
“Ah sì?”
“Sì, oggi arrivano i teli da bagno con lo stemma di famiglia e devo andare a ritirarli con Pierre. E così ne approfitto per fare un saluto a Diane e sulla via del ritorno passo in caserma a salutare Alain!”
Lui interruppe di colpo la lucidatura di un oggetto tutto nascosto dal panno che aveva tra le mani:
“In caserma?”
“Sì, caro, il mio Alain è un soldato della Guardia!”
“Léonie, di’ a Pierre che oggi ti accompagnerò io a Parigi. Voglio conoscere questo Alain”, lui appoggiò sul tavolo il lavoro che aveva finito e la pezza, si alzò, le diede un bacio sulla guancia e fece per andarsene:
“Sei un tesoro, Léonie!”
Lei rimase lì, con la pezza a mezz’aria, poi guardò tra le cose lucidate e vide brillare su un vassoio il profilo del dio Marte.
 
E intanto lei, dopo aver galoppato a lungo e senza meta, arrivata all’argine dell’ultimo canale che finiva nei giardini della reggia, smontò da cavallo vicino a un filare di cipressi e mise ordine nella tempesta che sentiva agitarsi in lei da quando quella mattina aveva visto André arrivare sul viale di casa:
Sei tornato, André.
Sei tornato da me, anche se credi che io non ti voglia.
Sei tornato da me, lo so.
Sei magnifico, André.
 
Après-midi
 
Rientrò a casa e volò in cucina:
“André è qui?” chiese con il solito tono di comando.
“No, cara è appena…” la nonna si interruppe: le parve di avere di fronte ancora quella bambina riccioluta e indomabile, i capelli arruffati dalla galoppata, le guance arrossate dall’aria frizzante di marzo, gli occhi lucidi e frementi di impazienza e poi era entrata con un’irruenza così diversa dal passo svelto ma cadenzato e severo che le era proprio….
Appena la nonna aveva iniziato a rispondere lei aveva già stretto i pugni per la stizza:
“Dove è andato?”
“A Parigi, Oscar. Gli ho affidato delle commissioni… dovrebbe essere partito da poco, non l’hai visto nel rientrare? O forse è ancora in camera sua a prepararsi…”
Una speranza! Esultò e fece per dirigersi verso la camera di André,
“… ma no, no, cara, vado io. Torno subito…”
Lei la fermò:
“No, tu continua a fare quello che stavi facendo. Non volevo disturbarti, vado io a vedere se André è ancora in casa.” Si complimentò con sé stessa per la credibilità di quel tono di voce così neutro e lasciò la nonna a chiedersi se fosse meglio che André fosse già partito o no.
 
Ma lui non c’era.
Lei bussò e poi, non ricevendo risposta, spinse piano la porta, che, spicchio dopo spicchio le rivelò, tra la polvere che danzava nella penombra procurata delle ante leggermente accostate, il piccolo mondo privato di André.
Rimase sulla soglia perché era tanto tempo che non entrava più lì e perché André non c’era e se fosse arrivato all’improvviso lei si sarebbe sentita fuori posto e questa consapevolezza, di fatto, era la prova che lei non doveva essere lì.
Però.
Però voleva respirare l’aria di quella stanza, ancora una volta.
Ferma sull’uscio, dopo aver ripreso lentamente confidenza con quei muri, con quegli arredi, con quel profumo, infine volse lo sguardo a sinistra, al letto di André.
Non si era ancora sdraiato, constatò osservando il copriletto perfettamente tirato.
Sono contento di essere stato ferito io all’occhio e non tu, davvero.
Era sdraiato lì quando gliel’aveva detto.
Allora, si appoggiò allo stipite della porta, le mani dietro alla schiena ad accarezzare il legno dell’intelaiatura e lo sguardo a vagare su quelle lenzuola e si immaginò una sé stessa diversa, più consapevole, più disinvolta, più… giusta e…
 
Immaginò:
Lui la guarda ancora una volta con un’espressione così innamorata che solo una stupida potrebbe non accorgersi dei sentimenti di quell’uomo. La accarezza tutta con l’unico occhio mentre l’alba sta sorgendo. Ma lei non è interessata all’alba, non ha detto quella frase “Guarda, André, è l’alba”, no, si è avvicinata a lui, si è seduta sulla sedia a fianco del letto e gli ha detto preoccupata:
“Ti fa molto male André?” e poi gli ha sfilato una mano da sotto le coperte e gliel’ha stretta.
“Sono qui, André.”
Allora lui le dice quella frase, quella che lei non sostituirebbe mai con nessun’altra in nessun sogno ad occhi aperti o chiusi,
Sono contento di essere stato ferito io all’occhio e non tu, davvero
E allora lei, spostandogli una ciocca di capelli dal volto con una mano e tenendolo sempre per mano con l’altra, mormora:
Sei molto caro, André
E la mano che gli ha spostato i capelli scende piano sulla sua guancia e lì si ferma. Poi lei avvicina il volto al suo e no, non ha intenzione di baciarlo sulla bocca, quello non è il momento, ma quando il suo viso raggiunge quello di lui, appoggia piano la sua guancia a quella sinistra di André, finché sente il ruvido della benda vicino anche al suo occhio e stanno così, poco, forse qualche secondo. Entrambi con gli occhi chiusi.
 
Perdonami, André, perdonami.
Poi si allontanò verso la sua stanza.
 
Soir
 
André tornò da Parigi che era quasi buio, la mente piena di pensieri.
Si era arruolato in fretta e furia, senza avere il tempo di realizzare quello che aveva fatto, perché quel pomeriggio si chiudevano gli arruolamenti di marzo. Avrebbe preso servizio a partire dal mese di aprile.
Aveva ancora una decina giorni per congedarsi da palazzo Jarjayes e dare inizio a una nuova vita.
L’avrebbe detto a lei?
O si sarebbe fatto trovare lì, in mezzo agli altri soldati, pronto a vedere gli occhi di lei farsi fuoco nel riconoscerlo?
Non aveva ancora deciso: aveva però saputo per certo che quella era la compagnia giusta, visto che l’ufficiale con cui aveva parlato aveva accennato all’arrivo di un nuovo comandante per la metà di aprile.
André poi aveva provato un’istintiva simpatia per Alain, il fiancé di Léonie – e chi si aspettava poi di vedere Léonie così… innamorata? Certo il brio e l’euforia non le mancavano mai, ma André aveva visto anche il rossore dipingersi sulle sue guance quando lui si era avvicinato strizzandole l’occhio e poi aveva visto un luccichio nei suoi occhi quando l’aveva salutato… -, sì, gli era piaciuto quel ragazzo: in particolare ad André era piaciuto che gli avesse stretto la mano con energia mentre lo guardava negli occhi. Da quando aveva perso un occhio André si era accorto che molte persone di fronte a lui abbassavano lo sguardo, per una forma di riguardo che in realtà non faceva che accentuare la sua condizione. Alain invece l’aveva guardato dritto in faccia senza fare domande e poi l’aveva inquadrato subito: “Parli poco, tu, vero? Meglio così, si capisce che quando parlerai dovrò ascoltarti con grande attenzione!” e poi insieme si erano avviati dall’ufficiale del bureau d’enrôlement.
 
Appena entrò in casa si accorse dalle luci accese nella sala da pranzo che Oscar e il generale erano già impegnati nella cena: gli pareva incredibile che fosse passata quasi un’intera giornata senza che lui e lei avessero avuto un momento per parlare. Si chiese se fosse stato lui abile ad evitarla o lei determinata ad ignorarlo. Lasciò cadere la questione, si fece circondare dalle affettuose premure della nonna e dopo aver cenato si preparò all’incontro con il generale.
 
Al termine di una cena particolarmente silenziosa, suo padre, appoggiando il tovagliolo sulla tovaglia e alzandosi, si era rivolto a lei:
“Mi ritiro nel mio studio, Oscar. Devo vedere André per risolvere una questione che richiederà un po’ di tempo. A domani.”
Lei era rimasta lì senza rispondere, aveva sentito suo padre chiamare André e in quel preciso istante aveva avvertito che iniziava a montare una furia incontrollabile dentro di lei.
Strozzò il tovagliolo con entrambe le mani mentre sentiva i loro passi perdersi su per le scale.
Che cosa stava facendo suo padre? Le stava rubando André?
È mio, è mio!
Suo padre che lo manda in Normandia, suo padre che per un mese tiene una fitta corrispondenza con André, suo padre che evidentemente sta pensando come impiegare André ora che lei…., suo padre che dopo cena si chiude nel suo studio con André.
Gli offrite anche da bere, padre?
André, vieni da me!
Dedica il tuo tempo a me! A me, André!
Le veniva quasi da piangere, ma poi ricordò le parole di suo padre che l’avevano accompagnata fin dai primi addestramenti, quando ancora era una bambina, anzi, un bambino:
“Non piangere! Reagisci!”
Reagire. Reagire.
Reagì.
Salì le scale con impeto bellicoso, entrò nella sua camera e si diresse al pianoforte. Prese tra le mani la scatola color carta da zucchero e la aprì, afferrò dal fondo la maschera nera di André e la dispose sul leggio come fosse uno spartito.
Poi iniziò a suonare.
Una musica dapprima appena accennata, una sola mano e una sequenza di tasti premuti quasi in modo incerto, poi l’altra mano, un accordo, un altro, poi le mani che suonano insieme e una musica sempre più veloce, sempre più forte.
Mi senti, André? Raggiungerò ogni angolo di questo palazzo con questa musica
Mi senti, André?
Chiuse gli occhi e immaginò André e il generale nello studio investito dalla sua musica
Mi senti, André?
Immaginò André che interrompeva il generale e correva da lei
Mi senti, André?
Immaginò André che la faceva alzare dallo sgabello e senza dirle una parola la abbracciava circondandola tutta con le braccia
Mi senti, André?
Immaginò André che spalancava la porta e la guardava con lo sguardo acceso della sua stessa passione
Mi senti, André?
Immaginò André dietro di lei che le spostava i capelli e le scopriva la nuca e poi si inginocchiava e un attimo prima di baciarle il collo sospirava vicino al suo orecchio
Mi senti, André?
Immaginò André, in ginocchio tra le sue gambe, che le raccoglieva con la bocca il sudore che sentiva scendere sul petto mentre con i capelli le solleticava la gola e mentre faceva scorrere le mani aperte sulle sue cosce, dalle ginocchia fino alle anche…
Poi aprì gli occhi, il cuore impazzito, il sudore sulle tempie, un languore nelle viscere.
Vide la maschera e immaginò, dentro a quei buchi, gli occhi verdi di André.
 
Era tardi quando André uscì dallo studio del generale, appena in tempo perché lui non vedesse che barcollava. Nelle sue orecchie ancora rimbombavano parole di cui riusciva a comprendere solo l’assurdità:
“Oh, Oscar non comanderà mai i soldati della Guardia”, dice il generale scaldando tra le mani il bicchiere di cognac. Ha l’aria pacata e soddisfatta: sta sistemando tutto, lui. La Normandia nelle mani della futura Madame Durand, André braccio destro per chissà quali altri incarichi di fiducia e lei…
André dovette reggersi alla balaustra per non cadere.
“Girodelle mi ha chiesto la sua mano e io ho acconsentito. Un’ottima soluzione non credi? Immagino che fossi preoccupato anche tu all’idea che finisse in quel postaccio, no? Del resto ho fatto anche io molti errori e Girodelle pare persino innamorato… Non potrei volere di meglio per Oscar.”
 
Scese le scale mentre il mondo gli crollava addosso.
Finito.
Tutto era finito.
Era per questo che lei aveva suonato il piano in quel modo così… disperato?
O forse sperava di coprire le parole di suo padre, sperava che lui non sentisse?
Si attaccò al collo della prima bottiglia di vino che trovò.
 
Nuit
 
Quando a notte fonda, ancora insonne, lei scese in cucina, lo trovò riverso sul tavolo.
Lo chiamò.
Lui non rispose.
Si avvicinò e con una piccola esitazione gli spostò i capelli dalla fronte.
Vide che piangeva, ma era incosciente. Era incosciente e piangeva.
Quando lei disse piano, di nuovo, “André”, lo sentì mormorare qualcosa di indistinto. Allora si avvicinò un poco e lui ripeté, come una nenia rivestita di dolore:
“Non ti sposare, Oscar. Ti prego, non ti sposare.”
 
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Scusate, ma stasera sto litigando con l'editor e non riesco a usare il carattere dei capitoli precedenti, uff.
Grazie sempre per la vostra lettura, per le recensioni, per l’apprezzamento.
La storia si avvia alla sua conclusione e non sapete quanto mi avete spronato capitolo dopo capitolo. Grazie di cuore!
 
   
 
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