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Autore: Zobeyde    27/01/2022    6 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TRADIMENTO

 
 
 


And I said hello, Satan
I believe it is time to go
Me and the Devil walkin' side by side...
https://www.youtube.com/watch?v=POWT3aei9Ow&ab_channel=JRViralHits
 
 
 
 
Jim non ci stava capendo più niente. E non solo perché tutto il sangue gli era defluito verso il basso.
Provò a muoversi, ma il potere di Alycia lo teneva inchiodato alla parete del vagone, con le braccia spalancate e i pantaloni calati sulle caviglie.
«C-che significa?» riuscì a balbettare. «Ti ho fatto male? Ho detto qualcosa…?»
«Non sei chi dici di essere» lo interruppe lei con veemenza. «Che ci fai davvero insieme a mio padre? Cosa state macchinando? Dimmi quello che sai, avanti!»
Jim sentì la pressione aumentare al punto che gli venne meno il respiro. Se avesse premuto ancora, avrebbe sfondato la parete o gli avrebbe sfondato il torace…
«Non…non so cosa vuoi che dica!» annaspò, ora seriamente agitato. «M -mi chiamo Jim Doherty, vengo dal New Jersey; s-sono figlio di un Mancante e di una strega. Faccio il p-prestigiatore e ho incontrato tuo padre per puro caso…»
«Puro caso?» sibilò Alycia. L’aria che aveva intorno sfrigolava ed era davvero molto pallida, ma nei suoi occhi vi era qualcosa di diverso dalla semplice collera; era arrabbiata sì, ma soprattutto spaventata. «Non credo sia un puro caso che l’Arcistregone dell’Ovest si sia interessato a te: la tua aura magica…è diversa da ogni altra aura che abbia mai percepito in vita mia. Tu non sei un comune mago.»
Sconvolto, Jim si umettò le labbra. «Alycia, non ho idea di cosa stai dicendo…»
«Bugiardo!»
«È la verità» ribatté lui, con voce strozzata. «Lo giuro sulla mia vita, non ti sto nascondendo niente!»
Alycia però continuò a scrutarlo con diffidenza. Sembrava che tutto in lei fosse in preda a una lotta furiosa…
«Mi dispiace se ti ho spaventata» disse Jim, la gola secca. «Ne possiamo parlare se vuoi…ma prima, potrei alzarmi i pantaloni?»
Senza smettere di fissarlo in maniera guardinga, lei abbassò lentamente la mano. «Non stai mentendo.»
Di nuovo libero di muoversi, lui riallacciò i pantaloni in tutta fretta. Alycia, invece, scivolò silenziosamente giù dal letto; senza guardarlo, riabbottonò il vestito e si chinò per cercare una scarpa.
«Alycia.» Jim le andò vicino, confuso, impotente. «Non capisco, che cosa è successo? Eravamo così in sintonia, era bellissimo…»
Lei non rispose, continuando a dargli le spalle mentre infilava le scarpe. Lui fissò la sua schiena e sentì qualcosa dentro di sé incrinarsi. «Parlami, per favore…»
«È stato uno sbaglio venire qui.» La sua voce tremava come se fosse sull’orlo delle lacrime. Quando Jim cercò la sua mano, si ritrasse. «Devo tornare da mio padre adesso. Mi dispiace, Jim. Addio.»
«Aspetta!»
Troppo tardi.
Non appena la porta si aprì, Jim fu investito da una raffica di acqua e vento e un istante dopo lei già non c’era più, inghiottita dalla pioggia.
 
 
Alycia apparve nell’atrio della magione dei Winters e si abbandonò di peso contro la porta chiusa. Era senza fiato.
Abbassò le palpebre e compì dei profondi respiri, cercando di calmare il proprio cuore che continuava a battere come un tamburo nelle tempie.
Tradita. Umiliata. Delusa. Aveva scelto di fidarsi, in nome di quell’amore che, come figlia, provava malgrado tutto verso suo padre. E ancora una volta, come tutte le volte, lui era riuscito a spezzarle il cuore.
Non glielo avrebbe più permesso.
Quando fu sicura di aver recuperato il controllo, marciò decisa verso il salotto. Spalancò le eleganti porte vetrate e trovò suo padre intento a leggere in poltrona, avvolto nella sua vestaglia di velluto blu e con i pince-nez appollaiati sul naso storto: un subdolo calcolatore, celato sotto l’aspetto di raffinato signore di mezza età. Ma come aveva sentito dire spesso dai Mancanti, il Diavolo è nei dettagli.
«Ciao, tesoro!» la accolse allegramente. «Non mi ero accorto che stesse piovendo. Hai trascorso una bella serata?»
Alycia rimase sulla porta coi pugni stretti, i capelli e il vestito che gocciolavano sul tappeto persiano.
«So chi è Jim.»
Lo stregone assunse un’espressione perplessa, ma Alycia non si lasciò incantare.
«Jim è l’arma» disse, sforzandosi di contenere il ribollire delle proprie emozioni. «Quella di cui parla la Profezia, quella che gli Zeloti dell’Eretica stanno cercando. E tu te ne stai servendo.»
Solomon Blake inspirò profondamente dal naso. Rimosse i pince-nez, se li infilò in tasca. «Siediti, per favore.»
«Non voglio sedermi!» esplose Alycia. «E non voglio un tè del cazzo..!»
«Linguaggio, signorina! Sono sempre tuo padre.»
«...Voglio che tu mi dica cosa stai facendo con quel ragazzo, adesso!»
L’onda d’urto scatenata dal suo potere fece tremare ogni singolo oggetto nella stanza; un quadro si staccò dalla parete e cadde a terra con uno schianto e le braci nel camino mandarono un’improvvisa fiammata. Suo padre non si scompose.
«Ti ho chiesto di sederti.»
Non aveva alzato la voce, ma c’era in essa una tale autorità che chiunque avrebbe sentito come primo impulso quello di ubbidire.
Su Alycia ebbe il solo effetto di duplicare la sua collera. Strinse i pugni con tanta forza da conficcarsi le unghie nella carne e continuò a sostenere lo sguardo di suo padre; la serena complicità di poco prima era svanita assieme al suo sorriso e l’azzurro dei suoi occhi aveva assunto una tonalità profonda, temporalesca.
«Dammi una buona ragione per cui non dovrei denunciarti seduta stante» disse Alycia. «Dimmi che non stai addestrando Jim per colpire Arcanta, che non sei un traditore!»
«Ti garantisco che non è come pensi.»
«In nome dei Fondatori, avevi giurato che saresti cambiato, che potevo fidarmi di te! E in tutti questi anni non hai fatto che riempirmi di bugie!»
«Vogliamo parlare delle tue di bugie?» chiese Solomon, guardandola con tale durezza che per un istante Alycia si sentì vacillare. «Credi che non sappia il vero motivo che ti ha spinta a tornare? Sei stata gli occhi e le orecchie di Boris Volkov sin dal principio. Tu, mia figlia.»
«Oh, non provarci neanche!» gridò lei. «Non cercare di farmi sentire in colpa! Sei tu qui il bastardo manipolatore: hai lasciato che mi avvicinassi a quel ragazzo, che diventassimo amici. Ci hai usati entrambi. Se fossi stato sincero con me non sarei arrivata a tanto!»
«Non sono io quello che ti sta manipolando, Alycia» disse Solomon, con sfrontata sicurezza. «Boris è disposto a tutto per screditarmi, anche a servirsi di te. Vuole convincere Arcanta che sia il nemico, ma non è così.»
«E ti aspetti davvero che io ti creda?» fece Alycia. Sentiva la gola gonfia e gli occhi in fiamme. Tutto il lei stava urlando, di rabbia, dolore. «Boris è stato la mia casa, mi ha protetta, mi ha aiutata…mentre tu non hai fatto altro che mentirmi: secondo te a chi dovrei offrire la mia lealtà?»
«A nessuno dei due» rispose suo padre. «Devi fare semplicemente ciò che ritieni giusto. Ma prima di prendere una decisione, prima di denunciarmi al Decanato, prima di gettare Jim in pasto al Lupo Grigio, faresti meglio ad ascoltare la storia per intero.»
Lei non si mosse, scrutandolo in allerta. Era un altro dei suoi trucchi? Una tattica per confonderle le idee…?
«Siediti» ripeté lui, per la terza volta. La invitò con un cenno educato e la seconda poltrona scivolò in avanti verso di lei. «Avrai le risposte che cerchi, ma prima dovresti cambiarti quei vestiti bagnati: sarà un racconto lungo.»
 
◊◊
 
Quella notte Jim non chiuse occhio.
Restò sdraiato sulla schiena a fissare il soffitto della cabina, mentre le ore si susseguivano con lentezza snervante e lui si massacrava il cervello per capire cosa fosse successo, dove avesse sbagliato. Cosa avesse fatto per spingere Alycia a scappare in quel modo. E pensare che una volta tanto aveva cercato di fare tutto per bene, di non comportarsi da cazzone come suo solito. Un istante prima stavano toccando il cielo con un dito e poi…lei lo incollava al muro e cominciava a fargli il terzo grado.
“La tua aura magica…è diversa da ogni altra aura che abbia mai percepito in vita mia. Tu non sei un comune mago.”
Che cosa intendeva dire? Cosa lo rendeva diverso da tutti gli altri? Blake non aveva mai accennato a niente del genere e aveva visto crescere i suoi poteri per mesi, giorno dopo giorno…
Un dolce miagolio annunciò il ritorno di Lily, la misteriosa gatta-demone che aveva deciso di diventare il suo famiglio; saltò sul letto e si andò ad acciambellare sulla sua pancia. Jim ne percepì il peso caldo e rassicurante e l’accarezzò, mentre cercava di mettere in ordine i pensieri. Lily gli restituì in cambio un trionfo di fusa.
Per tutto quel tempo aveva dato per scontato che Solomon Blake fosse solo un eccentrico mago in pensione a cui piaceva fare esperimenti lontano dallo sguardo delle autorità, andandosene a zonzo per il mondo grazie a qualcosa che aveva scoperto sugli specchi. Un anticonformista affamato di conoscenza, sì, ma innocuo.
Ora non era più sicuro che le cose stessero così. Ora aveva la certezza che il suo maestro gli stesse nascondendo qualcosa, qualcosa di enorme e potenzialmente pericoloso…
Qualcosa che lo riguardava molto da vicino.
Lo costringerò a dirmi la verità, si disse con una nuova determinazione. E chi se ne frega se ho giurato di fidarmi a prescindere da tutto: risponderà alle mie domande o sarò io a minacciare di andarmene.
Se c’era qualcosa in lui che a Blake serviva, era suo interesse metterlo al corrente dei suoi piani. E per Jim era un diritto sacrosanto.
Attese con impazienza il mattino, preparandosi per quel confronto. Chissà se sarebbe riuscito a rivedere Alycia, a parlarle prima che tornasse ad Arcanta…
Il suo ultimo pensiero fu per lei, dopodiché si addormentò senza accorgersene.
 
Bianco.
Un foglio bianco posato di fronte a lui su un tavolo, in una cucina povera ma accogliente. Dalla finestra spalancata giungeva il cinguettio degli uccelli e il caldo sole estivo inondava i campi dove suo padre era a lavoro dalle prime luci dell’alba.
Sollevò lo sguardo sulla donna che gli sedeva di fronte, il volto pallido e magro, non proprio attraente e un sorriso incoraggiante a fior di labbra.
«Fa’ un tentativo.»
Strinse la matita nel suo piccolo pugno da bambino. Non capiva cosa sua madre si aspettasse da lui, non era mai stato granché nel disegno. Era lei quella brava. Raffigurava gli animali della loro fattoria in maniera talmente realistica che James avrebbe giurato di averli visti respirare sulla carta.
«Avanti, Jamie.» La voce della mamma era gentile come sempre, ma in essa lui percepì una strana urgenza. «I nostri amici torneranno a trovarci molto presto, non vuoi far vedere quanto sei diventato bravo?»
Sebbene facesse caldo, James rabbrividì nel suo completino alla marinara.
Gli amici della mamma. Quegli strani uomini e quelle strane donne che arrivavano all’improvviso solo quando papà andava fuori città.
Non si trattenevano mai a lungo, ma James contava i minuti con le dita dei piedi arricciate nelle scarpe finché non se ne andavano. Gli facevano paura e, da come la mamma sussultava ogni volta che comparivano alla porta, capì che forse facevano un po’ paura anche a lei. Ma li accoglieva sempre con un sorriso, offriva loro tè e una fetta della sua torta alla melassa. Poi, faceva sedere James a quello stesso tavolo, gli metteva davanti un foglio identico a quello e una matita e lo incoraggiava a disegnare la prima cosa che gli veniva in mente. Gli amici della mamma si limitavano a osservarlo, senza fare commenti e senza un sorriso.
«Puoi disegnare tutto quello che vuoi» disse lei. «Un dolcetto o un balocco. Oppure qualcosa di più semplice.»
James guardò fuori dalla finestra; c’era un vaso di gerani sul davanzale e due farfalle bianche vi svolazzavano intorno.
Tornò a guardare il foglio e cominciò a tracciare qualcosa. Sua madre lo fissava in silenzio, le dita strette come in preghiera. Quando James ebbe terminato, avvertì un tremendo mal di testa e i contorni della stanza divennero doppi…
Sul foglio bianco, la piccola farfalla che aveva disegnato sbatteva le ali furiosamente.
«Vuole uscire» commentò la mamma. «Perché non la aiuti, Jamie?»
James fissò il piccolo insetto che si dimenava, prigioniero della carta. Esitante, immerse le piccole dita nel foglio come fosse una scodella di latte e un istante dopo, la farfalla era nel suo palmo. Sbatté le ali due volte ancora, poi non si mosse più. Adesso, al suo posto, vi era una strana melma nera e appiccicosa, che gli colava tra le dita.
Sua madre sospirò, poi gli accarezzò il braccio.
«Non fa niente, tesoro. La prossima volta andrà meglio.»
 
Jim si tirò a sedere sul letto, scosso e sudato.
Era la prima volta che gli capitava di fare un sogno del genere. Appena sveglio, aveva avuto la sensazione che non si trattasse di affatto un sogno ma di qualcosa di realmente accaduto…ma più ci pensava, più si sforzava di riportare a galla i dettagli, più si convinceva che fosse impossibile. Non ricordava niente di vagamente somigliante a quell’episodio nella sua infanzia.
Intanto, si era fatto giorno pieno.
Si vestì in fretta, continuando a ripensare ossessivamente al sogno, e poi uscì dalla cabina. Nel momento in cui posò piede a terra, si accorse dello strano movimento di uomini e bestie intorno a lui: gli operai andavano e venivano, trasportando grossi pali, riavvolgendo funi e strattonando cavalli. Jim li osservò senza capire che accidenti stessero facendo. Solo quando guardò il tendone, stagliato contro il cielo nuvoloso, afflosciarsi progressivamente, realizzò: per qualche assurda ragione erano in partenza.
«Ma che diamine…?»
Nessuno fece caso a lui mentre s’incamminava per l’appezzamento, calpestando pezzi di zucca e resti di addobbi di Halloween, finché non si imbatté in un gruppo di operai che trasportavano gabbie dal serraglio verso il treno; individuò subito Sinclair appoggiato contro un carro, che sfogliava un fumetto di Popeye.
«Buondì, superstar» lo apostrofò senza staccare gli occhi dalle pagine.  «Abbiamo fatto le ore piccole ieri con quella brunetta, eh…?»
«Che sta succedendo?» domandò Jim, bruscamente. «Perché smontiamo?»
Lui fece spallucce. «Il Folletto ha radunato tutti stamattina presto, dice che ci ha trovato un altro ingaggio.»
«Cosa?» esclamò Jim. «Ma non ha senso! E lo spettacolo?»
«E io che ne so? Eseguo solo gli ordini. Ora levati dai piedi, Khazam, stiamo lavorando.»
Un energumeno sudato e sporco lo buttò letteralmente all’aria mentre si issava in spalla due grossi sacchi. Jim proseguì oltre alla ricerca del direttore, l’unico in grado di dargli delle risposte, finché non si ritrovò a correre disperato.
«Maurice!»
Risalì il binario, mentre un cordone di fumo nero si levava già dalla locomotiva, e trovò il Folletto vicino alla Squadriglia Volante che sbraitava ordini a destra e a manca; sembrava che avesse una gran fretta di andarsene.
«Ti sei degnato di svegliarti finalmente!» ragliò quando lo vide. «Sistema la tua roba, il treno riparte tra mezz’ora.»
«Mi dici che cosa stai facendo?» fece Jim. «Lo spettacolo è stasera!»
«L’ho annullato» rispose semplicemente il direttore. «Ce ne andiamo in Kansas, ho sentito di una grande fiera agricola a Indipendence: l’avresti saputo anche tu se non avessi passato la mattinata a poltrire!»
«E il signor Blake è al corrente di questa tua brillante idea?»
O’Malley fece una smorfia e sputò a terra. «Non ho più intenzione di prendere ancora ordini da quel fanfarone impomatato! Sarà la nostra rovina, lui e quella sua stramaledetta magia!»
«Lo stesso fanfarone che ha sborsato un milione di dollari per farti realizzare lo show dei tuoi sogni, intendi?» replicò Jim, furente. «Non credo sarà contento di questa tua iniziativa.»
«Me ne infischio se ne sarà contento o no!» Il Folletto infilò una mano sotto la giacca e ne estrasse un documento, poi lo strappò, proprio di fronte agli occhi sgomenti di Jim. «E me ne infischio del suo contratto del cazzo! Non gliene è mai importato un fico secco di noi a quello lì.»
«Come se a te invece importasse!» esclamò Jim. «Te ne stai nel tuo ufficio a contare i soldi mentre gli operai fanno affari con dei poco di buono e maltrattano i tuoi animali! Bel direttore che sei!»
Si rese conto che molti altri membri della compagnia si erano avvicinati per assistere, mormorando con stupore.
«Bada a come parli, ragazzo» lo avvertì O’Malley, guardandolo storto con quella sua brutta faccia da demonio. «Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo. Ora fai i bagagli e sali su quel cazzo di treno, altrimenti…»
Il sangue di Jim prese fuoco nelle vene.
«Altrimenti cosa? Mica sei mio padre!»
Per un attimo gli parve di cogliere una specie di fremito nello sguardo di ghiaccio di O’Malley. Poteva essere davvero delusione? Qualunque cosa fosse passò in un baleno, divorata dalla collera mentre ringhiava: «Non ho mai voluto farti da padre. Sei una spina nel fianco dal giorno in cui sei arrivato!»
Quelle parole gli bruciarono più di quanto avesse voluto ammettere.
«Bene» lo sfidò Jim. «Allora ti conviene trovarti un altro mago. Perché io con te ho chiuso!»
Prima che potesse fermarlo, mollò lì O’Malley che continuava a urlargli addosso e raggiunse il suo vagone, accompagnato dal brontolio lontano dei tuoni.
La porta della cabina si spalancò da sola e Jim entrò, desideroso di prendere a pugni qualcosa. Afferrò un borsone e con gesti bruschi e rabbiosi vi spinse dentro tutto ciò che gli capitò sottomano. Infine, smontò un cassetto e raccolse il bozzolo di stoffa nascosto in cui erano avvolti i suoi risparmi. Li intascò e si issò la borsa in spalla. Ma, non appena uscì, trovò una schiera di operai a bloccargli la strada.
«Levatevi dalle palle» intimò Jim, ma i gorilla della sicurezza non si spostarono di un centimetro.
«Ci è stato ordinato di caricarti sul treno» disse Sinclair, col suo solito ghigno beffardo.«E di fare in modo che tu ci rimanga.»
«È uno scherzo!?»
Uno degli operai più grossi, Big Joe, si mosse verso di lui e Jim arretrò, inghiottito per intero nella sua ombra.
«Avanti» lo canzonò Sinclair. «Fai il bravo, ragazzino, e vieni con noi con le buone. È il circo il tuo posto e lo sarà per sempre.»
Jim strinse i pugni, la voce che tremava di furore represso: «Ve lo dico un’ultima volta. Levatevi di torno!»
Fu allora che accadde.
Il mondo si spense e il campo, il treno in partenza, tutto fu risucchiato nel buio più denso e assoluto. Il Vuoto gli si agitò intorno come se fosse vivo e Jim percepì qualcosa staccarsi da esso, qualcosa dotata di peso e consistenza. Poi però udì qualcos’altro, da qualche parte…
«Per l’amor di Dio, fate qualcosa! Sta soffocando!»
Una voce chiamò il suo nome e avvertì delle mani strattonarlo, trascinarlo di peso fuori dall’oscurità senza forma…
«Jim!» La faccia di Wilhelm Svanmör comparve a un palmo dalla sua, mentre lo scuoteva per le spalle. «Devi fare qualcosa! Aiutalo!»
Jim ripiombò bruscamente in quel campo accanto alle rotaie. Si ritrovò in piedi, nell’abbagliante luce del giorno, a fissare qualcosa di fronte a sé.
Big Joe era a terra a poca distanza, le gambe che sussultavano, gli occhi fuori dalle orbite e la schiuma alla bocca. Attorno a lui si era creata una gran calca di operai e circensi e tutti urlavano e gesticolavano.
In preda alla confusione e all’orrore, Jim riscoprì all’improvviso di essere in grado di muovere le dita e in quell’istante l’uomo tornò a respirare.
«Che accidenti succede qui?» sbraitò O’Malley, facendosi largo tra la folla e agitando il bastone. «Qualcuno si è fatto male..?»
«È stato lui!» latrò Sinclair, gli occhi sbarrati e il dito puntato verso Jim. «Voleva ammazzarlo, cazzo! L’abbiamo visto tutti!»
«Cosa?» O’Malley si voltò lentamente, sbalordito. «Che storia è questa?»
Jim non sapeva cosa dire. Non aveva alcun ricordo di cosa fosse successo. Un attimo prima stavano parlando e un attimo dopo…
«Con che razza di psicopatici abbiamo a che fare?!» ululò qualcuno tra gli operai, mentre altri aiutavano Big Joe a rimettersi in piedi. «È un mostro! Un assassino!»
Sconvolto, Jim si voltò verso Wilhelm e Vanja in cerca di aiuto. «Io…io non ho fatto niente.»
Wilhelm tirò indietro sua sorella, che fissava Jim costernata. E non era la sola a guardarlo in quel modo: Dot nascondeva i bambini dietro la sua mole, mentre Rodrigo scuoteva la testa mormorando “madre de Dios”. Infine, Jim incrociò lo sguardo addolorato di Margot.
Erano sconvolti e spaventati.
Ed era proprio Jim a spaventarli.
Fu come non avere più la terra sotto i piedi. Indietreggiò, incespicò nei propri passi. Doveva andarsene di lì. Subito.
Si voltò e corse via, mentre la folla ammutolita si apriva al suo passaggio.
S’infilò tra i vagoni e camminò attraverso il prato, allontanandosi ad ampie falcate dal treno e dalla compagnia, quando una voce lo raggiunse: «Jim, aspetta!»
Si costrinse a rallentare e a fermarsi, ma non si voltò. Sentì i passi di Arthur fermarsi a poca distanza.
«Dove stai andando? Che è successo poco fa? Ho sentito delle urla…tu stai bene?»
Grazie al cielo almeno lui non era lì ad assistere. Jim deglutì con fatica, la saliva nella sua bocca densa come uno sciroppo amaro. «Non partirò con voi. Ho...ho deciso che rimango qui con Blake.»
Arthur ci rimase. «Ma ero convinto che fossimo d’accordo, che una volta finito con le lezioni...»
Jim si voltò e la rabbia prese il sopravvento, una rabbia a lungo trattenuta, che necessitava di una valvola di sfogo. «Cosa, Arthur? Cosa credevi che sarebbe successo? Che sarei tornato a umiliarmi per divertire un branco di trogloditi mentre Maurice si rimpingua le tasche?»
L’espressione di Arthur si rabbuiò. «No, però pensavo che alla fine avresti scelto la tua famiglia. Non un tizio che conosci da appena un paio di mesi...»
«Tu non hai mai voluto accettarlo.» Jim scosse la testa. «Io non sono come voi, Arthur, non lo sarò mai. Blake mi ha solo aiutato a capirlo...»
«Ti sta manipolando» ribatté Arthur. «Sta facendo di tutto per farti diventare uguale a lui, ma questo non sei tu, Jim!»
«Io sono uno stregone!» esplose Jim. «Ho il potere di plasmare la materia, di trasformare la parola in azione! E chissà cos’altro ancora potrei imparare se continuassi!»
«Pensavo che il tuo obiettivo fosse impedire ai tuoi poteri di fare del male agli altri» disse Arthur, in tono duro, di rimprovero. «Di dare una mano alla compagnia. Me lo hai detto anche ieri sera, o erano tutte balle?»
«Be’ forse l’ho detto solo perché tu continui a farmi sentire in colpa!» gridò Jim, ormai fuori di sé. «Sei mio amico, cazzo, dovresti essere felice per me! E invece sono mesi che mi rinfacci questa storia delle lezioni di magia, come se vi stessi tradendo...»
«Io non ho mai detto...»
«La verità è che sei invidioso!» disse Jim, dando voce a ogni pensiero cattivo e rancoroso la sua mente fosse in grado di formulare. «Ti rode che io abbia trovato una possibilità di riscatto. Ma sai una cosa? Hai sempre avuto l’opportunità di avere una vita migliore, ma non hai mai avuto le palle di coglierla, quindi non dare a me la colpa! Potresti ribellarti in qualsiasi momento, ma non lo fai, perché a quelli come te e tuo padre in fondo piace prendere ordini da tutti!»
Arthur si irrigidì di colpo, qualcosa nel suo sguardo cambiò. «“Quelli come me e mio padre?”»
Jim tacque all’istante, sorpreso e disgustato dalle sue stesse parole. «No… non hai capito, non è quello che volevo dire…»
«Invece ho capito perfettamente cosa volevi dire» disse Arthur, e sulla sua faccia era dipinta una delusione così profonda che Jim non sarebbe mai riuscito a cancellarla dalla memoria. Mai. «Hai ragione, potrei andarmene ma non lo faccio, perché non posso risolvere i miei problemi con una formula magica, posso farlo solo prendendomi le mie responsabilità. E soprattutto, io non abbandono chi ha bisogno di me! Vediamo se indovino: ieri sera eri così impegnato a correre dietro alla figlia di Blake che non ti sei neanche preoccupato se io Vanja, Rodrigo e Wilhelm fossimo al sicuro dagli Accalappiatori!»
«Arthur, mi…»
«Se pensi che Blake e la magia renderanno la tua vita migliore, allora prego, va’ pure!» disse Arthur con astio, ma la sua voce tremava. «Diventa un grande stregone, prenditi la fama, tutto quello che vuoi! Non sarò certo io a impedirtelo!»
Jim serrò i pugni, sentendo le lacrime affiorare. Si voltò e riprese a correre, senza più voltarsi. Cosa avrebbe potuto dire? Cosa avrebbe potuto fare per cambiare quello che era successo? Così corse via, senza sapere dove andare, desiderando solo di allontanarsi il più possibile da lì. Desiderando solo sfuggire da se stesso. 
 
Nel giro di un’ora, una pioggia tenace ricominciò a bagnare la campagna, rendendo quasi difficile scorgere la sagoma bianca della magione.
Ma i piedi di Jim ormai conoscevano la strada.
Bussò un paio di volte e Solomon Blake apparve sull’uscio, sorridente e in vestaglia.
«Oh, eccoti! Scusa se sono in desabiles, ma ho pensato ti fossi preso un giorno di riposo… Jim, cosa è successo? Stai bene?»
Il ragazzo se ne stava impalato sotto al porticato ed era completamente fradicio, i capelli appiccicati sulla fronte gocciolanti. Aveva gli occhi gonfi e arrossati e tremava così forte che il suo corpo era scosso da spasmi.
«Ho fatto la mia scelta» mormorò, mentre le gocce di pioggia scendevano lungo il viso. «Ho lasciato la compagnia.»
Sorpreso, Blake aprì la porta completamente. «Raccontami tutto.»
Non appena ebbe varcato la soglia, il ragazzo si gettò di peso contro Blake e si abbandonò a un pianto disperato. Lo stregone non seppe come reagire e gli diede delle goffe pacche sulla schiena. Confortare la gente non era mai stato uno dei suoi talenti.
«Va tutto bene. Hai preso la decisione giusta.»

 
  
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