Pungoli e pungiglioni
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Nelson era
appoggiato al
cofano di una Ford parcheggiata proprio davanti all’entrata
del diner e
osservava la porta da dieci minuti, pensando se fosse il caso di
entrare o
meno. Sbuffò e scalciò un sasso che
rotolò verso il centro della strada.
“Non devi venire qui!”
Nelson si alzò dalla macchina e si voltò al
richiamo di quella voce fastidiosa
e petulante, guardò quello che sembrava ancora un ragazzino
smunto e alzò un
sopracciglio.
“Che cosa?”
“Ho detto che non devi più
venire qui” disse ancora lui. La sua voce, però,
aveva perso un po’ di
sicurezza da quando gli si era parato davanti e aveva dovuto alzare gli
occhi
per guardarlo.
“Altrimenti che succede,
Van Houten?” rispose Nelson con tono stanco. Il ragazzino
doveva aver inteso
male, perché vide sul suo volto passare un lampo di paura.
“Io… Io…” iniziò a
balbettare Milhouse, ma non andò avanti.
Nelson sospirò, scocciato
dalla sua presenza come un adolescente che deve uscire con gli amici
trascinandosi dietro il fratello piccolo.
“Non devi venire a
prendere Lisa!” gridò il ragazzo dai capelli blu.
Nelson alzò un sopracciglio
e la sua bocca si spalancò sorpresa. Lisa? Al ragazzo venne
in mente l’ultimo
incontro avuto con Lisa, il giorno prima, e fece una smorfia.
“Devi lasciarla stare!”
esclamò ancora.
Nelson iniziò a stufarsi.
“Ascolta, Van Houten, non scocciarmi…”
disse, dondolando la mano cercando di
liquidarlo, e voltandosi verso il diner.
“Lo so che vuoi provarci
con lei! Ma Lisa è la mia ragazza e devi starle
lontano…”
Nelson si spazientì e si
rigirò verso di lui. Il suo viso cambiò
espressione e si avvicinò, prendendo il
ragazzo per la maglietta. “Non ho intenzione di provarci con
lei!” sussurrò sul
suo viso, quasi ringhiando, sperando di non mentire. Aveva imparato a
stare al
suo posto.
“Ti conviene!” esclamò
Milhouse. Nelson spalancò gli occhi dal nervoso e
digrignò i denti. Strinse la
mano sulla maglietta del ragazzo e la spinse contro il torace del
nanerottolo,
prima di sollevarlo da terra. “Altrimenti?” chiese,
più per dispetto nei suoi
confronti che per aver campo libero con Lisa.
Il piccolo Van Houten
strabuzzò gli occhi mentre faceva oscillare i piedi cercando
un appiglio.
Quando cambiò colore e sussurrò qualcosa, Nelson
si sentì chiamare.
Ellie era uscita
dal diner
quando aveva visto dalla vetrina Nelson strattonare Miller o come si
chiamava
il tipo dai capelli blu, e, pensando che si sarebbe messo nei guai, era
corsa
fuori per fermarlo.
“Nelson!” gridò,
praticamente senza accorgersene. Il fratello si girò verso
di lei e il suo
braccio si abbassò, facendo toccare i piedi del ragazzo al
suolo.
Appena ne ebbe l’occasione,
Miller scattò indietro e si liberò dalla stretta
di Nelson che, distratto dalla
sorella, aveva allentato la presa.
“Se mi tocchi ancora ti
denuncio. E allora ti arresteranno!” gongolò,
dondolando sui talloni.
“Non ho intenzione di
picchiarti se mi stai lontano. Tu stammi lontano e non ti
sfregerò il tuo
brutto muso.”
“E tu stai lontano dalla
mia ragazza!”
Ellie, che non aveva
ancora detto niente, lo guardò stranita: quel tipo aveva una
ragazza? E perché
continuava a chiedere a Lisa di uscire?
“Hai una ragazza, Miller?”
Il ragazzo si voltò verso
di lei e, squadrandola da capo a piedi, disse: “Come mi hai
chiamato?”
“Scusa, pensavo che ti
chiamassi…” Si voltò verso Nelson, in
cerca d’aiuto.
“Milhouse” le venne
incontro lui.
“Milhouse, se hai una ragazza,
perché sei sempre qui a dare fastidio a Lisa?”
Nelson dovette
soffocare
una risata e sbuffò. L’esile Van Houten gemette
come se gli avesse dato quel
pugno che sognava di propinargli nel bel mezzo dello stomaco e
precisò: “È Lisa
la mia ragazza”, ma il suo tono fu così tremolante
che ne venne fuori un
mormorio confuso.
“Ma Lisa si nasconde negli
spogliatoi quando ti vede arrivare. Sicuro che lei sappia di essere la
tua
ragazza?”
Quando il ragazzo dai
capelli blu balbettò ancora qualcosa, Ellie
lanciò un’occhiata divertita a
Nelson e lui non riuscì a trattenere una risatina.
Ellie fece
fatica a non
ridergli in faccia quando quello stupido disse che Lisa era la sua
ragazza. Ma
non lo fece. Un po’ perché capiva di avercela con
lui per averle detto del passato
di Nelson e Ellie capiva perfettamente che non era colpa sua, e un
po’ perché quando
insisteva tanto con Lisa, un po’ le faceva pena.
Ma quando il ragazzo,
arrabbiato per la loro reazione, diede un calcio alla macchina a cui
era appoggiato
poco prima Nelson, Ellie spalancò gli occhi: cosa stava
facendo?
“Ehi, aspetta, cosa…”
Anche suo fratello era venuto in aiuto.
“Così impari, brutto…
bullo!” esclamò lui, colpendo con il piede il
fanale posteriore e fracassando
il vetro.
Nelson si
avvicinò al
ragazzo e tentò di fermarlo, ma lui si divincolò
e passò alla parte anteriore
della macchina, e lui riuscì a bloccarlo solo dopo che aveva
lasciato un altro
segno sulla carrozzeria della fiancata.
Nelson non vide uscire il
proprietario del diner, né notò il poliziotto che
si stava avvicinando alle sue
spalle, finché lui non disse: “Ci sono
problemi?”
“Sì, agente, mi sta
picchiando! Lo arresti!” gridò Milhouse mentre lui
lo teneva fermo.
Nelson si voltò e
riconobbe Winchester, il tipo strano che faceva le elementari nella
loro
scuola.
“No, Ralph, questo idiota
sta prendendo a calci la mia macchina e Nelson lo ha solo fermato, per
fortuna!” intervenne Bob, il proprietario della tavola calda.
“Come? Non è tua questa
macchina?” Miloser si agitò e Nelson lo
lasciò andare.
“No” rispose lui, secco.
Milhouse si afflosciò e
capì di aver perso quell’incontro.
Guardò prima Bob e poi l’agente e
scoppiò a
piangere, parlando di ingiustizie e di imbrogli. Alla fine, dopo
qualche
tentativo di riappacificamento, il ragazzo dai capelli blu decise di
non
mettere in mezzo la burocrazia e diede il suo consenso per pagare i
danni
all’auto del proprietario del diner, che tirò
giù gli estremi dei suoi
documenti sotto la supervisione di Winchester.
Ellie
osservò un attimo la
situazione e chiese a Bob se ci fosse bisogno che lei rimanesse, ma lui
le
disse di andare tranquillamente a casa. Così si
voltò verso Nelson e gli disse:
“Vado a cambiarmi, torno subito”.
Lui annuì. “Che idiota… A
momenti si prende due cazzotti… per niente!”
disse, mentre controllava ancora
la situazione vicino all’auto, dove Bob si era messo a
scrivere appoggiato al
cofano. “Di’ a Lisa che porto a casa anche lei, se
vuole” aggiunse subito dopo.
Non si era ancora girato verso di lei.
“Lisa è andata via un’ora
fa. È venuto un ragazzo a prenderla.”
Finalmente Nelson
si voltò a guardarla ed Ellie rise
della sua espressione, quando aprì la bocca per chiedere
qualcosa e la richiuse
capendo che voleva solo metterlo alla prova. “Ancora sicuro
che Miller sia
venuto per niente?”
Nelson
guardò la sorella
dirigersi verso il locale ed entrare. Non aveva capito se fosse vero o
no
quello che aveva detto. Voleva prenderlo in giro o cosa? Lisa era
davvero
andata via con qualcuno? E se sì, con chi?
In quel momento avrebbe
voluto poter colpire Miloser al viso. Due volte. O anche di
più. No, no. Doveva
andare in palestra.
‘Allenamento extra?’
scrisse in un sms mentre aspettava che sua sorella si cambiasse.
Bart rispose
immediatamente.
***
“Bowling
o biliardo?”
Steve si girò verso il
bancone, alla domanda di Lisa. “Come?”
Lisa alzò lo sguardo su di
lui e mise via il telefono. “Scusami. Stavo parlando da
sola… E non dovrei
neanche usare il cellulare…”
Steve prese la sua tazza e
indicò la ragazza mentre lei caricava di nuovo la
caffettiera. “Non c’è
nessuno, tanto…” disse, guardandosi intorno.
“Sì, ma non è bello da
vedere” ammise lei, con un sorriso.
“Allora, devi scegliere
fra bowling o biliardo per cosa?” le chiese.
“Devo uscire con un’amica.
Mi ha detto di scegliere. E non so cosa risponderle.”
“Non so. Cosa ti piace di
più?”
“Eh, e chi lo sa” rispose
lei, ridendo. “Non ho mai giocato a nessuno dei
due”. Lisa uscì dal bancone al
cenno di un cliente e lo lasciò da solo.
Quella ragazza non aveva
mai giocato a biliardo o a bowling? Era una cosa strana.
Lisa tornò e diede
l’ordinazione del tavolo 18 alla cucina, prima di tornare al
bancone per
caricare i contenitori delle salse.
“Allora? Suggerimenti?”
chiese al ragazzo.
“Direi biliardo. E andate
al Pool’s, che la birra è buona.”
Lisa aggrottò le
sopracciglia. “Birra?”
“Non dirmi che non hai
neanche mai bevuto la birra!” Lisa sentì le guance
diventare rosse, ma per
fortuna non dovette mentire.
“No, no, ho assaggiato la
birra” ammise ridendo un po’ nervosamente.
“E mi piace, anche. Non sono
così…”
si interruppe prima di dire ‘noiosa’, ma
effettivamente, anche ai suoi occhi,
sembrava proprio noiosa. Pensò di dire che il suo pensiero
era andato a Ellie,
che non aveva l’età per bere alcolici, ma poi
stette zitta.
Prese il telefono e digitò
un messaggio per l’amica, proponendo il biliardo. La sua
risposta fu un emoji
che suonava la trombetta. Pensò che anche a lei piacesse di
più del bowling.
Per un attimo si sentì
carica e sorrise: fra due giorni avrebbe giocato a biliardo!
***
Nelson guardava
Calvin
andarsene alla fine del quarto giorno di lavoro e si sentì
soddisfatto: avevano
praticamente finito. Il giorno dopo avrebbero soltanto ripulito dagli
ultimi
scarti e il lavoro sarebbe stato a posto.
Batman gli si avvicinò con
una pallina e la fece cadere ai suoi piedi. Nelson abbassò
lo sguardo.
“Andiamo dietro a giocare,
Batman.”
Raccolse la pallina ed
entrò in casa per uscire nel giardino sul retro.
Lanciò la pallina e Batman
corse per andarla a prendere.
Non si accorse del
cespuglio di fiori selvatici blu che c’era in fondo al prato,
ma notò che il
cane, invece di raccogliere il gioco, gli si era avvicinato e aveva
iniziato ad
abbaiare.
Lentamente si avvicinò,
richiamando Batman, ma il cane non ubbidì, continuando ad
abbaiare contro il
piccolo cespuglio.
Quando vide una vespa
volare fra le foglie, accelerò il passo, chiamando il cane
più forte. Batman si
voltò verso di lui, ma poi fu di nuovo distratto
dall’insetto e gli abbaiò
ancora, avvicinandosi di più al cespuglio.
Nelson vide altre tre vespe
uscire dal cespuglio e il cane tentare di mangiarne una.
Capì che erano troppe
e corse verso la canna dell’acqua attaccata alla fontana.
Batman uggiolò e iniziò a
strofinarsi il muso con le zampe anteriori, mentre il ragazzo ormai
correva
verso il cespuglio. Quando ci fu davanti aprì il getto
dell’acqua verso la
pianta e vide due vespe volare via, oltre la rete di recinzione.
Si chinò sul cane e gli
spostò le zampe dal muso: le guance erano gonfie e tendenti
al rosso e Batman
piangeva cercando di grattarsi.
Nelson tirò fuori il
telefono e chiamò sua sorella.
“C’è Lisa lì con
te?”
esordì, senza neanche salutarla, quando Ellie rispose.
***
Lisa
sbuffò e appoggiò il
sax al suo sostegno. Aveva fatto la doccia dopo il lavoro, aveva
meditato e ora
voleva soltanto suonare un po’ di jazz e invece…
Non riusciva a suonare. Il
sax funzionava perfettamente, ma lei non riusciva a trovare il giusto
spirito
per riuscire a mettere insieme le note e creare la solita magia.
Tranne tre giorni prima
quando aveva suonato in camera di Nelson. Sbuffò
più forte e si sedette pesantemente
sul letto, buttandosi poi indietro con le braccia spalancate. Non
poteva
sicuramente andare da Nelson a suonare! Oh, santo cielo, come avrebbe
dovuto
fare? Quasi pregò di avere un segno quando il suo telefono
squillò.
Si allungò a prenderlo sul
comodino e guardò il display: il numero non era salvato. Lo
prese e sospirando,
rispose.
“Ehm… Lisa, sono Nelson.”
Nelson? Lisa scattò in
piedi, come se lui fosse stato lì nella sua stanza.
“Nelson?”
“Sì… Mi ha dato il tuo
numero Ellie, io… Ho un’emergenza.
Penso… penso che Batman sia stato punto da
una vespa. Ce ne erano un po’ in giardino e lui ha tentato di
mangiarle… Ora ha
tutto il muso gonfio e sta iniziando a respirare
male…”
Lisa non lo fece neanche finire.
“Ci vediamo davanti allo Springfield Center, ho visto una
farmacia sul lato
ovest. Devo vederlo”.
Quando Nelson aveva chiuso
velocemente la chiamata, Lisa si era messa a cercare le scarpe sotto al
letto e
aveva aperto la porta per gridare alla madre che avrebbe preso la
macchina.
“Esco io con la macchina
di mamma” disse Bart, davanti alla sua porta spalancata, un
minuto dopo, mostrandole le chiavi.
“Portami
allo Springfield
Center” ordinò Lisa e Bart capì, dal
suo tono, che non si poteva contrattare.
Per fortuna non era un grosso problema. Doveva andare al negozio di
fumetti e
il centro commerciale era sulla strada.
Bart annuì e scese le
scale, aspettando la sorella, che scese dopo poco.
“Che è successo?” chiese
lui, quando salirono in macchina.
“Il cane di Nelson è stato
punto da delle vespe. Lo sta portando al centro commerciale, ci vediamo
lì.”
Bart annuì, mentre lei smacchinava
con il cellulare. “Secondo te è grave?”
le chiese.
“Se Nelson si è scomodato a
chiamarmi, penso di sì.”
Bart alzò un sopracciglio
alle parole di Lisa, ma lei non lo stava guardando.
“Dici?”
“Mi sa che non gli piaccio
molto” ammise lei, alzando le spalle.
Oh. Bart aggrottò la
fronte: e sì che lui aveva avuto un’altra
impressione.
“Dici che il Pool’s sia un
buon posto per giocare a biliardo?” gli chiese Lisa,
cambiando totalmente
argomento.
“Oh, direi che è il
migliore. E hanno anche la birra a doppio malto.”
Lisa annuì guardando
avanti, come se non lo stesse ascoltando e Bart si chiese quanto avesse
ascoltato veramente.
Allora doveva
essere vero,
pensò Lisa: quel posto era famoso sia per il biliardo che
per la birra. Doveva
essere un segno. Annuì e tornò a guardare la
strada, sperando di fare presto:
se Batman fosse stato allergico alle vespe non si poteva aspettare
troppo.
Bart arrivò al parcheggio
ovest del centro commerciale e Lisa scese al volo, vedendo Nelson sul
retro di
un Pick-up scuro, mentre osservava la strada.
Si diresse direttamente
verso di lui, che osservava Batman sul cassone, mentre il povero cane
si strofinava
il muso con le zampe. Non sembrava un’allergia,
però, constatò, prendendogli il
muso fra le mani, facendogli aprire la bocca e osservandolo bene. Forse
era
stato punto da più di una vespa e basta.
“Aspetta qui, vado in
farmacia” disse, verso il ragazzo, senza neanche salutarlo;
lo vide annuire
distrattamente ed entrò nel locale, per comprare una
siringa, antibiotico e
cortisone.
Nelson
guardò una Lisa
serissima visitare il suo cane e, una volta che lei ebbe varcato
l’entrata
della farmacia, dicendogli di non preoccuparsi, lasciò
andare il respiro che
non si era accorto di trattenere.
“Ohi, ti va se domani ci
facciamo un biliardo?” Bart si era materializzato al suo
fianco e Nelson lo
guardò, girando la testa.
“Pool’s?” chiese solamente
e Bart annuì.
Bart sapeva
perfettamente
che aveva promesso a Milhouse di uscire con lui, quel
venerdì, ma stava
scoprendo che era sempre più difficile sopportarlo.
Non disse all’amico che
aveva appena parlato con Lisa proprio dello stesso locale.
Quando Lisa
uscì, fece un’iniezione
al cane e diede gli ultimi suggerimenti a Nelson su cosa fare. Gli
disse che
secondo lei non ci sarebbero stati altri problemi e che il cane avrebbe
dovuto
fare un’altra puntura di antibiotico dopo qualche giorno.
Mentre parlava il suo
telefono squillò e quando vide il nome di Kristen sullo
schermo, Lisa rispose,
ma poi tranquillizzò Nelson dicendo che aveva il suo numero
e poteva chiamarla
tranquillamente se avesse avuto bisogno.
Lo sguardo che si scambiò
con Bart mentre lo diceva la fece arrossire, ma poi si
concentrò e rispose
all’amica, allontanandosi da loro.
“Sì, scusami Kristen, ma
il cane di Nelson è stato punto da una vespa e sono venuta a
visitarlo, non ti
ho chiamato…”
Bart
osservò la sorella
camminare lungo il parcheggio mentre parlava al telefono gesticolando e
poi si
girò verso l’amico. “La porti a casa tu?
Io ho un impegno” disse a Nelson e lui
annuì, alzando le spalle e guardando il cane.
Nessuno dei due gli aveva
chiesto dove stesse andando, così Bart non ne
parlò con nessuno, ma mise in
moto e guidò fin davanti al negozio di fumetti.
Jeffrey Albertson lo
salutò appena Bart entrò nel negozio, senza
neanche alzare gli occhi
dall’ultimo numero della Marvel, e il ragazzo gli rispose con
una battuta su un
supereroe.
“E
ora?” chiese Nelson.
Lisa buttò via la siringa
vuota e guardò il cagnolone accucciarsi sul cassone del
pick-up. Allungò una
mano e gli fece una carezza, controllandogli gli occhi. "Aspettiamo un
po'
e se non succede niente, mi porti a casa". Lui annuì senza
dire altro.
Lisa notò, dall’altra
parte della strada, un bar, e si voltò verso il ragazzo. “E potresti
prendere due caffè, nell'attesa”.
E gli indicò il locale.
Lui annuì di nuovo e la
lasciò sola con Batman.
Nelson guardava
Lisa
accarezzare il suo cane dalla vetrina del bar, mentre una cameriera di
mezz’età
di nome Mandy gli preparava due caffè con latte.
Non sapeva perché avesse
chiamato proprio lei. Aveva il numero di un altro veterinario, anche se
era di
Shelbyville, ma appena si era reso conto di aver bisogno di aiuto,
aveva
chiamato Lisa. E lei non si era tirata indietro.
E ora cosa avrebbero
fatto? Dopo che lei era scappata da casa sua e dopo la sua infelice
proposta?
Sospirò e si voltò verso il bancone quando Mandy
lo chiamò.
Pagò e uscì per
raggiungere il marciapiede reggendo due bicchieroni di carta.
“Grazie” disse Lisa,
prendendo quello che lui le porgeva. “Guarda”
continuò, mostrandogli una vespa
morta fra le zampe del cane. “È molto probabile ce
ne fosse più di una e che
sia stato punto più volte…”
Lisa
controllò che
l’insetto fosse effettivamente morto e lo lasciò
cadere sull’asfalto. “Può
essere che siano state troppe anche per un soggetto non
allergico…”
Alzò gli occhi su Nelson,
che la stava osservando, tolse il coperchio al caffè e ne
prese un sorso. Il
ragazzo abbassò il portello del cassone e le fece un cenno
del capo,
indicandolo. Quando lei si sedette, lui si accomodò di
fianco a lei.
“Perché non stai facendo
pratica con gli animali?” le chiese.
Come? “Eh?”
“Perché lavori al diner?
Non dovresti assistere un veterinario o una cosa
così…” Lisa prese un altro
sorso e poi disse, guardando lungo la strada: “Al liceo
facevo volontariato
presso i rifugi degli animali. Mi sono anche occupata più
volte della
salvaguardia di animali colpiti da disastri climatici. Non sai quante
piume ho
pulito dal petrolio… Così ho scelto veterinaria.
"Ho lavorato tutte le
estati che sono rimasta al campus universitario. I primi due anni ho
aiutato a
lavare cani e gatti in un negozio per animali, mentre l’anno
scorso sono stata
assistente di un ‘vero’
veterinario…” Si girò verso di lui e
poi continuò.
“Sai, io adoro gli animali, davvero. Mi piace curarli quando
sono malati,
salvarli, vederli stare bene…”
Notò Nelson stringere gli
occhi e vide due linee sulla sua fronte mentre cercava di capire dove
volesse
arrivare.
“Io vado d’accordo con
tutti gli animali. Ma non sopporto molti dei loro padroni”
ammise, alla fine.
Lui rise. Lisa si bloccò e
continuò a osservarlo. “Per questo hai intenzione
di fare il corso per gli
animali esotici?” le chiese, quando finì di
ridere. “Perché non hanno padroni?”
Lisa alzò una spalla,
sorridendo. “Mi sembrava una buona idea”.
“Ti ci vedo.”
“Nella giungla a
rincorrere le scimmie?” gli chiese lei, cercando di non
ammettere quando la sua
frase le avesse fatto piacere.
“A fare qualcosa di
straordinario”. Nelson avvicinò il bicchiere del
caffè al suo in una sorta di
brindisi e Lisa sentì le guance prendere colore.
Nelson si
voltò a guardare
Batman, ma lui continuava a stare accucciato sul fondo del cassone.
Allungò una
mano e gliela posò sulla testa, posata fra le due zampe
anteriori, accarezzandolo
delicatamente.
“Non è peggiorato. Sta
andando bene” disse Lisa e lui annuì.
“Come vanno i lavori di
sgombero?”
Nelson alzò gli occhi dal
cane e si sentì un po’ imbarazzato, al ricordo di
come fosse finita qualche
giorno prima.
“Calvin ha quasi finito.
Manca veramente poco. Domani sarà tutto pulito. Pronti per
il barbecue di
domenica. Ellie non… Oh!” Il ragazzo si interruppe.
Lisa sorrise. “Possiamo
parlare di barbecue, Nelson. Non è un
tabù”. Il ragazzo annuì.
“Ellie dice che vuole che
venga anche tu.”
“Sai che faccio una fatica
bestiale a frenare tua sorella? È cocciuta quasi quanto
Bart!” Lisa fece
ciondolare le gambe nello spazio vuoto sotto l’auto.
“Dovresti venire, allora”
disse Nelson. Non aggiunse che gli avrebbe fatto piacere,
perché sembrava
strano anche a lui. “Potrei grigliare verdure o comunque
cucinare anche altre
cose…”
“E lo
faresti per me?” La
voce di Lisa si era fatta un po’ stridula, ma lei era
veramente sorpresa.
Guardò Nelson come se le avesse appena detto che aveva
adottato un elefante.
Lui alzò le spalle.
“Mi piace cucinare”
ammise, come se si trattasse di un segreto.
“Lo so”. Le parole di Lisa
lo stupirono e lei se ne rese conto dalla sua espressione.
“Me lo ha detto
Ellie” svelò l’arcano lei.
“Mia sorella parla troppo,
mi sa” disse Nelson, dopo un po’ di silenzio.
“Oh, la mia non parla per
niente. Ecco perché vanno così
d’accordo!” Lisa tentò di
sdrammatizzare, ma poi
divenne seria. “Ma almeno Ellie ti
stima…”
“Maggie è in un’età
difficile. E tu sei stata via tanto…”
Lisa si girò verso di lui
e lo guardò negli occhi: lei non aveva capito subito che il
problema di sua
sorella fosse proprio il fatto di essere stata lontano da casa. Nelson
invece aveva
afferrato subito il problema. Più passava tempo con lui
più iniziava a
condividere il pensiero di Ellie nei suoi confronti.
Lisa sospirò, guardò verso
la strada, ormai il sole stava calando e presto avrebbe fatto buio. Saltò
giù dal cassone, si chinò a controllare
Batman e poi si rivolse direttamente al ragazzo. “Torniamo a
casa”.
Nelson
annuì, sistemò il
cassone e la fece salire sul pick-up. “Comunque dicevo
davvero, prima: potresti
venire. A Ellie farebbe piacere”.
Mise in moto e partì,
immettendosi in strada. “E a te, farebbe piacere?”
chiese Lisa dopo un po’,
mentre lungo la strada sorpassavano madri in bicicletta con i figli e
minivan
parcheggiati davanti alle gelaterie.
Nelson si voltò verso di
lei, osservandola: il suo braccio penzolava fuori dal finestrino e lei
apriva e
chiudeva la mano al contatto con l’aria, muovendo le dita in
una carezza al
vento. Poi si voltò verso di lui, guardandolo direttamente e
chiedendo una
risposta alla sua domanda. Cosa voleva sapere?
Il ragazzo non rispose niente
e lei continuò: “È casa tua in fin dei
conti, no?”
Ma mentre lo diceva i suoi
occhi vacillarono e tornarono a guardare fuori
dall’abitacolo. Ah. Intendeva
quello. “Ma certo”.
Fu con sollievo, comunque,
che vide casa Simpson in fondo alla via.
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