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Autore: MaryFangirl    24/01/2022    0 recensioni
Kaede Rukawa, ex matricola dello Shohoku, finalmente sta realizzando il suo sogno; ma troppo presto, tutto sembra andare a rotoli. Dall’altro lato, Hanamichi Sakuragi, autoproclamato genio e re dei rimbalzi, si trova a un bivio su quale college scegliere per il suo prossimo futuro.
Cercare risposte e prendere decisioni, è così che le strade di entrambi si incrociano di nuovo, iniziando un inedito viaggio che li porterà a conoscersi come non avrebbero mai pensato di fare.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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“Avrai bisogno di questo?” chiese un ragazzo con i capelli neri. Nelle mani aveva un costume da bagno rosso vivo – avrebbe potuto accecare chiunque – mentre osservava il suo amico, che infilava i vestiti in una piccola valigia nera e in una grossa borsa blu.
 
“Ahahah! Non essere sciocco, Yohei. Questo genio non va in vacanza...il vecchietto mi ha detto di fare visita alle squadre per vedere come sono. Anche se...argh...se in una di loro c’è quel maledetto Rukawa, dubito che siano granché...ah! Mi pregheranno di restare quando vedranno le mie incredibili doti accanto a un giocatore di così basso livello come quel dormiglione, ahahah!” rispose con la sua peculiare voce mentre immaginava giocatori senza volto dell’università dove avrebbe preso a calci un Rukawa con orecchie e coda di volpe.
 
Yohei si limitò a ridere alle sue battute.
 
“Sono sicuro che rimarranno abbagliati dal tuo genio, amico” diede un colpo sulla schiena di Hanamichi – non aveva importanza che fosse forte o meno, quella scimmia non sentiva – poi guardò distrattamente la piccola stanza del ragazzo.
Yohei a volte aveva difficoltà a digerire tutto quello che stava succedendo. Che il suo caro amico d’infanzia, con cui aveva condiviso momenti indimenticabili, con cui aveva vinto centinaia di risse, per il quale si era rotto la schiena, lavorando insieme agli altri ragazzi per andarlo a vedere ai nazionali, ora stava andando in America. Sapeva che ora si trattava solo di conoscere le università, su richiesta del professor Anzai, ma Yohei era sicuro – così come sapeva che il colore dei capelli di Hanamichi era finto – che Hanamichi era destinato a diventare grande.
 
Se solo si fosse sforzato un po’ di più negli studi durante gli ultimi due anni di liceo, probabilmente avrebbe fatto quel viaggio insieme a Rukawa l’anno prima. Tuttavia, la sua pigrizia e comodità lo avevano tenuto a Kanagawa ancora per un po’. E anche se suonava egoista, Yohei e l’Armata lo avevano apprezzato, perché aveva permesso loro di stare con il loro amico un po’ di più.
Hanamichi aveva regalato loro, involontariamente, il lusso di poter condividere insieme il primo anno di università, le loro prime avventure e sventure come studenti universitari.
 
“Ohi, Yohei, mi aiuti o no? Anche quel ciccione di Takamiya sarebbe più utile di te” lo interruppe Hanamichi infastidito nel notare di non riuscire a chiudere la maledetta valigia. Ci si sedette gravando tutto il suo peso, ma la testarda non si muoveva di un pollice. “Argh! Maledetta valigia economica. Dove avete comprato questa merda?”
 
“Hanamichi” disse Yohei con un sospiro. Si avvicinò al suo amico, prese la valigia e la spalancò. “La stai riempiendo di sciocchezze. Perché porti giacche e cappotti se lì è estate? E ancora ti mancano le scarpe da tennis, i prodotti per lavarti, la biancheria intima, gli asciugamani...”
 
“È colpa tua, Yohei! Come può questo genio sapere cosa portare se non ha mai viaggiato fuori dal paese? Tsk...ti chiamo perché mi aiuti...”
 
“Altrimenti detto, perché ti faccia la valigia”
 
“Wow, che premuroso, amico! Sarò di sotto a mangiare qualcosa, il talentuoso sottoscritto deve nutrirsi come si deve per continuare ad essere una star...” lo interruppe ridendo e al tempo stesso quasi correva fuori dalla stanza.
 
“Oh! Hanamichi! Ah, fa sempre così” sbuffò Yohei sconfitto, guardando i vestiti buttati e disordinati in tutta la stanza.
 
Sarà una faccenda lunga, pensò prima di abbassarsi e iniziare a raccogliere i capi sia nella valigia che nei cassetti.
 
^ ^ ^ ^
 
“Hai tutto? Sei sicuro?” una donna sui 40 anni stringeva un braccio muscoloso e potente del suo unico figlio. I suoi capelli castani erano raccolti in una crocchia elegante mentre i suoi occhi marroni guardavano con apprensione il suo piccolo – beh, non tanto piccolo.
 
“Sì, sì. Te l’avevo detto che questo talentuoso atleta era capace di sistemare tutto. Non è vero, amico?” Hanamichi guardò sorridendo Yohei, passando davanti alla folla di persone accorse per salutare il rumoroso ragazzo. Yohei scosse il capo ridendo.
 
“Esatto, Sakuragi-san. Hanamichi ha preparato tutto il necessario. Compresi gli slip con palline di Natale che gli ha regalato lo scorso Natale”
 
Tutti i presenti scoppiarono a ridere, compresa la madre, che cercò di controllarsi per non infastidire ulteriormente suo figlio. Hanamichi, invece, prima di esplodere diventò rosso come i suoi capelli. Si voltò verso l’amico e lo afferrò strettamente per la camicia.
 
“Che ti prende, Yohei?! Che bell’amico! Come ti viene in mente di sbandierare la mia privacy?! Per caso questo genio non può avere biancheria intima sportiva!” gridò forte, richiamando l’attenzione degli altri passanti in aeroporto. La sua filippica scandalosa vide fine solo quando colpì Yohei con una testata mortale.
 
Mentre Yohei si riprendeva dal decesso di molti suoi neuroni, il resto dell’Armata, Hanamichi, sua madre e Haruko continuarono ad avanzare verso la porta designata da Hanamichi. Quella stessa mattina aveva salutato il professor Anzai, e il vecchietto ne aveva approfittato per spiegargli tutto sul volo: dove sarebbe dovuto andare, quanto tempo avrebbe impiegato, cosa fare una volta arrivato all’aeroporto negli Stati Uniti; inoltre, gli aveva dato una serie di istruzioni su cosa osservare in ciascuna delle squadre da visitare per prendere la migliore decisione – Hanamichi aveva pensato che la sua memoria talentuosa avrebbe ricordato tutto, mentre di lato Yohei aveva segnato tutto in un taccuino che aveva poi lasciato a disposizione del proclamato genio.
 
“Dai, mamma! Che esagerata, non me ne vado per sempre” affermò Hanamichi sentendo lo stretto abbraccio di sua madre in vita.
Anche se Hanamichi avesse desiderato piangere in quel momento, sapeva che i suoi stupidi amici non lo avrebbero lasciato vivere se fosse entrato in modalità mammone, quindi, come meglio poté, ingoiò il groppone e si voltò verso sua madre.
 
“Questo genio tornerà presto, vedrai. Ti porterò centinaia di regali e quei piccoli souvenir che fanno vedere in tv”
 
La donna rise alle sciocchezze che uscivano da quella bocca larga che i suoi geni gli avevano dato. Dopo un’ultima strizzata, gli diede un colpetto allo stomaco e diede spazio al resto dei ragazzi e ad Haruko che stavano aspettando rispettosamente rimanendo in disparte.
 
“Ti auguriamo il meglio, amico” disse Noma nella sua posa abituale, mezzo piegato e con entrambe le mani nelle tasche, ma con un sorriso nostalgico che faceva capolino sotto i suoi baffi prominenti.
 
“Fai vedere agli americani chi è Hanamichi Sakuragi”, aggiunse Ookusu con un pugno stretto alzato.
 
“E non dimenticare di andare in quegli strani posti dove mangiano che mostrano in tv” disse Takamiya strofinandosi lo stomaco, che come previsto, rimbombò in segno di protesta per mancanza di cibo, facendo ridere il resto dei presenti.
 
“Scrivici o chiamaci appena arrivi. Con i ragazzi abbiamo racimolato soldi a sufficienza” Yohei, con un grosso bernoccolo rosso in fronte, si fermò davanti al suo amico con un sorriso.
 
“Ragazzi...” Hanamichi, con enormi lacrime a rigargli le guance, si lanciò sulla banda di inutili. Tutti si lamentarono del suo peso, soprattutto Noma che finì sotto Takamiya. “Mammina!” gridò poi alzandosi dal cumulo di corpi e carne per gettarsi verso sua madre e sollevarla – già che aveva le lacrime, meglio approfittarne.
 
“Guarda qui, Hanamichi”, quando il ragazzo si voltò, vide Takamiya con la videocamera in mano e il resto dei giovani con le mani davanti alla bocca per cercare di trattenere le risate.
 
“Ah! Idioti! Che amici tremendi, come potete rovinare il momento speciale di questo genio!”
 
Dopo quattro testate letali, Hanamichi si voltò verso Haruko, che attese pazientemente il suo turno vicino alla porta. Sua madre stava piagnucolando un po’ più distante, comprendendo che suo figlio aveva bisogno di quel distacco.
 
“Ho sempre saputo che questo giorno sarebbe arrivato, Hanamichi-kun”
 
Il viso di lui si colorò per via della lusinga e del dolce sorriso sul volto di lei. Forse negli ultimi tempi le cose non erano andate alla grande tra di loro – lui si era dichiarato e lei lo aveva rifiutato – ma Hanamichi sentiva ancora quella torsione nel cuore ogni volta che la guardava o ascoltava. Voleva ancora vederla ridere, stare al suo fianco, che lei incoraggiasse lui, e solo lui. Haruko, dopotutto, era la grandiosa persona che lo aveva motivato durante il liceo per il basket. Con il suo animo e i suoi buoni consigli era cresciuto e aveva desiderato migliorarsi. Se era arrivato a quel punto, in gran parte lo doveva ad Haruko Akagi.
 
“Ah, Haruko-san, che stai dicendo, questo genio ha fatto il minimo, ahahah”, con il viso arrossato e una mano a grattarsi il collo, Hanamichi si inclinò per guardarla meglio, “è grazie a te che sono qui, Haruko-san”, forse si stava scavando la propria tomba a dire quelle parole sdolcinate, ma non cessavano di essere vero.
Doveva qualcosa di molto grande alla ragazza che ora stava piangendo e si mordeva il labbro per trattenere probabilmente un gridolino.
 
“Hanamichi...” sussurrò Haruko prima di abbracciare con forza il ragazzo paralizzato che aveva davanti.
È un sogno?, si chiese lui, sentendo le piccole mani calde sulla sua spalla. Quasi per inerzia ricambiò il gesto. Se avesse riflettuto, probabilmente ora si sarebbe ritrovato steso e svenuto per lo shock.
“Mi dispiace” mormorò Haruko, facendo in modo che solo lui l’ascoltasse. Forse se qualche curioso l’avesse sentita, avrebbe pensato che la giovane si stesse scusando per avergli rovinato la camicia, ma Hanamichi aveva capito; in molti potevano dargli dell’ottuso, lento e persino dello stupido, ma conosceva il significato dietro quelle parole.
 
No, Haruko-san, non scusarti perché non provi la stessa cosa, avrebbe voluto dirle, ma c’erano troppi testimoni.
 
“Ti auguro il meglio; il meglio per tutto...” con ciò, la piccola Akagi si allontanò dal rigido corpo dell’amico, ma non prima di avergli rivolto il più grande sorriso mai visto sul suo volto – e non scemò nemmeno malgrado le enormi lacrime che cadevano sulle sue guance arrossate.
 
Dopo aver ripetuto la solfa un’ultima volta – abbracci, pianti e testate mortali – Hanamichi finalmente attraversò la porta. Da quel momento, era solo fino al suo arrivo negli Stati Uniti.
Avrebbe mentito se avesse detto che non era nervoso, ma sarebbe anche stato blasfemo immaginare un Hanamichi rannicchiato in un angolo a piagnucolare spaventato. Si parlava di Hanamichi Sakuragi, dopotutto.
 
Un Hanamichi che entrò in aereo con disinvoltura, facendo rumore e insultando coloro che bloccavano il corridoio, guadagnandosi immediatamente l’odio e il disprezzo del personale. Molti di loro gli chiesero innumerevoli volte di abbassare la voce, ma lui rispose con più forza.
 
“Stare zitto?! Chi ti credi di essere per zittire questo talentuoso atleta? Non sai chi sono? Sono il miglior giocatore del Giappone! Vedrai, impiegato di quarta categoria! Mi vedrai in televisione e riconoscerai questo genio del basket...!”, fu necessario perfino far intervenire il capitano per tranquillizzare quel violento e rumoroso ragazzo.
 
Gli portarono succhi di frutta, cibo e riviste mentre lui brillava di felicità come un bambino.
 
Ah, che buon servizio! Sanno come trattare un genio come me...ah? Cos’è questo?, si chiese sfogliando alcune riviste che le hostess gli avevano regalato; una di esse proiettava un noto giocatore dell’NBA in copertina, Hanamichi lo aveva visto in alcune partite in tv. Un po’ annoiato e incuriosito, decise di dare un’occhiata all’interno. Lesse alcuni articoli, ma la sua attenzione non venne catturata finché non giunse alla sezione speciale dedicata all’associazione nazionale delle università sportive, la NCAA, e nello specifico nella parte che parlava di basket. Sebbene Hanamichi si proclamasse ora un ferreo amante di quello sport, per via della sua personalità estroversa e attiva, non si soffermava tanto a guardare le partite dell’NBA o a leggere troppo a riguardo; ovviamente ogni tanto viaggiando con qualcuno della sua Armata o di altre scuole, guardava le partite e gli incontri dei distretti limitrofi – la cosa gli provocava sempre un piacevole formicolio – ma non era il tipo di persona che passava ore e ore davanti alla televisione – un’altra questione era il pachinko e altri videogiochi.
 
Uno degli articoli parlava delle università che probabilmente avrebbero partecipato a una successiva conferenza. Si parlava anche di nuovi giocatori, di cambi di allenatori o dirigenti e alcune statistiche di gioco. Hanamichi non poté fare a meno di rabbrividire quando si accorse che tutte le università che gli avevano offerto una borsa di studio erano tra le migliori classificate.
 
Beh, certo...sono un genio, ahahah..., ma la sua sempre chiara sicurezza e spavalderia non permeava i suoi pensieri. Ora era un po’ turbato.
La sua risata nervosa – che stava spaventando le persone vicine a lui – terminò bruscamente quando lesse dei Tar Heels del North Carolina.
 
Ah! Quella maledetta volpe...insegnerò a quel presuntuoso chi è il migliore...l’università ha chiamato lui solo perché questo genio stava attraversando un declino nel suo eccellente percorso accademico...ecco! Se fossi andato bene, non lo avrebbero nemmeno considerato...
 
Fece finta di trattenere le risate con una mano sulle labbra quando lesse che la rinomata squadra aveva perso poco più di una settimana prima contro i suoi più grandi rivali, i Duke. Ma non si fermò dal ridere quando, nel leggere il riassunto dei giocatori in campo, non intravide Rukawa da nessuna parte.
 
Ahahah! È così pessimo che non lo mettono nemmeno come riserva! Ahahahah!
 
Ovviamente le risate non rimasero solo nella sua mente e molti passeggeri – se non tutti – lo guardavano disgustati.
 
“Che scandaloso”

“Che ragazzo tremendo”

“Ehi! Di che state parlando! Questo genio vi farà vedere...”
 
Il resto del volo non cambiò molto e tutti i passeggeri viaggiarono sapendo con sicurezza che, se non si fossero trovati su un aereo, avrebbero lanciato fuori da ore quel tizio rumoroso.
 
^ ^ ^ ^
 
Hanamichi Sakuragi guardò il piccolo taccuino con confusione (benedetto Yohei Mito) provando a ubicarsi tra i passaggi che erano stati trascritti. Secondo quanto segnalato, dopo essere sceso dall’aereo doveva andare a recuperare la sua valigia.
 
Ma dove?, si chiese grattandosi la testa. Dal nulla, sembrò accendersi una lampadina nella sua mente.
Assumendo un atteggiamento normale, fece la cosa più ovvia del mondo: seguire la massa. Si congratulò con se stesso quando raggiunse l’area dove un grande macchinario esponeva le valigie. Trovò presto la sua piccola valigia nera e il borsone blu. Li prese senza problemi e continuò a seguire la folla. Dopo aver attraversato una grande porta scorrevole, trovò un sacco di persone che guardavano con aria mezza disperata, desiderosa, estatica e nervosa verso di lui – non che guardassero lui, ma le porte.
 
Sfogliando ancora una volta il taccuino, trovò che avrebbe dovuto cercare tale Dan. Per pura fortuna aveva visto una fotografia quasi recente dell’uomo; della stessa età di Anzai, era però più in forma, tranne che per gli inevitabili capelli grigi e le rughe sul viso.
Attraversò il gruppo di persone senza vedere alcuna traccia del tipo. Il suo metro e novanta gli permetteva di avere una migliore visibilità, ma il tizio non era ancora arrivato.
 
Ah! Si è dimenticato di questo grande genio? Dannato vecchio! Quando lo vedrò, farò in modo che non si dimentichi più di questo talentuoso giocatore...
 
“Ah! E ora che faccio?” mormorò guardando da un lato all’altro. Nel taccuino i passaggi della sezione ‘aeroporto’ terminavano con Dan, quindi non aveva idea di cosa fare dato che non vedeva il tizio da nessuna parte.
 
Dovrei chiamare il vecchietto? O magari prendere un taxi e andare in un hotel? Ma con quali soldi pago...ho portato solo quanto basta per qualche souvenir, per mangiare un paio di volte fuori e poco altro, NON per sopravvivere da solo per un mese.
 
“Ah! Stupido vecchio...” si lamentò prima di ricominciare la sua ricerca. Forse era fuori e lo stava cercando a sua volta. I minuti che passarono parvero ore mentre saliva e scendeva dai vari piani e corridoi dell’aeroporto. Entrò in piccoli negozi, sbirciò nei bagni pubblici, uscì anche per vedere se aveva parcheggiato e lo stava aspettando, ma niente. Il tipo non c’era.
Con un po’ di disperazione si rimise in marcia, pensando che forse il suo volo era atterrato troppo presto e che ora il vecchio doveva trovarsi nella zona degli arrivi.
 
“Quando lo vedo lo uccido...” ringhiò con un’aria cupa – facendo allontanare la gente e fuggire che gli era vicino. Ma come aveva intuito, niente. Nessun segno del tipo. Guardò in entrambe le direzioni, scoprendo con la coda dell’occhio un distributore automatico di bevande. Beh, almeno non sarebbe morto di sete. Dirigendosi pigramente al distributore, cominciò a rovistare nella borsa per cercare delle monete o banconote – Anzai gli aveva suggerito di andare all’ufficio per il cambo di valuta. Inserì una banconota e scelse da bere.
 
Al primo sorso, si accorse della panchina accanto alla macchinetta. C’era un ragazzo, a giudicare dalla statura e dai vestiti, che dormiva profondamente.
Hanamichi desiderò per un momento di poter fare lo stesso. Nonostante fosse stato in aereo per diverse ore, non era stato in grado di chiudere gli occhi in nessun momento – era troppo nervoso, ma Hanamichi non l’avrebbe ammesso nemmeno morto. Non era mai stato particolarmente dormiglione, aveva un sacco di energia nelle vene. Non come il suo ex compagno di squadra.
 
Tsk, quella volpe...si addormentava anche in piedi..., pensò osservando distrattamente i capelli neri dell’individuo seduto e adormentato. Le sue mani pallide erano incrociate sulle braccia e le sue labbra carnose erano contratte. Sembrava piuttosto alto...e in forma...
 
Hanamichi si accigliò. Quel ragazzo era fin troppo familiare. Ma...perché...senza poter trattenere la curiosità, cominciò ad avvicinarsi al fagotto raggomitolato sulla panca. Si abbassò e rialzò la testa cercando di capirci qualcosa, finché...
 
“Tu! Maledetto Rukawa! Che diamine pensi di fare qui?!”
 
Il ragazzo si svegliò di soprassalto per via dell’urlo. In circostanze normali Kaede avrebbe colpito chiunque avesse osato tale impertinenza, ma dopo aver sentito la voce stridula e quelle parole, si astenne da qualsiasi azione.
 
Litigare con questo idiota è inutile, pensò alzandosi. Hanamichi continuava a indicarlo e ad accusarlo, gridando, di ‘spionaggio’. Kaede si limitò a scrollare le spalle e iniziò ad avviarsi all’uscita. Conosceva la scimmia abbastanza bene da sapere che quello sciocco l’avrebbe seguito solo per continuare a urlargli addosso.
 
“Rukawa! Come osi ignorare il genio! Ti ho chiesto cosa ci fai qui...la tua squadra ti ha mandato a spiarmi? Ah, questo talentuoso giocatore non si lascerà inganna-”
 
“Taci, scemo”
 
Uff...com’era strano ripetere quelle parole dopo quasi un anno. Kaede non poté impedirsi di volgere leggermente lo sguardo verso il suo ex compagno di squadra. Hanamichi Sakuragi era ancora, in sostanza, lo stesso mostro dai capelli rossi del liceo. I suoi capelli, a differenza del secondo e terzo anno, erano rasati. Kaede si chiese distrattamente se l’idiota avesse perso un’altra partita. Notò anche che era leggermente più alto, ma forse si trattava di una sua percezione perché non lo vedeva da molto tempo. la sua pelle era ancora abbronzata e la sua bocca grande come l’oceano.
 
“Ehi, stupido! Dov’è il vecchio Dan? E tu dove stai andando?” Hanamichi, correndo, raggiunse il suo ex compagno, che con le mani in tasca camminava solo Dio sapeva dove. Hanamichi rifletté brevemente che forse doveva tornare in aeroporto a cercare il vecchio, ma l’idea di continuare a urlare alla volpe era troppo attraente.
“Non viene; andiamo a casa mia”, Kaede si stupì dell’evidente confusione e disorientamento dell’altro.
 
Forse non gliel’hanno detto?
 
“Cosa?!”
 
No, non l’avevano fatto.
 
“Come sarebbe, a casa tua?! Sei pazzo?! Non vado da nessuna parte con te. Preferisco morire che-”
 
“Il professor Anzai l’ha chiesto a Dan. Non lo faccio per divertimento, idiota”, la verità era che non aveva idea se il professore aveva effettivamente richiesto che lui, Kaede, ospitasse Sakuragi, ma immaginò che farlo credere alla scimmia l’avrebbe tranquillizzato un po’.
“Ora sbrigati, mia madre sta aspettando”, da ore, in realtà...dato che si era addormentato aspettando che arrivasse il volo di quel cretino.
 
“Stai mentendo, volpe puzzolente! Il vecchietto non ti ha neanche menzionato...scommetto che si è già dimenticato di te, ahahah! Ma certo, come potrebbe ricordarsi di un giocatore di basso livello come il tuo...”
 
Kaede non si turbò affatto per le scemenze che uscivano da quella bocca. Che strano, nonostante non le sentisse da mesi, gli sembrava che fosse passato solo un giorno da quando litigavano nella palestra della scuola per la palla.
 
“Sta’ zitto, deficiente”
 
Gli insulti tra loro volavano naturalmente. I colpi e la violenza fisica avevano cominciato a sparire gradualmente fino a quando durante il terzo anno gli unici casi in cui si toccavano era quando correvano troppo vicini in campo o quando si ritrovavano affiancati durante una giocata. Cosa che segretamente Kaede ringraziava, perché nonostante la sua enorme forza, nessuno poteva negare che Hanamichi prendeva a calci chiunque quando si trattava di risse – non per niente era stato l’unico in grado di affrontare Tetsuo.
 
Dopo aver camminato per alcuni minuti – durante i quali Hanamichi continuò a inveire contro il ragazzo – udirono un clacson vicino. Kaede riconobbe subito l’auto di sua madre e si diresse verso di lei. Hanamichi, nonostante le accuse e gli insulti, lo seguì. Una piccola auto blu aveva trovato parcheggio in mezzo a un mare di altri veicoli; Kaede salì davanti senza dire una parola, mentre Hanamichi si sistemò dietro.
 
“Mamma Rukawa!”, Kaede rabbrividì involontariamente al sentire quell’epiteto che la scimmia aveva scelto per sua madre. Non si era affatto divertito a sentirlo la prima volta da quella bocca rumorosa, ragione per la quale Kaede aveva richiesto – con colpo annesso – che la smettesse di farlo, ma Hanamichi, essendo Hanamichi, aveva ignorato le minacce continuando con quello stupido nomignolo.
 
Sua madre, d’altro canto, contentissima di vedere apparire un amico di suo figlio, non aveva mai detto nulla in proposito. Proprio in quel momento, per esempio, si limitò a ridere e si voltò verso il turbolento ragazzo.
 
“Sakuragi-kun, quanto tempo...ma guardati! Come sei bello...”

Mamma, non dargli corda, pensò Kaede sospirando.
 
Hanamichi, arrossendo fino alle orecchie per il complimento, cominciò a ridere nel suo modo oltraggioso e, come sempre, a vantarsi e a fanfaronare sulle sue presunte abilità come genio. Per il martirio di Kaede, sua madre sembrava incoraggiare il ragazzo a parlare e a procedere con il suo vomito di parole, quindi il tragitto per tornare a casa non fu nulla di piacevole.
 
^ ^ ^ ^
 
“Dannato Rukawa! Stai più attento!” abbaiò Hanamichi ricevendo improvvisamente delle coperte in faccia. Dopo la cena trascorsa in famiglia, compreso il padre di Kaede – che era miracolosamente arrivato presto – i ragazzi decisero di andare a riposare. Era tardi e nessuno dei due aveva dormito molto.
Kaede, prima di andare in aeroporto con sua madre, aveva avuto lezioni e l’allenamento, quindi il suo corpo protestava per riposare. Hanamichi stava subendo ora le conseguenze dello stress e del nervosismo accumulato nei giorni precedenti. Sapeva che avrebbe dovuto chiamare sua madre e i ragazzi per avvisarli del suo arrivo sano e salvo, ma anche il suo corpo piangeva per potersi spegnere qualche istante.
 
Per quelle ragioni, Hanamichi stava ora curiosando nella stanza degli ospiti preparata per lui, e dove Kaede era passato per dargli – lanciandogli con violenza, in realtà – le coperte del letto.
 
“Idiota” mormorò Kaede prima di andare nella sua stanza. Il giorno dopo sarebbe stato pesante. Era sabato, quindi non avrebbe avuto lezioni, ma ci sarebbe stato l’allenamento pomeridiano in preparazione della partita del seguente mercoledì, e la mattina lui andava a giocare e ad allenarsi nel campetto pubblico vicino casa. Avrebbe dovuto portarsi dietro quel grandissimo idiota dappertutto, ma non era il babysitter di nessuno, quindi se Sakuragi voleva vedere o imparare qualcosa...
 
Beh, che si arrangi.
 
Con quell’ultimo pensiero, la volpe andò lentamente in camera sua, un po’ disperato dal desiderio di tornare a dormire.
Hanamichi, invece, rimase sulle coperte del letto, aspettando il sonno. Cercò di assimilare l’idea che finalmente si trovava in America, la casa dorata del basket. Era lì, dopo quasi tre anni di sogni e desiderio; dopo allenamenti quotidiani che duravano ore, dopo essersi spaccato la schiena all’università pubblica di Kanagawa per ottenere un trasferimento.
 
Beh, è logico...dopotutto sono un genio..., rise forte prima di tacere per via di un ricordo particolare che gli venne in mente, rispetto a uno dei tanti pomeriggi che aveva passato con il vecchietto per allenarsi.
Il professor Anzai, pur continuando la sua professione come allenatore della squadra di basket allo Shohoku, si era dedicato ad Hanamichi e alle sue crescenti capacità. Ogni tanto si incontravano così che l’insegnante allenasse soprattutto lui, dettaglio che Hanamichi non era riuscito ad apprezzare fino a poco tempo prima, quando si era reso conto che il vecchio professore non aveva alcun obbligo verso di lui, ma nonostante ciò quello che una volta veniva chiamato Demone dai capelli bianchi trascorreva molte sue ore ogni settimana per continuare ad allenarlo.
 
Durante uno degli allenamenti Hanamichi, con la più pura confusione dipinta in viso, aveva chiesto:
 
“Perché mi alleni, vecchietto? Se vuoi giocare con questo genio talentuoso devi solo chiedere, ahahah...”
 
Il professore aveva riso insieme a lui, poi lo aveva osservato con un sorriso dolce e quasi tenero sul suo viso rugoso. Hanamichi lo aveva guardato a bocca aperta e i lineamenti sconcertati.
 
Perché mi guarda così...
 
“Ti ho mai parlato di Yazawa, Sakuragi?”
 
Hanamichi aveva grugnito e risposto di sì.
 
A dire il vero il professore gli aveva raccontato la storia di quel talentuoso giocatore universitario che, se fosse stato un po’ più paziente, sarebbe sicuramente diventato il miglior giocatore di basket del Giappone. Hanamichi, un po’ accecato dall’invidia, non aveva prestato molta attenzione, mentre in quel momento, un po’ più maturo, un po’ meno esplosivo e molto più tollerante, si era permesso di risentire il racconto e non aveva potuto evitare di desiderare di tornare indietro nel tempo per poterlo incontrare; per poter vedere quel grande giocatore che aveva lasciato a bocca aperta persino Anzai.
 
“Tu hai molto di lui come giocatore, Sakuragi”
 
Hanamichi l’aveva guardato sorpreso a quell’affermazione. Un silenzio di attesa li aveva avvolti, ma Hanamichi non era stato in grado di riempirlo con i suoi soliti compiaciuti e per niente gradevoli commenti; il suo cervello era rimasto paralizzato.
 
“Siete entrambi prodigi”
 
Prodigio...in realtà, in quel momento non era riuscito a dire nulla, principalmente perché non era del tutto sicuro di cosa significasse quella parola; tuttavia, quando l’aveva cercata tornando a casa, era arrossito dal collo fino alle orecchie.
 
Una persona generosa...una persona straordinaria...
 
Molti avrebbero potuto supporre, a causa della sua scandalosa e vana personalità, che da quel momento lui avesse cominciato a gridarlo ai quattro venti o a pubblicarlo in televisione e sui giornali, ma la realtà era diversa.
Quella parola – quella parola meravigliosa – era rimasta tra lui e Anzai. Gli allenamenti tra i due erano proseguiti, ovviamente, e Hanamichi aveva iniziato a nutrire dentro di sé un affetto speciale, uno strano calore totalmente dedicato al vecchietto – non per niente avevano condiviso compleanni e feste, cosa che Hanamichi sbandierava sempre in faccia a Mitsui quando poteva. Il vecchietto era, dopotutto, la cosa più vicina a un padre che aveva avuto negli ultimi anni.
 
Vedrai, vecchietto: questo giocatore di talento ti mostrerà che sono anche meglio di Yazawa..., ridendo assurdamente, si accorse che non c’era nessuno lì vicino per colpirlo sulla nuca – cosa che sua madre faceva sempre quando era rumoroso di notte – né per ridere insieme a lui – come i ragazzi della sua Armata.
 
Certo, sono a casa della volpe puzzolente...chi l’avrebbe mai detto che, tra tutti i posti in America, il primo sarebbe stato la casa di quel presuntuoso.
 
Hanamichi si mise a ringhiare, ma si fermò immediatamente.
 
Ah, non lascerò che quel dannato egoista mi rovini il viaggio...il genio è venuto a vedere le università ed è quello che farò...se proverò che sono mooolto miglore di lui e lo butteranno fuori dalla squadra...beh, sarà colpa sua per non essere al livello delle mie incredibili abilità...hahahah! Sì...stupida volpe...sono io il prodigio, dopotutto...
  
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