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Autore: Alessia_Esposito    23/01/2022    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
“Vi siete mai chiesti cosa succede precisamente al vostro cervello quando bevete? E perché cala drammaticamente la vostra capacità di giudizio e di scelta?”
Era a questo che pensava mentre, sudato, tremante ed ubriaco perso, si accingeva ad aprire lo sportello della sua auto - non senza prima aver buttato giù qualche imprecazione ed essersi ferito ad una mano con le chiavi - per mettersi alla guida.
“L'alcol rallenta i processi mentali e cognitivi deprimendo la corteccia cerebrale, che regola l'attenzione, la percezione, il pensiero, la lingua e la consapevolezza […]”
Era la voce ovattata dello speaker di una pubblicità progresso, che distrattamente aveva visto qualche sera prima in tv, a risuonargli nelle orecchie, mentre la poca ragione che ancora gli rimaneva, accortasi di quale strada il cuore gli stesse facendo percorrere a quell’ora della notte, incrementò ulteriormente il tremolio di cui il suo corpo era prigioniero ormai da qualche ora.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Seconda parte
 
Ringraziò Dio, i santi, il cielo o qualunque altra entità divina avesse fatto sì che a quell’ora della notte, nonostante il gran chiasso che aveva fatto per trovare qualcosa di decente da indossare al di sopra della camicia da notte con la quale si era messa a letto, Pietro e Valentina continuassero beatamente a dormire come se nulla fosse.
Ringrazia Imma, ringrazia. E magari da domani inizia pure ad andare in chiesa, perché se uno dei due si fosse svegliato, cosa ti saresti inventata per raggiungere la versione alcolizzata di Calogiuri che ti sta aspettando giù?
La parte più razionale di sé, dotatasi di una voce - anche alquanto squillante e fastidiosa -, iniziò a darle i tormenti, ma lei era ormai decisa a non ascoltarla, molto più preoccupata delle condizioni in cui si trovava il maresciallo piuttosto che di ciò che sarebbe stato moralmente corretto fare o non fare. Si affrettò ad indossare i jeans, la felpa e le scarpe sportive che qualche ora prima aveva distrattamente gettato ai piedi del letto, appuntandosi mentalmente di buttare tutto il giorno dopo in quanto indumenti lontani anni luce da quello che era il suo insolito ma originale stile. Era stata Valentina, qualche mese prima, durante una tipica giornata madre-figlia dedicata allo shopping, a costringerla ad acquistare quella roba.
Mamma, puoi provare una sola volta nella vita ad acquistare qualcosa che ti renda più… Come dire, normale?” le aveva detto, e lei aveva accettato semplicemente per farla contenta, per non controbattere e finire nell’ennesimo litigio che, per quanto stupido, non avrebbe fatto altro che deteriorare il loro già precario rapporto.
Ad ogni modo, per quanto odiasse quei vestiti, adesso erano la prima cosa a portata di mano che aveva trovato, e perdere altro tempo nella scelta del suo outfit non le sembrò una saggia decisione.
Una volta pronta, allora, si diresse verso la porta, cercando di fare il minor rumore possibile, poi verso le scale, percorrendole con una tale velocità da rischiare di cadere, e infine verso il portone, che aprendo le mostrò una scena che non le piacque per nulla, provocandole, anzi, una stretta al cuore che ricordava di aver provato raramente nella vita. Calogiuri era seduto a terra, con la schiena ed il capo premuti contro il muro ruvido e freddo dell’edificio, gli occhi chiusi rivolti verso l’alto e la bocca socchiusa, sulla quale una nuvoletta di fumo, dovuta al contrasto tra il calore del suo respiro ed il freddo di quella notte, aveva iniziato a volteggiare da chissà quanto tempo.
“Calogiuri…” sussurrò tra sé e sé in preda al panico, prima di correre verso di lui “Calogiuri!” chiamò più forte stavolta, inginocchiandosi accanto a lui per prendergli il viso tra le mani. Ci vollero 2 o 3 colpi leggeri sulla pelle fredda delle guance per rinsavirlo, ma a lei sembrarono molti di più, perché infinito le sembrò il tempo trascorso prima che riaprisse quei suoi occhioni azzurri e le restituisse lo sguardo.
“Ma sei impazzito, per caso? Quanto hai bevuto? Che diamine pensavi di fare, eh?” iniziò a chiedergli, con tono severo, affannato e terribilmente preoccupato, e incurante del fatto che probabilmente lui non riuscisse neanche a seguire ciò che gli stava dicendo.
“Una… Una domanda alla volta, per favore.” riuscì solo a risponderle, frastornato non solo dagli effetti dell’alcol, ma anche dalle sensazioni che il contatto delle sue mani con la pelle del suo viso gli stava suscitando.
“Hai addirittura guidato fin qui in questo stato! Ma hai perso completamente il senno?” gli urlò quando i suoi occhi si posarono sull’auto parcheggiata poco distante da casa sua e l’improvvisa consapevolezza che quella notte gli sarebbe potuto accadere qualcosa di molto grave prese il completo controllo dei suoi pensieri.
“Calogiuri guardami” gli riafferrò saldamente il viso “per quale dannato motivo ti sei ridotto così?”
“Io dovevo… dovevo parlarvi.” le confessò.
“Ed era necessario bere fino a star male e rischiare la vita in un incidente stradale all’una di notte per farlo?” lo incalzò lei.
“Voi non capite…”
“Cosa non capisco? Eh? Perché qua da capire non c’è proprio niente.”
Era furiosa, delusa e arrabbiata come non lo era mai stata. Il solo pensiero di averlo potuto perdere a causa di un comportamento tanto immaturo, stupido, ridicolo ed irresponsabile, che sapeva non appartenergli assolutamente, la faceva impazzire, le raggelava il sangue nelle vene. Continuava a chiedersi perché, quale motivo poteva esser stato per lui, una persona affidabile, matura, seria e retta, tanto doloroso o traumatico da indurlo a ridursi in quello stato.
“Voi non capite.” le ripeté di nuovo, accompagnando le sue parole con una risata nervosa e cercando, con tutte le forze che ancora possedeva, di alzarsi, mettersi in piedi e darsi un certo contegno. Ci riuscì, ma non senza prima sbandare un paio di volte e doversi appoggiare a lei per non cadere rovinosamente a terra.
“Avevo bisogno dell’alcol per venire fino a qua” iniziò a spiegarle, gesticolando maldestramente con le mani “io avevo bisogno dell’alcol per dimenticarmi di cosa è giusto e cosa è sbagliato, per dirvi quello che in circostanze normali non vi direi mai.”
Capita la pericolosa direzione che quella conversazione avrebbe preso, Imma cercò di sviare il discorso.
“Calogiuri dobbiamo trovare un modo per riportarti a casa. Sei gelato, devi fare una doccia, prendere un’aspirina e metterti a letto. Matarazzo ti starà aspettando, sarà preoccupata e…”
“Jessica se n’è andata.” la interruppe bruscamente, buttando fuori quella notizia con una tale violenza che sembrava voler dare a lei la colpa di quanto accaduto.
“Che… Che significa se n’è andata?” provò a chiedere, confusa.
“Lo avete detto voi, no? Com’era? Il marpione…” iniziò a ripensare a quanto era successo quella mattina, al loro litigio, sforzandosi di ricordare le esatte parole che lei aveva usato per definirlo “ah, sì! Sono un marpione che perde la testa quando vede passare una del nord.” concluse con fare soddisfatto, iniziando nuovamente a ridere in maniera nervosa.
“Calogiuri non ho alcuna voglia di scherzare.” lo ammonì, seria.
“Perché io sì? Vi sembra che io abbia voglia di scherzare in questo momento?” il suo voltò si tramutò in una maschera di tristezza e dolore nel giro di un batter d’occhio, e la sua voce assunse lo stesso tono che quella mattina aveva usato per rimetterla al suo posto, ergo fuori dalla sua vita privata.
“Credo sia meglio chiudere qui la conversazione. Hai bisogno di riposare, non sei nelle tue piene facoltà mentali, potresti dire cose di cui ti pentiresti domani e io non voglio…”
“Magari fossi uno sciupafemmine, dottoressa. Magari…” la interruppe nuovamente “perché esserlo significherebbe non portarvi qua dentro…” continuò, indicandosi la testa con un dito “ventiquattro ore su ventiquattro, giorno e notte, qualunque cosa io stia facendo.”
Imma senti la sua voce incrinarsi per un attimo, mentre cercava disperatamente di spiegarle il motivo che lo aveva spinto ad un gesto tanto estremo, e proprio in corrispondenza di quell’incrinarsi della voce sviò lo sguardo ed evitò di guardarlo negli occhi, che era sicura si fossero lasciati scappare una lacrima. Decise che era troppo, decisamente troppo per lei.
“Magari fossi un marpione, ma purtroppo non lo sono. Sono solo un povero stronzo che pende dalle vostre labbra, che aspetta che voi lo chiamate come un cane aspetta che il padrone lo porti fuori a spasso. Sono un deficiente che per essere felice ha bisogno che voi gli diciate che è stato bravo, che ha fatto un buon lavoro e che siete fiera di lui. Sono un illuso che spera che i sorrisi che gli rivolgete siano solo per lui e nessun altro, che le rare carezze distratte che gli regalate siano solo per lui e nessun altro, ma poi si ricorda di non essere l’unico, si ricorda di vostro marito, vostra figlia… E allora, a quel punto, la competizione non può reggere.”
Straziante. Sì, straziante era l’unica parola a cui riusciva a pensare per descrivere quanto stava accadendo in quel momento davanti a lei. Straziante era il modo in cui le parole gli uscivano dalla bocca, quasi come sputate; straziante era il mondo in cui gesticolava e si colpiva il petto per rendere meglio l’idea di quanto tutta quella situazione lo facesse stare male; strazianti erano i suoi occhi pieni di lacrime bloccate, costrette a stare in uno spazio che stava diventando sempre più piccolo e stretto.
“Avevate ragione quando avete detto che tradisco Jessica, è vero” si fermò, giusto il tempo di fare un respiro un po’ più lungo degli altri e riprendersi l’aria che le emozioni contrastanti ed il corso degli eventi gli stavano rubando “la tradisco ogni volta che penso a voi, ogni volta che penso a quando vi ho stretta a me e vi ho baciata. A volte ho addirittura l’impressione di riuscire a sentire la vostra bocca sulla mia, il vostro respiro sul mio viso.”
Aveva ricominciato a ridere, ma stavolta non in modo nervoso, bensì come ride un bambino ingenuo per l’imbarazzo, coprendosi gli occhi, quando vede i genitori baciarsi per la prima volta, e scopre che quello è uno dei tanti modi che gli esseri umani utilizzano per darsi amore.
“Mi… mi sembrava fossi stato abbastanza chiaro stamattina: la tua vita privata non mi riguarda.”
Era rimasta in silenzio durante tutto il drammatico ed improvvisato monologo del maresciallo, aveva evitato in ogni modo possibile il suo sguardo, concentrandosi piuttosto sulla sua auto, sul muro dietro di loro, sulle pietre scheggiate della strada, sulle sue mani… Come se da un momento all’altro ognuno di questi elementi avesse potuto darle la risposta che stava disperatamente cercando, la soluzione ad ogni problema, come se da essi potesse sollevarsi una voce e dirle “Imma, non ti crucciare, la cosa giusta da fare è questa.” Tuttavia, suo malgrado, questo non era avvenuto e doveva riconoscere che, in realtà, una scelta giusta purtroppo non c’era, o almeno non una che avrebbe potuto evitare la sofferenza di tutte le persone coinvolte, più o meno consapevolmente, in quella situazione.
E tu che fai, Immare’? Come te ne esci? Con l’affermazione più sbagliata di tutte, ovvio. La peggior cosa che tu potessi dirgli dopo che ti ha praticamente confessato che non fa altro che pensare a te tutto il tempo e che la ragazza lo ha mollato proprio per questo, per colpa tua. Come hai detto? Non fai parte della sua vita privata? Che ridere Immacola’, che ridere. Fai più parte tu della sua vita privata che sua madre stessa.
La vocina appartenente alla sua razionalità si fece nuovamente sentire, ma stavolta Imma non ebbe neanche il tempo di decidere se darle ascolto o meno, perché Calogiuri aveva ripreso a parlare e del povero ragazzo ubriaco, infreddolito, stanco e disperato non era rimasto nulla, assolutamente nulla, spazzato via dalla versione più furiosa, delusa e arrabbiata che avesse mai potuto conoscere del maresciallo.
“La mia vita privata non vi riguarda?” rise “la mia vita privata non vi riguarda?” ripeté nuovamente, con un tono molto più alto e forte, scandendo con furia ogni singola parola “voi ci siete sempre, sempre! Mi siete entrata fin dentro le ossa, apparite ogni volta che provo a far finta che non esistiate e mi concedo alle attenzioni di Jessica! Vi sento nella testa mentre provo a baciarla, a toccarla, a fare l’amore con lei…”
“Calogiuri…” provò a fermarlo quando un mix troppo intenso di senso di colpa e vergogna prese il sopravvento su di lei, ma fu del tutto inutile.
“Lo sapete quante serate le ho rovinato? Quante cene preparate con cura e amore le ho fatto buttare nel cestino? Quanto tempo le ho fatto perdere convincendo lei e me stesso che prima o poi sarebbe passato? Che vi avrei dimenticato e sarei andato avanti come se nulla fosse, superando quella che era una semplice infatuazione!” stava urlando, letteralmente urlando, e per quanto il rischio di essere scoperti da qualche vicino incuriosito o di svegliare Pietro e Valentina stesse crescendo esponenzialmente ad ogni secondo, non riuscì, ancora una volta, a fare o a dire nulla, rimanendo totalmente pietrificata.
“Io sono stato un egoista, l’ho usata come un salvagente per evitare di affogare mentre voi eravate sulla riva a giocare alla bella famiglia felice…”
Un forte schiaffo, seguito da un silenzio terribilmente rumoroso, interruppe il flusso rabbioso ed incontrollato di parole del maresciallo.
Ha colpito proprio nel segno, eh Immare’? Ti ha colpito più forte di quanto abbia potuto fare tu adesso. È uno di poche parole, ma queste poche parole le sa usare proprio bene. Puoi dargli torto? Puoi dirgli che non è vero quando in realtà ha descritto perfettamente il limbo in cui vi trovate da quando è tornato dall’America Latina? È stato un continuo tira e molla, il tuo. Prima lo hai allontanato, poi ti sei riavvicinata, poi gli hai fatto addirittura capire che eri gelosa persa di lui. Nessuno, in queste condizioni, riuscirebbe a voltare pagina e ricominciare da capo.”
La sua vocina interiore, ancora una volta, si incaricava di spiegarle le ragioni che la stavano spingendo a comportarsi in quel modo, o meglio, a non comportarsi, almeno fino a quello schiaffo violento, ma pure di quest’ultimo, come aveva appena dimostrato, aveva a disposizione l’interpretazione.
Calogiuri rialzò leggermente il capo, ritornando a restituirle lo sguardo, ma concedendosi tutto il tempo di realizzare e digerire ciò che era appena accaduto: era ancora abbastanza lucido per rendersi conto che quello schiaffo aveva fatto più male a lei che a lui, infatti una lacrima aveva inaspettatamente iniziato a rigarle una guancia, mentre le labbra le si muovevano in modo nervoso nel disperato tentativo di dire qualcosa.
“Basta Calogiuri, basta.” si fermò “mi hai sentita? Sta zitto… Zitto!”
Continuò a ripetere quelle parole come una preghiera, un mantra, avvicinandosi lentamente a lui, afferrandogli saldamente il volto tra le mani e, con una tale violenza e disperazione, lasciando che le loro labbra si incontrassero e scontrassero. Non aveva mai baciato nessuno in quel modo, neanche Pietro. Era come tornare a respirare dopo esser stati troppo tempo sott’acqua, e questa consapevolezza la indusse a versare inevitabilmente altre lacrime, mentre si stringeva sempre più forte al corpo di Calogiuri.
Piangi perché non riesci a capire come sia possibile che qualcosa possa salvarti e al contempo ucciderti, eh Immare’? Piangi perché non capisci come possa essere cosi sbagliato e fare così male, ma al contempo sembrare giusto e farti stare bene.”
   
 
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