Capitolo quarto
Chiamami per nome
Solo quando avrò
Perso le parole
So che in fondo ti ho stupito arrivando qui da
sola
Restando in piedi con un nodo alla gola
Chiamami per nome
Perché in fondo qui sull'erba siamo mille, mille
Sento tutto sulla pelle, pelle
Ma vedo solo te baby, te baby
(“Chiamami per nome” –
Fedez, Francesca Michielin)
Dopo qualche giorno di lavori socialmente utili alla locanda, tra l’altro lavori neanche
troppo faticosi visto che non capitava un avventore nemmeno a morire, Theon
decise che poteva essere il momento giusto per andarsene e cercare un passaggio
su una nave per le Isole di Ferro. In quei giorni lui e Ramsay avevano mangiato
regolarmente, si erano rimessi a nuovo e ripresi dalle fatiche della fuga e
dalle ferite, insomma, avevano finalmente l’aspetto di due persone normali (sì,
anche Ramsay ne aveva l’aspetto) e
potevano ragionevolmente imbarcarsi su una nave. Anzi, Theon pensava che
avrebbe potuto tranquillamente dire al capitano del vascello che lui era Theon
Greyjoy e che voleva tornare a casa senza farsi ridere dietro, ora che aveva
riacquistato l’aspetto da vero Principe… e così, magari, non avrebbero avuto
bisogno di pagare!
Così, ringraziata e salutata la locandiera,
che parve affranta all’idea di perdere gli unici due esseri umani (uno era
Ramsay…) che aveva avuto modo di frequentare da chissà quanto tempo, i due
giovani ripresero il loro viaggio a cavallo fino al primo porto. Tengo a
precisare che, nel frattempo, anche quella povera bestia del cavallo aveva
avuto modo di mangiare e riposare ben bene e adesso quell’ultima fatica con due
pesi da portare sarebbe stata meno gravosa. Il porto, poi, non era così lontano
e non c’era neanche troppa fretta, il cavallo non doveva lanciarsi al galoppo
perché nessuno più inseguiva i due fuggitivi.
E le cose, stranamente, andarono proprio come
Theon aveva previsto. Giunti ad un porto, il giovane Greyjoy si presentò al
capitano di una delle navi che stava per salpare e chiese di potersi imbarcare
per le Isole di Ferro.
“Sono Theon Greyjoy, legittimo erede delle
Isole di Ferro” disse, con un certo compiacimento nel poter finalmente
pronunciare quella frase. “Ti chiedo di potermi imbarcare sulla tua nave per
tornare a casa. Purtroppo non posso pagarti perché sono stato derubato da dei
fuorilegge lungo la strada, ma ti rimborserò al nostro arrivo a Pyke.”
Il capitano lo squadrò da capo a piedi. A
quei tempi era più scomodo, non c’era Wikipedia
dove poter controllare se il giovane era davvero chi diceva di essere e,
per di più, non poteva nemmeno chiedergli il Green Pass per assicurarsi che fosse il vero erede delle Isole di
Ferro, oltretutto maggiorenne e vaccinato.
Insomma, il pover’uomo doveva fare uno sforzo di memoria, tanto più complesso
visto che bisogna tenere conto del fatto che Theon non aveva trascorso molti
anni della sua vita dalle parti di Pyke…
“Sì, può darsi, mi sembra di ricordare la tua
faccia, anche se avevo sentito dire che Theon Greyjoy era morto cercando di
conquistare Grande Inverno, su al Nord, o qualcosa del genere” borbottò il
capitano.
“Qualcosa del genere, sì” confermò Theon,
gettando un’occhiata nervosa a Ramsay al suo fianco. Il quale, tuttavia, non
faceva neanche tanto caso alla conversazione, visto che era la prima volta
nella sua vita che vedeva un porto, il mare, le navi e tutto l’ambaradan e si
guardava intorno cercando di scendere a patti con il neurone impazzito nel suo
cervello che andava in ebollizione. “In effetti sono stato… beh, catturato mentre cercavo di conquistare
Grande Inverno, i Lord Alfieri degli Stark mi hanno… sì, mi hanno tenuto in ostaggio fino al ritorno dei
legittimi proprietari e solo allora sono riuscito a fuggire.”
Il capitano della nave si concesse una
solenne sghignazzata in faccia a Theon.
“Ah, ho capito, allora credo proprio che tu
sia davvero chi dici di essere” commentò. “Theon Greyjoy è famoso per aver
collezionato un bel numero di figure di merda e non aver mai combinato niente
di buono. Va bene, giovane Lord Greyjoy, ti darò un passaggio sulla mia nave e
spero che mi potrai davvero rimborsare, a Pyke, visto che a quanto pare anche
Re Balon è morto e regna un gran casino!”
Il tatto dell’uomo era davvero straordinario.
Theon non aveva mai amato molto il padre, che gli rimproverava continuamente di
essere un fallimento e pure di essere sopravvissuto ai suoi fratelli maggiori,
tutti migliori di lui… però apprendere la notizia in quel modo fu lo stesso
piuttosto scioccante. E altrettanto traumatico fu scoprire che le notizie sulla
sua inettitudine facevano il giro dei Sette Regni anche senza bisogno di
Internet!
“Mio padre… è morto?” mormorò il giovane, più
sgomento che addolorato.
“Beh, allora sei davvero Theon Greyjoy” fu la
risposta del capitano, sempre molto partecipe e sensibile. “Re Balon era un
emerito stronzo e un pessimo Re e forse solo suo figlio può provare dispiacere
per la sua morte. Sì, è caduto da uno dei ponti che uniscono le fortezze di
Pyke, probabilmente era ubriaco fradicio o magari solo rincoglionito, alla sua
età… Insomma, vuoi salire o no? Non ho tutto il giorno. E quel tizio viene con
te? Chi sarebbe?”
Ramsay si era risvegliato dalla sua trance alla vista del mare e delle navi
ed era ritornato accanto a Theon, riuscendo ad ascoltare solo l’ultima parte
della conversazione e a capirne ancora meno.
“Io… noi… beh, sì, certo che vogliamo
imbarcarci” rispose Theon, faticando a star dietro a tutte le chiacchiere del
capitano della nave e riuscendo, tuttavia, a cavarsela onorevolmente visto che
negli ultimi anni si era abituato a star dietro ai deliri di Ramsay… “Possiamo
salire anche subito. Il ragazzo con me è…”
“Sono suo cugino!”
lo interruppe a sorpresa Ramsay, che non aveva nessuna intenzione di passare
ancora per il valletto o lo scudiero di Theon.
Il capitano sghignazzò ancora.
“Bella questa! Un cugino piuttosto alla
lontana, direi. Ma per quello che ne so io, tanto Euron quanto Victarion
potrebbero aver lasciato il loro seme chissà dove” commentò, mostrando tutto il
rispetto dovuto alla Casata Greyjoy. “Beh, allora, giovane Lord, sarai
contento: hai perso un padre che non valeva niente ma, a quanto pare, hai
ritrovato un cugino.”
“Sì, sono molto
contento” replicò Theon, salendo sull’imbarcazione il più in fretta
possibile e sperando di non dover avere altre occasioni di fare conversazione
con quel capitano. “Andiamo, cugino?”
Ramsay lo seguì tutto emozionato e, del
resto, non gli si può dar torto visto che era la prima volta che saliva su una
nave.
“Visto che siete della famiglia Greyjoy, vi
potete prendere la mia cabina, anche se non sarà un granché!” gli urlò dietro
il capitano, in un ultimo slancio di lealtà verso il suo legittimo Principe.
“Me lo immagino” disse tra sé Theon,
avviandosi verso la cabina del capitano con Ramsay sempre dietro che lo seguiva
come un’ombra. Aprendo la porta sgangherata della cabina, il giovane Greyjoy si
rese conto che, perlomeno, vivere nei fienili di Grande Inverno e nelle gabbie
dei cani di Ramsay l’aveva abbastanza preparato al viaggio che lo attendeva. La
cabina era piccola e sudicia, puzzava di piscio e di vino andato a male e per
terra c’erano soltanto una coperta macchiata e un po’ di paglia.
“Andrà bene lo stesso, l’importante è
arrivare a Pyke al più presto. Non è vero, cugino?”
fece, rivolto a Ramsay.
“E dai, quanto la fai lunga. Te l’avevo detto
che non volevo più fare la parte del tuo servo, ora sono anch’io un Greyjoy!”
replicò, trionfante, il giovane Bolton.
“Sì, va bene, però questa storia non la
potrai raccontare anche sulle Isole di Ferro, là lo sanno bene che io non ho
cugini” tagliò corto Theon, cercando di buttare fuori il più possibile di
quella paglia marcita e puzzolente insieme a quella coperta piena di macchie
non meglio identificate. Non aveva intenzione di prendersi chissà quali
infezioni, avrebbero dormito per terra sopra i loro mantelli e sperato che il
viaggio fosse breve!
“Quel tizio ha detto che tuo padre è morto”
disse Ramsay ad un certo punto. “Ha detto che è caduto da un ponte o qualcosa
del genere. Ma che razza di ponti avete in quel posto dove abiti tu?”
“Si tratta dei ponti che collegano le
fortezze di Pyke” rispose Theon, distrattamente, “sono ponti sospesi tra una
fortezza e l’altra, sotto ci sono solo il vuoto, le rocce e il mare, ma un vero
Uomo di Ferro impara a percorrerli in qualsiasi condizione. Mio padre era
anziano, certo, ma non sarebbe caduto da lassù neanche se fosse stato davvero
ubriaco. Qualcosa non va, dovrò parlarne con Yara.”
“Ponti sospesi sul vuoto con le rocce sotto?
Ma in che razza di posto vivi?” trasecolò Ramsay. “E poi dicono di Forte
Terrore, a quanto pare anche Pyke è una trappola mortale e tu vuoi portarmi
là!”
“Non mi pare che tu abbia molta scelta,
Ramsay” fece Theon, laconico. In quel momento aveva altro a cui pensare che non
fossero i capricci del suo compagno. “E comunque non preoccuparti per i ponti,
ti ci abituerai.”
“Sì, se non mi ci sfracello subito” brontolò
il giovane Bolton, imbronciato.
Tuttavia, nonostante le premesse poco
incoraggianti e il capitano tutt’altro che gentile, il viaggio verso le Isole
di Ferro si svolse in una relativa tranquillità e in pochi giorni la nave
giunse al porto di Pyke, dal quale si poteva ammirare la fortezza dei Greyjoy
in tutta la sua aspra e arcigna bellezza. Theon era a dir poco stravolto dalla
felicità nel rivedere i luoghi nei quali era nato e nei quali aveva seriamente
disperato di poter mai far ritorno e non gli si può certo dare torto… ma si
accorse con una punta di compiacimento che anche Ramsay, al suo fianco,
appariva quasi ipnotizzato dalla vista della fortezza. Che, detto tra noi, era
piuttosto spettrale e inquietante e forse proprio per questo aveva catturato
l’ammirazione del giovane Bolton!
“Quella sarebbe la fortezza della tua
famiglia?” domandò Ramsay. Aveva la tipica espressione di chi pensa: Ho visto cose che voi esseri umani non
potete neanche immaginare…
“Eh, sì” rispose Theon, con un certo
orgoglio. “Quello è il castello di Pyke, la dimora della Casata Greyjoy da
secoli.”
“Beh, di certo ha un suo fascino, non c’è che
dire, ma… dovevate proprio farla lassù in cima?” obiettò Ramsay, che doveva
dire la sua sempre e comunque. “Il panorama sarà sicuramente mozzafiato, ma
quando c’è brutto tempo dev’essere invivibile, esposta com’è a tutte le
intemperie. Non temete che vi crolli sotto i piedi?”
Tutta la poesia della fortezza di Pyke era
stata distrutta in poche parole da Ramsay, con un tono da agente immobiliare
deluso.
“La fortezza di Pyke ha resistito a tempeste
e trombe d’aria per secoli, senza
vacillare neanche una volta” tenne a precisare Theon. “Per questo è il castello
della Casata Greyjoy, perché rappresenta gli Uomini di Ferro che non si piegano
di fronte ad alcuna tempesta, che restano saldi e che non hanno bisogno di
comodità perché appartengono al mare, alla roccia e al sale!”
“Ah, beh, dimenticavo che tu proprio ci credi
a queste cose” commentò distrattamente Ramsay. “E poi non è che le fortezze del
Nord siano tanto meglio. Certo che l’umidità, qui, dev’essere terribile…”
Certo che è umido, visto che siamo a picco sul mare! E
poi gli uomini di Ferro non temono certo l’umidità né il vento né le tempeste, avrebbe voluto replicare Theon, ma pensò che sarebbe
stato fiato sprecato. Come sempre, cercare di spiegare le cose a Ramsay era una fatica inutile e quello che gli
premeva davvero, in quel momento, era raggiungere al più presto la suddetta
fortezza e parlare con sua sorella. Oltre tutto, Ramsay riusciva a rovinare
ogni cosa con le sue battute pungenti e caustiche.
Mentre procedevano verso il castello di Pyke,
Ramsay non faceva altro che chiacchierare: chiacchierava con Theon, che ogni
tanto gli buttava là qualche risposta laconica, ma chiacchierava anche con se
stesso, con l’unico neurone che era in grado di rispondergli e con l’universo
che lo circondava. In effetti, la gran parte delle cose che blaterava non erano
degne di essere ascoltate, però ad un certo punto il giovane Bolton fece una
domanda ben precisa alla quale Theon non poté esimersi dal rispondere.
“Ci sono un sacco delle vostre bandiere che
sventolano qui intorno” disse, commentando l’ovvio, poiché, essendo a Pyke, non c’era niente di strano nel
fatto che le bandiere dei Greyjoy fossero ovunque! “Ma perché il vostro stemma
è quella specie di animale con tutti quei tentacoli?”
Theon trasecolò, ci mancava solo questa, che
Ramsay avesse da obiettare anche sul loro stemma!
“Non è un animale
con i tentacoli, quello è un Kraken!”
replicò, più bruscamente di quanto avrebbe voluto… ma del resto era già nervoso
di suo e Ramsay aveva il potere di dissacrare tutto ciò che Theon riteneva
importante e sacro!
“E che accidenti è un Kra…Kraken? Non potevate scegliere un simbolo più normale per la
vostra Casata?” insisté Ramsay.
Capirai, parla quello che come stemma familiare ha l’Uomo
Scuoiato, gli sembra forse normale?
Ma, ovviamente, non usò questa frase. È vero
che ormai erano a Pyke e poteva ragionevolmente supporre che Ramsay non si
sarebbe preso troppe libertà nei confronti del Principe delle Isole di Ferro,
però con lui non si poteva mai sapere, magari un coltello ce l’aveva ancora e
Theon avrebbe desiderato continuare la sua esistenza con le diciassette dita
che gli erano rimaste.
“Il Kraken è un enorme mostro marino che
attacca le navi che si spingono in mare aperto, le stritola con i suoi tentacoli
e divora gli equipaggi” spiegò dunque, armandosi di santa pazienza. “Non ti
piacerebbe incontrarlo, te l’assicuro.”
“No, immagino di no” concordò Ramsay,
guardandosi nervosamente intorno. “Ma non arriva fino alla costa, vero?”
“No, non è mai stato avvistato attorno alle
coste, vive solo in mare aperto perché sta nei fondali marini più profondi, è
immenso, capisci?” ecco, adesso che Ramsay lo fissava come un bambino a cui si
sta raccontando una storia paurosa, Theon si sentiva intenerito e provava una
strana voglia di abbracciarlo. Probabilmente era quello il motivo per cui alla
fine aveva voluto portarselo dietro: in certi momenti Ramsay era
insopportabile, ma in altri… beh, in molti altri era anche buffo, divertente e
sinceramente lo eccitava pure.
“E i Greyjoy hanno scelto questo mostro come
simbolo perché si credono temibili
come un Kraken?” domandò ancora il giovane, in tono molto poco convinto.
“Sì, beh, l’idea sarebbe quella” ribatté
Theon, sperando che Ramsay la finisse lì. Di certo lui non si era mai
dimostrato un Kraken nella sua esistenza e non gli andava che anche il suo
compagno di avventure lo pensasse come un polipetto
qualsiasi!
Per fortuna erano arrivati alla fortezza di
Pyke e presto sarebbero stati introdotti alla presenza di Yara. Theon sapeva
che non sarebbe stato un colloquio facile e sperava, pregava il Dio Abissale,
affinché Ramsay non rendesse tutto ancora più complicato.
“A proposito, vedi di non fare commenti
inopportuni sulla fortezza di Pyke, il Kraken o qualsiasi altra cosa riguardi
la mia famiglia e le Isole di Ferro” gli raccomandò Theon sottovoce, subito
prima di entrare nella Sala Grande. “Ti assicuro che Yara e gli altri Uomini di
Ferro non sono pazienti e tolleranti come me.”
Ramsay annuì, ricordando che, in effetti,
aveva ammirato così tanto il coraggio di Yara quando si era presentata a Forte
Terrore circa tre anni prima che non aveva neanche tentato di catturarla o di
farle del male, l’aveva lasciata libera di andarsene. Yara era davvero un Uomo
di Ferro, molto più del fratello… però ultimamente anche Theon aveva preso un’aria
determinata e un’attitudine a farsi rispettare che confondevano il giovane
Bolton: da una parte a volte finiva persino per sentirsi in soggezione, e il
più delle volte provava emozioni insolite e singolari, che gli facevano
aumentare i battiti del cuore, gli scaldavano il sangue, gli facevano perdere
quel poco di lucidità che ogni tanto manifestava. Chissà che cosa significava
tutto questo?
Fine capitolo quarto