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Autore: ShawnSpenstar    21/01/2022    0 recensioni
Un nuovo campionato mondiale di Battle Spirits alle porte, il primo anno di liceo, strani eventi che accadono all'interno del piccolo mondo della sua cittadina, una sorellina da proteggere, una situazione familiare non più perfetta; tutto nella vita di Hajime Hinobori, studente e duellante di quindici anni sta cambiando. Inseguendo il sogno di diventare campione mondiale, si imbarcherà con gli amici di una vita in una grande avventura che forse potrà farne ben più che un duellante migliore.
Pronti per una nuova storia nel mondo di BS, tra sport, avventura e momenti di grande demenzialità?
Varco apriti, energia!
Genere: Avventura, Demenziale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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The kids are alright
 
 
 
La collina sormontante la cittadina di Kadode era sferzata da un vento insolitamente violento per il periodo, le foglie ingiallite ondeggiavano nell’aria cercando fino all’ultimo di resistere; sotto di esse una giovane ragazza dai capelli castani osservava silenziosamente il panorama.
Ad un osservatore esterno quegli occhi potevano parere come ipnotizzati da tanta bellezza ma, in verità, la mente di Shizuku Himekawa era intenta fare altro, volare libera tra le pieghe del tempo fino a tornare a circa un anno prima, quando tutto sembrava essere destinato al meglio; le carenze di organico che avevano costretto l’agente Toshihiko Himekawa e la sua famiglia a lasciare Kadode erano, infatti, state superate e all’uomo era stata offerta la possibilità di tornare al suo precedente dipartimento.
 
Alla ragazza era sembrata la situazione ideale, così perfetta che, se l’avesse sceneggiata lei stessa, non le sarebbe venuta così bene; seguire il torneo mondiale dell’anno precedente e vedere il suo amico Hajime così vicino al trionfo aveva acceso anche in lei la passione per quel gioco che fino ad ora l’aveva lasciata sempre piuttosto indifferente e, grazie ad alcuni dei suoi nuovi amici, era poi “entrata” definitivamente nel mondo del gioco creando il suo mazzo, doveva solo fare il suo trionfale ritorno alla città dei sogni e tutto sarebbe tornato come prima.
 
E invece…
 
Abbassò lo sguardo dal cielo al malinconico “skyline” (termine enormemente generoso) della sua città natale, evidenziato ancor di più dalla luce ambrata del tramonto, e non poté non notare quanto fosse cambiata rispetto al piccolo e modesto paesino campagnolo delle sue memorie; ma, allo stesso modo, se la sua città avesse potuto osservare di riflesso lei avrebbe visto una ragazza forte e indipendente, pronta a prendere in mano il proprio destino, e non la bambina scontrosa, arrogante e totalmente incapace di accettare i cambiamenti che l’aveva lasciata anni prima.
Lei lo credeva, al peggio lo sperava.
 
E invece…
 
Il carettere si era di certo addolcito rispetto agli anni dell’infanzia, ma decisamente non abbastanza, e non aveva perso quella sua voglia “sportiva” di primeggiare in tutto (e infatti Kataru continuava a non sopportarla), quel desiderio feroce di competizione che l’aveva portata tanto ad essere espulsa dalla squadra di pallavolo delle medie dopo sole tre settimane quanto ad entrare in quella di ginnastica ritmica praticamente un mese dopo; aveva un bisogno quasi patologico di vincere.
 
Eppure, per Battle Spirits, non era così, in quello specifico ambito sembrava che allenamenti, consigli, esercizi psicologici e quant’altro non servissero a niente: ogni volta che si sedeva di fronte ad un terreno di gioco diventava insicura, si lasciava travolgere dagli eventi e puntava a barcamenarsi (poco) dignitosamente fino al momento della sconfitta.
 
Già, perché mai una volta aveva iniziato un duello realmente convinta di poter vincere.
 
“Forse è proprio questo il mio problema” sussurrò tra se e se, osservando la spilletta attestante il suo status di membro del club BS
 
Kimari le aveva detto di non prenderla troppo sul serio, che in fin dei conti era solo un’idea di Manabu per venire incontro a quelli che lei amava chiamare “gli istinti infantili di Hajime” ma era diventata così popolare e riconoscibile all’interno della scuola che ormai tutti i membri non potevano fare a meno di indossarla e lei di questo era orgogliosa.
 
-Già, perché tu sei stata la prima a riceverlo-
 
Ok, a voler essere tecnici e precisi, lei era stata la terza dopo Manabu e Naoko ma questo non cambiava il fatto che lei fosse stata la più svelta e solerte di tutti nel presentarsi a riceverla, più di un ossessionato come Hajime o di Kataru, che col presidente ci vivrebbe pure.
 
Era stata la prima perché lei era Shizuku Himekawa; essere prima era il suo destino scritto nelle stelle, così era sempre stato e così sempre sarebbe dovuto essere.
 
Era un’esagerazione, certo, ma una alla quale era molto affezionata; senza di essa forse non sarebbe nemmeno diventata un’atleta e, da sempre, quella era stata la sua spinta a dare sempre il proprio massimo. I risultati erano sotto gli occhi di tutti, non si diventa una delle atlete di punta della squadra di ginnastica ritmica senza sputare sangue (specie se si è praticamente delle autodidatte) così come non si riescono a bilanciare tre club sportivi diversi (per quanto quello di BS sia uno sport più “intellettuale”) e lo studio senza un enorme forza di volontà.
 
Esagerazione o no, era la strada giusta per lei… ma allora perché con le carte non funzionava.
 
Fece roteare il monile tra le falangi come un pokerista fa con le fiches e lasciò che quel vorticoso movimento catturasse i suoi occhi in una nuova “ipnosi”.
 
La mente invece proseguì nel suo viaggio e saltò in avanti sulla linea del tempo arrivando ai giorni delle selezioni per il torneo interscolastico; ricordava perfettamente i suoi notevoli achivements di quella volta: l’unica duellante a perdere in meno di otto turni (comunemente indicata come la durata media di un duello tra semiprofessionisti), l’unica a non danneggiare nemmeno una vita avversaria e, dulcis (non proprio) in fundo, l’unica a non utilizzare nemmeno una volta l’azione lampo.
Dopo una scoppola di tale portata ovviamente lei aveva applicato il suo metodo di sempre elevato all’ennesima potenza allenandosi per ore e ore, osservando le registrazioni dei duelli di Hajime e Kimari cercando di replicarne le strategie, perfino scrivendosi una piccola ma esaustiva enciclopedia delle carte e delle loro specifiche; era soddisfatta, sentiva di aver fatto passi avanti e tutte le preoccupazioni che, ancora una volta, i suoi due amici di sempre potessero allontanarsi da lei all’improvviso le parvero eccessive… questo fino al gunslinger: zero duelli vinti, solo quattro vite avversarie prese in più di venti scontri disputati, Kouta aveva vinto contro di lei il suo primo duello ufficiale, quel Kawashima l’aveva battuta senza quasi neanche guardare le carte e i suoi due amici non si erano nemmeno accorti della sua presenza; davvero l’epitome del trionfo.
 
Un moto di rabbia le attraversò il corpo e per errore le sue dita scagliarono la spilletta verso la staccionata del promontorio come stessero facendo testa o croce; grazie alle sue qualità ginniche, la ragazza valutò perfettamente la traiettoria e, con un allungo ai limiti della spaccata, riuscì a raccoglierla dopo un primo rimbalzo anticipandone la caduta oltre la barriera.
La ripulì e i suoi occhi si posarono sulla facciata principale, quella con scritte, in inglese perché fosse utile in tutto il mondo, le informazioni generali: affiliazione, cog del duellante, qualifica.
 
-Club ufficiale di Battle Spirits del Liceo di Kadode. Iscritto: Himekawa Shizuku. Qualifica: duellante semiprofessionista- lesse lei mentalmente -la qualifica più alta tra tutti i miei sport; un grado che mi da diritto di accesso al tabellone principale dei campionati minori, obbliga la federazione a pagarmi le quote di iscrizione ai tornei che le prevedono e mi consente di richiedere un istruttore per migliorare il mio gioco-
 
“Tutte cose che quegli amatori che oggi mi hanno regolarmente distrutto non hanno” sussurrò
 
Si faceva schifo da sola.
 
-Ma perché?- si domandò -perché l’ho preso e perché hanno accettato di darmelo?-
 
Troppe domande a cui non sapeva rispondere, troppa confusione nella sua testa, troppi sentimenti cattivi nel cuore e solo un modo per metterli a tacere: la mano destra, quella con cui aveva recuperato la spilla, tesa oltre la staccionata e il confine naturale del promontorio, sospesa sopra al vuoto; le sarebbe bastato un istante, avrebbe schiuso la mano e tutti i suoi dubbi sarebbero svaniti.
 
Shizuku Himekawa doveva solo prendersi il suo attimo.
 
E invece…
 
Quell’attimo lo prese qualcun altro.
 
“Se la perdi, per riaverla dovrai pagare”
 
La mora sorrise e, del tutto dimentica di ciò che stava facendo, si voltò e avvicinò al sentiero per andare incontro al ghigno ironico della sua migliore amica.
 
“È un’idea del presidente?” domandò stando al gioco
 
“No, l’ho avuta adesso” rispose la duellante viola “ma ricordami di fargliela presente; tra Hajime, Tameru e Kataru, è un’idea da guadagni milionari”
 
“E tu credi che una con un così alto senso morale come Naoko ti permetterebbe di sfruttare i tuoi compagni di club per guadagno? Sei un po’ ingenua Kimari”
 
“Seh, come se Naoko non fosse troppo innamorata del nostro presidente per contraddirlo” sentenziò scherzosa la Tatsumi “Sai però, per quanto apprezzi i tuoi consigli imprenditoriali, preferirei tornare a ciò che stava succedendo prima”
 
“Non stava succedendo niente prima” sibilò l’altra
 
“Oh, ma certo” ironizzò la duellante viola “sono sicura ci sia una spiegazione plausibilissima per quello che ho visto: un inciampo, un colpo di vento o magari volevi fare un tributo ai kami e…”
 
“Cosa diavolo vuoi Mari?!” sbottò la ragazza mentre l’altra sorrideva di nascosto per aver ottenuto la reazione che voleva
 
“Sono io che dovrei chiederlo a te” ribatté con durezza “cosa cazzo stavi facendo, Shizuku Himekawa?”
 
“Lo sai benissimo anche tu”
 
“Forse, ma non avendo un QI di 161 potrei non riuscire a cogliere la genialità dei tuoi piani” replicò caustica “per cui finiscila con le scuse e parla”
 
Ormai con le spalle al muro, la ragazza si arrese e raccontò di tutti i pensieri che l’avevano attanagliata fino a poco prima all’amica che ascoltò (sorprendentemente) con attenzione e (ancor più sorprendentemente) senza interruzioni moleste o urla dai decibel ben al di sopra della soglia della sopportazione umana.
Era incredibile come tutte quelle parole le sgorgassero dalla bocca quasi a flusso, come fossero le inarrestabili acque di un fiume in piena: tempo di circa cinque minuti e la liceale aveva concluso uno dei più esaustivi e sinceri ritratti di se.
 
-Oh cazzo- imprecò tra se arrestando il suo racconto, intimidita dal fatto di aver messo a nudo la sua anima di fronte ad una storica esperta di ricatti; poi però il tono della sua voce e, alzato lo sguardo, l’espressione che vide sul suo viso le fece capire che si, poteva fidarsi… perlomeno stavolta.
 
Concluse il suo resoconto e tornò a fissare il viso della coetanea per captare qualcosa di lei.
 
“La mia diagnosi è semplice” annunciò pomposamente la Tatsumi “questa che hai appena descritto è una perdente”
 
Uno sbuffo sonoro e rabbioso uscì dalla bocca di Shizuku seguito da un gelido “vaffanculo Mari” che chiuse ogni spazio di trattativa.
Tornò a se, la corvina, e si voltò di nuovo verso il promontorio caricando stavolta l’intero braccio che reggeva la spilla, pronta a lanciarlo come un giavellotto dell’atletica leggera; la sua mente udì l’immaginario sparo, l’arto eseguì il suo scatto ma non arrivò mai a completare la sua traiettoria poiché la mano di Kimari lo afferrò bloccandolo.
 
“Insomma cosa cazzo vuoi?!!” fece rabbiosa la Himekawa liberando il braccio con uno strattone ma desistendo temporaneamente dai suoi propositi
 
“Dovrei chiederlo io a te!” esclamò l’altra “sei così ansiosa di pagare una “penale” al presidente?”
 
“Finiscila con questa storia!”
 
“Solo se prima lo fai tu”
 
Era più o meno la stessa conversazione che avevano avuto poco prima e la cosa non faceva altro che accrescere, in Shizuku, la sensazione di presa per il culo; era quasi come se quell’altra si stesse divertendo ad umiliarla facendola girare in tondo.
 
“Io non capisco” piagnucolò “mi convinci ad aprirmi e a liberarmi di un peso solo per poi insultarmi, ma che problemi hai! Capisco che la dittatura sia la tua massima aspirazione ma i tuoi sudditi puoi limitarti a tiranneggiarli, non devi anche umiliarli”
 
Quella risposta lasciò combattuta la duellante viola che, da un lato, avrebbe voluto urlarle contro per quell’irritante tono lamentoso che lei detestava e, dall’altro, avrebbe desiderato complimentarsi con lei per aver prodotto una risposta così sagace (abituata, com’era, a conversare con l’anello mancante dell’evoluzione scimmia-uomo); quando però ebbe concluso anche “l’analisi logica” di quella risposta capì che, forse, aveva una risposta ancora migliore.
 
“E quando ti avrei insultato scusa?”
 
“Vedi un po’ tu, mi hai dato della fallita”
 
“Ti sbagli”
 
“Ora mi sta facendo incaz…”
 
“Io ho detto solo che quella di cui mi hai parlato è una perdente” la interruppe con fermezza “ma quella ragazza non puoi essere tu… conosco bene Shizuku Himekawa e la persona che hai descritto NON È Shizuku Himekawa”
 
Bam, destro pieno al volto, colpita e affondata.
 
La ragazza fu così segnata da quella risposta che barcollò leggermente, quasi avesse subito un destro “reale”, ma venne prontamente soccorsa dall’amica che prima offrì il braccio per reggersi e poi cominciò a strattonarla teatralmente, come stesse cercando di impedirle di suicidarsi.
 
“Piantala di fare la deficiente!” esclamò divertita Shizuku
 
“Potrei dire lo stesso di te” le rispose l’altra lasciandola finalmente libera “150 e passa punti di QI sprecati”
 
“La finisci con quella storia, avevo otto anni” mugugnò tra le risate “lo so benissimo che non sono un genio”
 
“Sicura? E dire che questa potrebbe essere la prima cosa da genio che abbia maiaaahh…”
 
Sfruttando le sue superiori capacità fisiche, la ragazza si lanciò quasi in tuffo sull’amica, impedendole di finire la frase e, soprattutto, scaraventandola a terra con lei; crollarono su quel misto di terra, erba e sassi, una accanto all’altra, ridendo a crepapelle e osservando incantate il cielo.
 
“Secondo te… perché me l’ha data?” chiese la duellante bianca estraendo di nuovo il monile
 
“Perché la tua grande passione per Battle Spirits ha convinto il presidente e Naoko a farlo” spiegò laconica l’altra “un po’ banale vero? Penso però che sia così per ciascuno di noi”
 
“Ma quale “grande passione”?!” replicò sconsolata la liceale “non riesco a vincere, anzi, nemmeno a duellare; dove sarebbe la mia passione?”
 
“E Naoko, ad esempio, è perfino più incapace di te ma ti sfido a dire che non abbia passione” commentò la Tatsumi “ne lei ne il presidente avrebbero mai permesso di iscriversi a qualcuno a cui non piacesse BS”
 
“Guarda, su Naoko infatti ho qualche dubbio” alluse maliziosa la Himekawa “non è che la sua passione è un’altra”
 
“Ti prego non farmici pensare!” sbraitò la duellante viola “non so se ti è mai capitato di vederli quando sono soli? Fanno venire il latte alle ginocchia, conosco shojo di quarta categoria che sono più guardabili”
 
L’altra ragazza scoppiò a ridere sia per la frase sia per il suo riuscitissimo tentativo di visualizzare quei due come protagonisti del peggior shojo che ricordasse di aver visto o letto (ed erano parecchi) nella sua vita. La sua amica aveva decisamente ragione, per due ragazze col loro carattere immaginare scene simili era quasi una tortura; c’era perfino una punta di masochismo in tutto ciò.
 
“Ehi, non è che questa storia delle spille e del club è solo una scusa per evitare di rimanere da soli e mettersi in ridicolo?”
 
“Molto maturo mi dicono” fece caustica “di questo passo il loro primo bacio sarà a quarant’anni”
 
“Come Arata e la signorina Mika” osservò correttamente l’altra “e poi, scusa, ma come mai tutto questo interesse per la vita amorosa dei nostri due timidi amici”
 
“Perché purtroppo, per quanto possano essere insopportabili, l’omicidio non è una soluzione praticabile” spiegò Kimari prima di avvicinarsi al viso dell’altra con uno sguardo minaccioso “e tu azzardati a paragonare ancora quei due imbranati al campione Arata e io…”
 
“Kimari Tatsumi, sbaglio o ho appena scoperto il tuo tipo?!” la interruppe Shizuku, ad un niente dal mettersi a saltellare dall’eccitazione “MA È FANTASTICO… cioè non proprio, chiaramente lui è troppo vecchio per te ma almeno adesso ho una traccia su cui lavorare”
 
“Ahhh, ma perché vuoi farti picchiare?!!” sbuffò la duellante viola “sai proprio sicura di non avere tendenze suicide?”
 
“Certa!” rispose quella con un sorriso a trentadue denti stampato in volto
 
“Bah, mi riservo di avere dubbi” fece la castana con noncuranza “e comunque lascia perdere, dimentica tutto quello che è successo”
 
“Cos… vuoi scherzare vero?!!” urlò l’altra quasi rabbiosa “sono riuscita ad avere una conversazione a cuore aperto, farmi consolare e consigliare da te, la persona meno dolce dell’universo, e ora mi chiedi di dimenticare tutto?!! Tu sei completamente fuori strada sorella; fino a un’ora fa questa era una delle peggiori giornate della mia vita e tu l’hai resa la più bella da quando sono tornata a Kadode”
 
Era come in preda ad una catarsi, completamente immersa in quel flusso di coscienza che le faceva uscire le parole dalla bocca senza alcun freno.
 
“Non hai idea di quanto darei per sapere quale miracolo abbia portato a questo” concluse
 
L’ex aspirante dominatrice del mondo sorrise soddisfatta: era arrivata proprio dove voleva lei.
 
“Nessun miracolo” affermò con grande sicurezza “ho solo ricreato ciò che accadde qui più o meno cinque anni fa”
 
La castana trasalì a quella risposta ma non riuscì a ricordare l’evento citato dall’amica; aveva effettivamente percepito una strana sensazione di deja vu durante l’ultima parte del loro dialogo ma la sua mente, che pure in quel giorno era usa ai viaggi nel tempo, non sembrava in grado di riportale alla memoria quello specifico evento.
 
“Era l’ultimo fine settimana prima che ti trasferissi e tu…”
 
La duellante viola non ebbe bisogno di aggiungere altro perché gli occhi completamente spalancati dell’amica le fecero capire che aveva ormai raggiunto l’obiettivo.
 
Non aveva realmente scordato quel giorno la ragazza dai capelli corvini (non avrebbe mai potuto farlo) ma aveva deciso di relegarlo, fino ad oggi, in uno scomparto isolato riservato ai ricordi più dolorosi, quelli da non rievocare mai; non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata così felice di riaprirlo.
La scena non avrebbe potuto essere più uguale di così: era la fine di un’assurda settimana di scuola in cui Hajime era stato distante come sempre e lei, che avrebbe voluto dire ai suoi amici dell’imminente partenza, aveva finito per non dire niente a nessuno. Al tramonto di quel giorno era al promontorio a ripensare, sola, alle sue occasioni sprecate quando a sorpresa la sua migliore amica, cui non era sfuggito il suo strano comportamento, si era presentata li e le si era seduta al fianco; per quasi due ore avevano parlato, giocato, preso in giro i loro compagni di classi (specie Hajime) e riso fino a crollare a terra sfinite e da li, con gli occhi rivolti al cielo, la bambina aveva finalmente trovato il coraggio di dire all’amica la verità.
 
“Vedi, nessun miracolo” sussurrò Kimari “ti sei semplicemente sentita a tuo agio”
 
“Beh, e come dovrei fare per “sentirmi a mio agio” sul terreno di gioco?” domandò la mora con aria malinconica “non credo di potermi prendere qualche minuto per scherzare con te durante un duello”
 
“Sei proprio una deficiente!” esclamò l’altra “primo: se ti fossi degnata di leggere il regolamento ufficiale sapresti che in realtà ogni duellante può chiedere due pause di tempo indeterminato durante un duello per “motivi di salute”; secondo: non è il giocare o il prendere in giro che ti fa sentire a tuo agio… o meglio, in realtà lo è ma solo perché è una parte fondamentale di te”
 
“Eh?!”
 
“Ahhh, ma è mai possibile che a te e a quell’altro decerebrato servano i sottotitoli per ogni cosa” sbuffò esasperata “intendevo dire che tu, come tutti, sei a tuo agio quando sei te stessa e non cerchi di assomigliare a qualcun altro; questo è ciò che devi riuscire a fare in duello, essere te stessa”
 
“E come riesco a farlo? Dov’è che sto sbagliando?”
 
“Io… non lo so; sono molto brava a leggere le persone, molto meno ad aiutarle” ammise la castana con perfino una punta di tristezza nella voce “però forse so chi può farlo; una volta terminato il torneo regionale, vai al chiosco sulla strada per la collina e chiedi alla signorina Mika dell’eremita di Battle Spirits; lei capirà”
 
Shizuku annuì confermando l’intenzione di accettare quel consiglio e rimise un’ultima volta la spilla del club a brillare sotto la luce, stavolta quella della luna; il contributo del satellite non poteva essere paragonato a quello del sole, nemmeno se al tramonto, e delle molte parole incise sulla superficie metallica erano visibili solo degli squarci.
Eppure alla ragazza pareva di non averla mai vista così bene.
 
Ripose il monile nell’altra tasca, quella dove teneva il mazzo, appoggiandola proprio sopra al portamazzi e si rialzò dirigendosi verso il sentiero che scendeva dal colle; appena prima di svanire tra gli alberi, si voltò verso la sua amica e tese in avanti il suo pugno destro.
 
“Rinnoviamo il nostro giuramento!” esclamò e Kimari immediatamente si fece avanti
 
Batterono i rispettivi pugni destri, per poi schiudere le mani e richiuderle in una salda stretta.
 
“Giuro solennemente” esordirono all’unisono
 
“di diventare dominatrice del mondo solo nel giorno in cui la mia amica Shizuku Himekawa avrà vinto una medaglia d’oro sia ai giochi olimpici estivi sia a quelli invernali”
 
“di vincere la mia seconda medaglia d’oro olimpica ai giochi estivi e invernali solo nel giorno in cui la mia amica Kimari Tatsumi sarà diventata padrona del mondo”
 
Mossero le mani sinistre in perfetta sincronia e suggellarono quella stretta con il rituale taglio; infine le loro voci divennero ancora una volta una.
 
“Giuro eterna amicizia!”
 
 
 
Il cigolio delle altalene del parco centrale di Kadode non era affatto migliorato nel corso degli anni ma Chihiro Kusakabe era probabilmente una delle pochissime persone a cui la cosa non desse fastidio; la stridente nenia era stata la sua colonna sonora ogni volta che aveva deciso di fare del parco il suo piccolo studio d’arte a cielo aperto e così, anche in un giorno in cui l’ispirazione sembrava non voler bussare alla sua porta, faceva piacere avere almeno un segno di… normalità.
Era decisamente ciò di cui avesse più bisogno in quel momento: un po’ di tranquillità, di ritorno alla sua solita routine e ai suoi ritmi, monotoni e rassicuranti proprio come lo stridio di quell’altalena, per allontanarsi dal recente tourbillon emozionale che l’aveva travolta.
 
Chiuse gli occhi, liberò la mente e si lasciò cullare dal movimento ondulatorio e dallo stridulo ma ritmico suono delle giunture, abbandonandosi totalmente a quell’insieme di movimenti e rumori cadenzati fino a sentirli quasi dentro di se come fosse ad una seduta di ipnosi; era la sua terapia.
Riaprì gli occhi e, visibilmente soddisfatta, si alzò dal seggiolino per estrarre dalla propria valigetta la matita e l’artbook; al momento decisivo, quello dell’osservazione del paesaggio in cerca di un soggetto, però tutte le sue speranze, di cristallo quanto gli spirit che tanto amava, si infransero: non sentiva nulla, era come se i suoi occhi stessero osservando un muro grigio.
 
-Cosa diavolo mi succede oggi?- domandò, non sapendo bene se a se stessa o qualche entità mistica che, immaginava, si trovasse li intorno
 
Fu inutile, ne lei ne gli spiriti avevano una risposta.
 
I cattivi pensieri cominciarono a farsi sempre più pesanti e pressanti nella sua testa, al punto da costringerla a scappare, mentalmente, nel luogo meno artisticamente stimolante ma più “sicuro” di tutta la sua testa: il suo gigantesco archivio di spirit già disegnati; non avrebbe voluto farlo, come artista detestava con tutta se stessa le repliche, ma se non avere un soggetto avrebbe significato restare sola a pensare e ripensare al PERCHÉ non avesse un soggetto allora preferiva ritirarne fuori uno vecchio; peraltro avrebbe potuto scegliere uno spirit bianco tra i suoi preferiti per cui non era poi così male.
Parzialmente pacificata, la ragazza si preparò a dare iniziò al primo “secondo round” artistico della sua carriera quando uno strano suono attirò la sua attenzione, un rumore noto da cui fino a poco prima si era lasciata cullare ma la cui presenza, in quel momento, non aveva senso, essendo lei in piedi.
Si voltò di scatto e vide, seduto sul asse, un ragazzo poco più giovane di lei, non altissimo ne particolarmente largo di spalle, con una folta chioma blu raccolta in una coda da samurai e un sorriso carico di comprensione sul volto.
 
Sorrise: l’elegante completo nero da uomo d’affari era così ridicolo se rapportato al fatto di trovarsi seduto sull’altalena di un parco giochi.
 
“Come mai qui da sola?” la anticipò lui
 
“Potrei, anzi dovrei, essere io a chiederlo a te” ribatté lei “cosa diavolo ci fa il leader della nobile famiglia Tanashi nel desertico parchetto di una cittadina provinciale?”
 
“Beh signorina, diciamo che sono venuto a trovare una mia amica di Tokyo che è usa trascorrere le sue giornate in questa città presso la dimora di suo zio” rispose quello con aria scherzosamente altera “una nostra comune conoscenza mi ha riferito che ella ha incontrato delle difficoltà e ritengo non sia degno di un gentiluomo Tanashi abbandonare una fanciulla in pericolo”
 
“Credo che la vostra “comune conoscenza” abbia esagerato” ribatté quasi caustica “non ricordo rapimenti, sparatorie o quant’altro in zona, non in tempi recenti perlomeno”
 
“Chihiro…”
 
“No, fammi parlare” lo troncò alterata “apprezzo le intenzioni di Kobushi e ammetto che, probabilmente, a parti invertite avrei fatto lo stesso per lui. Detto ciò, non avrebbe dovuto coinvolgerti visto che hai impegni molto più pressanti che stare ad ascoltare una ragazza triste; sei il leader di una delle più importanti famiglie del paese per diam…”
 
“Ed esattamente per questo che dovevo venire ad aiutarti” la bloccò lui stavolta “sono due facce della stessa medaglia”
 
La ragazza soppesò e analizzò quelle parole e si accorse che sorprendentemente aveva ragione lui; in fondo era tutta una questione di prospettiva, il lavoro che stava svolgendo (essere un buon leader) era lo stesso cambiavano solo le “dimensioni” della famiglia che doveva guidare.
 
E se fosse stato lo stesso per lei? Se anche lei dovesse semplicemente osservare i fatti da un’altra prospettiva, un diverso punto di vista?
 
“Ti piacerebbe se disegnassi qualcosa per te Tegamaru?”
 
Era la prima volta, da che si conoscevano, che Chihiro riusciva a prendere di sorpresa il suo leader; aveva sempre rifiutato di disegnare “su commissione”, lo sentiva come un trasformare la sua passione in un lavoro (per quanto potesse essere il suo sogno avrebbe comunque preferito attendere ancora un po’), ma data la situazione doveva tentare.
 
“Mi piacerebbe avere un disegno di Amaterasu” dichiarò titubante “ma tu sei sicura di volerlo fare?”
 
“Si, non ho un’altra opzione per superare questo blocco se non quella di forzarmi la mano e…”
 
“Secondo me, invece, dovresti provare a ripensare all’ultima volta che ti eri trovata in una situazione simile”
 
“Io… io non credo di essermi mai trovata in una situazione simile”
 
“Strano!” esclamò sorridente “io ne ricordo una praticamente identica”
 
Ok, ora si cominciava a scadere nell’assurdo: non riusciva minimamente a ricordare quando si fosse trovata in quella “situazione praticamente identica” di cui il suo leader parlava; se non fosse che era completamente contrario e al suo carattere e al suo ruolo, avrebbe perfino pensato che la stesse prendendo in giro.
 
“È stato quando i tuoi volevano importi il ritorno a casa” raccontò il ragazzo vedendola di nuovo in difficoltà “anche allora non riuscivi a disegnare nulla”
 
Le pupille della ragazza si dilatarono dalla sorpresa e lei arrivò ad un niente dal lasciarsi sfuggire una colorita espressione di rabbia per non essere riuscita a capirlo. Come aveva potuto dimenticarlo, era accaduto parecchio tempo fa, certo, ma era anche stata la sua primissima forma, involontaria, di rigetto.
 
“Sai, non posso dirmi un esperto di psicologia ma credo che, anche in questo caso, questo blocco sia il mezzo con cui il tuo subconscio ti invita ad affrontare i tuoi problemi” proseguì il blu “è il suo modo di dirti di non scappare”
 
Fu come liberarsi di un macigno enorme che la stava schiacciando; erano tutte cose che, probabilmente, aveva sempre saputo ma, come spesso accadeva in queste situazioni, serviva un occhio esterno per vedere meglio le proprie debolezze.
 
“Se vuoi, io sono qui per te” concluse il leader
 
“Come l’altra volta?” domandò lei dolcemente
 
“Come l’altra volta” confermo l’altro “allora, ti va di raccontare”
 
Le andava e le andava in particolare di raccontare tutto sin dal principio, da quando alla scuola elementare aveva incontrato uno strano ragazzino timido, gracile e con una folta zazzera bionda di nome Yukio Kawashima.
Come Tegamaru aveva immaginato, Chihiro non aveva trascorso tutta la sua formazione scolastica nelle scuole pubbliche, anzi, c’era stato un tempo in cui l’idea di frequentare un istituto normale con regole normali era, al tempo stesso, quanto di più sognato da lei e quanto di più lontano dalla realtà del suo rigidissimo istituto privato; tra gli (alti) standard delle scuole private per la formazione della futura classe dirigente l’istituto di Chihiro era considerato uno tra i più esclusivi e prestigiosi, ma anche uno tra i più particolari in quanto accorpava in un solo edificio medie e superiori ma praticava una netta separazione tra i sessi: tra il corpo studentesco maschile e quello femminile era vietata ogni iterazione.
 
“Ogni iterazione?!” fece Tegamaru piuttosto colpito “non era un po’ esagerato”
 
“Pensa che, nei miei primi due anni li, c’era perfino la rete di cavi d’acciaio a dividerci” precisò lei quasi divertita “poi si scoprì che spaventava i bambini più piccoli e allora la tolsero”
 
“La scoperta dell’acqua calda!” esclamò l’interlocutore estraendo un piccolo cartone di latte dalla giacca “Ma che diavolo di posto era, un carcere?!”
 
“oh no, furono costretti a farlo” provò a spiegarsi l’altra “per impedire che i legami tra bambini di diverso sesso continuassero ad essere sfruttati dai genitori in modo… poco etico”
 
“Sicuro” ironizzò il blu sorseggiando l’amato latte “e com’è che li avrebbero “sfruttati in modo poco etico”?”
 
“Beh, per esempio combinando matrimoni o stipulando co…”
 
La ragazza non poté mai terminare il suo esaustivo elenco di nefandezze poiché il solo primo accenno fece sussultare il leader a tal punto che sputò tutto il latte che ancora aveva in bocca.
 
“COOOSAA?!”
 
“Lo so che può sembrare un po’ strano ma anche il Giappone ha una sua tradizione in proposito, tra la nobiltà ad esempio, anche se oggi molto meno, e tra gli yakuza…”
 
“Gli yak… MA COSA DIAVOLO ERA LA TUA SCUOLA?! LA VERSIONE ELEMENTARI-MEDIE DI “NISEKOI”?!!”
 
“Beh un po’ meno divertente direi, però a grandi linee ci siamo” rispose lei con nonchalance “e comunque mi fa piacere che tu legga “Nisekoi” leader, un’altra cosa che abbiamo in comune”
 
“Moolto divertente Chihiro” la zittì lui “che ne dici di arrivare al punto”
 
E ci arrivo prontamente con la successiva tranche di narrazione, dopo un rapido salto in avanti di un paio d’anni. Era il suo quarto anno per la precisione e la rete divisoria se n’era ormai andata lasciando ai professori il dovere di far rispettare la regola di separazione tra i sessi, ma ogni studente sapeva che, se davvero lo si voleva, si sarebbe potuto facilmente trovare, nell’immenso giardino della facoltà, un modo per sfuggire ai radar; lo sapevano i ragazzi più grandi delle medie, che si nascondevano per incontrarsi con le coetanee per cui avevano una cotta, e lo sapeva anche Chihiro, la quale tuttavia si appartava per motivi diversi.
Perfetta sintesi tra élite antica (famiglia di storica nobiltà) e moderna (ricchissima), Chihiro Kusakabe era infatti una delle più perfette rappresentanti del concetto di “studentessa simbolo” di quell’istituto, una vera e propria poster-girl, cosa che la rendeva molto rispettata e apprezzata nei quadri dirigenziali e nelle aule docenti ma molto meno tra le compagne che, gelose, facevano di tutto per escluderla ed isolarla sfruttando ad esempio alcune sue passioni non proprio canonicamente “femminili” come, ad esempio, proprio Battle Spirits.
 
“Pensare che a molte di loro BS piaceva pure” ricordò la castana rivolgendosi al suo leader “fingevano di detestarlo”
 
Accadde, durante quel quarto anno, che in una di queste sue escursioni nel verde, la bambina incrociò la sua strada con quella di un altro studente, un bambino minore di lei di un anno con folti capelli biondi, che trovò raggomitolato ai piedi di un grande albero con la testa perennemente china verso terra per nascondere il labbro gonfio e l’occhio nero.
 
“Aspetta un attimo” intervenne Tegamaru “in che senso “labbro gonfio e occhio nero”?”
 
“L’unico che conosci purtroppo” rispose lei malinconica “A differenza della mia, quella di Yukio non era una famiglia di tradizione (erano solo molto ricchi) e per questo i suoi “nobili” colleghi lo vessavano e bullizzavano in ogni modo, violenza compresa; in apparenza i più aggressivi nei suoi confronti erano due suoi coetanei figli di nobili impoveriti, Jinpachi e Kosuke, ma in realtà il suo vero torturatore era Shimura Shinsuke, un ragazzo maggiore di lui di addirittura quattro anni proveniente da una famiglia di nuovi ricchi, insomma uno come Yukio che…”
 
“… probabilmente voleva sfogarsi per come lui era stato trattato lui anni prima su qualcuno in cui si rivedeva” concluse Tegamaru indignato “è orribile! E gli insegnanti non dicevano nulla scusa?!”
 
“Non aveva sangue nobile, era sveglio e impertinente, aveva i capelli chiari e uno sguardo inquietante; sai bene quanto certi stupidi pregiudizi siano duri a morire, specie in persone anziane e un po’ snob” replicò quella “per tutti era un teppista fatto e finito… peccato che del teppista gli mancasse totalmente, allora come oggi, il physique du role: era magro, senza un grammo di muscoli e con le spalle strette; perlomeno poi ora è diventato altino, ma all’epoca era più basso di me”
 
“E i suoi? Li hai mai conosciuti?”
 
“No ma, secondo Yukio, per loro lui era solo un mezzo, la chiave per entrare nel mondo dell’élite giapponese come era stato per suo padre prima di lui” spiegò “lui ripeteva che i suoi erano perfino dispiaciuti che fosse nato con quell’aspetto, dicevano che l’aria da delinquente avrebbe reso tutto più difficile”
 
“Dev’essere stato un vero inferno per lui”
 
“Già, e lui era così terrorizzato da non riuscire neppure a parlarne; la nostra prima conversazione iniziò proprio perché fui colpita dalla sua reazione di terrore quando mi avvicinai per cercare di pulirgli il labbro gonfio”
 
Riprese a narrare e a Tegamaru parve quasi di veder materializzarsi, in concomitanza con il suo racconto, le scene di quel flashback davanti ai suoi occhi: due bambini timidi e introversi che prima balbettano e sussurrano e poi, via via, acquistano sempre più sicurezza e riescono ad aprirsi con l’altro; parlano di loro, delle tante cose che li accomunano, delle loro passioni fino ad arrivare, in ultimo a Battle Spirits.
Assistette rapito al grande evento che, spiegò Chihiro, avvenne due o tre giorni dopo il loro incontro: il loro primo duello, vinto dal minore, descritto come un “obbrobrio cosmico” (definizione di Chihiro) in cui i due sembravano fare a gara per far vincere l’altro da quanti errori commisero.
 
“Sono quasi certa di aver giocato due turni consecutivi ad un certo punto” precisò divertita la ragazza “eravamo così terrorizzati che ci scoprissero che… ok no, in verità eravamo soprattutto scarsi, ma diciamo che la paura non aiutava”
 
Fu da quell’esperienza che nacque “Chihiro Kusaka”; la ragazza cominciò ad andare a scuola indossando, di nascosto sotto quelli da signorina, gli abiti di suo cugino, all’inizio delle sospensioni si cambiava nel loro nascondiglio (con grandissimo imbarazzo da parte di lui) e poi duellavano o parlavano fino alla conclusione della pausa, quando la bambina si rivestiva riponendo gli abiti in un borsone, si salutavano e ognuno per la sua strada almeno fino al giorno seguente.
 
“Per il resto di quell’anno e per la quasi totalità dei due anni successivi le cose filarono lisce” mormorò la ragazza abbassando il tono di voce “Cioè, lui continuò ad essere trascinato in risse, picchiato e poi accusato di averle provocate arrivando più volte ad un passo dall’espulsione ma, siccome poi non c’era mai nessuna prova, le accuse cadevano sempre e lui veniva regolarmente graziato”
 
“Beh, genitori o no, il tuo amico ha dimostrato un gran coraggio” osservò Tegamaru quasi arrabbiato
 
“Già… molto più di me” ribatté triste la castana
 
“No-non intendevo…”
 
“Tranquillo, lo so” lo fermò lei “e solo che la tua affermazione e la mia sono assieme la perfetta sintesi della conclusione di questa vicenda”
 
Vicenda che, per assurda volontà del destino, proprio quell’anno sembrava stesse svoltando per il meglio: Jinpachi era stato spostato ad un’altra sezione e Shimura era troppo concentrato sul suo futuro da liceale; senza quest’ultimo a sobillare contro di Yukio i ragazzi più grandi e aizzare quelli caratterialmente più fragili (Kosuke e Jinpachi ad esempio) i modi di molti studenti si fecero più sopportabili, in alcuni casi addirittura gentili, tanto che in tutto quell’anno il biondo non si ritrovò coinvolto nemmeno in una rissa.
Nell’edificio femminile, invece, Chihiro continuava ad essere ignorata e isolata, ma la cosa non le era in realtà mai pesata più di tanto e vedere il suo migliore amico felice metteva di buon umore anche lei.
 
Era di gran lunga il miglior anno scolastico della loro vita ma era anche l’ultimo anno in cui avrebbero frequentato entrambi le elementari e il timore che il futuro ponesse tra di loro degli ostacoli era troppo grande: dovevano far si che quell’anno fosse indimenticabile… e ci riuscirono, ma non nel modo che lei aveva immaginato.
 
“Zio Hanzo sapeva ciò che mi accadeva a scuola e, nonostante fosse fermamente convinto che dovessi parlargliene io di persona, fino allo sfinimento perorò con i miei la causa del mio trasferimento ad un'altra scuola, arrivando ad incrinare la loro resistenza” riprese la ragazza “era solo uno spiraglio, ma allora ero così felice che ci ricamai sopra chissà cosa e, verso la fine dell’anno, mi ero convinta che di sicuro avrei abbandonato quella scuola… e Yukio con essa, per cui dovevo dirglielo”
 
“Esatto” intervenne Tegamaru, colpito dalla maturità dimostrata dalla sua sottoposta ad undici anni
 
“Ma… non lo feci”
 
“Ott… eh, aspetta cosa?!!”
 
“Non trovai il coraggio per dirglielo” ammise “e allora ideai uno stupido compromesso: non gli avrei detto nulla, ma avrei esaudito un suo desiderio che ci riguardasse”
 
“E lui?”
 
“Lui… lui ebbe una strana reazione” fece la castana “prima diventò rosso come le tue carte, poi biascicò qualcosa tra se e se e infine, dopo un solenne inchino, mi chiese se potevo duellare un’altra volta vestita da ragazza”
 
“Ah davvero?” commentò sardonico il ragazzo, credendo di aver colto qualcosa di quella vicenda “e tu?”
 
“Ho accettato ovviamente, temevo la sua richiesta non fosse esaudibile mentre questa non era così assurda”
 
“Oh, no di certo” alluse quello maliziosamente
 
“Si può sapere che hai?!” domandò l’altra infastidita dal suo nuovo tono e da quello strano comportamento
 
“Nulla, nulla” la blandì “va pure avanti”
 
Nonostante la risposta poco convincente, la ragazza ottemperò la richiesta e passo a raccontare della terzultima settimana scolastica di quell’anno, quella del grande evento. Il duello durò tutta la settimana, un po’ perché, non avendo il travestimento, i due attivarono tutte le cautele extra e un po’ (anzi, soprattutto) perché Yukio fu estremamente lento e molto “strano” per tutta la durata dello scontro, come se fosse distratto da qualcosa.
 
“Ma non mi dire” commentò ancora il leader, trattenendo a stento le risate “chissà come mai”
 
“Non ne ho idea” replico quella, dolcemente ignara “ma voglio pensare che non sia il motivo per cui ho vinto quel duello; sai leader, quando l’ho concluso mi è sembrato quasi come se stessi chiudendo il cerchio: avevo iniziato perdendo un duello in un vestito da ragazza e ora me ne andavo con quello stesso vestito addosso ma da vincente; ero al settimo cielo… peccato che non sapessi che avevo perso”
 
“COSA?!!”
 
“Una mia compagna di classe” chiarì immediatamente la Kusakabe “lei… lei aveva visto i miei vestiti da maschio e li aveva riconosciuti addosso a “Chihiro Kusaka”; le bastò pedinarmi una volta e scopri il segreto”
 
“E tu l’hai saputo?”
 
“Se così non fosse stato, questa storia non sarebbe finita come è finita” ammise rassegnata, intrecciando le dita dietro la nuca
 
“Ma come…”
 
“Oh, andiamo Tegamaru! Non stiamo parlando di una geniale mente criminale ma di una ragazzina di undici anni” ribatté una mai così informale Chihiro con un tono a metà tra l’esasperato e il divertito “aveva scattato delle foto del nostro ultimo duello e voleva consegnarle ad un professore ma, poiché era convinta di avermi ormai in pugno ed essendo solo una bambina, non riuscì a resistere alla tentazione di passare a forme di bullismo più… dirette”
 
“Ti picchiava?!!” trasalì il leader, sorpreso
 
“No, era più una da scherzi fastidiosi tipo buttarti il quaderno a terra o rubarti penne e altro, il massimo che abbia fatto furono un paio di sgambetti” lo corresse la giovane “ovviamente io non sapevo il perché di questo cambio di atteggiamento per cui, al di là del prestarle un po’ più di attenzione, non modificai di una virgola il metodo “ignora e sopporta” che avevo sempre applicato; purtroppo (per lei) la cosa le mandò il sangue al cervello e durante un cambio d’insegnante mi urlò in faccia che mi aveva scoperto, che aveva delle foto per provarlo e che le aveva consegnate ad un professore”
 
Non poteva saperlo, ma l’espressione inebetita “alla Hajime” che Tegamaru aveva dipinta sul volto ricalcava paro paro quella che lei aveva fatto all’epoca; alla ragazza venne quasi un attacco d’ilarità nel vedersi “allo specchio” nel viso di un’altra persona, un ragazzo peraltro, ma riuscì a controllarsi e proseguì.
 
“Più o meno come reagii io; probabilmente lei voleva che la supplicassi o che mi mettessi a piangere e, per qualche secondo, lo ammetto, l’istinto mi disse quello” disse la liceale “per fortuna, in quel momento la testa mi ricordò che l’avevo tenuta d’occhio per tutta la giornata e questo mi riportò alla memoria uno strano episodio, avvenuto durante la prima ora, tra lei e il professore”
 
La duellante bianca si fermò un secondo per prendere fiato e tossire, massaggiandosi la gola leggermente arrossata; con prontezza, il suo leader le venne in soccorso estraendo dalla borsa una bottiglietta (stranamente non di latte) e porgendogliela.
 
“Grazie, siamo quasi alla fine” fece quella dissetandosi con l’acqua fresca “dove eravamo rimasti? Ah già, avevo intuito che dietro la lunga conversazione della prima ora ci fosse qualcosa e avevo anche già pronto un piano per uscirne… così ritenni giusto avvisare anche Yukio”
 
“Sono d’accordo” commentò Tegamaru “in fondo era coinvolto anche lui”
 
“Fu uno dei più grandi sbagli della mia vita”
 
“Cosa? Ma perché?”
 
“Perché io… non avevo capito nulla di lui” ammise sconsolata “quando gli raccontai tutta la storia lui ne fu felicissimo; ripeteva che fosse la nostra occasione per essere finalmente espulsi da quell’inferno, per “essere soli, insieme” come amava ripetere, ma soprattutto per sputare in faccia ai nostri genitori. Fu lì che compresi come, in realtà, non fossimo mai capiti a vicenda: lui odiava i suoi, li odiava per davvero, mentre io… io non avrei mai potuto fare del male ai miei”
 
“E quindi?”
 
“E quindi reagii nel più stupido dei modi: aggredendolo” continuo la castana “il dialogo degenerò in una discussione. Per paura che l’intervallo finisse senza che io potessi mettere in atto il mio piano, cercai di tagliar corto e lui, allora, mi diede della vigliacca, io in risposta accusai lui e “il suo stupido desiderio” di essere i veri colpevoli di tutta quella storia e gli chiesi perché avesse espresso “una richiesta così idiota”… e quella, per lui, fu la goccia che fece traboccare il vaso: si zittì all’improvviso, abbassò lo sguardò e se ne andò; da quel giorno non mi ha più parlato fino al torneo interscolastico”
 
Tegamaru si portò sconsolato le mani alla testa; era quasi certo di sapere il motivo per cui al ragazzo quei commenti sul suo “stupido desiderio” avessero fatto tanto male e la voglia di alleviare le pene dell’amica era tanta, ma vi resistette; era una cosa importante che riguardava lei e Yukio e, se mai il loro rapporto fosse ritornato normale, avrebbe dovuto essere quest’ultimo a dirglielo.
 
“Mi spiace che sia finita così” si limitò a dire
 
“Oh, ma non è finita così”
 
“Eh?!!”
 
“Lo scoprii poco dopo, quando provai ad intrufolarmi nell’aula del professore per recuperare quelle foto”
 
“Aspetta un attimo” intervenne il blu “ma quindi… tu volevi RUBARE?!!”
 
“Esatto” ammise lei candidamente “ma quando arrivai al corridoio delle aule professori scoprii che ero stata anticipata”
 
“Non mi dire che…”
 
“Si” lo fermo lei con aria malinconica “vidi una schiera di professori circondare Yukio accusandolo di aver rubato alcuni oggetti dagli uffici tra cui la chiavetta di una studentessa; quel povero ragazzino era così goffo, scoordinato e imbranato che si era fatto scoprire subito”
 
Con un ultimo sforzo di memoria e voce, la ragazza raccontò quel poco che restava di quella lunga vicenda: mandata a chiamare dai professori, la ragazzina delle foto tentò di mettere in atto il suo piano, accusando Yukio di aver rubato quella pen-drive per il suo contenuto che ella, ovviamente, rivelò; sfortunatamente per lei, la chiavetta non fu mai ritrovata e il corpo docente, disposto tanto ad addossare qualunque nefandezza al piccolo demone dai capelli chiari quanto a credere a qualunque cosa fosse uscita dalla bocca della signorina Kusakabe, fece cadere le accuse e convocò i genitori dell’accusata… che vennero accompagnati da un Hanzo Kusakabe che fu ben contento di poter finalmente sciorinare il variegato campionario di abusi subiti dalla nipote in quegli anni, di fronte alle espressioni contrite del personale scolastico.
 
Quel giorno Chihiro scoprì che si, nonostante le apparenze i suoi genitori le volevano bene.
 
“Conclusi l’anno e lasciai la scuola” terminò la ragazza “su consiglio dello zio, i miei mi iscrissero ad una media “normale” e da li la storia la sai”
 
“E Yukio?”


“Lo incontrai per l’ultima volta quel giorno; gli chiesi perché l’avesse fatto ma lui non mi rispose, si limitò a fare un sorriso triste e porgermi la chiavetta prima di andarsene per la sua strada” rispose “il giorno dopo non venne a scuola (l’avevano espulso) e non lo rividi più fino al torneo di qualche mese fa”
 
La duellante bianca bevve un ultimo sorso e emise un grande sospiro liberatorio ad epitaffio del discorso; si sentiva molto meglio ora, era quasi come se il peso che portava sulla schiena si fosse improvvisamente alleggerito.
Come se qualcuno, ora, lo stesse trasportando con lei… il vero significato della condivisione.
 
“Allora?” chiese incuriosita “che ne pensi?”
 
 Domanda molto complicata con risposta altrettanto complicata, anche se per altri motivi.
Come prima aveva solo ipotizzato, ora poteva affermare con notevole certezza di avere un’idea piuttosto chiara del quadro generale ma, come ammesso sempre in precedenza, la sua possibilità di intervenire era minima o, perlomeno, non poteva farlo senza intromettersi nella relazione dei due ragazzi.
 
Doveva trovare una soluzione e per farlo pensò alla situazione in cui meglio si destreggiava: Battle Spirits.
 
-Quando c’è un ostacolo alla tua vittoria normalmente devi eliminarlo- pensò -ma quando questo ostacolo potrebbe essere l’esca per una trappola allora… ci sono-
 
“Sai Chihiro, credo che il tuo amico ti somigli molto” affermò sorridente
 
“Cos… NO!” ribatté lei con una foga anche eccessiva “noi… noi non abbiamo nulla in comune”
 
“Ah, ma io non parlo della “te” attuale” proseguì quello, divertito “parlo della “te” che non aveva ancora affrontato i suoi genitori e difeso il suo sogno; ricordi come eri”


Lo ricordava eccome.
 
“Scappavo sempre”


“Esattamente e credo che per Yukio sia lo stesso”
 
L’affermazione spinse la ragazza a comparare le due situazioni ma ancora una volta non riuscì a capire dove il suo leader vedesse tutte queste somiglianze: se Yukio non aveva amici e detestava la sua famiglia allora da chi stava scappando; per la prima volta, le sorse il dubbio di non avere tutte le tessere del puzzle.
 
“Dovrai essere tu a farglielo capire” continuò il blu “magari in duello, come feci io con te; noi duellanti riusciamo a connettere meglio sul terreno di gioco”
 
“Beh, è nel mio stesso blocco, ma magari Kataru…”
 
“Non è ciò che intendevo” la zittì lui, con più durezza e meno cerimonie del solito “quello che voglio dire è che, a prescindere da tutto, tu, e solo tu, puoi aiutarlo… così come lui, e solo lui, può aiutare te, anche se ancora non lo sa”
 
“Ora però mi stai prendendo in giro, leader” rise lei, convinta si trattasse di uno scherzo “io ho smesso di scappare”
 
“E allora…” concluse lui restituendole l’artbook “… non dovresti avere più alcun problema a dipingere”
 
Raccolse giacca e valigetta e, in silenzio, imboccò la strada in terra battuta che conduceva fuori dal parchetto, continuando ad osservare con la coda dell’occhio la propria “vassalla” durante tutta quella (volutamente) interminabile camminata; i suoi occhi svariarono disperatamente sul paesaggio per due buoni minuti nella speranza di cogliere una qualche ispirazione, ma alla fine il solo a cogliere qualcosa fu l’altro: colse perfettamente il momento in cui ella realizzò che aveva ragione lui.
 
“Come lo sapevi?” gridò, correndo per raggiungerlo
 
“Sono un uomo d’affari ormai” rispose il ragazzo con un sorriso malizioso “capire le persone è il mio lavoro”
 
 
 
Mika Kisaragi era una spiritualista (cosa abbastanza scontata discendendo da una tradizionale famiglia di miko) e anche per questo era decisamente certa che il regno dei demoni dovesse assomigliare molto al suo club dopo lo svolgersi del gunslinger.
Non era infatti un caso che il regolamento federale prevedesse un giorno intero di pausa tra il round di qualificazione e il torneo regionale vero e proprio; certo ufficialmente serviva a “consentire ai duellanti di riposare la mente e prepararsi psicologicamente all’evento ad eliminazione diretta”, ma la verità era che nessun gestore di club sarebbe mai riuscito a ripulire in un'unica serata il proprio locale… portarsi avanti però non costava nulla.
 
-Sono questi i momenti in cui sono fiera di non essere più una duellante- pensò lei -cosa diavolo gli costa essere un po’ meno animali-
 
Estrasse dal ripostiglio ogni strumento utile a scopo di pulizia che fosse in suo possesso e gli appoggiò sul bancone, dopodiché diede una rapida occhiata all’ambiente per valutare i danni: sette e mezza di sera di una sfibrante giornata passata ad arbitrare e sciorinare regolamenti e numeri e ora le toccava rassettare un locale immenso, di due piani, così ripieno di sporcizia da fare concorrenza alla rete fognaria cittadina e doveva farlo da sola.
 
-Bah, strano! In fondo i maschi sono sempre così solerti quando si tratta di pulizie- ironizzò la sua testa, ignorando bellamente il fatto che ci fossero anche molte duellanti femmine
 
Iniziò a girare tra i tavoli portandosi dietro il trabiccolo che reggeva i vari sacchi della spazzatura.
L’idea era di raccogliere, partendo sempre dalle situazioni più disperate, prima la spazzatura più evidente (cartacce o bottiglie), poi polvere, briciole o terra e infine macchie e impronte da eliminare col detergente, ma sin dai primi due banchi le fu chiaro che non sarebbe stato così semplice.
 
“COME DIAMINE HANNO FATTO A RIUDURLO COSÌ?!!!” imprecò non riuscendo più a trattenere nella testa la rabbia che quello strano mix di stanchezza fisica e esasperazione le stava facendo montare
 
“Che succede?” replicò a sorpresa una voce distante
 
Ok, questo era davvero strano; Mika era ASSOLUTAMENTE CERTA che tutti i duellanti avessero lasciato il club almeno mezz’ora fa, per cui o doveva chiamare in fretta sua zia perché aveva bisogno di un esorcismo, oppure…
 
“Chi è lei, mi scusi?” domandò con titubanza, forse qualche parte di lei pensava davvero fosse uno spirito
 
“Mika? Sei tu?”
 
“Certo che sono io, è mio questo club” sibilò cominciando a spazientirsi
 
“E allora come fai a non riconoscermi” disse lui mostrandosi, dal piano superiore, finalmente al pubblico
 
“Wataru?!” esclamò la donna stupita “cosa ci fai ancora qui e soprattutto come è possibile CHE IN TUTTO QUESTO TEMPO NON TI SIA PASSATO NEANCHE PER L’ANTICAMENTE DEL CERVELLO DI AIUTARMI?!!!”
 
Visti i toni delicati, l’uomo sulla trentina scese al pian terreno e, montata la faccia più contrita (e più falsa) di cui fosse capace, si presentò davanti alla manager, intenta a vagliare mentalmente i metodi d’omicidio più creativi e cruenti praticabili in quella situazione.
Vedendoselo arrivare davanti con quell’espressione credibile più o meno quanto regalatale da quell’idiota (jazzy) del Battle Spirits Santa, la padrona di casa arrivò a pensare che in fondo così tante culture dedite al cannibalismo non potessero sbagliarsi di molto, ancora meglio se con cottura a fuoco lento; per fortuna (dell’altro) quell’istante di follia fu appunto solo un istante e, recuperato l’autocontrollo, la sua mente ricordò a Mika che era una vera signora, lei, e le vere signore non ammazzano le merde, nemmeno quando sono tanto, tanto, tanto merde.
 
Inspirò ed espirò per alcuni secondi, poi riprese in mano il filo del discorso da dove l’aveva lasciato solo trattandolo molto più gentilmente… quasi.
 
“Ti dispiacerebbe spiegarmi perché sei ancora qui?” domandò in apparente tranquillità, ma con le labbra disposte in un inquietante sorrisetto sociopatico “possibilmente in meno di trenta secondi”
 
Le arti intimidatorie della bionda funzionarono così bene che l’uomo non riuscì, nel tempo stabilito, a produrre nessuna frase di senso compiuto e solo “l’enorme magnanimità di Mika” (parole sue) gli permise di arrivare a biascicare qualcosa di vagamente comprensibile riguardo ad un incontro con un amico li al club.
 
“Un amico? Strano, io non aspetto nessuno, ho perfino messo il cartello su “chiuso”; chi dovrebbe…”
 
Quella domanda non venne mai posta perché, proprio in quell’istante, le porte automatiche si spalancarono permettendo ad un gelido vento, quasi invernale,or di inondare il locale e i suoi avventori; quando poi si richiusero, oltre ai brividi, all’interno dell’edificio restò anche una nuova voce, eccessivamente alta e ancor più eccessivamente entusiasta.
 
“OI GENTE!” esclamò quello, praticamente urlando “COME È ANDATA LA GIORNATA?”
 
La padrona di casa sentì risalire forte il desiderio di porre fine ad una vita, poi che fosse la sua, quella di chi gli stava davanti o quella di colui che era appena entrato poco importava.
 
-Mannooo!! Nononononoooo!!!- imprecò -l’avevamo spedito in Hokkaido, questo imbecille, come diavolo ha fatto ad arrivare qua in meno di mezz’ora, col teletrasporto?!!-
 
Con un tono vocale comparabile agli infrasuoni udibili solo dai cani, il signor Wataru Oikawa sia accostò alla donna per farfugliare un titubante “posso?”; ella colse perfettamente il messaggio e, dato che era particolarmente “canina” quel giorno, passò i seguenti cinque secondi a decidere se acconsentire alla richiesta o azzannarlo alla gola.
Per fortuna dell’uomo (che quel giorno doveva averne molta) alle qualità di cane subentrarono le qualità di duellante e, con una perfetta faccia da po… pardon, da Battle Spirits, si mosse di lato lasciando al trentenne la possibilità di avvicinarsi e accogliere con un abbraccio il nuovo arrivato: l’ex campione del mondo, Arata Yakushiji… il quale aveva tante buone qualità ma, a differenza dell’amico, non doveva avere molta fortuna quel giorno, visto che la prima cosa che fece nello stringere la mano all’altro fu rovesciare una sedia su cui stava appoggiato un bicchiere ancora mezzo pieno.
 
“Mmmmmeessscusate signori” sussurrò Mika, tentando di sopprimere le migliaia di tic nervosi che in quel momento pervadevano il suo corpo “vi pregherei di portare avanti la vostra conversazione al di fuori del locale”
 
I due fecero come era stato loro “richiesto” e uscirono a parlare sulla strada lasciando la gestrice sola nel suo luogo di lavoro a lavare. Per quanto l’avessero fatta arrabbiare, la donna non poteva negare che fosse incuriosita dal perché di quell’incontro e iniziò l’opera di pulizia dalle postazioni più vicine alle porte in modo da riuscire a cogliere qualche frammento di quella conversazione; fu molto poco ciò che captò, ma alcune parti gli giunsero molto chiare: qualcosa riguardo “lavoro” e “turno” collegati al nome Mitsuo, il più storico amico di Arata, poi un accenno a “duelli interessanti” e altri nomi noti come quelli di Kataru e Isami.
Conclusa l’intercettazione, si allontanò leggermente dalla porta al momento dei saluti e attese che il campione rientrasse nell’edificio.
 
“Si può sapere come mai sei qui?” chiese la bionda, ancora piuttosto irritata “ti abbiamo pagato anche la camera”
 
“Beh, c’è comunque Ino…”
 
“Già, peccato che la stanza sia a nome tuo” lo interruppe la donna “e lei di nome faccia Yui Inoue”
 
“Touché”
 
“Allora, vuoi dirmi o no per quale motivo sei tornato qui?”
 
“Pensavo fosse ovvio, domani è il giorno di pausa” rispose quello “io ho un lavoro”
 
“E quante volte la cosa ti ha fermato negli ultimi… mmm, vediamo… dieci? Quindici anni? Forse anche venti?”
 
“Ehi, vent’anni fa ero ancora studente”
 
“Quello infatti È un lavoro” sentenziò la barista “e sinceramente, se fosse stato un mestiere stipendiato, tu non avresti mai meritato una paga”
 
“Ahah, vedo che il gunslinger ti ha messo di buonumore” la prese in giro lui “e comunque, visto che ti interessa tanto saperlo…”
 
“Non mi interessa affatto!!” sbraitò lei, rossa come un pomodoro
 
“… l’ho fatto per Mitsuo” proseguì l’uomo incurante dell’imbarazzo dell’altra “dalla scuola al lavoro, è una vita che copre le mie assenze senza chiedere nulla in cambio”
 
La donna si addolcì a quelle parole e non poté fare a meno di pensare che, idiota o no, fosse davvero fiera di lui; tra le moltissime leggende (o balle, come preferiva lei) che si raccontavano sul conto di Arata Yakushiji, pochissimi erano a conoscenza della lunga amicizia tra lui e Mitsuo Kimura e lei era una di quei pochissimi.
 
“Senza dimenticare la volta che gli hai chiesto di scaricare Roller Izumi per te, vero signor cuor di leone?”
 
“E come potrei” replicò il castano “è stata l’unica volta in cui mi HA CHIESTO qualcosa in cambio”
 
“Sei stato… sei molto fortunato ad averlo come amico” affermò lei “te l’ha mai detto che, dopo che lui ha portato a termine il TUO compito, Izumi gli ha morso un braccio”
 
“Ahi!” esclamò simpatetico “no, non mi aveva mai detto niente, anche se la fasciatura che aveva il giorno dopo mi aveva suggerito qualcosa”
 
“E cosa, che forse dovresti ripensare il tuo tipo ideale di ragazza?”
 
“Quella, cara mia, sarebbe un’impresa impossibile” replicò Arata con voce calda e ferma “la ragazza dei miei sogni è una e una sola: indipendente, intelligente, grintosa fino ad avere punte di violenza ma, al tempo stesso, dolce e sensibile… ed anche bellissima fisicamente, ma quello non era necessario”
 
Aveva avuto l’audacia di recitargliela tutta guardandola dritta negli occhi, quel maledetto, e ora lei non poteva fare a meno di sentirla risuonare nella sua testa.
 
L’aveva udita centinaia, forse migliaia di volte, quella stupida specie di formula magica, ma mai prima d’ora era stato così diretto.
Lo sapevano tutti quello che provavano l’uno per l’altra, e quegli stessi tutti sarebbero stati pronti a giurare che tutto ciò non avesse nessun senso; e come potevano averne? Erano una determinata e sofisticata tsundere in carriera e un Peter Pan con una sublime capacità strategica e un enorme spirito di gruppo.
Eppure avevano sempre funzionato… come amici; si certo, lui flirtava con lei ogni volta che la vedeva, ma non era serio.
 
Lei lo conosceva bene, sapeva com’era quando faceva sul serio.
 
Ora stava facendo sul serio.
 
Ma perché? Perché rischiare? Perché voler cambiare qualcosa che funzionava bene? E perché pensava che, di tutti quelli che avevano passato, fosse proprio quello il momento giusto?
 
Avrebbe tanto voluto porgli una qualunque di quelle domande, forse persino tutte quante, e invece le sole cose che ebbe il coraggio di porgli furono uno spazzolone con straccio annesso e una scopa che lui, con sua grande sorpresa, accettò di buon grado.
 
Per la seguente ora, nel club Kisaragi di Kadode il solo rumore che si sentì fu delle scope e degli stracci che sfregavano su tavoli e pavimenti; i due avventori non si guardarono più nemmeno negli occhi, pensarono solo al lavoro e, in tempi relativamente brevi, infatti riportarono il pianterreno ad una condizione accettabile, potendo così passare a quello superiore.
Anche di sopra, quel tacito accordo venne mantenuto e, ancora nel più totale mutismo, occuparono i successivi quaranta minuti circa nella pulizia. Quando ebbero concluso quella prima rapida passata, Mika si abbandonò su una delle sedie ad osservare i frutti del loro lavoro e Arata si sedette sul tavolo accanto a lei, intento ad osservarla; solo allora ritornarono a guardarsi in faccia.
 
“Perché hai smesso di duellare?”
 
La donna sospirò e replicò la malinconia della voce dell’amico nel suo sorriso; era quasi un contrappasso per tutte quelle domande che lei non era riuscita a fare, ora ne aveva posta una lui ed era LA domanda, quella a cui lei non aveva mai voluto rispondere. Sapeva benissimo che quel quesito fosse molto di più del suo significato letterale era un “perché non hai voluto inseguire quello che sembrava il tuo grande sogno?” o, e forse ancor di più, “perché non hai voluto conquistare il mondo di Battle Spirits assieme a me?”.
 
Si guardò intorno per poi tornare a concentrarsi sui suoi occhi, sulla sua espressione gentile ma salda, e lo capì: non sarebbe riuscita ad uscirne stavolta.
 
“Quando il mio spirit chiave, Grande Angelia Mikafar, ha subito il ban dalla fed…”
 
“Oh, smettila con questa storia!” imprecò l’altro arrabbiato come non era mai stato con lei “avresti potuto usare l’altro mazzo, quello dell’eremita di Battle Spirits”
 
“NO CHE NON AVREI POTUTO!!” ribatté furiosa lei, prima di calmarsi all’improvviso “scusami… ma no… non avrei potuto mai usare quel mazzo in un duello reale”
 
“Ma perché”
 
“Per una cosa che mi ha detto la persona che più stimo al di fuori della mia famiglia”
 
“Io” fece l’altro in tono scherzosamente allusivo
 
“il professor Saimon, asino!” reagì lei colpendolo con un amichevole pugno “lui ripeteva che lo sport, per lui, era uno dei modi più puri per esprimere se stessi e, a me, questa visione così poetica della pratica sportiva… beh, a me piace moltissimo”
 
“Non ti facevo così sentimentale” commentò il castano “e comunque ancora non capisco quale sia il nesso”
 
“Perché tu non mi hai mai realmente visto recitare la parte dell’eremita di Battle Spirits” rispose quella “vediamo di farla più semplice possibile: secondo te, normalmente, io contro l’Hajime dei regionali di due anni fa avrei perso?”
 
“Mai nella vita”
 
“Quando faccio l’allenatrice io scherzò, spiego le mie mosse all’avversario, sbaglio anche volontariamente se necessario” elencò la barista “non potrei mai in un vero duello e allo stesso modo non potrei duellare con un mazzo che non mi rappresenta”
 
“Eh?!”
 
“Non ci hai mai fatto caso? È come aveva detto il professore, ognuno di noi è perfettamente rappresentato dal suo mazzo” chiarì la giovane donna “Kobushi è un vero vassallo e infatti usa il colore più celebre per le strategie di supporto, il verde; il blu, più tecnico e particolare, è il colore prediletto da un ragazzo intellettuale e raffinato come Manabu; l’ambiziosa e pragmatica Kimari preferisce su tutti il viola, quello che più sfrutta gli scarti e il sacrificio dei propri spirit; infine una ragazza come Chihiro, timida e introversa, si protegge dietro gli scudi del bianco, il colore difensivo per eccellenza”
 
Al campione sembrò aprirsi un mondo davanti agli occhi.
 
“Anche tu sei così, sai?” proseguì lei, sicura di avere la sua reazione
 
“Davvero?”
 
“Dietro al poster del grande e invincibile duellante ci siete tu e i tuoi amici di una vita che lo reggete insieme” raccontò “ti sono sempre stati accanto in ogni duello, come se lo affrontassero con te, e il tuo mazzo riflette tutto questo alla perfezione”
 
“Non ci avevo mai visto così tanto dietro a Sieg-Yamato-Fried e Sieg-Susano-Fried” scherzò l’uomo sapendo benissimo dove l’altra volesse andare a parare
 
“Io parlavo del tuo VERO mazzo” sottolineo lei
 
“Il giorno in cui tu e Mitsuo la smetterete con questa storia del “vero mazzo” sarà sempre troppo tardi; vorrei sapere perché vi ostiniate a ripeterla”
 
“Beh, non posso parlare per altri” fece la Kisaragi “ma per quanto mi riguarda…”
 
“Si credo di aver intuito” la interruppe lui, pure bruscamente
 
Stranamente la scortesia non ebbe gli effetti nefasti che normalmente avrebbe avuto, segno di come fosse una serata davvero particolare. La padrona di casa si alzò dalla sedia per andare ad appoggiarsi alla ringhiera e poter osservare più chiaramente il palco; sorrise malinconicamente.
 
“Tu e gli altri nemmeno capite quanto sia bello poter duellare con il mazzo che vi rappresenta”
 
L’amico ricalcò le sue azioni di prima e andò ad affiancarsi a lei in prossimità della barriera metallica; mise mano alla tasca sinistra della sua giacca marrone e ne estrasse il suo mazzo… il suo VERO mazzo.
 
“Lo porto sempre con me” ammise sorridente “dunque è questo il vero motivo per cui hai smesso”
 
“Già, quando Mikafar ha subito il ban prima ancora che potessi disputare un duello da professionista e compresi che la “Divina Mika” non avrebbe mai visto le luci della ribalta, decisi di ritirarmi… suona ridicolo anche solo a dirlo” raccontò “mi feci assumere come praticante da chi gestiva questo club e poi, una volta andato in pensione, io gli subentrai”
 
“E da li partisti per creare la catena dei Club Kisaragi, oggi diffusa in vari paesi del mondo”
 
“Mantenni la promessa che feci ai miei amici e al professore” concluse lei “feci in modo che il mondo, di Battle Spirits e non, conoscesse il nome della “Divina Mika”!”
 
“Beh, se avessi un bicchiere ti farei un brindisi” replicò l’altro alzando la mano destra “alla Divina Mika”
 
Risero divertiti fino a crollare per terra dall’ilarità, con la schiena appoggiata alla ringhiera e il palco alle loro spalle; cercando di riprendere fiato per qualche secondo, l’uomo si voltò d’istinto verso la sua amica che invece ancora ridacchiava quasi senza controllo… ed era stupenda.
 
“E se ti offrissero di la possibilità di disputare duelli ufficiali? Rinunceresti a tutto questo?”
 
“Non saprei” rispose “sono fiera di ciò che ho costruito; certo, non vorrei che questa fosse tutta la mia vita, ma non sono così sicura che duellare sia ancora ciò che desidero”
 
Estrasse anche lei il mazzo dalla tasca e ne pescò la carta in testa per osservarla; non che ne avesse bisogno per sapere quale fosse.
 
“Sono ridicola” sussurrò triste “ho trentaquattro anni e ancora non so cosa voglio fare da grande”
 
“Io credo non si sia mai grandi abbastanza nella vita” la consolò Arata “se davvero lo vuoi, hai sempre la possibilità di prendere una strada diversa”
 
Non la colse di sorpresa nemmeno per un secondo, quella risposta, anzi se possibile se l’aspettava: era la risposta più ovvia che potesse dare uno il cui obiettivo nella vita era sempre stato essere un eterno bambino, eppure sembrava che ci fosse qualcosa di nuovo dietro.
 
“Oh” esclamò “allora è per questo?”
 
“Cosa?” chiese l’altro confuso
 
“È questo il motivo per cui vuoi ritirarti”
 
Non l’aveva domandato, la sua era un’affermazione e, peraltro, così perentoria che Arata non ebbe nemmeno bisogno di risponderle.
 
“Cos’è che è cambiato?” lo incalzò lei
 
“Tante cose che ho visto e sentito, in questi ultimi anni, addirittura oggi stesso poco importa, e che, solo poco tempo fa, avrei ritenuto inimmaginabili” spiegò quello “in Hokkaido ho visto duelli in cui ho impiegato sei turni per intuire le relative strategie; nelle qualificazioni del blocco giallo Masaki Igarashi, che si faceva suggerire le mosse dagli avversari, ha battuto Isami Serizawa mentre qui il piccolo Ohizumi ha sconfitto Hajime; dulcis in fundo, quando ho chiesto ad Anthony chi tra Leonard e Oliver gli sarebbe succeduto lui mi ha risposto nessuno dei due perché entrambi erano stati battuti da un coetaneo di Oliver proveniente dal Belgio, una nazione che ai suoi esordi contava meno di dieci praticanti”
 
L’uomo sollevò il mazzo ponendolo in controluce come ci dovesse leggere un messaggio segreto, poi lo aprì a ventaglio e le osservò risplendere: ognuna delle sue compagne sin dagli inizi del suo viaggio.
 
“Al prossimo mondiale, oltre alla solita Argentina, parteciperanno altre tre nazioni sudamericane, esordirà l’Australia e le federazioni nel continente africano sono più che raddoppiate” constatò con un sorriso stranissimo, malinconico e felice al tempo stesso “è tutto un altro mondo, Mika. Quando noi abbiamo iniziato Battle Spirits era giocato solo nelle nazioni dell’asia orientale e in Russia mentre oggi la sua popolarità nel mondo è quasi comparabile a quella di sport quali calcio, basket o baseball”
 
“Beh, significa che abbiamo fatto un buon lavoro” osservò ella dolcemente
 
“Già… e io credo di non poter dare di più”
 
Nemmeno quella risposta la sorprese più di tanto, era chiaro che qualcosa stesse bollendo in pentola e una qualche parte di lei sentiva perfino di aver intuito qualcosa del tarlo che rodeva il suo amico; certo, lei era convinta si trattasse di fattori più strettamente inerenti al gioco, alle sue meccaniche e alla nuova saga che da li a breve sarebbe stata annunciata, ma in fin dei conti non aveva sbagliato più di tanto.
 
“È iniziato tutto quest’estate, quando in federazione mi hanno chiesto di fare da testimonial per la nuova e imminente saga” rivelò Arata “quel giorno io… per la prima volta non ho detto loro si; avevo sempre dato una mano volentieri al nostro ambiente ma quel giorno, quando me l’hanno chiesto, per la prima volta il mio istinto mi fece dare la risposta sbagliata”
 
“E quale sarebbe questa “risposta sbagliata”?”
 
“Se non fosse più adatto un altro, qualcuno di più giovane” rispose egli “loro ribatterono con un discorso pieno di buon senso: dissero che Tegamaru non era un poster-boy credibile poiché l’avere Dragone Amaterasu gli permetteva di non dover studiare carte e meccaniche nuove (oltre a conferirgli una certa aura di irraggiungibilità), che Hajime era solo un ragazzino peraltro, pur ricco, non abbastanza facoltoso da permettersi di bypassare impegni scolastici e quant’altro e che il resto dei semifinalisti era straniero e loro avrebbero preferito che ad annunciare la saga al mondo fosse un giapponese”
 
“Posso capirli” balbetto la donna con leggera titubanza “in fondo il gioco l’abbiamo inventato noi”
 
“E infatti io non ho contestato quella scelta” ammise Yakushiji “ma mentre mi parlavano io non riuscivo a non pensare ai miei amici che non vedo “veramente” da anni, a Mitsuo che avrebbe dovuto coprire ancora le mie assenze, a te, ai ragazzi ed è stato li che quel pensiero è diventato reale… gliel’ho detto!”
 
“COOSAA?!! GLI HAI DETTO CHE VOLEVI RITIRARTI?!” sbraitò quella “MA SEI IMPAZZITO PER CASO?! E LORO COME DIAVOLO L’HANNO PRESA?”
 
“Bene, si sono…”
 
“Davvero?”
 
“Si… cioè, li per li, hanno avuto un piccolo infarto di gruppo, ma poi…”
 
“Ah, volevo ben dire”
 
“La smetti di interrompere!” esclamò l’uomo trattenendo a stento le risate “comunque si, dopo un primo attimo di smarrimento, il colloquio si è fatto via via sempre più informale e, una volta capito che il mio non era ne uno scherzo ne una provocazione, è finita ad abbracci e brindisi”
 
“Cioè, tu avresti brindato con tre funzionari?”
 
“Di più, quello spumante era tenuto da parte specificamente per il giorno del mio ritiro” precisò “mi sono commosso e forse anche un pelino vergognato in quel momento… ma non sono ritornato sui miei passi”
 
“E allora quando?”
 
“Alla fine del mio ultimo duello ufficiale” rispose “al termine di esso, ufficializzerò il mio ritiro”
 
La manager arricciò il naso e assunse un’espressione vagamente corrucciata di fronte a quello strano (e, per lei, infantile) alone di mistero che l’amico si ostinava a mantenere, ma rispettò la sua scelta e non fece ulteriori domande sull’argomento.
Al contrario, molte e insistenti ne fece riguardo al futuro, domande a cui lui rispose solo in parte accennando a qualcosa riguardo il suo lavoro in municipio e biascicando qualcosa riguardo ad un incarico federale offertogli da quei funzionari.
 
“Non è male come idea” commentò la bionda “riusciresti a restare nell’ambiente e…”
 
“Cos’è per te Battle Spirits, Mika?”
 
La domanda dell’uomo attraversò la selva di quelle poste da lei e la colpì quasi di sorpresa, tanto che per alcuni secondi le parve quasi di non avere una risposta… anche se quella risposta, si rese conto, l’aveva già data prima.
 
“È il mio modo di esprimere appieno me stessa”
 
“Ecco, per me Battle Spirits invece è stato ciò che ha sviluppato le mie capacità di pensiero strategico, ciò che mi ha divertito con match, esibizioni e perfino con quelle parti del professionismo che all’inizio detestavo come le difese del titolo, ciò che ha fortificato le mie amicizie storiche e permesso di crearne di nuove, ciò che mi ha consentito di girare il mondo e visitare posti che il ceto sociale della mia famiglia mai mi avrebbe permesso di visitare” fece l’ex campione del mondo, inarrestabile come un fiume in piena “per me Battle Spirits è stata l’occasione di una vita ed io sono felice di averla colta”
 
Alzò istintivamente lo sguardo verso la sua amica ed interlocutrice trovandola con gli occhi lucidi; solo allora lo capì: era un perfetto discorso d’addio.
 
“Questo gioco mi ha dato tantissimo, forse tutto, ed ora sento sia arrivato il momento di cambiare partendo dall’ultima cosa che questo mondo mi ha regalato” continuò “in questi anni di duelli ho cercato di trasmettere a molti ragazzi la mia passione; da loro, oltre che dal mio altro lavoro, è arrivata la scintilla a vivere la vita fuori da quest’ambiente”
 
“In che senso?”
 
“Qualche mese fa, molti dei nostri giovani amici sono venuti da me per confidarsi; volevano dei consigli, ma non su Battle Spirits… solo consigli riguardo dubbi, problemi personali o segreti pesanti da sopportare” rispose lui “sono venuti Kouta, Chihiro, persino Manabu; scoprire che i ragazzi a cui ho cercato di trasmettere il mio amore per il gioco vedano in me molto più di un grande duellante, che mi ritengano una persona degna di tanta fiducia da confidargli i loro problemi mi ha fatto sentire… non credo nemmeno di saperlo definire a parole”
 
La bionda gestrice era quasi certa che se quel discorso fosse durato altri cinque secondi sarebbe scoppiata a piangere dalla commozione, quasi le dispiaceva rovinare quello splendido epitaffio con la sua domanda.
 
“E quindi, cosa hai intenzione di fare?”
 
“Tutto… niente… credo di non saperlo ancora con certezza” fece l’altro sincero “forse dovrò semplicemente fare come te: diventare grande”
 
“Vorrà dire che dovremo crescere entrambi” scherzò lei divertita
 
L’uomo sorrise sardonico.
 
“Già, dovremmo anche suggellare in qualche modo questo passaggio” dichiarò quello sornione mostrandole il mazzo “quando la Hero Championship sarà conclusa verrò qui  per un duello ufficiale; io ti sfido, Mika Kisaragi!”
 
In fondo era quello il bello di averlo come amico: un secondo prima sei tutta sorridente e commossa e forse lo vorresti perfino baciare mentre l’attimo seguente sei lì con un’espressione esasperata, i tic nervosi che ti pulsano in corpo e una flebile vocina nella testa che tenta disperatamente di convincerti che no, ammazzarlo facendolo rotolare dalle scale non è una buona idea (anche se l’altra vocina, quella che le urla di FARLO E BASTA, è decisamente convinta che qualunque tribunale le concederebbe la seminfermità mentale).
 
“Mi spieghi, razza di idiota” sibilò “cos’è che non hai capito di “non voglio duellare senza il mio mazzo”?”
 
“Ma questo duello prevede che tu USI il tuo mazzo”
 
Ok, adesso DEVE ammazzarlo… perlomeno per il bene dell’umanità; ormai non si tratta più di incomprensioni o pensieri fraintendibili, a questo mancano proprio le basi.
 
“Ceeerto” lo irrise la bionda “e immagino che il signor scemo del villaggio si sia scordato di un certo spirit che è parte del mio mazzo”
 
“Ho già pensato a tutto, sta tranquilla” ribatté lui con nonchalance quasi irritante “tu pensa solo a presentarti qui nel giorno stabilito”
 
Eh no, ora però stava cominciando a flirtare con l’insanità mentale; la situazione era così assurda e l’espressione di lui così irritantemente sicura che stava cominciando ad incuriosire davvero pure lei.
 
“E sia” accettò porgendo la mano “però, per una sfida del genere, è necessario che si sia un po’ di pepe”
 
“Pensavo lo stesso” replicò quello con l’aria di uno che la sapeva lunga “allora vediamo: se dovessi vincere tu… ci sono, farò aggiornare il tuo record professionistico personale eee ti farò assegnare, invece del semplice punteggio, il mio secondo posto nel ranking per un mese”
 
“Ma il ranking ormai è solo formale; non esistono più i punteggi, è tutto congelato”
 
“Non del tutto vero” sottolineo il castano “è vero che la classifica non ha nessun valore reale, ma non è affatto congelata e gode ancora di molta popolarità nell’ambiente; io ti concedo l’opportunità di farti un mese sopra Hajime, Manabu e tutti gli altri”
 
“Tranne Tegamaru però” lo prese in giro lei “sentiamo, e se invece dovessi vincere tu?”
 
“Io…” balbettò “io vorrei che accettassi un invito a cena… solo uno, poi potrai fare ciò che vorrai”
 
La donna arrossì e percepì un piacevole brivido percorrerle il corpo; certo, avrebbe voluto più tempo per pensarci ma la situazione si stava facendo così interessante. Forse aveva bisogno di un po’ di follia.
Alzò lo sguardo dalla mano al volto dell’amico e gli vide dipinta un’espressione titubante e preoccupata che non sembrava nemmeno sua.
 
Era adorabile.
 
“Ci sto!” esclamò Mika stringendo quella mano
 
Si, poteva farlo, un ultimo gioco prima di diventare grandi… insieme.
 
 
 
SPAZIO DELL’AUTORE
 
Buongiorno amici, sono molto felice di risentirvi e spero voi lo siate altrettanto.
 
Come vi avevo detto, capitolo piuttosto particolare oggi ma estremamente importante perché, fidatevi, non sarà un unicum: userò questo genere di capitolo ogni volta che avrò necessità di fare il punto della situazione su alcuni dei protagonisti della nostra vicenda (dove sono arrivati, cosa sentono, ecc.) e posso già dirvi che ne ritroverete altri così; non saranno per forza tre ogni volta, potrebbero essere di più ma più brevi o di meno ma più approfonditi e non saranno per forza gli stessi di questo capitolo ma sceglierò ogni volta coloro che avranno qualcosa da dire (e da dirsi) in quel determinato momento della storia.
 
Venendo poi ai contenuti del capitolo in senso stretto, per prima cosa questo capitolo introduce, nel suo ultimo spezzone, l’altro tema fondante di questa storia (anzi, a volerla dire tutta, sono presenti entrambi i temi) che è la domanda “Che cos’è per te Battle Spirits?”; a differenza di “Chi vuoi essere da grande?” questa sarà una domanda realmente posta all’interno dei vari capitoli ai molti personaggi di questa storia che daranno volta per volta la loro risposta e con essa aiuteranno (o almeno spero) voi lettori a far capire qualcosa di loro stessi, di cosa provano e di cosa vorrebbero essere.
Se volete fare un gioco, provate a segnarvi tutte le risposte date dai personaggi, avrete una panoramica completa del cast della nostra storia.
 
Per il resto, ammetto che il capitolo mi sia venuto un po’ melodrammatico ma è stata una mia scelta cosciente e che spero possiate apprezzare (se così non fosse, mi scuso). Il fatto è che a mio parere troppo spesso si trattano i problemi dei ragazzi banalizzandoli, minimizzandoli o addirittura ridicolizzandoli come se non contassero nulla (ascoltare “Adam’s Song” dei Blink 182 o “Welcome to My Life” dei Simple Plan o i Korn per capire che non è così).
Il secondo troncone è in particolare quello in cui secondo me il melodramma si fa più intenso e credo che mi sia venuto così perché accenno al bullismo e quindi la cosa si fa personale visto che anch’io, come tanti, l’ho subito. Purtroppo si tratta al tempo stesso di una delle pratiche più aberranti e più pervasive della società umana; il bullismo non ha età, di solito se ne parla riguardo ai ragazzi ma io ho sempre pensato che ci sia anche tra i bambini e perfino tra gli adulti con effetti che, purtroppo, conosciamo fin troppo bene; io posso solo sperare di aver reso, in questa storia, anche solo un minimo di giustizia a queste situazioni e di aver fatto tutto questo senza mai perdere completamente l’umorismo che contraddistingue questa storia.
 
Anzi, visto che ne ho citate alcune (e che anche il titolo si ispira ad un pezzo degli Offspring), dedico una canzone ad ogni troncone di questo capitolo:
 
Per Shizuku e Kimari - “Live Forever” degli Oasis.
Per Chihiro e Tegamaru - “Welcome to My Life” dei Simple Plan.
Per Mika e Arata - “Once” di Liam Gallagher. 
 
Non ho altro da dire, ci risentiamo col capitolo venturo che spero possa arrivare a breve.
 
Alla prossima e passiamo alle anticipazioni.
 
È il giorno prima dell’apertura del tabellone ufficiale e Kouta Tatsumi e Kataru Ohizumi hanno molto bisogno di aiuto: sono attesi al loro gran debutto ufficiale in un torneo contro due avversari probabilmente troppo duri per i loro denti da latte e loro vorrebbero solo dimostrarsi all’altezza; con l’aiuto degli amici e le giuste motivazioni, i due ragazzi dovranno dimostrare di essere all’altezza dei loro sogni, perché è a loro che toccherà aprire le danze al ritmo di… Ballate per piccoli fratelli.
  
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