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Autore: Gaia Bessie    28/01/2022    4 recensioni
[Encanto]
In un mondo dove l'abbraccio tra Mirabel e Isabela è bastato a non far crollare la casita, Isabela decide che sposerà comunque Mariano. Ma Camilo non è d'accordo.
[dal testo]: «Così, sei rimasta sola» commenta, ridendo e spezzando il silenzio. «Mi dispiace. Troverai qualcuno migliore di quel bellimbusto».
C’è amara consapevolezza, nel suo tono di voce – ironia. Isabela sospira, sedendosi sul bordo del suo letto, tra le coperte color perla.
«Sei stato tu».
«Perché?».
Camilo non domanda altro – perché? – ma senza guardarla mai negli occhi: forse teme che, se questa volta vi si specchiasse, Isabela lo scorgerebbe rannicchiato nell’iride scura, nudo e piangente, e scoprirebbe qual è il suo vero volto.
«Lo sai» sibila, scuotendo i lunghi capelli neri. «Quello».
«Quello cosa?».
Lo fa ridere – un suono simile allo sfregare di due cocci di vetro, quando Camilo sorride e mostra i denti (ceramica).
«Smettila».
«Di fare cosa?».
«Questo».
[Questa storia partecipa agli "Oscar della penna 2022" nella categoria "Miglior Film d'animazione" indetti sul forum Ferisce più la penna]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilo Madrigal, Isabela Madrigal
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quand’è che hai smesso di dirmi le cose, Isa?
 
Questo o quello?
 
Isabela comincia a organizzare il proprio matrimonio – Camilo diviene cupo e intrattabile che, avesse il dono della madre, avrebbe scatenato almeno una tempesta di neve: gli domandano cos’è a renderlo inquieto, ma lui non risponde mai.
Mirabel sorride per farlo sorridere ma il suo primo non ricambia mai: s’aggira come anima in pena per la casita, mentre i Madrigal provano, uno dopo l’altro, a estorcergli una confessione.
Tentano tutti: i suoi genitori, tìa Julieta e un vassoio di dolci, Augustin e una chiacchierata da uomo a uomo, Dolores, Mirabel e perfino Abuela fa il suo tentativo: non cavano un ragno dal buco e Camilo è sempre più inquieto nei suoi panni (sbagliati).
Isabela arriva per ultima, con un cesto di primule appeso al braccio e i capelli scarmigliati e in disordine – lui non glielo domanda, se è stato Mariano a ridurglieli in quello stato (pietoso, pietoso). E non glielo domanda non perché Isabela non risponderebbe, piccata, che alla sua età capita.
Non glielo domanda perché Camilo ha il terrore del suono di quella risposta – saprebbe di uno specchio spaccato con un’ombra riflessa.
È che lui è tutto ombroso e dai contorni incerti: puoi fidarti di quel che senti, quando non sai con precisione chi sei?
Così, quando Isabela si risolve a domandargli perché si stia comportando come un bambino, Camilo glielo dice compitamente: quand’è che hai smesso di dirmi le cose, Isa?
«Io ti dico le cose» commenta lei, perplessa. «Non so di che parli».
«Lo sai» risponde Camilo, acido. «Lo sai».
«Oh, Camilo!».
Tende una mano, per dargli un buffetto in testa, ma lui la scaccia via come un insetto fastidioso (fastidiosissima, Isa) e le lancia uno sguardo scuro e tempestoso – lei sospira, con i fiori che si agitano nel cestino al ritmo del suo nervosismo.
«Non t’importa niente, non è vero?» domanda Camilo, stizzito. «Di ferire Dolores, di non essere felice e di…».
Non completa la frase – se lo facesse, dovrebbe confrontarsi con il suono delle sue stesse parole e, alla vigilia dei propri diciotto anni, Camilo Madrigal ancora non ne ha trovato la forza: gli anni sono scivolati via come acqua piovana ma, nel momento in cui finalmente gli tocca dire la verità e nient’altro che la verità, la volontà vacilla al ritmo del suo cuore ticchettante.
«Ho ventisei anni» risponde lei, piccata. «Mi sposerò perché è giusto che lo faccia: ho ritardato questo momento per quattro anni, Camilo, ma adesso va bene così».
«E ti va bene per davvero?» domanda il ragazzo, con una risata amarissima. «Sposare un uomo che non ami, essere infelice».
«Chi ti ha detto che non lo amo?».
«Accontentarsi non è amore, Isa, e da qualche parte dentro di te devi saperlo anche tu».
Ma lei non lo sa – perché glielo dà davvero, quel buffetto, condendogli i capelli con una pioggia di petali di rosa rossa: ride, la figlia maggiore di Julieta, come se non fosse in grado di riconoscersi in quelle parole.
«Sposerò Mariano perché è giusto così» sibila. «Perché mi merito una vita perfetta, dei figli che somiglino a me e, sul finire, la felicità: che Dolores pensi a cercarne uno suo, di marito».
Lo fa ridere.
Inizialmente Isabela pensa che sia perché è così raro, che la sua rabbia si scateni con qualcuno che non sia sua sorella minore – ma, dopo averlo guardato negli occhi, si rende conto che quello di Camilo somiglia più a un singhiozzo che a un attacco di ridarella.
«La felicità che ti meriti?» le domanda, scuotendo il capo pieno di ricci. «E Dolores? E l’uomo che dici di amare, Mariano? E io?».
Isabela lo guarda – ha gli occhi neri come carbone e, quando lo sente ridere, è altrettanto bruciata: ciocchi di legno, il suo cuore, quando Camilo le fa cenno di lasciarlo da solo.
Camera sua è fatta di specchi.
Inizialmente, Camilo non aveva compreso perché e, ingenuamente, aveva pensato che fosse per veder meglio il suo sorriso: si pensano un sacco di stramberie, a cinque anni. Ma, quando finalmente ne aveva compiuti dodici, aveva compreso e aveva pianto a letto per settimane, senza farsi vedere da sua madre.
Non so che faccia ho, aveva confessato a Isabela quando questa aveva intuito che qualcosa non andasse, come faccio a sapere se sia questa, la mia?
Isa non aveva risposto – l’aveva abbracciato, cingendogli il capo con una corona di passiflore: a Camilo era bastato. Poi non gli era bastato più.
Negli anni, crescendo, s’era reso conto che non era questione di affetto – più di appartenenza: quando Isabela lo sfiorava per dargli uno di quegli odiosi buffetti, lui avrebbe voluto prenderle il polso, torcerglielo e. E?
Non s’addentrava mai troppo, in quelle fantasie: non l’avrebbe mai ammesso ma, alla fine di tutto, gli facevano paura. Scoprivano un lato di lui che Camilo non era poi così disposto a indagare e, così, quand’aveva raggiunto quella consapevolezza, a quindici anni, aveva cominciato a evitare sua cugina.
Lei non se n’era minimamente accorta, presa com’era nel costruire, mattone dopo mattone, la propria vita da favola: e, adesso che Dolores piange ogni sera nella sua stanza dai muri ovattati, e Mirabel non sa come far rinsavire sua sorella, Camilo deve farci i conti. Perché, per quanto la ignori e massacri di odio represso, lei è ancora lì: la consapevolezza non se ne va.
«Non sono io che ho smesso di dirti le cose» sibila Isabela, scuotendo i lunghi capelli nero. «Sei tu che hai smesso di ascoltarmi: quanti anni sono, che mi eviti?».
Camilo spalanca gli occhi – forse, alla fine di tutto, Isa di qualcosa s’era resa conto.
 
***
 
Inizia a tormentarlo.
Camilo finge di non notarlo – ma lo fa e, dietro la pelle, ne è spaventato: perché sa cosa si nasconde dietro la furia silenziosa di sua cugina, la conosce meglio di quanto non gli vada di ammettere. Così, quando si ritrova foglie d’edera velenosa nella maglietta, Camilo si gratta e tace.
E quando Isabela lo colpisce con petali rosati, Camilo li sputa con aria imbarazzata (muto) e fa lo stesso il giorno in cui lei sospira esasperata e glielo domanda: quand’è che hai smesso di dirmi le cose, Camilo?
Lui non sa risponderle.
Vaga per la casita con i piedi di piombo e, quando Pepa lo rimprovera perché le è venuto un gran mal di testa, Camilo sospira come Isa – vuol dire che sei troppo esasperato o che non lo sei affatto: così, prova a parlarle.
Ma lei non vuole. Fugge, si chiude tra le sue statue di fiori, borbotta così tanto che il mal di testa passa da Pepa a sua figlia Dolores e, alla fine, scompare: e Camilo la cerca per tutto il villaggio, Isa, ma non la trova mai. Perché lei si nasconde nell’unico posto in cui lui non osa addentrarsi – casa di Mariano – sapendo che mai Camilo rischierebbe di scoprirla su un letto che non è di petali in fiore, ma di spine.
Invece, lui ci va – si ferma sulla soglia.
Si ferma sulla soglia finché non vede uscire Mariano e sua madre: l’uomo sorride, avanzando per le strade a grandi passi, non accorgendosi del ragazzo minuto e magrissimo che lo osserva con aria disgustata. Perché, per quanto s’imponga di estirparsi quel pensiero dalla testa, Camilo ci pensa: che c’è qualcosa che ha rotto il rapporto tra lui e Isabela – ma, quando ci riflette, non riesce a dar la colpa a Mariano.
È stato lui.
No, no, no – a che pensi? – si dice Camilo, mentre entra di soppiatto in casa Guzmàn, facendo attenzione a non far sentire i propri passi a Isabela (e, con tutta probabilità, nemmeno a Dolores): a stento s’accorge d’aver mutato forma, assumendo i panni di Mariano. Perché Camilo è tutto un compiere azioni senza motivo, solamente per far sorridere qualcuno – questa volta, si tratta di lui.
«Mariano?».
Camilo alza lo sguardo, convinto che sua cugina lo riconoscerà in meno di un secondo – Isabela è sempre stata l’unica a saper dire con certezza quale sia la sua faccia: e Camilo, che di sé non ha mai saputo fidarsi, ha sempre domandato a lei. Com’è che faccio a comprendere chi sono?
Ha scoperto solamente dopo che, Isa, non lo sapeva nemmeno lei.
«Sei già tornato?» continua sua cugina, gettandogli le braccia al collo. «E tua madre, è andata al mercato con le sue amiche?».
Camilo annuisce, lentamente, cingendo la vita di Isabela con le mani di Mariano – non sa dirlo nemmeno a sé stesso: che ha sognato di poterlo fare per così tanto tempo che, adesso che ne ha la possibilità, gli sta bene anche poterlo fare con il viso di un altro. Non sa come dirselo perché ha colto lo sguardo di sua sorella, le poche volte in cui ha sussurrato il suo nome nel sonno – la mattina dopo, Dolores era accigliata e inquieta quanto lui.
Lei ha un sorriso che trasuda angosciante felicità, quando avvicina il viso al suo – dovrebbe sentirsi in colpa, Camilo: dovrebbe? – per lasciargli un bacio a fior di labbra delicato quanto un petalo.
Ma è lui, certo che è lui, che schiude la bocca per permettersi di approfondire quel contatto (inutile, inutile): è stata Isabela a tormentarlo per mesi, adesso tocca a lui.
Morderle il labbro inferiore, facendola sospirare, far scorrere le mani lungo la schiena – ma non è il suo nome, quello che lei sussurra.
Camilo se lo domanda ancora oggi, Dolores è sicura di no, Mirabel tentenna quando le si pone la domanda: ma a Isabela, Mariano, interessa per davvero?
Luisa ha liquidato tutto con un cenno del capo: chi lo sa cos’ha in testa Isa, ha spiegato scrollando le spalle, pensavo che avesse scelto di essere sé stessa, ma. Ma quando l’abbraccio con Mirabel aveva restituito la solidità a casita e Bruno era tornato indietro dall’inferno mordendosi le labbra, niente era cambiato per davvero.
Soprattutto, non lei.
E Camilo, che pur poteva pensare di conoscere Isabela, era rimasto roso da quel dubbio – ancora, mentre le passa una mano tra i capelli nerissimi, deve domandarselo: è cambiata per davvero, o lo penso solamente io?
Perché Isa sospira, gli si appiglia al collo, ai vestiti, soffiando come una gatta: nulla, in lei, sembra tradire disgusto o insofferenza nei confronti di Mariano.
Ed è lei a stringersi a lui, quando la solleva come fosse senza peso, ed è lei ad allacciargli le gambe attorno al bacino, nascondendogli il viso nell’incavo della spalla – cosa sto facendo, si domanda Camilo, cosa sto facendo?
Ma, quando Isabela sorride, forse un po’ malinconica, e torna a posare i piedi sul pavimento – capisce. Sta facendo quel che reputa giusto, alla fine di tutto, sta facendo quel che desidera da una vita.
Ha sempre pensato che Isa fosse intoccabile: ed è questo che succede, pensa strisciandosi via dalla labbra il rossetto rosa di lei, quando tocchi un idolo. La doratura ti rimane sulle mani1.
E, adesso che lei è d’oro ma a chiazze, capisce che l’ha idealizzata nella possibilità di non averla mai – e che, forse, non gli dispiacerebbe poter vestire più a lungo i panni di Mariano, se significa averla avvinghiata al collo, che lo spinge sul letto, che gli sale di sopra a cavalcioni, inondandolo con quei capelli meravigliosi e ride, ride, ride.
Ha amato prima la sua risata (così rara), poi lei. E, adesso che la sente gorgogliare vicino al suo orecchio, si rende conto di volerla come non ha mai voluto nessuno – spera davvero che Dolores, oltre a sentirlo quando borbotta il suo nome nel sonno, non sappia anche leggere nei suoi pensieri. Anche se lo ha scolpito in viso, che la pensa, la cerca, la vorrebbe (non la otterrà mai).
«A che pensi?» cinguetta Isabela, mordicchiandogli la base del collo. «Non me lo dici mai: a chi pensi?».
Forte, la tentazione di rispondergli che pensa a un’altra – ma lei lo guarda così intensamente da non lasciargli facoltà di parola.
«Pensi che io sia una stupida, Camilo?» domanda lei, alzando un sopracciglio. «Che non sia in grado di riconoscerti?».
Fa più male di una spolverata di petali urticanti.
 
***
 
Inizia ad evitarla – troppe cose da spiegarle.
Si rintana in camera sua e, qualche volta, l’idea di andare a vivere dentro le pareti gli pare la soluzione migliore tra tutte le possibilità. Lei, dal canto suo, non lo cerca mai – troppe cose da chiedergli.
Inizia ad evitare anche tutti gli altri Madrigal, specie Mirabel – troppe cose che potrebbero comprendere. Ma Dolores, quando inizia a portargli di nascosto i pasti su un vassoio, ha sul viso dipinta un’espressione minuscola, nascosta tra la bocca e le orecchie e che sa di speranza.
Sa di speranza e di ciò che non ha detto mai: che ama chi non potrà avere, che teme il confronto con Isabela, ma che adesso spera che non sia lei a portar via Mariano, ma che le tocchi esser trascinata via. Dolores dice di non credere nell’amore – le costerebbe troppi rimpianti – e, così, quando porge un bicchiere colmo d’acqua a suo fratello, non sorride mai. Lo guarda, curiosa.
Ma Camilo non muove un muscolo: steso sul letto, contempla nella sua mente quegli istanti che ha vissuto nella pelle di Mariano, lo scherzo crudele di Isabela, come tutte le sue speranze si siano spaccate sulla consapevolezza che l’ha avuta una volta, non l’avrà mai più.
Ricomincia nuovamente il pellegrinaggio dei Madrigal al suo capezzale: lui rimane muto, Isabela non arriva mai.
«Si può sapere, cosa è successo?» Mirabel sbotta, un giorno che Camilo si rifiuta anche soltanto di guardarla negli occhi. «Camilo, tu…».
Non sei così.
«Perché, tu lo sai com’è che sono?» domanda lui, acido. «Non lo so nemmeno io, come potresti saperlo tu?».
Mirabel incassa il colpo – non dice niente, non insiste: si volta, a capo chino, ed esce dalla stanza. Camilo sa che dovrebbe sentirsi in colpa, ma non ci riesce.
Pensa che Mirabel non lo abbia mai saputo perdonare perché, a cinque anni, ha scelto di abbandonarla quando lei era stata presa in giro dalla magia dei Madrigal: Camilo era cresciuto, aveva imparato a governare il proprio dono. Mirabel è ancora quella bambina che si vede sparire la porta da davanti gli occhi.
Non gli è mai passato per la mente di poterla aiutare – a volte, devi aiutarti da solo per uscire dal buio: se non ti sai ripescare dalle tenebre, come potrebbe riuscirci qualcun altro?
Tu non sei così.
Ma, avrebbe voluto rispondere Camilo a sua cugina, anche tu non lo sei: quand’è che la famiglia ha iniziato a contare così tanto, per te, non ci vedi? Rotti, scalcinati, nevrotici. Bruno urla ogni notte e sveglia Dolores, perché si addormenta solo in cucina dove le pareti non sono insonorizzate, strillando ai suoi incubi di lasciarlo in pace. Pepa è sempre tempestosa, perfino Tia Julieta è sempre più tesa, Isabela intrattabile, Luisa sull’orlo del pianto – Camilo?
Dove sei finito, gli ha domandato Mirabel in un sussurro, ci sei ancora, mi senti ancora?
No, vorrebbe gridare lui, sei tu che hai smesso di sentirmi: d’altronde è prerogativa delle sue cugine, non saperlo percepire – turbare.
Isabela, nella sua mente, è scalcinata e incrinata come una statua dopo un terremoto (come le crepe che Mirabel dice di vedere ancora ovunque): ma siamo vivi, ha commentato Pepa, siamo ancora qui e non crolliamo nemmeno dopo l’ennesima scossa. Tu forse, mamma. Ma io?
«Hai intenzione di piagnucolare a letto ancora per molto?».
Alza lo sguardo – Isabela s’è chiusa la porta dietro le spalle, seguita da capelli che le scrosciano sul petto come petali di rose: Camilo se l’è sempre domandato, quanta fatica le costi apparire sempre migliore di sé stessa.
Dolores gliel’ha confermato: Isa piange per addormentarsi e, quando si sveglia dopo poche ore di riposo, si sciacqua il viso per cancellarne le tracce e se lo ridipinge per sembrare sempre diversa. Chissà se lei, guardandosi allo specchio, si sa riconoscere.
Chi sei, Isa, chi sei?
«Non sto piagnucolando» protesta debolmente. «Mi sto facendo i fatti miei, che è diverso».
«I fatti tuoi» ripete lei, alzando un sopracciglio. «Sei mai stato in grado, di renderti conto che qualcosa non era affar tuo?».
Lui sorride – dentro quella smorfia, c’è scritta la risposta: tu, vorrebbe dirle, tu non sei mai stata affar mio.
«Non dire stronzate, Camilo».
Non s’era reso conto d’aver parlato ad alta voce – né aveva mai riflettuto che una parola come stronzate potesse infettare la bocca rosata di sua cugina.
«Perché, Isa?» le domanda, atono. «Da quand’è che sei diventata qualcosa che dovrebbe interessarmi?».
«Lo sai» si cava dalla bocca Isabela, a forza. «Lo sai».
No, pensa Camilo, certo che non può saperlo – non lo sa perché non avrà mai la forza o il coraggio o nemmeno la possibilità di scoprire cosa si cela, dietro il sorriso di sua cugina. Cosa nasconde quando piange nel cuscino o chiusa in bagno, così piano che anche Dolores fa fatica a sentirla, per poi cancellare ogni prova con silenziosa scrupolosità.
«E come potrei?» sibila. «Quand’è che hai smesso di dirmi le cose, Isa?».
«Smettila» risponde lei, piccata. «Non ho mai smesso e non voglio più sentire una parola in merito. Mi dovevo sposare e l’ho detto a tutti, tu… non c’entri in tutto questo».
«Non c’entro? E allora, come me lo spieghi, questo?».
«Questo cosa?».
Isabela sembra esausta – a stento si rende conto che lui s’è chinato per sfiorare le sue labbra con le proprie, facendola istintivamente sorridere.
«Questo».
«Non c’è nessun questo, Camilo» sbotta lei, aggrottando le sopracciglia. «Sposerò Mariano perché ho aspettato troppo ed è…».
«La cosa giusta da fare» una smorfia gli increspa il volto. «Quand’è che permetterai per davvero al tuo cuore di decidere?2».
Isa spalanca gli occhi, perplessa – è che è sbiadita, l’emozione che ha provato a creare piante grasse al posto di fiori colorati, è sbiadita come le crepe nella casita, sbiadita come il senso di colpa di Abuela (se mai c’è stato), sbiadita come gli incubi di Bruno. Ma, sepolta da qualche parte dentro di lei, palpita ancora. Camilo lo sa e la sente, con il palmo delle mano posato sul viso di lei, la percepisce mentre sta per singhiozzargli addosso il proprio risentimento.
Ma non lo fa, Isabela non lo fa mai – quand’è che hai smesso di dirmi le cose, Isa?
 
***
 
Mariano rompe il fidanzamento e non dice niente a nessuno – Isabela piange, ma solamente per finta. Quando la signora Guzmàn si reca da Abuela per dirle che il comportamento di Isabela è stato inaccettabile, l’abuela dei Madrigal non comprende: alza un sopracciglio, rimane senza parole mentre Dolores tende l’orecchio e s’illumina di mille speranze.
Mariano rompe il fidanzamento e, alla prima occasione in cui gli capita di veder Camilo mentre scivola, un po’ dinoccolato, per le vie del villaggio, sbuffa con aria disgustata – si trattiene dal dire una parola, sibila, per amor suo. Di chi, non lo specifica.
Ma è certo che, tutte le poesie che ha dedicato a Isabela, le ha bruciate alla luce di un caminetto quasi sempre spento e, adesso, cosa gli rimane? Un ricordo un po’ scalcinato, una statua di petali spettinati e, infine, una promessa infanta – Mariano rompe la promessa con Isabela e, quando glielo chiedono, non dice mai il perché. Eppure Camilo è tornato allegro e solare e, quando lo si vede in giro, è sempre seguito dallo sguardo truce dell’ex promesso sposo di sua cugina.
Camilo vive per farti sorridere – ma per un sorriso potrebbe farsi uccidere?
Non domanda mai a Isabela cos’abbia portato alla rottura con Mariano, ma s’acquatta silenzioso in camera sua, alla sera, e attende: ci mette un mese. Trentuno giorni in cui Isabela deve compiere quella trentina di passi che separano camera sua da quella di Camilo e, ogni giorno, avanza di uno o poco di meno. Finché non arriva davanti alla porta e, allora, ci mette un’altra sera a posare la mano sul pomello e a entrare.
La stanza di Camilo è ancora fatta di specchi: per tutta la sua vita, Isabela s’è domandata perché suo cugino avesse bisogno di guardarsi da tutte quelle angolazioni. Poi, l’ha capito – Camilo ancora non sa chi è.
Camilo non sa chi è quando la guarda e, in quegli occhi così scuri, lei si può riflettere: Camilo stesso è uno specchio e, quando cerca di guardargli dentro, trova solamente sé stessa. Lui dov’è finito?
«Così, sei rimasta sola» commenta, ridendo e spezzando il silenzio. «Mi dispiace. Troverai qualcuno migliore di quel bellimbusto».
C’è amara consapevolezza, nel suo tono di voce – ironia. Isabela sospira, sedendosi sul bordo del suo letto, tra le coperte color perla.
«Sei stato tu».
«Perché?».
Camilo non domanda altro – perché? – ma senza guardarla mai negli occhi: forse teme che, se questa volta vi si specchiasse, Isabela lo scorgerebbe rannicchiato nell’iride scura, nudo e piangente, e scoprirebbe qual è il suo vero volto.
«Lo sai» sibila, scuotendo i lunghi capelli neri. «Quello».
«Quello cosa?».
Lo fa ridere – un suono simile allo sfregare di due cocci di vetro, quando Camilo sorride e mostra i denti (ceramica).
«Smettila».
«Di fare cosa?».
«Questo».
Camilo continua a sorridere, con aria di odiosa superiorità: è quello che fa andare in bestia Isabela, ancora più dei tentativi di Mirabel di cambiarle l’esistenza, il fatto che con Camilo non si riesca a fare un discorso serio che sia uno. Perché ride, muta forma e ti fa perdere ogni brandello di serietà.
Isabela, però, questa volta non ride mai – lo guarda divenire Mariano senza mutare espressione, atona, con gli occhi fissi sul suo viso come se lo vedesse per davvero.
«Ti dispiace così tanto?» domanda Camilo, tornando sé stesso e alzando un sopracciglio. «Per Mariano?».
«Mi dispiace perché non avrò la mia occasione per andarmene via di qui» risponde lei, calma. «Avere una famiglia tutta mia, insegnare valori diversi, fuggire lontano da tutti voi e…».
«E da me? Da me fuggiresti?».
«Soprattutto da te».
Lei si aspetterebbe un broncio, uno sbuffo, qualunque cosa che ne tradisca il malcontento – Camilo rimane immobile, impassibile e dice.
«Capisco».
«Capisci?».
«Capisco che non potresti essere felice, se rimanessi per sempre con me» commenta, scrollando le spalle. «Io non so chi sono. Ma tu lo sai chi sei?».
Isabela vorrebbe domandargli quand’è che ha cominciato a crescere tutto in un colpo – chi è diventato? – ma Camilo è trasparente come i suoi specchi e, quando prova a sfiorarlo, sbatte contro l’ennesimo gioco di luci di quella camera. Inseguimi, dicono quei riflessi, ma lei sembra volerlo fare e poi non lo fa mai.
«Che ne puoi sapere, tu, di come sono fatta io» sibila lei, acida. «Che cosa voglio fare della mia vita, cosa sogno e per cosa…».
Piango.
Isabela non ha mai ammesso, nemmeno con sé stessa, che la sera piange fino a sfinirsi e la mattina recita come se non fosse mai successo niente – e, adesso che Camilo la guarda come se avesse perfettamente compreso cos’è che le duole nel cuore, la fa sentire orribilmente esposta.
«Scappa, se vuoi farlo» commenta Camilo, stendendosi sul letto e socchiudendo gli occhi. «Ma non tornare mai indietro o non potrai mai dire di essere cambiata per davvero».
Io lo so, vorrebbe dirle, sai quante volte ci ho pensato ad andare via (e non l’ha fatto mai): Isabela lo guarda e s’aspetta quelle parole, ma lui schiude la bocca e non dice proprio niente.
«Dovresti chiedermi di restare».
Camilo guarda il soffitto, un sorrisetto sarcastico gli sfigura il volto.
«No» commenta. «Non dovrei».
Quel giorno Isabela sparisce e nessuno, nemmeno Dolores che dice di non sentirne più i passi, saprebbe dire dove sia finita – poi torna.
Quella sera, la maggiore di Pepa e Felix ridacchia per i corridoi e nessuno riesce a comprendere perché – avevi ragione, Camilo, hai sempre avuto ragione.
Isabela è nervosa e irritabile e non spiega a nessuno dove si era nascosta – perché è tornata indietro.
 
***
 
La va a cercare la sera stessa in cui Isabela torna indietro con i capelli perfettamente al loro posto e un sorriso stanco sul volto – mai le domanda dove sei stata, ma le pizzica la gonna rosa e le domanda perché sia tornata.
«Lo sai» risponde lei, pacata. «Quello».
«Quale?».
«Quella cosa che ho smesso di dirti».
Camilo ride – domani mattina smetto, le dice, domani mattina smetto.

 

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