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Autore: Alessia_Esposito    22/01/2022    3 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
“Vi siete mai chiesti cosa succede precisamente al vostro cervello quando bevete? E perché cala drammaticamente la vostra capacità di giudizio e di scelta?”
Era a questo che pensava mentre, sudato, tremante ed ubriaco perso, si accingeva ad aprire lo sportello della sua auto - non senza prima aver buttato giù qualche imprecazione ed essersi ferito ad una mano con le chiavi - per mettersi alla guida.
“L'alcol rallenta i processi mentali e cognitivi deprimendo la corteccia cerebrale, che regola l'attenzione, la percezione, il pensiero, la lingua e la consapevolezza […]”
Era la voce ovattata dello speaker di una pubblicità progresso, che distrattamente aveva visto qualche sera prima in tv, a risuonargli nelle orecchie, mentre la poca ragione che ancora gli rimaneva, accortasi di quale strada il cuore gli stesse facendo percorrere a quell’ora della notte, incrementò ulteriormente il tremolio di cui il suo corpo era prigioniero ormai da qualche ora.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Athazagoraphobia
- the fear of forgetting someone or something -
 
Vi siete mai chiesti cosa succede precisamente al vostro cervello quando bevete? E perché cala drammaticamente la vostra capacità di giudizio e di scelta?

Era a questo che pensava mentre, sudato, tremante ed ubriaco perso, si accingeva ad aprire lo sportello della sua auto - non senza prima aver buttato giù qualche imprecazione ed essersi ferito ad una mano con le chiavi - per mettersi alla guida.

L'alcol rallenta i processi mentali e cognitivi deprimendo la corteccia cerebrale, che regola l'attenzione, la percezione, il pensiero, la lingua e la consapevolezza […]

Era la voce ovattata dello speaker di una pubblicità progresso, che distrattamente aveva visto qualche sera prima in tv, a risuonargli nelle orecchie, mentre la poca ragione che ancora gli rimaneva, accortasi di quale strada il cuore gli stesse facendo percorrere a quell’ora della notte, incrementò ulteriormente il tremolio di cui il suo corpo era prigioniero ormai da qualche ora. Non aveva mai bevuto così tanto in vita sua, in realtà non si era mai neanche ubriacato, privandosi da sempre di quello che i suoi amici definivano “magnifico stato di ebrezza”. Era lui, infatti, l’amico che rimaneva sobrio durante le feste per poter poi riaccompagnare tutti gli altri a casa in totale sicurezza; era quello a cui le madri si raccomandavano sempre e di cui più si fidavano; era quello che non perdeva mai il controllo, che non se lo era mai permesso.
Una risata nervosa si impadronì del suo volto, a questo pensiero: “Tu, bello mio…” si disse “il controllo lo hai perso ormai da molto, non sai più neanche che cos’è, se si mangia o si maneggia.
Era vero: il controllo lo aveva perso in un afoso pomeriggio d’estate, nell’ufficio del sostituto procuratore per cui lavorava, dopo aver… “Sostituto procuratore? Neanche più il suo nome riesci a pronunciare senza sentirti in colpa per quello che provi” si interruppe, battendosi violentemente il palmo di una mano contro la fronte. Sì, dopo averle confessato ciò che per giorni, settimane, mesi gli era pesato sul petto come un macigno, un groviglio confuso di emozioni contrastanti, una pietra che se quel giorno non avesse provato a spostare, probabilmente lo avrebbe trascinato sul fondo del mare per sempre. Era arrivato al limite: la storia di Lolita, i dissapori che c’erano stati tra loro a partire da allora, il modo in cui le aveva urlato contro sentendosi abbandonato e messo da parte, la gelosia che, prepotente, cresceva vedendola accompagnata da qualunque altra persona che non fosse lui. Questo era il suo limite, il suo punto d’arrivo, il cartello stradale con su scritto “stop” che, posto ad uno dei tanti incroci dell’intreccio di strade che costituivano la sua anima, gli chiedeva di fermarsi e dare la precedenza a tutto ciò che si era imposto di non sentire, di tenere nascosto e soffocare per paura del male che avrebbe potuto causare.
Poi l’aveva baciata, o meglio, lei lo aveva baciato, pentendosene subito dopo e ordinandogli, con la poca autorità che sperava ancora le rimanesse, di dimenticare tutto. Ma era troppo tardi: chi è che vuole o riesce a dimenticarsi del paradiso dopo averlo letteralmente, concretamente toccato?
Il suono brusco e violento di un clacson, accompagnato dalle espressioni rabbiose e volgari di un autista, lo rubarono ai suoi pensieri riportandolo alla realtà, per fortuna: in un momento di distrazione aveva sbandato con l’auto ed aveva invaso la corsia opposta.
Sapeva molto bene che tutto quanto stava facendo in quel momento era da pazzi, incoscienti ed irresponsabili, aggettivi del tutto in antitesi con il suo titolo di maresciallo - che forse, di questo passo, si sarebbe visto togliere molto prima del previsto -, tuttavia era quello il momento giusto, lo sentiva, doveva approfittare degli effetti dell’alcol finché poteva.
Era stato Capozza, dopo averlo visto battere i pugni sulla sua scrivania e scaraventare a terra la maggior parte delle cose che vi erano poggiate su, ad invitarlo a bere una birra quella sera.
Eeeeh calma Calogiù…” aveva iniziato, poggiandogli le mani sulle spalle tese “scommetto che non è niente che non si possa risolvere con una buona birra in compagnia” aveva poi proposto, lasciando Calogiuri sorpreso di non sentirsi chiedere che cosa fosse successo, a cosa fosse dovuto quel suo stato d’animo. Tuttavia, qualche minuto dopo, il maresciallo aveva poi riflettuto sul fatto che lì dentro gli occhi per guardare ce li avevano tutti, ed era ormai chiaro come il sole che tra lui ed Imma qualcosa stesse succedendo. Capozza, forse, aveva solo avuto la delicatezza di non farglielo notare, evitando di chiedere e di intromettersi in qualcosa che non lo riguardava. Enormemente grato per ciò, aveva semplicemente annuito al collega, accettando il suo invito e seguendolo fuori dalla procura.
Tuttavia, nonostante il sollievo provato per il disinteresse di Capozza, che non lo aveva obbligato a spiegare il motivo per cui aveva trascorso tutto il giorno inchiodato alla sedia della sua scrivania a fissare con aria furente il muro dietro lo schermo del pc, sapeva che, presto o tardi, a sé stesso avrebbe dovuto confessarlo, che avrebbe dovuto ammetterlo, prenderne coscienza ed agire di conseguenza.

Ed io che pensavo che eri il ragazzo di provincia dai buoni sentimenti, e non il solito marpione che perde la testa quando vede passare una del nord.
Una del nord? Eh no, mo’ stiamo esagerando. Prima di tutto non sono fatti vostri, poi seconda cosa la mia vita privata non vi riguarda.”
No no, mi riguarda eccome. Non puoi andare a letto con tutta la procura!

Avevano litigato, quella mattina, per un’inutile e stupida sciarpa. “Pensa al lato positivo” si era detto per calmarsi “questa è la prova provata del fatto che è gelosa di te, che non sopporta vederti con altre donne. La conosci troppo bene per sapere che se è arrivata a mettere su una tale scenata, è perché anche lei sta combattendo contro qualcosa di troppo forte, e la Bartolini è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In altre circostanze, la sua serietà ed integrità non le avrebbero permesso di dire una sola parola riguardo una questione che avrebbe definito frivola e oggetto di pettegolezzi.
Purtroppo, però, per quanto si sforzasse di limitarsi solo a questo tipo di pensieri, la consapevolezza di sembrare ai suoi occhi un “marpione che perde la testa davanti alle belle donne” lo distruggeva. Se solo avesse saputo che da quando l’aveva baciata nel suo ufficio, durante la festa della bruna, non era più riuscito a toccare nessun’altra donna; se solo avesse saputo che la relazione con Jessica – che stava ormai naufragando inesorabilmente - era stata semplicemente un vano e disperato tentativo di provare a vivere senza di lei e con l’amara rassegnazione di non poterla avere; se solo avesse saputo di tutte le volte che lui e Jessica avevano finito per litigare pesantemente a causa del fatto che, dopo mesi di convivenza, non riusciva ancora a sfiorarla, toccarla, a fare l’amore con lei senza che davanti agli occhi gli si parasse la sua immagine, l’immagine di Imma, pronta a giudicarlo per quanto poco avesse combattuto per lei.
Magari fossi uno sciupafemmine, magari…” pensò, e con ragione: paradossalmente, esserlo avrebbe rappresentato per lui la salvezza da un amore impossibile che, a lungo andare, lo avrebbe inevitabilmente consumato. Ed ecco, allora, che le birre da una erano passate a tre, poi quattro, per poi trasformarsi in bicchieri contenenti un liquido ambrato a lui sconosciuto, ma che aveva bevuto - contorcendo il viso in una smorfia di disgusto a causa del sapore estremamente forte - su consiglio del barista e di Capozza, brillo già da un po’ e in cerca di compagnia femminile. Era stato in quel momento, con la coscienza e la ragione totalmente annebbiate dagli alcolici, che aveva capito cosa fare e all’una di notte, nelle condizioni più pietose in cui un essere umano possa versare, si trovava davanti la casa del sostituto procuratore Imma Tataranni.
Bene campione, sei riuscito a raggiungere la destinazione senza farti uccidere in un incidente stradale. Adesso cosa conti di fare? Bussare al citofono, aspettare che scenda il marito e dirgli ‘salve signor De Ruggeri, mi scusi l’ora, sono venuto per dire a sua moglie che la amo con la stessa intensità con cui si amano le cose che non si possono avere’ per poi vomitargli addosso pure l’anima?
Una vocina interiore iniziò a burlarsi di lui, e non seppe dire con certezza se si trattava di una piccola parte di sé rimasta indenne dagli effetti dell’alcol o meno, tuttavia si rivelò utile per evitare di fare la stupidaggine più grande della sua vita: bussare al citofono di casa sua, ubriaco marcio, svegliando la sua famiglia e rendendola testimone del livello di dignità più basso che avesse mai potuto raggiungere.
Una volta appurato ciò, decise allora di optare per il cellulare: “La chiamo… Sì, la chiamo e… E le chiedo di scendere…” pianificò. Digitò maldestramente il suo numero sull’apparecchio, sbagliandolo almeno 5 volte e ricordandosi, solo dopo essersi dato del deficiente, che bastava semplicemente cercarlo nella rubrica dei contatti. Riuscito finalmente a far partire la chiamata, poi, rimase in disperata attesa di sentirla parlare.
“Pronto? Calogiuri?” una voce assonnata sostituì dopo qualche minuto il “biiip” infernale della telefonata.
“Dott… Dottoressa…” una risposta scomposta fu tutto quello che riuscì a farsi uscire dalla bocca, preso dal panico del non aver pensato precisamente a cosa dirle e a come dirglielo.
“Calogiuri perché mi chiami a quest’ora? Che succede? Stai bene?” l’evidente preoccupazione nella sua voce, accompagnata dal rumore delle lenzuola che si spostavano - probabilmente per alzarsi dal letto e mettersi in posizione di allerta e completa attenzione -, gli scaldò il cuore, nonostante sapesse quanto fosse ingiusto da parte sua farla preoccupare in quel modo per una stupida ed irresponsabile sbronza.
“Sì, io…” tossì “io devo… Ho bisogno di…” rise nervosamente.
“Calogiuri sei ubriaco?” lo interruppe, ormai impaziente e terribilmente in pensiero per lui “Sei ferito? Dove ti trovi?”
“Dottoressa, vi prego… Scendete.”
Buttò fuori quelle poche parole con tutta la forza che ancora gli era rimasta, perché il resto l’aveva persa solamente nel raggiungere casa sua, uscire dall’auto e appoggiarsi al muro poco distante dal suo portone, azioni che gli erano sembrate delle vere e proprie imprese tenendo conto dell’effetto devastante che l’alcol stava iniziando ad esercitare sui suoi muscoli, sul suo intero corpo. Buttò fuori quelle poche parole accompagnandole con un sospiro pesante, come se si fosse appena liberato da qualcosa, e poi chiudendo gli occhi e volgendo il volto al cielo, beandosi dell’aria fredda della notte come non aveva mai sentito il bisogno di fare. E lei, che nel frattempo aveva istintivamente rivolto lo sguardo alla finestra della sua camera da letto, riuscì solo a pensare “ecco, questa è esattamente una di quelle situazioni che ti sei imposta di evitare ad ogni costo, dal giorno in cui vi siete baciati nel tuo ufficio. Sai benissimo cosa succede se scendi, Immacola’. Sei abbastanza più grande di lui da sapere come vanno a finire queste cose.”
Eppure, nonostante fosse perfettamente consapevole di ciò che l’attendeva - e che doveva ad ogni costo evitare - alla fine di quelle scale poste fuori la porta di casa sua, non poté fare a meno di percorrerle, e pure di fretta e furia, con il cuore a mille e nelle orecchie il respiro stanco, pesante e affaticato della persona che più temeva e desiderava incontrare. 
   
 
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