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Autore: robyzn7d    27/01/2022    7 recensioni
“Non conosco la vostra storia, ma quella donna, la vostra compagna, c’entra qualcosa, vero? Nei modi in cui lui scatta, cambia umore, si offende…s’ingelosisce.” (…)
“Ma il loro legame è piuttosto complicato. Nemmeno io, che ci viaggio insieme, sono in grado di spiegartelo.”
“Ho capito. Lei c’entra qualcosa.”
Genere: Erotico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa.
Parola d’ordine: nessuna aspettativa. 
Password: campata per aria. 
Codice pin: leggerezza. 

 
 
 
La migliore qualità di Sakè 
 
 
 
 
 
 
 
Il capitano dei cappelli di paglia lo aveva promesso - l’unico in grado di poter regalare una simil garanzia - che la ricompensa comune per la disfatta di Kaido sarebbe stata il banchetto più lussureggiante e florido mai visto prima. E lo era davvero, florido. 
Pirati, samurai e abitanti di Wano Kuni insieme, riuniti a celebrare un nuovo inizio che si era ipotizzato, premeditato e predestinato, ma che in pochi credevano sarebbe accaduto per davvero. 
L’alleanza pirata-samurai aveva dato i suoi buoni frutti e nessuno sembrava volerla rompere, anche se sì, si sarebbe fatto volentieri a meno di qualche elemento fin troppo rumoroso. 
Tutta Wano era accesa, libera, in festa. La musica autoctona dalle melodie rilassati e meditative, i festoni colorati che adornavano le vie della capitale dei fiori, la gioia nei volti di un popolo ormai libero. 
E questo grazie a loro. A dei pirati. 
 
Si portò alle labbra l’ennesimo boccale del migliore sakè della sua vita, che su quella tavola imbandita si trovava in minor quantità rispetto a quello che invece tutti gli altri sceglievano, entusiasta di gustarselo anche se da solo. 
Era convinto di essere alticcio e partecipe a quella festa da giorni. E forse era così per davvero. Forse non aveva mai visto così tanto cibo insieme, Zoro, e nemmeno così tanti alcolici. Ne fu oltremodo felice di quest’ultimo dettaglio, tanto che lui era stato uno dei primi partecipanti al banchetto facendo fuori anche il liquore che veniva servito per Rufy, suo amico fidato, e suo capitano, e anche vicino di posto a tavola per quella infinita giornata di festa. 
Stasera si beve anche doppio, aveva esclamato nella sua testa, dal momento che quel fannullone non si lasciava viziare dai piaceri dell’alcol, sgraffignando la sua porzione. Ormai, a parte Rufy, che, seduto alla sua destra non lasciva mai la sua postazione, aveva perso di vista tutti i suoi altri compagni. Ogni tanto sbucava fuori qualcuno nel suo radar visivo, che passava davanti al suo tavolo, probabilmente ubriaco fradicio, dal momento che nessuno di loro aveva abbastanza resistenza all’alcol tanto da rimanere lucido come lui. 
Per lo meno…qualcuna in realtà c’era. 
Una testa rossa che non vedeva sbucare da nessuna parte, da nessuna angolazione rivolgesse il suo sguardo, e questo accadeva già da un po’ di tempo - troppo - anche se non era in grado di poterlo realmente quantificare. Eppure, il suo nome, Nami, veniva nominato spesso a quel banchetto, e la cosa iniziava ad infastidirlo, soprattutto se la protagonista di certe allusioni non era nemmeno presente. 
 
“Da quanto stiamo bevendo?” 
Scostò il boccale dalla bocca, e per un attimo pensò di averlo chiesto all’aria. Sentiva solo frastuono ma non era sicuro che avesse vicino persone con cui parlare, che lo stessero ascoltando realmente. 
“È il terzo giorno di festeggiamenti!”
Una voce dolce e limpida al suo fianco. Mosse le pupille di qualche grado verso il basso, alla sua sinistra, e la vide, Hiyori, accanto a lui. Sinora non si era nemmeno reso conto di lei. O forse sì, ma lo aveva dimenticato. Doveva aver davvero bevuto troppo fino a intorpidire i sensi, solitamente molto più vigili e poco permissivi. Vedeva quella mano tenerlo stretto per il braccio ricoperto dalle bende, e non stava facendo niente al riguardo per evitarlo. Eppure, lui non voleva essere toccato.
Da quanto stava così? Da quanto lo permetteva? 
“Forse dovresti fare una pausa Zoro-Juro.” 
Ancora quella voce esotica. 
Lui una pausa dal bere? Ma se stava benone. 
Però non rispose, continuando, per l’appunto, a bere. 
La ragazza non era certamente la migliore compagna di bevute da poter desiderare, dal momento che aveva toccato tanto più di un goccio, per quel che poteva vedere dal suo boccale rimasto a metà. 
“Non lo finisci quello?” le chiese impertinente, andando a posare la sua mano su quel boccale quando sentì un “no” immediato e gentile come risposta, scolandoselo immediatamente. 
È vero, c’era tanto altro sakè in giro, ma quello per lui era il più pregiato, non lo si poteva gettare via in quel modo sconsiderato. Ma la ragazza sembrava contenta di renderlo felice, sorridendo con le gote leggermente colorate mentre si stringeva più forte a lui.
“Ma perché mi tiri sempre per il braccio ferito?” 
Ruggì, alquanto scocciato. 
E se ne rese conto solo perché la vide chiudere le dita attorno alla pelle, non perché la sentisse; a quanto pare aveva davvero intorpidito così tanto il corpo da aver perso la sensibilità degli arti. 
“Scusami!” 
Allentò la presa lei, ma senza alcuna intenzione di mollarlo. 
Furba. 
 
“Senza la rossa non c’è divertimento.” 
Sentì vociare nell’aria attorno al banchetto. 
“Ehi, l’ho puntata prima io quella.” 
“È una strega, ieri mi ha fregato i soldi dopo avermi fatto bere.” 
“Perché ha carattere! E tu sei un allocco, non la meriti certamente!” 
“Girate al largo.” Kid si era unito ai commentatori. “Quella non è roba per voi.” 
 
Ogni volta che sentiva un commento rivolto alla compagna era l’unico istante in cui appoggiava il boccale sulle labbra in un tocco violento, smettendo di ridere e scherzare. 
La ragazza al suo fianco lo notava tutte le volte e lo seguiva con lo sguardo senza perdersi i suoi movimenti. Captava diverse sensazioni provenire da quel corpo rigido: dall’essere infastidito, notabile dall’incurvatura del labbro inferiore verso il lato destro del viso; all’arrabbiato, suggerito da come serrava i pugni attorno al manico della tazza, come se stesse per mandarla in frantumi. 
Quando per un po’ cessavano di chiamare in causa quel nome, smetteva ogni gesto e tornava a bere leggero o poggiava il boccale sul tavolo con naturalezza.
Era così curioso, per Hiyori, quel modo di fare, poiché lo spadaccino le ricordava un’animale che drizzava il pelo quando si sentiva minacciato, e velocemente riprendeva la normalità quando il pericolo era passato. Le sue emozioni seguivano solo il suo istinto. 
“Qualcosa ti infastidisce Zoro-Juro?” 
La principessa, seppur fosse a conoscenza della risposta, lo mise alla prova per vedere se avrebbe condiviso con lei i suoi pensieri, ma lui sembrava cadere dalle nuvole, confuso da quella strana domanda, mentre la guardava disorientato. 
Possibile che non si renda conto di cosa prova mentre lo prova? Si chiedeva l’ex Oiran, con una strana palpitazione provenirle dal petto. 
 
Un momento delicato talvolta interrotto dall’arrivo di Denjiro che, avvicinatosi a loro, prendeva posto all’altro fianco della ragazza dai grandi, e quando anche inquietanti, occhi blu. “Allora, vi divertite?” 
Prese un boccale che riempì di liquore, alzandolo in aria verso Zoro che, accennato un sorriso a labbra chiuse, ricambiò il gesto. 
“Denjiro?” 
Hiyori era rivolta al samurai adesso, con una strana apprensione nello sguardo, come se fosse preoccupata di farlo soffrire, ma senza smettere lo stesso di lasciare per un solo attimo la presa su Zoro. 
“Ho ispezionato la zona della festa, controllato il palazzo e fatto un controllo per tutta la città.” 
Mentre raccontava delle sue gesta di pattuglia, il samurai sorrideva entusiasta di quella felicità, suggerendo ai due un prospetto positivo. 
Il volto della ragazza del clan kozuki si addolcì immediatamente, ancora di più di quanto già lo fosse, ma il suo era pur sempre un sorriso dolce-amaro, poiché seppur contenta di quel risvolto, e della lealtà del suo amico più fidato, sapeva di non poterlo ricambiare completamente, poiché il suo cuore stava rischiando di rimanere imprigionato col viso di qualcun altro stampato sopra, un certo individuo dai capelli verdi, un burbero, e quando estremamente rude, ragazzo, che non faceva altro che ringhiare e infastidirsi di ogni contatto umano. Ma sapeva essere anche gentile, e profondamente altruista. 
Hiyori voleva davvero molto bene a DenJiro, forse immaginando anche ci fosse qualcosa di più della stessa amicizia in cui aveva sempre creduto, e provando per lui importanti sentimenti, confinanti col rispetto reciproco, fino ad arrivare all’amore; però, chissà perché staccarsi da Zoro iniziava ad essere sempre più complicato; e lui che sinora non si era mai lamentato, non più del solito almeno, nonostante però sapesse che non fosse affatto presente e che sarebbe ripartito con i suoi compagni, lasciando Wano alle spalle. 
 
“Hei, hai visto per caso la rossa dei cappello di paglia?” 
Kid, madido di sudore e pregno d’alcol dalla testa ai piedi, si era sporto sul tavolo, rivolgendosi all’ultimo arrivato alla tavolata. 
Il samurai ci pensò su.
“Eh no, la ragazza con i capelli rossi non l’ho vista.” 
Il pirata si lasciò cadere deluso al suo posto, distruggendo un pezzo di tavolo nei suoi movimenti bizzarri e rabbiosi. 
Hiyori si mobilitò in fretta nel cercare il viso di Zoro, volendo coglierne ogni reazione, pur sapendo che questo avrebbe potuto farle male, confermare i suoi dubbi, spezzarle il cuore. Lui sembrava calmo come sempre, anche se non si era perso nemmeno una battuta, portandosi nuovamente la tazza alle labbra in quel modo brutale, divorandone la sostanza contenuta all’interno in un tempo ancora più stretto di prima. 
Mentre Zoro era sotto l’occhio attento della principessa, Denjiro focalizzava l’attenzione su Hiyori. Era rammaricato e preoccupato per lei, e non avrebbe voluto vederla soffrire proprio adesso che poteva essere una persona libera. 
 
“Devo sgranchirmi un po’.”
L’avvisò, lo spadaccino, tanto per non offenderla, scrollandosi da quella presa e scomparendo dal raggio visivo di Hiyori che ora al posto di quel fianco vuoto si trovava in visuale un Rufy formato gigante, ancora non del tutto sazio, che le sorrise di rimando con la bocca strapiena di residui di cibarie. 
“Sai per caso dove sta Momo?” le chiese ingenuo e felice il capitano, muovendo un cosciotto a destra e sinistra per aria. “Umh? Qualcosa non va?” Continuò, vedendo quello sguardo un po’ rammaricato della ragazza. 
“Tutto bene…” si sforzò si sorridere a sua volta lei.
“Posso chiederti una cosa?” 
“Umh? A me?” Inghiottì tutti i resti del cibo e trovò un attimo di serietà. 
“Ecco…che…che rapporto c’è tra Zorojuro e Nami San?” 
A furia di sentire Sanji sbraitare nel chiamarla così tante volte al giorno - troppe - anche lei aveva preso l’abitudine. 
Rufy si grattò la testa confuso. “Siamo compagni, no?” 
Hiyori acconsentì alla sua affermazione annuendo con la testa e sorridendo per quella bizzarra ingenuità. 
“Lo so che siete compagni…” sospirò, capendo di aver fatto la domanda giusta alla persona sbagliata. 
“Non conosco la vostra storia, ma quella donna, la vostra compagna, c’entra qualcosa, vero? Nei modi in cui lui scatta, cambia umore, si offende…s’ingelosisce.”
Vide per un attimo una strana espressione smarrita sul viso del ragazzo di gomma, come se fosse turbato da quella domanda “strana”. Continuava a grattarsi la testa e sforzare il cervello ma non sembrava riuscire a formulare un pensiero costrutto. 
“Che strana domanda. È proprio una strana domanda!” Sbuffò confuso. “Vuoi sapere se si vogliono bene?” Quando vide Hiyori annuire, per Rufy non ci fu più dubbio nel sapere cosa rispondere, e così smise finalmente di torturarsi e sorrise a trentadue denti.
“È perché li hai visti litigare? Non preoccuparti per questo…” sghignazzò sorridente. 
“Sei davvero così preoccupata per Zoro?” s’intromise nella conversazione, d’improvviso, Franky, che aveva appena preso posto dall’altro lato della tavola, ridendo sotto i baffi, avendo intuito da qualche giorno l’interesse amoroso della donna per quel, a suo dire, “fortunato spadaccino”. 
“Ecco…io, era solo curiosità… insomma, sono sconvolta di come lei riesca a tenergli testa. Lui è così…beh, non dico che si ammorbidisce, rimane sé stesso, ma alla fine l’accontenta comunque…si arrabbia, si offende, si lamenta esageratamente, ma poi…”
“Te l’ho detto non devi preoccuparti…Zoro e Nami sono fatti così, hihihi…” il capitano continuava a spingere nel suo stomaco pieno ciò che ormai non ci stava più. 
“Si, ho capito, ma…com’è che lui cede? Perché?” 
“È Zoro! È un idiota…” continuava a spingere un cosciotto di troppo. “E i pugni di Nami…ecco…fanno male…” 
“Zorojuro un idiota? Che strana visione avete di lui?”
Franky aiutò Rufy a non soffocare con un osso, tirandogli un pugno nello stomaco, per poi voltarsi verso Hiyori e Denjiro, con quest’ultimo che non si perdeva nemmeno una battuta di quella conversazione. 
“Se è di Nami che hai paura, principessa, bè, si, dovresti averne…” sghignazzò. “Ma il loro legame è piuttosto complicato. Nemmeno io, che ci viaggio insieme, sono in grado di spiegartelo.” 
 
“Ho capito. Lei c’entra qualcosa.” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo essere andato a svuotarsi per via del troppo bere, ed essersi anche leggermente sciacquato con dell’acqua fredda per trovare un po’ di lucidità, si avventurò in quel luogo in festa, nel palazzo dello Shogun. Aveva notato altri suoi compagni in preda ai deliri dell’alcol, come il cuoco, nel suo solito attacco di epistassi che, anche lui pieno zeppo di bende, veniva soccorso dalle geisha del luogo, con cui poteva mettersi in mostra e farsi accudire. Lo ignorò. Robin e Trafalgar Law, più in disparte, sembravano gli unici sobri. Passò oltre anche in quel caso. Bepo, Usop e Chopper stesi a terra, sazi e ansimanti, mentre il cecchino blaterava nel sonno discorsi di ringraziamento per aver salvato il paese di Wa. Ancora oltre. 
Aveva capito che trovare un compagno di bevute, soprattutto con i suoi veri compagni di viaggio, non era una missione così semplice. Poteva brindare con i pirati sconosciuti e con i samurai, ma era sicuro di averlo già fatto, e anche più volte. Quella sera aveva il bisogno di qualcos’altro, qualcosa che aveva voglia di uscire dal suo corpo e dalla sua mente, ma non sapeva definire bene che cosa fosse. 
Aveva capito che la compagna non si trovava nei paraggi, e a questo punto gli era balenato un pensiero antipatico, immaginando che forse avesse trovato altra compagnia.
Si grattò la testa scacciando via quel tormento, mentre capitava proprio davanti ad un ingresso che conduceva al tetto, e che aveva avuto modo di conoscere bene in quei giorni passati al castello, durante la sua ripresa fisica. Un posto dove nessuno andava mai per le troppe scale da salire - lo sapeva perché era diventato il suo rifugio durate la riabilitazione. E dal momento che non trovava nessuno alla sua altezza, preferiva bere solo. 
Aprì il cancelletto, richiudendolo poi alle sue spalle, facendo le scale che portavano ad un tetto coperto, con sul pavimento un grande futon che ricopriva parte del legno e che aveva saldo ben nella mente immaginando di spaparanzarcisi sopra, con davanti agli occhi la vista migliore su tutta Wano kuni. 
Prima di intraprendere la salita per le scale, ovviamente, aveva fatto rifornimento di altre bottiglie, ma di rum fresco stavolta, poiché qualcuno lo aveva già anticipato rubando le ultime scorte di quel suo buon sakè che tanto adorava - oppure lo aveva semplicemente finito tutto lui e nemmeno si era reso conto. Così, con il suo prezioso tesoro in mano, orgoglioso comunque della sua conquista, arrivò fino in cima. Ma una volta lì, fu costretto a strofinarsi l’occhio con la mano libera, poiché tutto s’aspettava, ma non di trovarci lei. Sola, poi. 
 
“E tu che diavolo ci fai qua?” 
 
Nami, quasi del tutto sdraiata sul futon, se non fosse per la nuca poggiata sull’enorme cuscino a cilindro che le permetteva di tenere il capo alzato per bere e godersi la vista, si voltò a guardarlo sorpresa. 
“C’è la vista migliore di tutta Wano.” rispose semplicemente, con un boccale in mano più grande della sua stessa faccia. 
Questo non fu sufficiente a Zoro come motivazione per tirarsi indietro e lasciarle il posto, accomodandosi non troppo distante da lei, sdraiandosi e tenendosi rigido sulle nocche. Quando anche poggiò le sue tre bottiglie di rum sul pavimento in legno, notò che la compagna ne aveva portate altrettante, con tanto di piccola botte che conteneva però quel buon sakè prelibato, il suo sakè. La indicò immediatamente, voltandosi ad osservarla. “E questo dove l’hai trovato?” 
Ma in quel momento fu costretto a distrarsi dall’alcol, notando che non solo quella se ne stava sdraiata come se niente fosse, ma era anche sfacciatamente imprudente, standosene con il kimono aperto, che sceso sulle spalle mostrava una profonda scollatura. Pure con quel vestiario fatto appositamente per nascondere le forme, lei doveva farsi riconoscere. Stessa cosa per le gambe, con la stoffa larga che le scivolava in mezzo, lasciandone una del tutto scoperta alla sua vista. E non che non avesse mai visto un paio di gambe di donna, soprattutto le sue, poi, ma quella posizione, quel modo sfacciato, lo stavano mettendo in guardia da sé stesso. 
Stappò velocemente la sua prima bottiglia buttandone giù un sorso, evitando di incrociarne lo sguardo. 
“L’ho preso di sotto, no?” 
Per Nami era tutto così dannatamente ovvio in quella (in)felice serata di veglione. 
“Io non l’ho trovato.” 
Puntualizzò, continuando a non guardarla. Si sentiva quasi svergognato se la osservava per più di qualche secondo. 
“Ti sarai perso anche anche tra i tavoli, Zoro. Ma poi, che ci fai qua per l’appunto? Ti sei perso? Non trovavi il bagno? Proprio tu che dovresti essere a festeggiare ora che ti é capitata una grossa possibilità!” 
Captò freddezza in quelle parole. Parole che naturalmente non aveva capito. Era davvero troppo ubriaco per comprenderle? Oppure erano semplicemente le solite farneticazioni della compagna di cui non si badava?
“Ti ricordo che questo posto l’ho trovato prima io, perciò è come fosse mio.” 
Aveva finito quella prima bottiglia nello stesso momento in cui i fuochi d’artificio colorati illuminarono il cielo davanti a loro.
“Che teoria del cavolo!”
Lei notò la delusione di Zoro per la fine di quel rum che si, lo soddisfaceva, ma non del tutto e, allungando la mano, in un momento di altruismo, fece scivolare sul pavimento la piccola botte che conteneva la sua scorta di sakè, che arrivò a sfiorare la gamba di lui. Motivo per cui questo elargì un grandissimo sorriso. “Per me?” Era sconvolto. “Non è che poi dovrò pagarla cara?”
“Lo vuoi il sakè oppure no?” 
“Non è ovvia la risposta?” 
Lo spadaccino, a rischio e pericolo, accettò volentieri quel gesto, non vedendo l’ora di gustare ancora quel liquido. Era un toccasana per le sue labbra, per la sua serata, per quel brivido che gli aveva attraversato il corpo quando l’aveva vista in quella posizione indecente. 
Mentre beveva però, continuava a guardarla di sottecchi, senza perdersi nessun movimento. La vide stiracchiare le braccia verso l’alto, portandosi dietro anche alcune ciocche di capelli, emettendo un verso languido. Come reazione istintiva aveva piegato una delle gambe verso di sé, scoprendola ancora di più e chiudendo gli occhi, in preda all’alcol e al lieto rilassamento. 
Notò che la ferita alla testa era guarita, e a parte una benda sul braccio, sembrava essersi ripresa. E allora non capiva, Zoro, che ci faceva Nami tutta sola? Perché non stava festeggiando insieme agli altri? 
“Lo sai vero che è pieno di pirati là sotto? Potrebbe salire chiunque e approfittarsi di te.” Anziché chiederle quello, dalla sua bocca era uscita tutt’altra constatazione.
Sorrise lei, divertita, rimanendo però ad occhi chiusi.
“Saranno impegnati a discutere su chi è stato il più forte in battaglia. Sai che noia!” 
La guardò di nuovo con la coda dell’occhio, poggiando il boccale pieno di sakè ancora sulle labbra già abbondantemente zuppe di liquore. Aveva ripreso a bere per scacciare via l’immagine di quella gamba piegata.
“Quanto ti sbagli.” 
“Ah si?” 
Chiese fintamente, seppur non immaginasse a cosa si riferisse Zoro nello specifico. Aveva ancora gli occhi chiusi, con quel maledetto sorriso stampato sulla faccia. Indice che era abbastanza su di giri per via dell’alcol. Rise poi, cercando di immaginare i tormenti di Zoro, mentre con tono civettuolo, decise di prenderlo un po’ in giro.
“Ah beh, se qualcuno fosse arrivato fin qua a cercare compagnia femminile, anziché parlare di lotte e pugni, magari stasera avrebbe avuto successo facilmente. E invece sei arrivato tu a sconciare i giochi.” 
“Piantala di dire stupidaggini.” 
S’irrigidì immediatamente lui, impostando una voce d’ammonimento. Il tono di Zoro era stato assai infastidito, mentre con la mente ripensava a ciò che avevano detto a tavola su di lei quei pirati e samurai al seguito.  
Lei aprì velocemente gli occhi curiosa di vederne la reazione: intirizzito e severo; proprio come se l’era immaginata. 
Sorrise ancora, silenziosa, convinta di averlo stuzzicato abbastanza, ma riprendendo a bere con voracità, distruggendo per un attimo quell‘immagine sensuale che aveva involontariamente costruito, seppur rimanendo comunque provocante - almeno, lo era sicuramente per lui.
 
“Non dovresti essere qua, Zoro. Dico sul serio.” 
Esordì poi, senza troppi giri di parole. 
“Umh? E perché mai?” 
Continuava a non capire niente, né dei suoi giochi, né delle sue parole. 
“Ti ho detto che questo posto l’ho trovato prima io!” 
La rossa roteò gli occhi al cielo, a metà tra l’essere inviperita e arresa. 
“Ma quanto sei bambino!” 
Di risposta lui aggrottò la fronte, e il broncio diventò più marcato. Ci pensò su, ma non riusciva a capire a cosa lei alludesse.
“Ma come fai a non capire mai niente? Ad essere così dannatamente idiota?” 
“Non vorrai davvero litigare anche stasera, Nami?!” 
Lei aveva allontanato la bottiglia dalla labbra solo per parlare, ma quando finì la riappoggiò immediata, tossendo poi, per la fretta che aveva avuto nel tracannarla. 
“Zoro!” richiamò la sua attenzione quando lo vide confuso, irritata dal doverglielo pure spiegare. “La principessa di Wano!”, schioccò le dita con la mano sinistra, “non ha occhi che per te.” 
Aveva smesso di bere, lui, per un attimo, non volendosi scolare quell’ottimo sakè tutto in una volta.  Quell’ottimo regalo, anzi.  Stava fissando la vista sul paese, inebriandosi del profumo forte di alcol che alleggiava in quell’aria nuova, misto a quello della pelle della rossa che gli arrivava dritto ai polmoni. I fuochi che ancora, incessanti, rompevano il silenzio dell’ambiente, scombussolato solo dal vociare della festa in lontananza. Ancora non riusciva a capire cosa significassero quelle parole. Cosa insinuasse. Cosa volesse, lei, da lui. 
“Dovresti essere tu quello che approfitta oggi.” 
Continuò, con un sottotono anche un po’ arreso, conscia del fatto che lui fosse andato sicuramente a soffermarsi su un dettaglio sbagliato.
“Goditi la festa come si deve, anziché isolarti qua, con me.” 
Alticcia, allungò il braccio in aria con il boccale stretto tra le dita, ridendo. 
Ma Zoro aveva percepito la freddezza di prima e la risata nervosa di adesso; non sapeva cosa significassero, ma quei toni che non lo convincevano c’erano tutti. 
“Io non sono così” aveva d’improvviso il voltastomaco per il solo pensare a lui come qualcuno che approfitta di una donna in quel modo. “E ormai dovresti saperlo.” 
Nami si alzò un po’ di più con il busto, scrollando ancora di più quel kimono indossato largo, facendolo involontariamente scivolare sulle braccia, mostrando così l’inizio dei suoi seni. 
“Suvvia.” 
Arrivò a colpirlo dietro al collo con la mano, lasciando uno scappellotto leggero. “Lo sai che non intendo niente di moralmente inaccettabile, almeno, non troppo.” 
Tolse la mano dalla sua pelle, ricadendo supina - la sua testa non reggeva lo stare troppo dritta e composta. 
“Non è approfittare se tu piaci a lei e lei piace a te.” 
Intuendo i suoi dubbi, rispose con quella che pensava essere la verità, e prendendo la bottiglia fece un altro sorso, ma più disperato che per gusto. “Non rinunciarci per qualche stupida proibizione che hai nella testa!” 
Un altro po’ di liquido ancora a invaderle la gola acida, questa volta in un sorso volutamente più lungo. Stava quasi per soffocarsi da sola. 
“Vi ho visti ieri, e anche avanti ieri…e il giorno prima…!” Aspettò due secondi prima di continuare a parlare, dandogli il tempo per metabolizzare. “In fondo, non ti capita mai questa fortuna, no?” Sghignazzò, ma sempre con quella punta di nervosismo a contornarle il tono e l’espressione. “Una donna così bella quando ti ricapita? Anche se forse dovrai combattere per lei…quel samurai, come si chiama?” Fece la finta pensierosa, come se le importasse davvero. “Ah, si, Denjiro. Anche lui è innamorato di lei.” 
Anche? 
Quell’ottimo sakè non sarebbe durato tanto in fin dei conti, visto che non riusciva a starne lontano. Ora, ancora più di prima, lo stava tracannando più velocemente. 
Per Nami era un indicazione che aveva colpito nel segno, tornando perciò a sdraiarsi del tutto e a chiudere gli occhi, ancora una volta per scacciare via tutto il peggio che stava provando dal suo cuore appena diventato triste e solo. 
 
Zoro, l’unica cosa che realmente balenava nella sua testa era il fatto che quel nervosismo che Nami accompagnava alla voce non aveva invece intaccato la sua postura, sembrava infatti così fisicamente leggera, con quei movimenti che non stava controllando o limitando. Merito certo di quella sostanza magica che creava dipendenza. Ciò nonostante, nascondeva qualcosa, come sempre, e si trattava di un’intenzione, un sentimento, un’emozione. 
“E quindi, cosa mi suggerisci di fare?” chiese lui all’improvviso, con un tono appena serio, sintomo che aveva pensato a qualcosa in quel frangente di tempo in cui era rimasto in silenzio. 
Fu una richiesta che non si sarebbe mai aspettata, mai. Il dolore era così forte che chiudere gli occhi e lasciarsi andare ai fiumi d’alcol che aveva in corpo e nella mente, le sembrava la cosa più sensata da fare. Sentiva il cuore annegare in quel fiume. Sentiva le braccia tremare, seppur non si muovessero. Sentiva il vuoto di una verità inaccettabile crollarle addosso. 
Doveva prendere coraggio, d’altronde lo aveva spinto lei tra le braccia di quella. Ora non poteva più tirarsi indietro, rimangiarsi le parole, rimangiarsi la sicurezza. 
Probabilmente aveva stretto le labbra in una morsa esplicita piena di rabbia, ma non aveva le facoltà per nasconderla. In ogni caso, sempre quelle sue labbra furono più veloci del suo cervello, aprendosi in automatico per liberare ciò che più la teneva al sicuro, la difesa emotiva. 
“Beh, innanzitutto la raggiungi, non credi anche tu?” 
Sempre tutto piuttosto ovvio, per lei. Meno, sicuramente, per lui, che in quanto ad approcciare una donna era totalmente incapace. E Nami lo sapeva. 
“Ormai non c’è più tempo per i convenevoli, non servono più, devi prendere coraggio e buttarti…abbastanza da creare intimità.” 
Sospirò poco velatamente, facendosi sentire, come se per lei fosse un dolore, come se gli stesse spiegando le basi di qualcosa di così semplice ma crudele. Quando in realtà si sentiva lei per prima un’imbrogliona, dal momento che non era poi così capace di approcciarsi in modo consono con l’unico uomo che voleva, senza finire a urlagli contro o malmenarlo più del dovuto per sfogare la sua vigliaccheria. 
Ma mentre pensava di aver finito quella tortura, la sua bocca proprio non ne voleva sapere di fermarsi e stare zitta, che continuò anche oltre, forse per nervosismo, forse per una macabra cura fai da te. 
“Non so che altro dirti Zoro, che so, prendila e basta…” Fu costretta a ridere scioccamente, come se stesse dicendo la cosa più assurda alla persona più assurda. “Lei non sta aspettando altro…viene dalla casa del piacere dopotutto, vedrai che saprà renderti felice.” 
 
Devo essere impazzita. Sono impazzita. 
Ma perché non sto zitta? 
 
“Parlarti di corteggiamento e complimenti, penso che sia oltremodo inutile…non fa per te, non è adatta a uno come te questa strada. Mostra i muscoli e hai già fatto.”
Rise ancora, ma più nervosamente di prima - stava davvero esagerando ma non riusciva a fermarsi. L’aver pensato al suo corpo adesso l’aveva mandata in visibilio, un’agitazione che per fortuna poteva coprire e scusare per il fatto di essere più che brilla.
“Certo che se ti servisse una mano di riserva dille cosa pensi di lei, fai un apprezzamento alla sua eterea bellezza… Vedrai che questo basterà. Detto da te immagino faccia un certo effetto.” 
 
Si, sono stupida. 
Devo essere davvero uscita di senno. 
Ho toccato il fondo del barile. 
Di tutti i barili. 
In ogni senso. 
 
“Immagino che poi il resto arrivi di conseguenza.” 
Aveva esternato flebilmente, come chiusura di una conversazione che non necessitava di risposta o continuo. 
Si lasciò andare ad un sospiro più leggero adesso. Sdraiata e con gli occhi chiusi l’alcol agiva decisamente in una reazione più rapida, facendola viaggiare con la mente in sensazioni sconosciute, in cui le sembrava di librarsi in aria e volteggiare continuamente, lasciandosi andare alla tristezza ma anche alla pace che stava cercando di acquisire. A volte anche strappare un cerotto e affrontare la verità poteva dare sollievo. 
A volte.  
 
Una pace fittizia ovviamente, che sarebbe svanita insieme all’alcol quando avrebbe finito il suo corso. E lei ne era assolutamente consapevole di questo. Ma era così bello vivere quel momento, sentire come le arrivava più veloce al cervello in quella posizione. Allungò ancora una volta le braccia all’insù, con i capelli rimasti intrappolati nelle dita, incurvandole appena e costruendo una forma elegante. 
Nami non sapeva nemmeno più se Zoro fosse ancora lì, non aveva il coraggio di guardare, magari era andato via di corsa, per la smania di conquistare quella donna bellissima e innamorata quasi certamente di lui. Anche se questo non faceva parte di uno come Zoro, non rientrava nella sua persona essere così 
- ma basta poco per cambiare un uomo, 
e di ciò era totalmente convinta. 
Doveva scacciare via tutta quella malsana conversazione appena avvenuta, un dolore che si era tranquillamente auto inflitta, come la peggiore degli autolesionisti. 
Una cosa era certa, lui non aveva nemmeno risposto, nemmeno detto un ‘grazie Nami’ per averlo aiutato, per avergli indicato come andare a conquistare un’altra.
 
Stupida, stupida e scema. 
Ho gettato al vento un’altra occasione. 
 
“Un ‘grazie’ l’avrei anche accettato…” 
Ripeté all’aria, mentre continuava a tenere le palpebre abbassate, che non volle aprire nemmeno per godersi i fuochi della mezzanotte che avevano appena iniziato a scoppiettare in cielo. Ne sentiva solo il rumore, tutt’insieme fastidioso e rilassante. 
Sapeva che per stare meglio avrebbe dovuto solo che addormentarsi e sperare di dimenticare tutto di quella terribile serata, o quelle terribili serate – che non si era nemmeno resa conto di odiare finché quella presenza costante accanto a Zoro era diventata insostenibile per la sua vista. Odiava che lei – lei - una sconosciuta, si preoccupasse per lui per tutto il tempo e in modo così eccessivo. 
Lui è forte. Non è un uomo cui si può stargli addosso in quel modo senza dargli tempo di respirare. 
Ma non sapeva se quello a cui stava pensando fosse in realtà verità o gelosia, poiché si rendeva conto che lei non sapeva farlo. Non sapeva stargli vicina in quel modo. E così, per rabbia, lo aveva provocato, proprio davanti a lei, la sera prima, finendo in una stupida lite sotto gli occhi di tutti.
Questo lo sapeva fare davvero bene. In questo aveva talento. Ma lui era davvero il più bravo nel provocarla nel modo peggiore, rendendo sempre tutto più difficile, senza darle mai una tregua, o avere la sensibilità di appoggiarla e di darle ragione. 
 
Decise che l’unica soluzione per scacciare il presente era farsi trasportare da quel senso di perdita dei sensi, e della realtà. Gli effetti stavano facendosi sentire eccome, la testa pesante le ricadeva sul futon, impossibilità a muoverla  - e a muoversi - cercando di trovare un’armonia con sé stessa. Il confine tra conscio e inconscio era ormai confuso, mischiato, imbrigliato da qualche parte, uno con l’altro, riuscendo ad alleggerire un poco i suoi pensieri e a rendere leggero un corpo rigido. 
All’improvviso era come essere sfiorata da qualcosa, sembrava una foglia, si, una foglia autunnale piuttosto ruvida. Ebbe un brivido inconscio, immaginando di essere sdraiata in un parco con le foglie secche che cadevano dagli alberi, e che la sfioravano, ricadendole addosso fino a coprirla tutta. Fu così strana e meravigliosa quella visione nella sua testa. Che strane conseguenze che dava l’abbondanza di alcol. Sentiva la sua pelle delle gambe e delle braccia essere sfiorata da quelle foglie e il profumo dell’autunno invaderla fino alle narici, anche di più, fin dentro ai polmoni. Autunno mischiato al forte odore di liquore. Ma poi quella foglia si trasformò in stoffa, una stoffa strana, liscia al tatto ma pesante di consistenza. Si stava lasciando trasportare da tutta quella suggestione anomala, così lontana dalle solite bevute. Almeno, fin quando non sentì un respiro fin troppo vicino, un respiro che sembrava vero. 
Ma quanto aveva bevuto per immaginarsi tali sensazioni? Addirittura, l’aria che le smuoveva i capelli dal viso? 
Ancora uno sfregamento di pelle sulle sue braccia, delle dita, una presa morbida che la solleticò fino a farla leggermente ridere come una bambina felice. 
Iniziava a muovere le palpebre ancora abbassate, allontanandosi sempre più da quella bellissima visione autunnale, e ritornando forse, e a malincuore, alla realtà. 
Uno sfregamento sulla sua guancia destra la inquietò e fu l’effetto più reale che la indusse a rinsavire. Così si mosse, doveva risvegliarsi, era troppo surreale anche per lei arrivare a provare fino a tanto. 
Un altro respiro forte, ma stavolta dritto sul suo orecchio, e fu sicura di non stare immaginando più niente. 
 
“C’è abbastanza intimità, così?”
 
Aprì gli occhi in un sussulto. 
Zoro! 
“Allora?” 
Continuò a parlarle nell’orecchio, le sue mani sulle sue braccia morbide, il busto sopra il suo, le gambe incrociate tra loro. 
Si era messo davvero sopra di lei quello sciagurato! 
“Non mi dai più altre dritte?” 
Le sue labbra erano ancora impregnate di alcol, e lo sentiva benissimo solo per essersi avvicinato così, figurarsi se le avesse assaggiate. 
“Ti ha dato di volta il cervello?” 
Fu la sua reazione più logica alla stramberia di quel momento quando aprì gli occhi trovandosi davanti quella scena sconcia. “Non con me, non io, ubriacone di uno spadaccino.” 
Spavaldo e sicuro di sé - forse con tutto quel liquore ingerito chiunque lo sarebbe stato - mentre la toccava, sorrideva come se avesse appena messo in atto la provocazione più importante della vita.  
Nami vide quelle labbra scendere ancora al suo orecchio, silenziose e fulminee, senza darle il tempo di reagire, scombussolata da quell‘avvicinamento improvviso. 
“Cosa penso di te? Sei una piantagrane - la peggiore di tutte, una strega, una schiavista, una despota dal brutto temperamento, e i tuoi consigli d’accoppiamento sono i peggiori di tutti…”
Lo sentì morderle il lobo dell’orecchio, e in quell’attimo credette ancora di stare sognando. Non poteva essere la realtà quella. Lui era impossibilitato ad avere questo tipo di approcci e avventatezza. 
“Si, sei anche bella, dopotutto…”
Quanto quella voce così vicina all’orecchio la stava eccitando, era difficile da quantificare, tanto da portarla istintivamente a stringere le gambe, che però si scontrarono con quelle di lui, che alzò immediato il capo per guardarla in viso.
“Ti ha fatto effetto, quindi.” 
Constatò sicuro di sé e bastardo, ripensando alle parole di lei sul fatto che se lui avesse detto certe cose, avrebbe sortito un certo effetto su Hiyori. 
Si, proprio su Hiyori. 
“E tu sei un ubriacone, un idiota, un selvaggio burbero che non sa nemmeno fare dei semplici complimenti, sei un…”
Gli rispose imbarazzata, ma con la voglia di prenderlo a ceffoni se solo avesse avuto le braccia funzionanti. Ma mentre a parole voleva ribellarsi e cercare la logica di quel gesto - seppur davvero difficile trovare lucidità in quel frangente - a fatti lo sguardo continuava a soffermarsi su quelle labbra impegnate di alcol. 
“Hai detto che stasera avresti lasciato campo libero.” 
La riportò alla realtà, provocandola nel modo peggiore, ovviamente. 
“E tu hai detto che non avresti mai osato fare certe cose.” 
“...ma non sono io ad approfittarmi di te.. lo sai bene che é sempre il contrario…” 
Scherzò, avvicinandosi di più al suo viso, oltre quella distanza c’era solo illegalità. “Perché diavolo fai così? Perché mi spingi verso quella donna?” 
“Eh?” 
“È sempre questa tua maledetta difesa del diavolo.”
“Non so di cosa parli.” 
“Bugiarda!” 
Le gote sue, diventate rosse, cercavano di mantenere una dignità, respirando veloce, e cercando, in ogni modo possibile, di sostenere quello sguardo di lui improvvisamente provocatore.  
“Perché non dici come stanno le cose per una volta?”
“E sentiamo…?”
“Perché mi hai dato questi stupidi consigli? Perché vuoi sempre far inutilmente la dura?” 
“Te lo ripeto, non so di cosa stai parlando!” 
Incerto su come reagire, si scostò dal suo viso per andare a tormentarle il collo, muovendo nel frattempo il bacino sopra di lei con una lentezza estenuante. Per quel contatto, che certamente non s’aspettava, la sua pelle, ma anche il suo interiore, iniziò a prender fuoco. 
“C-che diavolo fai?” 
Sgranò gli occhi quando sentì la lingua di lui sull’estremità della mascella. Lo sentì affondare di più nell’incavo del collo, e profondarci con le labbra. 
Aveva paura adesso, paura dell’ignoto, di quel comportamento che era assurdo per Zoro. Non riusciva a credere che stavano arrivando a un simil gesto. E lei, lo stava permettendo? E lui, la stava provocando o voleva fare sul serio? 
Aveva paura di questo cambiamento improvviso, ma allo stesso tempo la situazione l’aveva catturata al punto che non se ne sarebbe divincolata nemmeno se lui gliene avesse data l’occasione. 
Lo vide riemergere dalla sua pelle e guardarla mentre si passava la lingua sulle labbra in modo lussurioso. 
Ma in quello stesso momento non riuscì a resistere, così come prima la sua bocca parlava senza riflettere ora agiva senza indugio. Colmò quella distanza alzando la testa di due millimetri e rubandogli le labbra in un bacio spontaneo ma voglioso, e libero, audace, impertinente. 
Come era lei. 
Lui non si fece desiderare di più, rispondendo immediato e assaporando quella morbidezza impregnata del suo alito alcolico, trovandolo a dir poco piacevole. Le braccia scese a prenderla dietro la schiena in un abbraccio che sarebbe stato considerato proibito in altre parti del mondo, ma non a Wano, che adesso era un paese libero. 
Era incastrato in lei, beato di lei, non si sarebbe mai voluto più alzare da lì. 
Quanto l’alcol che aveva portato alla perdita di inibizioni e aveva reso tutto più eccitante in pochi minuti, quanto erano state la sfrontatezza e la passione per primi, a condurli in quello stato di estasi. 
Zoro non aveva intenzione di scendere da quella giostra, e senza staccarsi dalle sue labbra continuava a spingerla verso il basso, come se sotto il pavimento ci potesse essere un altro strato su cui andare a sdraiarsi. Lo faceva con gentilezza per quanto gli era possibile, ma non mollava la presa, mostrandosi più possessivo di quello che si potrebbe credere, conoscendo il suo menefreghismo - a lui che evidentemente lo faceva sentire un dio. 
Nami, resasi conto subito del suo carattere predominante, lo stuzzicava sulla braccia, sul collo, sulle spalle, facendogli scivolare lo yukata da dosso con un gesto deciso. Gli dimostrava così che non era concorde a quella presa, con quel possesso, e che se lui faceva così, lo avrebbe fatto anche lei, a pari passo. 
Glielo avrebbe detto anche a voce seppur fosse riuscita a staccarsi dalla sua bocca. 
Lui aveva aperto l’occhio, osservandola in quel preciso momento di euforia barra eccitazione, con il bisogno di scrutarla con lo sguardo malizioso, per godersi quella vista, ma senza smettere di giocare dentro di lei, dentro quelle labbra calde e pregne di rum. 
Anche lei apriva gli occhi, sentendosi osservata, spogliata, presa in ostaggio dal suo occhio. Si sentì incendiare quando vide in quella stessa pupilla la sua più impensabile eccitazione. 
Chissà se Zoro aveva mai avuto occasione di toccare un’altra donna prima - si chiedeva Nami, ma era certa che lui era rimasto sconvolto da lei. 
La stava infiammando ma era rimasto ugualmente scottato. Quella tensione palpabile, odorante di profumi diversi che si stavano mischiando tra loro, parlava di un bisogno fisiologico accecante; adesso lo sentiva anche da quel punto di vista, con la sua eccitazione crescente contro al suo ventre. Nami lo vide in quello sguardo quanto anche lui era sorpreso di sé stesso, con l’occhio sgranato, con il sudore che iniziava a scendere sulla fronte. Lei sotto di lui con gli occhi da ammaliatrice, il kimono aperto, che a furia di sfregarsi era sceso a metà del suo seno. 
“Dimmi la verità. Dimmi ciò che voglio sentire.”
“E cosa vuoi sentire?”
Chiese arpionandolo al collo, senza fargli una colpa per la sua reazione naturale, attirandolo sul suo petto, in un insieme di emozione e tensione. Aveva liberato un gemito quando lui, senza remore, le aveva infilato una mano sotto al kimono, palpandole in seno sinistro con tutta la mano, quasi come fosse un gesto punitivo per la sua testardaggine.
“Maledetto.” 
L’aveva presa alla sprovvista, e certamente non si aspettava un gesto così sfrontato. 
Ma lui sorrideva vedendola in preda allo stupore.
“Mi hai lasciato bere solo.” 
“Ma non eri solo.”
“Piantala di inventare storie.” 
Si unirono in un altro bacio, ad occhi chiusi, imbarazzati di se stessi, dopo quell’affronto della realtà lucida che traspariva da quelle pupille. 
Zoro aveva fatto scivolare via del tutto il suo yukata con tanto di spade attaccate al suo fianco, le mani sulla vita di Nami in una presa convinta. Interruppe il bacio, ma solo per parlarle. 
“Di la verità!” 
“Ma quale!” 
“Perché mi spingi verso un’altra donna?” 
“Un’altra? Se dici così significa che ne hai già una.” 
“Strega!”  
Premeva il petto contro al suo. Vedeva con chiarezza i seni di Nami quasi del tutto scoperti uscire del tutto dalla stoffa e soffocare sotto al suo busto ingombrante, unica barriera a proteggerli dal suo sguardo diventato improvvisamente curioso. 
“É una principessa, ed è bellissima…e vuole te…sei un idiota a non correre da lei…” 
Non si era resa conto che la sicurezza con cui voleva convincerlo, era andata in frantumi con una lacrima scivolata sulla guancia. Una lacrima che lui non aveva potuto non notare. 
“Sei una stupida…” 
“E tu sei un idiota se…”
“Si, se non corro da lei…questa l’ho già sentita…”
“Se lo fai!” 
Lo fissava in quell’iride nera con altrettanta dignità, seppur un tremolio delle dita che lo stringevano al collo la tradì nuovamente. 
Non voleva che quell’espressione che tanto le piaceva di Nami se ne andasse proprio adesso. 
Si avvicinò di nuovo e posò le labbra sulle sue, tenendo gli occhi aperti per godersi quel contatto ma anche per accertarsi che lei tornasse quella di poco prima.
“C’era bisogno di farla tanto difficile?” 
La provocò, schiudendo un altro bacio, in una pace che per lui durò veramente molto poco. Le mani di Nami dal collo si erano spostate sulle spalle, scuotendolo nevrotica con una dolcezza inesistente.  
“Ti ammazzo, cretino! “continuava a scuoterlo ripetutamente, facendogli penare ogni secondo di quella scelta che aveva avuto di stuzzicarla. “Ti ammazzo! Mi hai fatto passare l’inferno con quella la’ e adesso fai un’uscita del genere? Ti ammazzo!!!” 
Ripresosi dall’agguato, con le labbra socchiuse, la fissò fino a dentro l’anima, con uno sguardo impregnato di serietà. 
“Quindi, vuoi stare con me…!?”
Era eccitato e stava al col tempo affermando e chiedendo qualcosa di cui già sapeva la risposta a questo punto, non c’era bisogno di parole. Ma lui era coretto, o almeno ci provava. 
“Prima mi salti addosso e poi mi chiedi il permesso? Non ti sembra abbastanza chiaro?”
Rispose malandrina, ritrovando il suo solito sorriso da furbetta, da eterna provocatrice.  
“Voglio sentirlo uscire dalle tua bocca.”
“Quanto sei melenso stasera! Sarà mica che hai esagerato con il bere?” 
“Non pensare di manipolare questa conversazione!”
“E tu?” 
Vide le labbra di lei che si fiondarono sul suo collo teso, portandolo a chiudere gli occhi e biascicare un’imprecazione per il fatto che Nami volesse sempre fregarlo in qualche modo. 
La sentì però ricambiarlo con la stessa moneta, facendogli “la stessa carezza” con la lingua a cui aveva pensato lui poco prima. 
Si, lo stava palesemente fregando. 
Non voleva perdere quella battaglia verbale, voleva prendersi la sua riposta, voleva quella sincerità, ma l’eccitazione era così ingestibile che si lasciò succhiare la pelle del collo ancora per un po’, per poi, in un gesto ratto, slacciarle il nodo del kimono, aprendolo del tutto. 
Nami allontanò il viso da quella pelle abbronzata e bollente, sgranando appena gli occhi per quel suo gesto insperato. Lo scoprì percorrerle il corpo con le dita, curioso come non mai. Era elettrizzata e spaventata al col tempo, dal momento che non si aspettava questa presa di posizione in questo contesto da uno come lui. Però era eccitata, e lo aveva sperato così per tanto tempo che lo lasciò fare, illudendolo di avere il comando. 
“Zoro…” pigolò lei, fra stupore ed eccitazione “stasera stai superando tutti i limiti…sei ancora tu, vero?” 
“E tu dimmi ciò che voglio sentirmi dire…” 
Di reazione Nami alzò un braccio che, allungato di lato, rovesciò a terra la botte che conteneva il sakè pregiato, facendolo scivolare sul pavimento e sul futon. Nami e Zoro si voltarono in contemporanea a seguirne la scia - qualunque cosa in quel momento avrebbe potuto tagliare quell’aria diventata pesante di netto, ma durò veramente pochissimo quella disattenzione, riconcentrandosi nuovamente su quella interessante battaglia. 
Ora la vedeva nuda sotto di sé. Finalmente ne aveva una visione completa, guardandola assorto. 
Quello stesso fuoco di poco prima s'irradiò dentro di lei, si sentì quasi tremare alla vista di quello sguardo rapito dal suo corpo. Di solito non aveva problemi, ma con lui, con lui era un’altra storia. 
Lei si separò da quella presa, coprendosi istintivamente con le braccia, ma sostenendo lo stesso il suo sguardo con orgoglio. 
“Il tuo prezioso sakè è rovesciato sul pavimento.” 
Ancora assorto nel guardarla, lo spadaccino si accostò nuovamente al suo viso. “Si, lo vedo bene!” 
Frastornata da quelle emozioni, e soprattutto quei brividi che la stavano avvolgendo, Nami non aveva compreso quella strana risposta, ed era stupita che lui continuasse ad osservare lei, anziché preoccuparsi per il liquido che usciva dalla botte, che sgorgava fuori, come liberato da una prigione.
“Perché non mi tocchi mai?” 
“Oh! “esclamò presa in contropiede. “Sei sicuro di non ricordare i miei pugni?”
“Piantala di fingere!” 
Il suo tono di voce era diverso dal solito, più quieto, meno duro, quasi addolcito, seppur sempre giudizioso. 
Continuò a contornarle il corpo con le dita, guardandola però dritta negli occhi. Non c’era bisogno di tratteggiare una linea in zone sensibili, bastava anche solo un braccio, la pancia, la guancia, la mano. La sentì sotto il suo tocco, tremare. 
“E per questo?” Sospirò serio. “ Perché ti agita così?” 
Era rimasta rapita da come la guardava, da come sapeva toccarla, dal suo essere così passionale ma anche una persona che poteva stupirsi per cose semplici come quelle, da come stava reagendo. 
I respiri stavano diventano uno, talmente si erano quietati, ma non perché la situazione era diventata meno tesa, tutto il contrario, si erano proprio fermati i cuori per un solo istante, per un solo gesto.
“Perché non ti fai toccare dall’Oiran?”
“Vai all’inferno e rimanici!”
Ancora con gli occhi chiusi, ancora persa in quell’idillio, Nami riuscì a sorridere, con il respiro affannato e la voglia di una resa. Non aveva potuto evitare di stuzzicarlo verbalmente ancora per un po’. 
“Che cosa vuoi sentirti dire esattamente?” 
Lui la guardò distendere le labbra in un forse segno di abbandono a lui. Forse. 
Con lei non c’era da abbassare mai la guardia. 
 
“E va bene…sì, sì che voglio stare con te…” 
 
Lei strofinò il naso sopra il suo. E lui lo accettò, rispondendo. Lei sentì mancare l’aria dai polmoni, a causa di quella dolcezza inaspettata. 
C’era tanta voglia di amarsi. 
Un gesto che aveva aperto un varco tranciando la passione in due e inserendoci un ingrediente principale. Un cenno gentile quello, carico di sentimento, rispetto, cura per l’altro, che aveva condotto i due a quello che poi sarebbe stato fare l’amore. 
 
 
 
Dopo la consapevolezza di quei sentimenti corrisposti, Zoro era cambiato. I baci erano diventati più intensi, le sue mani più solide, la sua eccitazione più palpabile. Lui che da lei aveva voluto la prova che tutto ciò fosse autentico, senza sotterfugi, né strategie, né stupidi giochetti. Era un uomo leale, e per lui la verità delle azioni e la sincerità delle parole era fondamentale. Ed era quasi un eufemismo, dal momento che lei invece faceva il possibile per rendere il tutto meno chiaro possibile. Ma l’aveva fissata attentamente, faccia a faccia, quando si trattava di lei, sapeva scrutare l’invisibile.  
Quel toccarsi, quel respirarsi, quel gemere, non facevano che farlo precipitare più a fondo, sempre più a fondo, e farlo spogliare di ogni limite o preclusione autoinflitta. 
 
 
 
Una spinta decisa e profonda, la sua, il bacino che si spostava velocemente, entrambi che buttavano fuori un lamento di piacere e dolore, dando vita a un vortice da cui non si sarebbero ritratti. 
Spingeva lentamente, ma acquisendo vigore anche troppo in fretta, facendo sentire tutto il suo essere predominante in quella situazione, in quel gioco di corpi. Voleva prendersi la sua fetta di potere, Zoro, dal momento che non riusciva mai ad ottenerla in altro modo con lei. 
Le gambe di Nami che automaticamente lo imprigionavano, accompagnandolo in quelle spinte, aiutandolo col bacino. E lei lo sentiva, sentiva la smania del compagno per lei arrivarle fin dentro, lo sentiva quel desiderio bruciante che accendevano tutte le volte che si scannavano, ma che non riuscivano mai a consumare se non che a parole, con i pugni, da parte di lei, o i silenzi offesi, da parte di lui. 
Lo sentiva, Nami, mentre si sfregava con forza dentro di lei, con quel sorriso sghembo che ogni tanto appariva sul suo viso provato e frastornato, lo stesso che lo accompagnava solo nei momenti in cui era carico di eccitazione, come quando s’imponeva in battaglia.  E la sentiva Zoro, irrigidirsi, con quello sguardo che cambiava più volte emozione, dall’arroganza e la sfrontatezza, alla paura più tenera. 
 
 
Per Zoro il momento per sentirsi Dio arrivava quando lei gemeva per lui e si aggrappava in cerca di conforto; mentre per Nami arrivava quando lo sentiva sillabare il suo nome in quel momento di piacere di cui solo lei poteva essere spettatrice, ed era come equiparabile ad una dichiarazione, ad una richiesta, al bisogno di lei. Perché lei, lei soltanto, aveva il potere di renderlo vivo.  
 
“Così mi lascerai i lividi. E te ne farò pentire!”
“Ti sembra questo il momento per minacciare?”
 
Era come se lui in quel momento si sentisse invincibile, e lei invece cercasse di impedirglielo, solo per metterlo in difficoltà. Allora lui la fissava severo, la sfidava, senza smettere però di spingere in lei.
Il culmine sembrava sempre dietro l’angolo, dietro il secondo in arrivo, ma lui voleva e allo stesso tempo non voleva arrivarci subito. 
Allora spingevano insieme, e si abbracciavano, e si baciavano. 
Sussurri flebili in grado di stordire la mente, mentre carezze lente contornavano spinte più forti. 
Lei univa le loro labbra in un bacio urgente, bisognoso di stabilità che lui, nonostante tutto, era in grado di trasmetterle. 
 
Le immagini di tutte le volte in cui avrebbero voluto concludere così una conversazione tornarono a galla; frammenti di un amore provato ma non vissuto, di un sentimento cresciuto e mai cessato. 
Gemiti, graffi, baci, sospiri caldi. 
Una mano che, durante l’amplesso, spostava gentilmente i capelli dal viso di lei. Una guancia che, mentre lui faticava nel momento più delicato, si strofinava sull’altra, aiutandolo e incutendogli sicurezza. 
 
 
Quel bizzarro amore che li univa. 
Quel loro modo di avere sempre da dire uno all’altra, di contraddirsi, di ammonirsi, di rimproverarsi, per via di due caratteri forti, predominanti, che non scendono a compromessi, ma anzi si prendono la qualità migliore di sakè, anche se è più difficile da avere e più ardua da trovare. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il vociare del banchetto era ancora potente e si udiva in un lontano sottofondo. 
I fuochi d’artificio avevano però smesso, lasciando spazio al silenzio della notte - almeno quasi - al chiarore delle stelle che brillavano accese in cielo, e all’aria libera che poteva respirare insieme a loro, ai due protagonisti stesi su quel grande futon che gli stava accogliendo. Non sapevano nemmeno loro, quanto tempo fosse passato dall’arrivo di Zoro. 
Abbracciati, diventando quasi un tutt’uno, stavano in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri più privati.  
Stanchi dai festeggiamenti, inebriati dall’alcol, per nulla esausti però di quella connessione. Si erano amati quella sera, e ne erano entrambi consapevoli. Proprio per questo stavano in silenzio, sconvolti a loro modo da quel sentimento reciproco che gli aveva fatto passare il migliore festeggiamento di tutta la carriera piratesca. 
Lui si assicurava di coprire i loro corpi con i kimono che prima indossavano, non smettendo di abbracciarla sul fianco, con due mani intrecciate che si muovevano appena. 
Zoro, rilassato e sereno, così tanto che non aveva più cercato un goccio, aveva lasciato perdere le bottiglie, dimenticandole sullo sfondo. 
Nami, stesa al suo fianco, nella sua stretta, lo lasciava libero di pensare a lei, di coprirla, di scaldarla, di stringerla. Lui respirava lentamente, con l’alito alcolico che si poggiava su quella pelle candida, e lei faceva lo stesso, respirandogli sul collo morbido. 
Lo sentiva, Zoro, quel respiro caldo, e gli piaceva da matti averlo addosso; incentivo che lo porta ad avvicinarla a sé ancora di più, accostandoci le labbra affianco alle sue, per sentirlo ancora più forte quel richiamo, quella percezione piacevolissima. 
Lo sapeva, in fondo, che anche se lo faceva dannare come nessuna, era l’unica che poteva tenergli testa, farlo smuovere, renderlo attivo. 
Nami respirava scombussolata e sorpresa da come quella sera erano andate le cose. Aveva visto Zoro avvicinarla a lei, fino a sfiorarsi ancora labbra contro labbra, ma continuava ad avere la testa vuota, che girava e girava e girava ancora tante volte su sé stessa, imprimendo al centro di quel cerchio imperfetto, che la sua mente stava disegnando, quel tocco protettivo irrinunciabile che l’avvolgeva. 
 
 
 
“Dovresti tornare di sotto…” 
Riemergendo da quello stato meraviglioso, il cervello della navigatrice iniziava a riaccendersi, ripristinando pian piano il suo atteggiamento più razionale. 
“Umh?” 
Lui aprì l’occhio lentamente, come fosse stato disturbato da strane parole. “E perché mai?” Non aveva nessuna intenzione di muoversi da lì. 
“Sei sparito per troppo tempo…è meglio che ti faccia vedere, o qualcuno, e non faccio nomi, potrebbe insospettirsi. Ma anche altri potrebbero…”
“Ti fai troppi problemi” 
“Vedi che sei proprio tonto? Un insensibile selvaggio idiota! Devi tornare sotto, farti vedere da lei…”
La ragione riacquisita aveva fatto ricordare a Nami, che far soffrire inutilmente una donna buona, non rientrava nelle sue regole morali. 
“Ancora? Ancora con questa storia Nami? Anche dopo tutto quest…”
Un ceffone ben ponderato aveva interrotto il suo sproloquio borioso. 
“Non capisci mai niente! Vai di sotto e vedi non far capire che sei felice come una pasqua!”
“Ma quale felice, che mi hai fracassato la mascella!”
Si era messo seduto facendo scivolare il kimono dal suo addome, con sulla faccia impressi i denti a squalino. 
“Si, si…” 
Lo spinse via, lei, facendolo rotolare per tutto il futon e rovesciare sul pavimento gelido con il suo yukata attorcigliato attorno alla vita a coprire le sue zone intime.
“Dannata Nami! Sto congelando! Sei la peggiore, la peggiore donna che…”
“Va bene, va bene…quando te ne vai, porta via anche le bottiglie vuote!” 
“Non sono il tuo schiavo! Questa cosa non ti dà alcun potere su di me, sappilo!”
“Non dimenticarti di quella che è caduta!” 
 
 
 
 
 
Una volta di sotto, il verde si ritrovò metà delle persone che c’erano prima della sua temporanea sparizione. Ma ovviamente la tavolata di prima ospitava ancora pirati e samurai, tra cui il suo insaziabile capitano e il festaiolo cyborg, accompagnato dal temporaneamente malinconico Brook, formando la squadra dei più resistenti al caos di una festa. 
Dopo aver gettato le bottiglie vuote nella spazzatura, stiracchiato le braccia e scosso il suo yukata ormai estremamente sgualcito, si era incamminato per raggiungerli, prendendo lo stesso posto che aveva prima, ma trovando libero quello al suo fianco che era stato di Hiyori. 
“Zoro! Finalmente! Dove sei stato?”
“A fare due passi!”
“O due salti…” bofonchiò Franky, con tono volutamente alto, tossendo per finta, tanto per farsi notare. 
“Che cosa hai detto?”
“Andiamo…” sghignazzò furbo.” Anche la principessa di Wano è tornata da pochi minuti. Coincidenza?”
Lo spadaccino ringhiò infastidito. Se solo non fosse stato certo che Nami l’avrebbe ammazzato davvero, avrebbe urlato al cyborg quella verità, togliendosi di dosso tutte quelle continue frecciatine sull’ipotetico rapporto amoroso che lo vedeva coinvolto. 
Vide la ragazza in questione poco lontano la lì, aspettava Denjiro, che stava arrivando con un vassoio ricco di bevande da gustare, attorniata da un folto gruppo di persone, tra pirati e samurai, che ci provavano spudoratamente. 
Quando i loro sguardi s’incrociarono, lei alzò la mano in segno di saluto affettuoso, ma senza andare oltre, nessun abbraccio, nessuna attenzione eccessiva, per poi rivoltarsi al gruppo che aveva intorno. 
“Avete una fervida immaginazione…”
Zoro si era rimesso comodo, notando alla fine della stanza, che una ragazza su di giri, con i capelli rossi, e lo sguardo soddisfatto, prendeva posto in uno di quei tavoli. 
“Quella è la donna più bella di Wano…ed è pure una principessa. Sei dannatamente fortunato.”
Piagnucolò Brook, entusiasta di osservarla anche da lontano.
Zoro allungò il braccio e trascinò a sé il boccale vuoto, riempiendolo di quel suo sakè preferito, ricomparso magicamente sulla tavola. 
 
“Vedete…c’è il migliore sakè per tutti, e la migliore qualità di sakè che è solo per te stesso” 
“E questo che diavolo dovrebbe significare?” 
Buttò giù il contenuto in un sorso, alzando il boccale in aria verso la compagna, che ricambiò con un gesto della testa con fare furbetto.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice________________
 
Hello! 
Come preannunciato in alto, non c’è molto da dire. In un forte momento di carenza scene ZoNami, ho preso una vecchia bozza e l’ho sistemata. Ma davvero, nessuna pretesa, nessun grande impegno, probabilmente nessuna struttura, poco senso, e un finale veramente meno che mediocre! Ahah 
In questo momento nemmeno riesco a capire se almeno sia riuscita a dare un po’ di spessore e carattere originale ai due protagonisti, a tratti mi sembra di sì, a tratti assolutamente no. 
Quindi questo è il pacchetto che sono consapevole di stare consegnando. 
Tra l’altro, come una stupida, ho dovuto riscrivere tutte le modifiche alla bozza, perché stamattina ho sbadatamente cancellato il documento che conteneva la prima revisione scritta completa e scritta meglio. Dunque, in questa non potuto riportare le migliori intuizioni arrivate il giorno prima come ispirazione.  
 
Inizialmente non volevo pubblicare storie ambientate a Wano prima di vedere la fine della saga, che ahimè, arriverà sicuramente quando avrò l’età della pensione. Quindi ho deciso di pubblicarle lo stesso, tanto sono comunque pura invenzione. 
 
Probabilmente tra qualche giorno/settimana/mese mi vergognerò molto di averla pubblicata, ma nel caso sia riuscita a far sorridere, sognare, divertire anche solo qualcuno, allora mi sarò messa in imbarazzo più che volentieri. 
Come sempre, v’invito a scrivermi per parlare con piacere, anche solo per dire quanto abbiamo bisogno di ZoNami. 
Sul serio, la parola chiave è “nessuna pretesa”. 
Vi abbraccio
Roby 
 
 
   
 
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